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Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato

George Orwell
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Manlio  21/10/2008, in Attualità (1416 letture)
Licio Gelli, altro personaggio emblematico della nostra storia, si è fatto intervistare ieri da Marco Dolcetta de Il Tempo (leggi). Sembra che la notizia vera sia che la Sony sta producendo un film per raccontare la vita del Maestro Venerabile. Le sue parole sarebbero passate sostanzialmente inosservate se non fosse stato per un fugace riferimento alla possibilità che Moro sia stato tenuto prigioniero in altre prigioni oltre quella di via Montalcini:

«Della prigione di Moro, il covo di via Montalcini, sono convinto sia stata utilizzata solo in una fase. È ingenuo pensare che l'ostaggio sia stato tenuto lì tutti e 55 i giorni. Forse gli stessi interrogatori, quelli alla base del Memoriale, si erano tenuti altrove»

La notizia è stata ripresa in quanto, ovviamente, colpisce su un aspetto (quello dei misteri o presunti tali sul caso Moro) che è materia di indagine e "business" per molti.

Sulla credibilità del Maestro, almeno nelle sue uscite pubbliche, permettetemi di avanzare qualche riserva.
Il personaggio ha sempre misurato le sue parole, ha sempre agito ad un livello diverso rispetto alla dimensione pubblica. Si può dubitare che quello che dice sia mosso dalla verità in senso assoluto e non ad un mero calcolo di interessi?
 
Nella stessa intervista Gelli sostiene che la P2 non ha avuto alcun ruolo nella morte di Moro. Infatti:

«Non era la P2 a inquinare il Viminale: il comitato tecnico operativo presieduto da Cossiga era fatto di professionisti qualificatissimi e per questo si era ritrovato composto in buona parte di persone che erano nella loggia. Senza neppure - ne sono certo - sapere l'uno dell'altro, fatta salva qualche piccola eccezione. Spesso risultavano anche in contrasto tra loro [...]»

e del resto:

«Nessuno era tenuto a farmi rapporto. Certo mentirei se sostenessi che non chiedevo quali fossero le novità sul caso. Ma nessuno sapeva nulla di rilevante. Posso garantire che anche le persone più in alto brancolavano nel buio»

Quindi la "verità" di Gelli sarebbe. La P2 era un organo autonomo dal Governo, le persone agivano a titolo personale ed in assoluta indipendenza. Non era la P2 a depistare ma le istituzioni a brancolare nel buio.

Però, dalle informazioni in suo possesso, Gelli può ugualmente ritenere che Moro non sia stato in una sola prigione per tutti i 55 giorni.

Può darsi, intendiamoci. Anzi, è altamente probabile. Ma non perché lo abbia detto Gelli ma perché ci sono degli indizi che potrebbero avvalorare questa ipotesi. Cosa cambierebbe è tutto da scoprire, magari nulla o magari tutto. Ma questo è un altro discorso.

Il fatto è che se si considera attendibile questa affermazione di Gelli, si deve considerare attendibile anche il resto del suo ragionamento. Non si può andare a convenienza. E il resto del ragionamento smentisce clamorosamente coloro che ipotizzano un ruolo fondamentale della P2 in tutta la vicenda Moro, compreso il suo sequestro.
Delle due l'una. O Gelli è attendibile, o no.

Se non è attendibile, limitiamoci a prendere le sue parole come opinioni. Non come un documento storico...
 
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Come trasformare una tragedia come quella degli anni ’70 in Italia in una farsa o, scadendo ancora più in basso, in una telenovela da sfigata emittente di provincia?

Un serio tentativo in tal senso lo stanno portando avanti due personaggi davvero singolari: Patrizio Peci, noto pentito delle Br che in una democrazia normale si sarebbe dovuto portare sul groppone alcuni ergastoli ma che in un’intervista su Repubblica ribadisce l’autenticità del suo percorso e del suo dolore come vittima del suo stesso male (ci auguriamo che in questo suo tentativo non rivendichi a breve la presidenza di qualche associazione dei familiari delle vittime del terrorismo…) ed Angelo Incandela ex Maresciallo, capo delle guardie del carcere speciale di Cuneo che sopravvalutando le sue qualità si è definito “agli ordini del generale Dalla Chiesa” anche se del mitico nucleo di Dalla Chiesa magari avrà solamente visto una foto di gruppo prima che, nel 2008, venisse arrestato per scambio di favori con funzionari di alto livello sia pubblici che privati.

Insomma, personcine trasparenti e per bene, che hanno tutto il diritto di venirci a raccontare la propria morale.

Una prima intervista di Silvana Mazzocchi su Repubblica ha portato l’Incandela a non dover essere da meno dell’ex brigatista per precisare che i motivi che portarono Peci al pentimento furono molto più dipendenti dal richiamo della “gola” che “dell’anima”.
E Peci, ovviamente, non ha ritenuto di dover stare zitto e sulle pagine de “Il Giornale” ha accusato Incandela di essere ancora a caccia di onori e gloria, di soffrire di delirio di onnipotenza, di essere un “boia” senza scrupoli, di non avere alcun merito del suo pentimento. E’ stato solo il postino di una sua richiesta spontanea! (leggi)

La risposta di Incandela, manco a dirlo, non si è fatta attendere. (leggi)
Ma come? Se sono stato io a suggerirti che persone molto in alto ti avrebbero potuto aiutare? Ma come? Dimentichi le liste della spesa che un meticoloso appuntato compilava per soddisfare i tuoi desideri? Io un semplice latore di messaggi tuoi verso Dalla Chiesa? Ma come, se all’inizio con il Generale non volevi neanche parlarci? Il mio carcere? Non c’entra nulla con il mio servizio precedente.

E poi, forse ingenuamente forse per calcolo preciso, Incandela si lascia scappare un monito: “Ci sono anche delle bobine - consegnate ai servizi segreti, con i colloqui registrati a tua insaputa - che confermano la mia versione dei fatti.”
Eccolo la il bandolo della matassa. Attento Peci, le prove sono ancora li!
Bene.
Sarebbe interessante acquisire il contenuto di quei nastri, non vi pare? Chissà che non abbia ragione Giorgio Guidelli giornalista de Il resto del Carlino che nell’intervista rilasciata al Blog (leggi) ha coraggiosamente ipotizzato che sulla reale storia del pentimento di Peci “ci sia molto di più. E che quel di più, chi sapeva, se lo sia portato nella tomba”. Se dalla tomba non è più possibile parlare, la voce incisa su un nastro può ancora far male…

Adesso manca la contro risposta di Peci: “Ah, si? E tua sorella?

Possiamo dire tutti in coro: e chissenefrega!!!!
A noi interessa la verità ed è per questo che quei nastri non verranno mai fuori.
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Di Manlio  24/10/2008, in Attualità (1796 letture)

Un attento lettore, Federico Bacci, mi segnala un'intervista all'Emerito Francesco Cossiga che potete ascoltare in audio qui sotto


 
Dire che c'è da restare allibiti è poco?
A me sembra si tratti di un copione già visto e sperimentato non solo in Italia e non solo 30 anni fa.
E forse uno dei motivi per cui molte cose del passato non possono ancora essere svelate è proprio che questi meccanismi sono ancora in atto e perfettamente efficienti...

Leggi l'articolo su Quotidiano Nazionale del 23 ottobre 2008


Per la cronaca: Cossiga si è affrettato anche a smentire. Ecco un lancio ANSA delle 17.21 di oggi:

SCUOLA:COSSIGA,DA MOVIMENTO NIENTE TERRORISMO MA RITIRARE DL
ROMA, 24 OTT - «Non dico che da questo confuso 'movimento' possa rinascere il terrorismo, ma qualche misura l'adotterei». Lo afferma il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga in una lettera aperta al direttore del 'Sole 24 ore'. «La maggioranza - sostiene il senatore a vita - dovrebbe ritirare il decreto Gelmini. Non entro nel merito del provvedimento, ma nel vararlo non sono state tenute in considerazione le reazioni ad esso, che il Pdl non è in grado di contrastare. Terrei in caserma carabinieri e polizia: se qualche deputato o senatore della maggioranza sarà bastonato o si darà fuoco a qualche cassonetto, non sarà un gran male, anzi. Forse Walter Veltroni, disimpegnandosi per un momento dalla campagna pro-Obama, penserebbe un pò alla situazione di casa nostra. Da parte sua, il Pd dovrebbe gestire con forte cipiglio e guidare verso sbocchi costruttivi il 'movimento'; ma per potere fare questo, deve essere credibile. E per essere credibile dovrebbe dare alla manifestazione al Circo Massimo un profilo meno legalitario: qualche automobile bruciata, qualche vetrina sfondata. E qualche carabiniere o poliziotto strattonato, certo servirebbero. E se la situazione precipitasse, ci sarebbe sempre la possibilità che il pacifico 'movimentò prendesse a calci Veltroni o Franceschini o Zanda, e forse allora i democratici aggiusterebbero il tiro. Certo, a Veltroni, a Franceschini e a Zanda, vorrei chiedere un favore: ho ottant'anni, mi facciano risentire giovane, inducano qualche loro adepto a urlare sabato prossimo, o lo facciano loro stessi: »Cossiga boia« e »Cossiga assassino«: gliene sarei infinitamente grato».
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Di Manlio  28/10/2008, in Attualità (1772 letture)
Stamattina ho dato un’occhiata alla Piccola Posta di DagoSpia tra i pochi siti (se non l’unico) che danno notizie “senza filtro” sulle vicende del nostro decennio dei ’70.

Pochi giorni fa aveva pubblicato un resoconto del dibattito tra Valerio Morucci e i lettori del blog di Claudio Sabelli Fioretti a seguito di un’intervista dell’ex brigatista (leggi) Leggo, allibito, la contro-risposta di un lettore alla domanda conclusiva di Sabelli Fioretti:

Lettera 9 (28/10/2008)
Caro D'AGOSTINO, la dichiarazione di Morucci : la Chiesa e le Br (entrambi hanno usato la violenza a fin di bene)... rende finalmente chiaro perché molti di noi ritiene assurdo definire questi scarti del genere invertebrato "ex brigatisti". Questi lo sono ancora, anzi più convinti di prima della giustezza del loro operato. E' stata una follia la clemenza usata nei confronti dei non pentiti e non dissociati. Maggiore durezza doveva essere usata per costringerli a rivelare tutti gli aspetti organizzativi e i nomi di coloro che impartivano gli ordini. Sarebbe anche ora di far conoscere l' "ENTE" di appartenenza di Moretti e Morucci. Sconcertante, in tutto questo, Sabelli Fioretti, quando sul suo blog risponde ad Armando Gasparini, che invocava per morucci &c il sistema usato per la RAF: "stai dicendo che bisognava ammazzarlo in carcere?". La risposta giusta è : non una, ma tante via Fracchia (Genova).
Vittorio Pietrosanti

Ho l’impressione che il problema di fondo sia che la maggior parte della gente si ritenga ancora in guerra, viva una condizione di “guerra permanente” nella quale, se non può difendersi dalle ingiustizie cosmiche, se non altro può attaccare chi era il suo vecchio nemico. Per la serie: se non lo hai un nemico vero, è meglio che te lo crei alla svelta, altrimenti contro chi scaglierai la prossima pietra?

Più che un’impressione è una certezza, ormai.
Altrimenti come giustificare la squallida vicenda dei film che raccontano quegli anni e del giudizio morale sui loro contenuti? Come giustificare la battaglia personale di autori e produttori che pur di portare avanti i loro prodotti fanno delle proprie ragioni delle “contro-questioni personali”? E come decodificare il dibattito tra chi abbia più diritto di parlare e chi, invece, deve sparire nell’oblio della quotidianità perché “disturba” la memoria di qualcun altro?
E “last but not least” perché mai solamente in occasione di elezioni e/o anniversari si tirano in ballo la seduta spiritica di Prodi o di chi sia di competenza l’eredità del pensiero di Aldo Moro?

Quello che mi preoccupa non è l’idiozia o la sommarietà di giudizi come “non una, ma tante via Fracchia” ma il fatto che la classe politica attuale, pur consapevole che questo atteggiamento non porterà il Paese a nulla di buono, resta arroccata sulle divisioni continuando a tirare fuori il peggio da quegli anni.

PS. Caro Pietrosanti, lei che vorrebbe conoscere “l’ENTE di appartenenza di Morucci e Moretti”, quando, tra breve, verrà fuori la verità su una delle vicende chiave della “strategia della tensione” e potrà capire meglio quale sia stato il ruolo delle istituzioni e degli apparati dello Stato, vorrei che la stessa domanda la ponga a chi ha gestito il potere in Italia.
Naturalmente, dopo aver chiesto per essi la galera a vita, anche per quelli tutt’ora in circolazione…
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Il giudizio sui personaggi che sono stati protagonisti degli anni ’70 sembra essere, in Italia, alquanto relativo e fortemente dipendente dal momento politico e dal personaggio.

Abbiamo già visto come in occasione delle parole di Patrizio Peci (leggi) che si è definito vittima oltre che carnefice, nessuna associazione di vittime del terrorismo abbia avuto il coraggio di alzare un dito. Fermo restando il principio secondo il quale i morti sono tutti uguali ed ogni morto di quegli accadimenti è un morto di troppo, io mi sarei aspettato quanto meno una puntualizzazione che sottolineasse che, forse, la morte di Roberto Peci dovrebbe essere considerata diversamente da quella di Rosario Berardi o di Fulvio Croce.

Se i familiari delle vittime hanno poco spazio sui media e rivendicano la possibilità di poter ribadire i propri punti di vista per tutelare la memoria di chi è stato ucciso mentre serviva lo Stato, brigatisti ed altri ex militanti di lotta armata sono spesso autori di libri, interviste ed ospiti di trasmissioni TV.
Su questo non ci trovo nulla di male. Lo trovo, anzi, utile per il Paese e per chi vuole conoscere meglio la storia attraverso le testimonianze personali di chi ha vissuto quel periodo da protagonista.
Semmai il problema è dei media e delle leggi di mercato alle quali editori e pubblicitari sono costretti a tenere in conto.

Ma che la storia di un protagonista in negativo di quegli anni come Licio Gelli diventasse prima un film prodotto dal colosso Sony Pictures e poi lo stesso Gelli voce narrante di una trasmissione “cucita” sul suo personaggio tanto da chiamarsi “Venerabile Italia” che racconterà ai telespettatori la storia d'Italia fino agli anni '80, questo davvero non era ancora capitato.
A scanso di equivoci il mio giudizio sulla negatività del personaggio Gelli è derivante solo dall’aver collezionato alcune condanne definitive tra le quali
  • procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato
  • tentativi di depistaggio delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna

Secondo il mio metro di valutazione, si potrebbe parlare sia di attività sovversiva che copertura dei responsabili di una strage.

Di questi tempi, evidentemente, deve essere roba da poco.

Qualcuno potrà dire: “Ma se Gelli al pari di altri protagonisti, ha scontato il proprio conto con la giustizia non può essere considerato un libero cittadino ed in qualità di ciò svolgere le proprie attività senza doverne dare conto alla pubblica opinione?”
Verissimo. Salvo il particolare che Gelli, attualmente, si trova agli arresti domiciliari presso la sua residenza di Villa Wanda in provincia di Arezzo dove sta scontando 12 anni per bancarotta fraudolenta (il crac del Banco Ambrosiano).

In pratica è nella stessa situazione di Prospero Gallinari che sconta la sua pena ai domiciliari perché gravemente malato di cuore. Eppure se qualcuno avesse solo proposto l’idea di avvalersi di Gallinari come “voce narrante” di un documentario sulla sua esperienza di brigatista, immagino la valanga di proteste che si sarebbero abbattute.
Ma, a pensarci bene, una spiegazione all’occhio di riguardo verso Licio Gelli c’è. Ed è stato proprio lui a fornircela qualche anno fa:

"Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa" (Intervista a Repubblica del 28/09/2003 leggi).

Si, certo. Deve essere proprio per questo grande contributo che ha fornito al nostro benessere se per lui la legge della morale viene applicata con un metro di giudizio differente.
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Alla conferenza stampa di presentazione della trasmissione "Venerabile Italia" >ascolta< Licio Gelli ha avuto modo di parlare di politica e di attualità passando dalle stragi, a Berlusconi alla riforma Gelmini.
Insomma, come potrete capire, ce n'è per tutti i gusti ed il linguaggio è quello del "Venerabile": diretto e audace.


Sul Piano di rinascita democratica:
«l’unico che può andare avanti è Berlusconi: non perchè era iscritto alla P2 ma perchè ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora è in momento di debolezza perchè usa poco la maggioranza parlamentare [...] tutti si sono abbeverati al Piano di rinascita democratica, tutti ne hanno preso spunto. Mi dovrebbero pagare i diritti, ma non fu possibile depositarli alla Siae».
Sul Presidente della Camera Fini: «Avevo molta fiducia in Fini perchè aveva avuto un grande maestro, Giorgio Almirante. Oggi non sono più dello stesso avviso, perchè ha cambiato».
Sulla riforma Gelmini: «In linea di massima sono d’accordo con la riforma Gelmini perchè ripristina un pò di ordine [...] Il maestro unico è molto importante perchè, quando c’era, conosceva l’alunno. [...] l’abbigliamento è importante perchè l’ombelico di fuori non dovrebbe essere consentito».
Sulle manifestazioni di piazza: «le manifestazioni non ci dovrebbero essere, gli studenti dovrebbero essere in aula a studiare. Nelle piazza non si studia; se viene garantita la libertà di scioperare dovrebbe essere tutelato anche chi vuole studiare, e molti in piazza non ne hanno voglia. Dovrebbe essere proibito di portare i bambini in piazza perchè così non crescono educati»
Sulle stragi: «Le stragi ci sono sempre state e ci saranno sempre perchè non c’è ordine: infatti sono arrivate dopo gli anni ‘60. Se domani tornassero le Br ci sarebbero ancora più stragi: il terreno è molto fertile perchè le Br potrebbero trovare molti fiancheggiatori a causa della povertà che c’è nel paese. Le stragi sono frutto di guerra tra bande»
 
Quest'ultima considerazione ci conforta sulla qualità della trasmissione perché frutto di un raffinato ragionamento intellettuale e di un articolato pensiero storico. Complimenti, davvero.

Tra le associazioni delle vittime delle stragi, al momento (sabato 01 novembre), nessuna sembra aver avuto voglia di contraddire il Maestro. Solo l'associazione delle vittime di via dei Georgofili (Firenze) ha ritenuto opportuno di non subire queste idiozie.

Giovanna Maggiani Chelli ha replicato:
«Il signor Gelli quando afferma ‘le stragi ci sono sempre state’, dice una cosa gravissima perchè se sa qualcosa di più di quello che sappiamo noi parli visto che è alla fine della sua vita, altrimenti taccia perchè il suo qualunquismo ci offende [...] Non è vero che quando esplosero le bombe del 1993 in questo paese mancava l’ordine. Le forze di polizia funzionavano eccome [...] Gelli non sa nulla di ciò che voglia dire patire una strage. Ci risparmi l’ironia becera e spicciola. Dopo di che non si schieri con nessuno, in difesa di nessuno o dovremmo pensare davvero che questa sua uscita pubblica nel giorno dei Santi abbia un secondo fine».

La politica ha pensato bene di cogliere al balzo l'opportunità offerta da Gelli per la solita raffica di dichiarazioni autoreferenziali. Dalla richiesta da parte dell'opposizione di una presa di distanze di Berlusconi, all'accusa del PDL di pescare nel torbido. Persino Baudo e Bonolis. Ed un botta e risposta Cossiga-Rosy Bindi. >Rassegna Agenzie<


Una precisazione. Parlo di 'dichiarazioni idiote' perché ritenere che le stragi siano state l'opera di guerra tra bande criminali equivale a dire che la fame nel mondo c'è perché non ci sono sufficienti negozi. Oltretutto non è possibile ritenere che le stragi ci siano state perché c'erano le BR, per il semplice fatto che esse sono nate dopo Piazza Fontana.
Ma se il pensiero di Gelli corrispondesse alla realtà dei fatti, allora vuol dire che lui per bande non intende "rossi" contro "neri" ma fazioni contrapposte dello stesso Stato che hanno utilizzato uno strumento di morte per contrastare l'avanzata dell'avversario politico.
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Licio Gelli, Maestro Venerabile della Loggia P2 e adesso divulgatore di storia su OdeonTV, ha dato una nuova prova di grande moralità e di quanto per lui la verità sia un principio inderogabile.

Nell'ambito di una indagine nella quale il "Venerabile Presentatore" era indagato per eversione sovversiva dello Stato e associazione mafiosa", Gelli ha declinato l'invito avvalendosi della facoltà di non rispondere. Evidentemente deve aver considerato l'operato dei giudici al solo fine di screditare la Sua Immagine di star televisiva attribuendogli due banali reati di opinione.

Sarà che ormai la gente è abituata a veder utilizzare la bilancia della moralità con pesi e misure diverse a seconda delle situazioni. L'ANSA che ho letto poco fa, personalmente, mi ha lasciato senza parole.


MAFIA: PM PALERMO INTERROGANO LICIO GELLI, LUI NON RISPONDE

(ANSA) - PALERMO, 5 NOV - I Pm della Procura di Palermo hanno interrogato Licio Gelli, nell'ambito dell'inchiesta su mafia e massoneria. L'ex maestro venerabile della loggia P2 si è avvalso della facoltà di non rispondere. Gelli, infatti, è stato sentito come «indagato di reato connesso archiviato». Negli anni scorsi era stato coinvolto nell'indagine «Sistemi criminali» in cui era indagato per «eversione sovversiva dello Stato e associazione mafiosa». La Procura ha ritenuto di sentire Gelli perchè sarebbe stato in contatto con alcuni indagati dell'inchiesta che nel giugno scorso ha portato all'arresto di imprenditori, massoni e boss che avrebbero «ritardato» processi in Cassazione. All'interrogatorio, che si è svolto nella caserma dei carabinieri di Arezzo, hanno preso parte il procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e i sostituti Fernando Asaro e Paolo Guido.
Il maestro venerabile della loggia P2, Licio Gelli, sarebbe stato uno dei punti di riferimenti di alcuni degli indagati dell'inchiesta su mafia e massoneria coordinata dalla procura di Palermo. Il dato emerge dalle indagini svolte di carabinieri negli ultimi mesi. Gelli, infatti, avrebbe ricevuto nella sua villa alcuni esponenti massoni che risultano coinvolti nell'indagine «Hiram». Il maestro venerabile, oltre ad essere stato indagato dai pm di Palermo in passato, era già stato interrogato anche dal giudice Giovanni Falcone nell'ambito di una inchiesta su un traffico di armi. All'epoca Gelli venne sentito come testimone e rispose su un assegno bancario finito agli atti dell'inchiesta condotta allora da Falcone.
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Di Manlio  05/11/2008, in Attualità (3595 letture)
Domenica 2 novembre la giornalista Breda Marzio ha pubblicato su "Il Corriere della Sera" alcune rivelazioni inedite che il Presidente della Repubblica Giovanni Leone le avrebbe confidato in occasione della sua intervista del 1998.

Il particolare che ha colpito maggiormente riguarda il fatto che egli si fosse adoperato molto per giungere alla salvezza di Aldo Moro e che questo gli sia costato la pesante campagna diffamatoria nei suoi confronti e le dimissioni anticipate di sei mesi rispetto alla scadenza naturale del mandato presidenziale.

In particolare, Leone, ricorda:

"Quando finalmente si riuscì a saperlo [in quale carcere si trovava la Besuschio, ndr] e a contattare l'interessata, si scoprì che qualcuno l'aveva già raggiunta e convinta a rifiutare la firma alla richiesta di grazia. Il ministro della Giustizia, leggi alla mano, si mostrò sconsolato. Ma Leone lo rianimò rapidamente dicendo che, pur in mancanza di un'apposita norma, destinata ad essere proposta e approvata molti anni dopo, egli si sarebbe assunto ugualmente la responsabilità di concedere la grazia. Vuol dire - confidò pressappoco a Bonifacio - che creeremo noi il precedente che manca."

La firma fu solo rimandata alle 12 del 9 maggio perché Leone confidava anche nei segnali di apertura che si prevedeva potessero provenire dalla riunione del Consiglio Nazionale della DC. Ma il tutto fu inutile perché fu rinvenuto il cadavere di Aldo Moro a pochi passi dalle sedi di DC e PCI.

Leone si chiese:

"mi convinsi che i brigatisti fossero al corrente di quel che stava maturando e, non volendo la liberazione di Moro, avessero affrettato quella mattina l'assassinio"

Una convinzione non nuova, un'ipotesi già ampiamente presente nella pubblicistica.

Pongo una riflessione che non mi sembra da poco. Ma se i brigatisti non volevano la liberazione di Moro, perché ridursi all'ultimo minuto rischiando di trovarsi sul piatto una grazia firmata o un'apertura della DC? Non sarebbe stato più comodo anticipare a scanso di equivoci o di scherzi da prete?

Io credo, invece, che nelle ultime ore i brigatisti siano arrivati molto vicini alla liberazione dell'ostaggio ma che alla fine, a causa di un sabotaggio che intervenne nella tratativa, la contropartita che si trovarono di fronte non consentiva più alcun margine e furono costretti ad accettare la morte del presidente della DC.
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Di Manlio  10/11/2008, in Giudiziario (8284 letture)
La Fiat 130 su cui viaggiava Aldo Moro il 16 marzo del '78 e l'Alfetta di scorta che lo seguiva erano custodite, prima della recente demolizione, presso il museo della Motorizzazione Civile di Roma. Ma la R4 che rappresentò la prima "bara" di Aldo Moro che fine aveva fatto?
Strano ma vero, era stata restituita al legittimo proprietario Filippo Bartoli e dimenticata nella periferia romana abbandonata al proprio destino in un deposito utilizzato anche come pollaio.
Fino a quando il giornalista del Resto del Carlino Giorgio Guidelli si è messo sulle sue tracce e l'ha ritrovata >>Leggi l'articolo<< ricavandone anche un bello ed emozionante libro dal titolo "L'auto insabbiata" .

Guidelli è tornato nell'abitazione del Sig. Bartoli il 9 maggio scorso in occasione della prima giornata nazionale dedicata alla memoria delle vittime del terrorismo per mostrare alle telecamere quello che a parere di tutti può essere un simbolo della nostra memoria. Ma l'auto non c'era più!

E' successo che a seguito del clamore suscitato dall'articolo e dal libro di Guidelli, Filippo Bartoli ha riconsegnato l'auto al cognato in quanto la medesima era di proprietà della ditta edile a lui intestata.
Su sito della Televisione della Svizzera Italiana (RTSI.ch) è possibile visionare il TG del 9 maggio ed il servizio dedicato al nuovo tentativo di Guidelli di mostrare al mondo l'importante reperto. Ho voluto riporatre sul blog l'audio del TG in caso  di difficoltà tecniche di collegamento al sito dell TV Svizzera.


Due cose sembrano certe.
Il cambiamento di atteggiamento del Sig. Bartoli e della moglie (sorella della persona che avrebbe preso in carico l'auto) che addirittura minaccia di chiamare la Polizia. Il Sig. Bartoli ha anche ricordato di aver ricevuto una telefonata dalla Questura che lo invitava a "chiudere la questione così...". Per la precisione Guidelli, sul suo taccuino, ha appuntato il termine "bruciarla".

Dall'altro lato appare molto strano che a seguito del ritrovamento e con la tecnologia oggi a disposizione, nessun magistrato abbia provveduto ad una nuova perizia. Una nuova analisi scientifica condotta sull'automobile potrebbe raccontare nuovi particolari o, quanto meno, confermare elementi noti dando inequivocabile conclusione ad una serie di speculazioni che nel corso di 30 anni si sono susseguite. Del resto, nell'ambito della vicenda Moro, la situazione non sarebbe nuova. Nel '94 a seguito del ritrovamento di un nuovo proiettile nel bagagliaio dell'alfetta di scorta, si era proceduto con una nuova perizia balistica per appurarne la provenienza. Al contrario di ciò che ipotizzavano i cosiddetti "dietrologi" (e cioè che fosse la prova di una settima arma brigatista) i periti Domenico Salza e Pietro Benedetti dimostrarono che tale colpo fu sparato da un'arma già nota e sequestrata e che, causa un errato caricamento in quanto non adatto ad essa, ne fu anche motivo di inceppamento.

Come mai, allora, nessun magistrato ha ritenuto di dover sottoporre la R4, appena ritrovata, ad una nuova perizia tecnica? E come mai, invece, l'auto è nuovamente sparita?
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In una lettera aperta a Francesco Caruso >>Leggi<<, il Presidente Emerito Cossiga ha parlato ancora una volta del caso Moro attribuendo la responsabilità della "politica della fermezza" al PCI.

Ecco il passo citato nell'articolo:

"Ma vi è ancora chi ignora che la "politica della fermezza" nel caso Moro fu voluta anzitutto dal Partito Comunista.
La Democrazia Cristiana avrebbe certamente e subito trattato con le Brigate Rosse e in cambio della libertà e della vita di Moro avrebbe riconosciuto le Br come soggetto politico e liberato tutti gli appartenenti alla lotta armata che erano in prigione. Ricordo bene quando Berlinguer e Pecchioli vennero da me, ministro dell'Interno, a protestare perché il Governo aveva agevolato i tentativi della Dc di colloquiare e trattare con le Br tramite la Croce Rossa e poi "Amnesty International", minacciando la caduta del Governo se si fosse continuato su questa strada."

Dunque, Presidente, vorrebbe farci credere che la DC si sarebbe sbracata fino al punto di mandare alla malora qualsiasi residuo di dignità delle Istituzioni pur di riavere indietro uno dei suoi leader ma che non era disposta ad accettare, come contropartita, una crisi di Governo?

Erano forse questi i principi cristiani cui si è ispirata per quasi 50 anni la visione del potere del partito che ha gestito i ruoli chiave delle nostre Istituzioni?
O, forse, il PCI è stato un ottimo alibi per giustificare quello che tutti, con i comportamenti, hanno fatto e cioè non salvare Aldo Moro?
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