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Di Manlio  30/04/2013, in Interviste (5191 letture)
E' in libreria in questi giorni un nuovo, interessante testo sul caso Moro. "La zona franca - come è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro" (Castelvecchi) scritto da Alessandro Forlani, un giornalista RAI che cura la trasmissione settimanale "Pagine in frequenza" che si occupa di politica ed attualità in libreria.

E' un giornalista che ha due grandi doti: una grande cultura, che gli permette di cogliere in profondità il senso di tante cose che a molti sfuggono ed una straordinaria capacità di divulgazione grazie ad uno stile (sia parlato che scritto) scorrevole, limpido e chiaro.
Aggiungiamoci anche che è un giornalista onesto, uno di quelli che fa bene il proprio lavoro e non sta ai giochi di prestigio dell'asservimento a questo o quel potere, e potremmo dire che è uno dei prototipi del giornalista modello.

Dieci anni fa, in occasione del 25° anniversario dell'agguato di via Fani, confezionò uno speciale radiofonico con interviste e schede di approfondimento che durò tutta la giornata.

Un lavoro interessante che ampliò nel 2008, in occasione del trentennale, con nuove interviste e nuove trasmissioni tematiche dedicate alla vicenda Moro.

Da questo enorme lavoro radiofonico ne è venuto fuori un bellissimo libro che si concentra su un aspetto ancora poco esplorato della vicenda: la trattativa Stato-BR per liberare Aldo Moro.

Un libro basato su testimonianze, alcune inedite, senza dietrologia. Si attiene ai fatti e a ciò che tanti protagonisti hanno detto nel tempo.

E la conclusione delle 334 pagine del corposo lavoro di Forlani è molto semplice: una trattativ ci fu, eccome, ma all'ultimo momento (proprio le ultime ore) qualcosa andò storto e le BR uccisero il prigioniero quando tutto era predisposto affinchè venisse liberato.

Alessandro Forlani presenterà il suo libro il 3 maggio a Lecce (libreria Feltrinelli, via Cavallotti, ore 19.30) e il 4 maggio a Brindisi (palazzo Nervegna, ore 18.00) e avremo modo di approfondire la questione. Per il momento propongo a tutti i lettori che non potranno essere presenti ai due eventi, le riflessioni dell'autore sul suo lavoro e sulla questione da lui affrontata.

Per ogni nuovo libro sul caso Moro si dice sempre che "è un libro diverso dagli altri". La zona franca, lo è davvero?

Le centinaia di pubblicazioni sul caso Moro hanno evidenziato molti aspetti ancora oscuri. Non sappiamo quanti fossero gli attentatori di via Fani. Non sappiamo chi ha commissionato il falso comunicato del lago della Duchessa, che segna uno snodo fondamentale nei 55 giorni. Soprattutto però restava, non solo senza spiegazione, ma non era nemmeno stato raccontato il quadro delle trattative, che potevano salvare Moro e che invece sono fallite in extremis. Il mio libro prova a raccontare quelle trattative. E' però un libro che più che dare risposte, pone domande.

Molte testimonianze, la maggior parte inedite, raccolte in quasi 10 anni di lavoro. Quale tra queste ti ha impressionato di più?

Direi quella da cui sono partito e quella che ho raccolto per ultima. Io avevo curato un programma alla radio il 16 marzo 2003, per il venticinquesimo del delitto Moro, e avevo intervistato alcuni dei protagonisti di quella vicenda: il brigatista Gallinari, il collaboratore di Moro Guerzoni, qualche politico del tempo. Poi ai primi di maggio un tecnico del Gr mi ha detto che Padre Carlo Cremona, che allora teneva la rubrica sul Santo del giorno, mi voleva parlare. Andammo insieme a trovarlo e il Padre mi disse che lui nel '78 lavorava per Papa Paolo VI e che il 9 maggio era stato incaricato di aspettare una telefonata che avrebbe annunciato la liberazione negoziata di Moro. Da quella testimonianza, che ribaltava tutto quello che avevo imparato sul caso Moro, sono partito per cercarne altre, sempre di comprimari inascoltati. Cercai in particolare l'ex sottosegretario alla Difesa Franco Mazzola, che aveva scritto un romanzo sul tema delle trattative. Gli parlai più volte e alla fine lui mi disse che la trattativa c'era; che ne erano ben informati il presidente del Consiglio Andreotti e il ministro dell'Interno Cossiga e che la mattina del 9 maggio doveva avvenire in effetti uno scambio.

Attraverso tre trattative parallele che si sarebbero intrecciate quella mattina del 9 maggio lo Stato era giunto ad un accordo con le BR. Quali erano queste trattative?

Il Vaticano avrebbe versato alle Br una forte somma di denaro: tra i 10 e i 25 miliardi di Lire. Il maresciallo Tito avrebbe liberato 2, 3 o 4 militanti della Raf, ( le  Br tedesche), e dato quindi ai brigatisti un riconoscimento politico a livello internazionale. In Italia il Capo dello Stato Leone avrebbe firmato un provvedimento di clemenza nei confronti di un estremista di sinistra e il presidente del Senato Fanfani avrebbe detto davanti alla Direzione Dc che la trattativa con le Br era legittima.

Sono venute alla luce a piccole dosi a molti anni di distanza. Eppure i protagonisti hanno raccontato spontaneamente i fatti di cui sono stati testimoni. Non ci si poteva pensare prima?

In realt?nbsp; tutti i testimoni da me intervistati avevano gi?nbsp; parlato pubblicamente. Padre Cremona aveva scritto un libro, in cui aveva gi?nbsp; raccontato la parte avuta quel giorno nel caso Moro, mazzola aveva scritto un romanzo, altri avevano parlato alla Commissione d'inchiesta sul caso Moro. Il punto è che le cose che avevano detto non erano mai state comparate e messe insieme in una storia coerente. 

Per liberare Aldo Moro bastava che anche solo una di queste trattative andasse in porto o era necessario che si verificasse l'incastro?

Credo sia difficile dirlo. I brigatisti ripetevano da sempre che loro volevano un riconoscimento politico da parte democristiana. Le dichiarazioni di Fanfani quindi sarebbero state imprescindibili. Tuttavia noi non sappiamo nemmeno se le tre trattative fossero complementari o indipendenti.

Che ruolo aveva la Santa Sede?

Il Papa si era offerto come ostaggio nel caso del dirottamento aereo da parte della Raf nel '77 ed era assurdo che non si muovesse per Moro, che era suo amico dai tempi della Fuci negli anni '40. per di più la chiesa aveva condotto nel '74 la trattativa che portò alla liberazione di Sossi, rapito proprio dalle Br. La Santa Sede arrivò a contattare i brigatisti, offrendosi come mediatrice con lo Stato. Io pubblico la testimonianza di un prelato, che sostiene che Don Antonello Mennini incontrò addirittura Moro durante la prigionia. Forse il Vaticano si occupò solo di pagare un riscatto, perché sapeva che il versante politico era coperto da altri, ma non ci sono testimonianze di contatti tra gli attori delle tre trattative.  

E l'iniziativa "istituzionale" che coinvolgeva il PSI e figure di peso come Leone e Fanfani?

Il Psi, come fin da subito dicevano i Radicali, e come soprattutto chiedeva lo stesso Moro nelle lettere, propose una trattativa umanitaria, ispirata al cosiddetto Lodo moro, l'accordo segreto stipulato dall'allora ministro degli Esteri Moro con i palestinesi nel '73. Lo Stato faceva una concessione di sua iniziativa, esercitando un potere come quello di "grazia", prerogativa del Capo dello Stato. Le Br avrebbero dovuto poi fare la loro parte, liberando il loro ostaggio. I socialisti sono fermi nel dire che i loro emissari avevano detto chiaramente ai brigatisti che il 9 maggio Fanfani avrebbe aperto alla trattativa.      

Il peso maggiore, probabilmente, lo ebbe il coinvolgimento del Maresciallo Tito che avrebbe liberato alcuni detenuti della RAF e dato un riconoscimento politico internazionale, alle BR

Tito era amico di lunga data di Moro, che considerava un politico di idee a metà strada tra il socialismo ed il liberismo. Il presidente jugoslavo era molto anziano, ma ancora attivo. Si disse subito disponibile a fare da tramite e probabilmente ad aiutarlo furono i palestinesi del Fronte Popolare di Liberazione, un gruppo rivale dell'Olp, che contattò le Br e le informò dei termini dello scambio. L'agente segreto Stefano Giovannone, amico di Moro, attese invano a Beirut l'aereo con quelli della Raf. L'ammiraglio Martini, arrivato a Belgrado nel primo pomeriggio, arrivò fino alla cella dove erano rinchiusi i tedeschi, ma poi venne avvertito che Moro era gi?nbsp; morto e l'operazione era quindi annullata.

Cosa andò storto, secondo te?

E' quasi impossibile dare una risposta. Io pongo solo delle domande. I brigatisti sapevano che quel giorno lo Stato avrebbe ceduto; Moro scrive di essere libero, grazie alla generosità dei brigatisti: perché allora ucciderlo proprio quella mattina? Poniamo pure che lo abbiano ucciso nel garage di via Montalcini: perché portare il cadavere proprio di fianco al portone di palazzo Caetani? I vestiti di Moro recavano tracce di acqua marina e sabbia, provenienti dal litorale di Focene, vicino a Roma. I brigatisti dicono che si trattò di un depistaggio: ma perché andare a prendere acqua e sabbia proprio su quella spiaggia, vicino ad un luogo così strano e significativo come la Posta Vecchia? 

Che ruolo ebbe, secondo te, la famiglia? Fece da collettore per le iniziative, avviò canali privati e riservati, restò a guardare?

Da quello che mi hanno detto i figli dello statista ucciso, la famiglia restò, come si dice, nell'occhio del ciclone. Si trovò in una situazione di paradossale calma, mentre tutto intorno a loro si muoveva in modo vorticoso.

Probabilmente qualcuno sapeva che all'ombra di chi si muoveva per salvare Moro c'era qualcun altro che tramava affinchè la cosa fallisse. Ad esempio l'On. Benito Cazora, cui tu dedichi un intero capitolo. Cosa fece Cazora e, soprattutto, perché nessuno lo prese sul serio?

E' appunto probabile che in tutti gli ambienti che si diedero da fare per la salvezza di Moro: la Chiesa, la Dc, i servizi segreti, i Ministeri, ci siano stati dei boicottatori, che alla fine siano riusciti a far fallire la trattativa, portando i brigatisti ad uccidere l'ostaggio più in fretta che potevano. L'onorevole Cazora oggi lo definiremmo un peone, un piccolo deputato laziale democristiano. Lui raccolse la proposta di un malavitoso, (che gli si presentò come un suo elettore), di fornirgli informazioni utili alla liberazione di Moro. Cazora venne portato a via Gradoli e gli venne detto che quella era "la zona calda". Il 7 maggio addirittura gli venne detto che, se non si interveniva subito, Moro sarebbe stato ucciso di lì a due giorni, come poi avvenne. Cazora riferì tutto al Viminale, dove Cossiga gli disse che "quello il 9 era libero". La trattativa quindi era talmente garantita, che il ministro poteva addirittura dare per acquisito il risultato con un peone, che gli stava facendo perdere del tempo. Alla fine però il peone Cazora ebbe ragione. Forse per questo non venne mai più preso in considerazione, perché quella figuraccia dello Stato andava rimossa dalla memoria.
 
Una trattativa non è una cosa negativa di per se, ma un gesto dello Stato che mette in ogni caso al primo posto la salvaguardia della vita dei propri cittadini. Eppure nel caso Moro la parola trattativa non può neanche essere pronunciata, ancora oggi a 35 anni di distanza. Perché, secondo te?

Credo che sarebbe ingenuo pensare che lo Stato non abbia mai trattato con le Br e con altri soggetti criminali, come si pretese di fare durante il sequestro Moro. Lo Stato trattò con le Br per gli altri sequestri, come trattò con i palestinesi nel '73 e con le mafie fin dallo sbarco americano nel '43. le trattative tra nemici, quando c'è una guerra, sono legittime. Non lo sono invece quando lo Stato si confronta con soggetti come i gruppi terroristici o organizzazioni criminali come le mafie. Presentando il mio libro a Milano, il giornalista Gianluigi Nuzzi ha detto che nel 2007 agenti segreti italiani hanno mediato tra le famiglie della Ndrangheta che si erano scontrate quell'estate nelle strade di Duisburg. In questi giorni poi è in corso un processo per la presunta trattativa con la mafia del '92. credo che se Moro fosse uscito vivo dalla prigione brigatista, di sicuro ci sarebbero state polemiche ed anche inchieste della magistratura. Forse il parlamento avrebbe dovuto intervenire con un provvedimento ad hoc. Certo sul piano morale una trattativa che ha come scopo quello di salvare una vita è più che legittima. Credo che tutto dipenda da quello che si offre in cambio e dagli strumenti che si utilizzano. Per la salvezza di Moro, lo Stato si sarebbe limitato ad un gesto di clemenza, che era nei poteri del Quirinale. Santa Sede e Jugoslavia sono stati esteri, il cui operato non è soggetto alla nostra giurisdizione.

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