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Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato

George Orwell
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Manlio  29/07/2012, in Libri (2454 letture)
Per chi si occupa di storia della lotta armata il nome Papago rappresenta il puntino pulsante dello schermo di un radar. Un’iconcina che ti indica un oggetto, che quindi sai essere presente in mare o aria, ma del quale conosci poco.
Giorgio Guidelli ha provato a seguire le orme sul monitor per cercare di farci capire meglio cosa quel nome (i Papago sono una tribù indiana dell’Arizona) rappresentasse nel complesso intreccio di avvenimenti che nel dopo-Moro (1978-1981) attraversarono l’Italia ed interessarono anche il resto d’Europa.

E’ andato alla fonte della questione e quale fonte migliore se non lo skipper dell’imbarcazione? Con il suo solito stile che è a metà tra la narrazione e la cronaca, con un linguaggio fruibile a tutti ma che si attiene rigorosamente ai “fatti storici” ci ha regalato questo nuovo lavoro che, rispetto ai precedenti sull’argomento, si presenta come un racconto. Autobiografico, che racconta lo svolgersi degli eventi e delle emozioni che in prima persona deve aver provato nell’entrare sempre più nei nodi cruciali ed inesplorati di una vicenda chiave della nostra storia. I cui risvolti, a leggerli bene, interessano le massime cariche dello Stato, i loro segreti ed il comportamento di alcuni organismi dello Stato, in molti casi quanto meno ambigui di fronte all’eversione.

Il libro, non a caso, si chiama “Porto d’armi - Indagine sui rapporti Br-Palestinesi” (editore Quattroventi) perché rappresenta il risultato di una serie di lunghi colloqui tra Guidelli e lo skipper del Papago, ex brigatista marchigiano stimato psichiatra.
Un testo che per l’argomento e per la piacevolezza della lettura non posso che consigliare a tutti. Cento pagine che si leggono tutte d’un botto, che lasciano sempre col fiato sospeso e che l’unica pecca che hanno è di finire troppo presto.

La storia apre una voragine, non tanto perché svela l’esistenza di rapporti operativi tra la lotta armata europea e i guerriglieri palestinesi, due facce ispirate dagli stessi principi marxisti-leninisti, simili ma profondamente differenti per storia, contesto ed intensità.

La questione centrale è l’aver portato una prova dell’esistenza del cosiddetto “lodo Moro”, ovvero quel patto tacito tra le autorità italiane ed i palestinesi (che porta il nome del presidente della DC ucciso dalle BR perché egli stesso ne fu l’ispiratore ed il mediatore) con cui si sancì l’estraneità di obiettivi italiani nel panorama di attentati che i palestinesi organizzavano in tutta l’Europa in cambio della possibilità concessa agli stessi palestinesi di attraversare il nostro stivale trasportando armi ed esplosivi destinati ad attentati o ad altre formazioni combattenti.
Un “patto” grave per un Paese di diritto, tanto più grave perché riguarda proprio quella “ragion di Stato” che è sempre stata utilizzata sulla base del principio della convenienza non dei molti, ma dei singoli interessi di bottega.

Cosa ha a che fare il Papago con il “lodo Moro”? Apparentemente niente, visto che potrebbe trattarsi di un semplice traffico clandestino sfuggito alle maglie della legge. Ma di clandestino, quel viaggio aveva davvero poco.

Il nono capitolo del racconto di Guidelli si intitola “Porto delle nebbie” parafrasando l’appellativo con il quale negli anni ’70-’90 venne etichettato il Tribunale di Roma per la facilità con cui molte inchieste si arenavano.

Lo skipper racconta della spedizione ferma per tre-quattro giorni nel porto di Numana pochi chilometri a sud di Ancona. A bordo, ovviamente, l’imprendibile capo delle BR Moretti. E narra di un colloquio che egli (lo skipper) ebbe in carcere con un capo delle Forze dell’Ordine che gli disse: “Ci arrivò una telefonata anonima, che riferiva: ‘Andate a Numana, in porto. Troverete Moretti, in porto’”. Le Forze dell’Ordine si armarono di tutto punto, circondarono il porto e si preparavano all’irruzione. Quando strani movimenti, ombre e oggetti fecero temere di essere stati scoperti. Stava per scoppiare il finimondo. Per fortuna, questione di attimi, riconobbero gli uomini dell’anti-terrorismo che invitarono le Forze dell’Ordine ad andare via, tanto c’erano già loro. Lo skipper, in un momento successivo, scoprì anche che qualcuno dei servizi sapeva del viaggio prima di lui e questo lo fece tirare fuori da quella storia e non ne volle sapere più nulla.
Il luogo del “rifornimento” di armi era fissato poco lontano da Beirut, su un’isola di fronte a Tripoli. In quel periodo in Libano c’era la guerra, l’Esercito italiano e il contingente di Carabinieri presidiavano la zona, il Mossad era a due passi e parte in causa nel conflitto. Un trasbordo ad alto rischio, dunque. Perché tanta sicurezza, si chiede Guidelli?

E’ solo un assaggio di quanto troverete nel libro, ma credo sia indicativo dell’importanza che riveste il testo. La delicatezza dell’argomento è confermata da una coincidenza: quasi in contemporanea è stato pubblicato un altro libro che racconta, sempre dalla voce diretta dello skipper, il viaggio del Papago. In questo secondo caso, però, nessun accenno allo sfiorato patatrac di Numana, nessun accenno al “lodo Moro”. Molto spazio, invece, ai particolari esilaranti: la Bertè che sostituisce Guccini e De Andrè, un “Hasta la victoria” “Siempre!” come unico botta e risposta con i palestinesi, date le differenze di lingua, Moretti che pensa di sparare ad un delfino per arricchire il menu di bordo.

Personalmente, l’aver stretto un patto con chi era in procinto di buttar giù con un missile un aereo passeggeri in partenza da Roma, non mi scandalizza più di tanto. Può essere ricondotto a quella “ragion di Stato”, quel dilemma “pietas o polis” dell’Antigone di Sofocle dove, si badi bene, si costruisce la polis attraverso la pietas. Con la condizione che quel “segreto di Stato” non sia eterno, che se ne debba rendere conto ai cittadini quando il pericolo ormai non c’è più. Proprio perché alla base deve esserci la buona fede e la tutela dell’interesse pubblico.
Purtroppo parlare di buona fede, trasparenza ed interesse pubblico in Italia, per utilizzare un eufemismo, fa sorridere.

Ed allora lasciatemi il privilegio di avere un sospetto. L’Italia, il paese dei furbi e della politica dai costi a talmente tanti zeri da produrre cifre impronunciabili. Il paese del ricatto, degli interessi privati che pervadono la sfera pubblica con i risultati disastrosi cui siamo giunti.
Ma vogliamo davvero credere che tutto questo meccanismo (parlo del “lodo Moro”) sia stato gestito a gratis? Non vogliamo sospettare che, nel paese delle tangenti, delle provvigioni del malaffare che spettano alla politica per gentile concessione, su quei traffici non si siano generati profitti? Non faccio fatica a pensarlo, ancor meno ad immaginare che fine possano aver fatto quei proventi.

Ed allora, forse, ecco perché il nostro “segreto di Stato” in questo caso (e chissà in quanti altri) non può essere svelato, neanche a distanza di qurant’anni. Perché mancano i presupposti della pietas e perché un intreccio di interessi e complicità hanno blindato quel patto di verità che non conviene a nessuno tradire.
 
Di Manlio  05/12/2011, in Libri (5985 letture)
Uno dei luoghi comuni della dietrologia all'italiana legata al caso Moro riguarda un poliziotto di nome Cioppa, Commissario Elio Cioppa, vice capo della Squadra Mobile di Roma. Un uomo operativo, scopriamo oggi grazie ad un'intervista di Patrizio J. Macci >Leggi<, uno che si buttava nella mischia quando le manifestazioni si facevano dure, uno che si è beccato una molotov sulle gambe ed ancora oggi porta i segni di quell'azzoppamento.

Ma per la storia, rischia di passare per l'uomo che avrebbe potuto salvare Aldo Moro ed invece operò nell'ombra per insabbiare importanti informazioni che avrebbero finito per agevolare i brigatisti.

La storia è semplice ma, come spesso accade quando si vuole vedere il mistero a tutti i costi, viene raccontata in modo semplicistico e letta in maniera fuorviante.

Ciò che molti testi riportano è che il 18 marzo (quindi dopo soli due giorni dall'agguato di via Fani) 4 agenti in borghese, si sarebbero presentati in via Gradoli per dei controlli che in quei giorni riguardavano tutta la città di Roma. Nella palazzina al civico 96, bussarono a diverse abitazioni, tra cui l'interno 11 (nel quale il 18 aprile sarà scoperto uno dei covi più importanti della colonna romana delle BR). Non ricevendo risposta i poliziotti presero informazioni sui suoi abitanti direttamente dagli altri inquilini ricevendo rassicurazioni perchè si trattava di una giovane coppia che stava fuori casa tutto il giorno per lavoro (lui pareva un agente di commercio, un rappresentante).
Accanto all'interno 11, però, un'altra giovane coppia rispose al campanello: si trattava di Gianni Diana e Lucia Mokbel. La donna segnalò ai poliziotti che la notte precedente aveva udito dei “ticchettii” provenire proprio dall'abitazione dei loro vicini, rumori tipici di chi utilizza un'apparecchiatura per segnali Morse. Disse di avere un amico all'interno della Questura e chiese se gli agenti potessero riferire questa informazione. A loro volta, questi, scrissero degli appunti su un foglietto di carta che la Mokbel sottoscrisse. Destinatario del biglietto Elio Cioppa.
L'appunto, però, sparì e l'informazione si perse.

Nel 1981 si scoprì che il nome di Elio Cioppa figurava tra gli iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli, gruppo fortemente filo-atlantico al quale appartenevano personaggi molto importanti tra cui gli stessi vertici dei servizi e delle Forze Armate. La Loggia, secondo tanti, avrebbe utilizzato tutti gli strumenti in proprio possesso per intralciare le indagini o addirittura “pilotare” le BR per giungere all'uccisione del prigioniero in loro possesso.

La morale di questa storiella, per chi ha abusato con la dietrologia, è apparsa fin troppo semplice: un gruppo di quattro agenti avrebbe fatto delle perlustrazioni dopo sole 48 dal rapimento di Moro, in una via che sarebbe poi risultata essere “molto calda”, avrebbero commesso la leggerezza di non sfondare la porta dell'interno 11, avrebbero poi raccolto un'informazione molto importante relativa ad una base delle BR frequentata da brigatisti legati alla prigione di Moro (Moretti), e tale informazione si sarebbe persa prima o dopo essere stata consegnata al suo destinatario Elio Cioppa.
Un insabbiamento che avrebbe potuto portare al pedinamento di Moretti e quindi alla prigione di Moro. Grande vecchio di questa operazione, Elio Cioppa, piduista

Ma le letture forzate, come spesso accade, non pagano. E non rendono giustizia alla storia ed alle persone. Peccato che spesso giungano proprio da coloro che invocano la verità, quella vera, invocando il diritto a sapere da parte dei familiari delle tante vittime innocenti di quegli anni. E tacciando gli altri di essere irrispettosi proprio di queste vittime.

In questi giorni esce un libro, l'ennesimo si potrebbe dire, che aggiunge altri centimetri allo scaffale delle pubblicazioni sul caso Moro e un centinaio di pagine in più sulla strada della conoscenza (“Cioppa, quarant'anni di segreti di Roma e d'Italia” ABCom editore) .
Per la prima volta in assoluto, Elio Cioppa ha risposto alle domande di un giornalista che ha cercato di scavare nella sua storia, per rispondere ad una precisa domanda: “mi trovo innanzi all'uomo che avrebbe potuto salvare Aldo Moro ma che, invece, contribuì alla sua uccisione?”.

La risposta che Macci si dà a questo interrogativo che lo ha accompagnato nel corso della sua intervista è negativa. Categoricamente negativa.

La vera notizia che emerge dal bell'articolo è che Cioppa si sarebbe iscritto alla P2 nel settembre del 1978 su invito di Umberto Ortolani per risolvere un banale problema di servizio: si era visto negare un posto che secondo lui gli spettava e la P2 gli era stata presentata come un qualcosa che avrebbe potuto esercitare pressioni per restituirgli il maltolto. Sempre nel settembre del '78, fu chiamato da Grassini ad aprire un ufficio dei servizi a Piazza Barberini e per conto del Generale n. 1 del SISDE svolse delle indagini “politiche” sulla vicenda Moro. Nell'ambito dell'organigramma dell'intelligence era Capo Centro 2. Poca roba. Così come poca roba sarebbe stata il resto della sua carriera, nonostante un curriculum di tutto rispetto e tanta esperienza in prima linea con tanto di botte prese e date.

Ma la cosa che depura definitivamente la questione nella quale sarebbe stato tirato in ballo Cioppa è che non ci fu nessuna perquisizione il 18 marzo. Ce lo dice la stessa Mokbel nel suo primo verbale di fronte alla DIGOS di Roma alle 14.20 del 18 aprile 1978: in quella sede la donna parlò di una voce di donna provenire da dietro la porta dell'interno 11 la sera del sabato Santo (quindi 25 marzo 1978) e di una notte di “circa 20 giorni fa” (quindi fine marzo inizio aprile '78) quando fu svegliata tra le 3 e le 4 da rumori che lei attribuì a segnali Morse dei quali però non seppe identificare la provenienza precisa. La donna aggiunse “desidero precisare che al mattino successivo sono venuti degli agenti in borghese a controllare le abitazioni del palazzo, ai quali ho accennato che la notte stessa avevo appena sentito quanto sopra detto. Poi gli agenti sono andati via”. Questo primo verbale fu fatto congiuntamente dalla coppia Diana-Mokbel all'epoca fidanzati.

Alle 21.35 dello stesso 18 aprile, però, il solo Gianni Diana si ripresentò alla DIGOS e alla presenza di Nicola Simone (il funzionario che accompagnò l'On. Cazora in via della Camilluccia 551 il giorno prima dell'uccisione di Moro, e che fu oggetto di attentato da parte delle stesse BR nel gennaio del 1982) cambiò la versione della sua convivente. Diana disse che aveva in uso l'appartamento da circa un mese e mezzo, e che da 4-5 giorni si era accorto che l'appartamento all'interno 11 era occupato. Raccontò un curioso episodio avvenuto qualche sera prima: uscì sul pianerottolo per aspettare la sua fidanzata (che riteneva essere giunta sotto casa avendo sentito il rumore di un'auto) e “da dietro la porta dell'interno 11 ho udito una voce femminile che con tono apprensivo, quasi che invocasse o avesse paura, ha detto: 'Gianni! Gianni'”. Non ritenne la cosa indirizzata a lui in quanto conosciuto nella palazzina solo da due “collaboratori” che lavoravano con lui nello studio del Commercialista Dott. Bianchi in via Ximenes n. 21 (ufficio presso il quale Diana si dichiarava domiciliato, essendo egli residente a Viterbo). Si trattava di Pier Carlo Pucci (interno 6) e Sara Iannone (interno 11 scala B, praticamente l'appartamento “gemello” al covo delle Brigate Rosse).
Diana però portò anche una correzione alle parole della Mokbel in seguito ad una domanda posta dal Dott. Simone: “Devo dire che un paio di giorni dopo il rapimento dell'On. Moro, di notte, verso le 3 mentre mi trovavo nel mio appartamento con la mia ragazza, lei mi ha svegliato facendomi notare che si sentivano degli strani segnali, tipo alfabeto Morse. Però non ci siamo resi conto da dove i segnali provenissero. Si udivano nel silenzio della notte però a momenti sembravano vicini, a momenti lontani. Di conseguenza avevamo deciso di parlarne con il Dott. Cioppa, conoscente della mia ragazza. Però l'indomani sono venuti a ispezionare l'appartamento degli agenti di Polizia ai quali abbiamo riferito la circostanza”.

Quindi non si trattava più una notte di venti giorni prima, ma un paio di giorni dopo il rapimento di Moro.
Altre testimonianze raccolte il 18 aprile, però, parlano sempre di perquisizioni generiche avvenute circa tre settimane prima. Addirittura ne parlano al microfono di Giò Marrazzo due signore che abitavano nello stesso stabile. Una delle due è proprio la signora Nunzia Damiano che si accorse della famosa perdita d'acqua che poi provocò la scoperta del covo brigatista.

Il tutto non si spiega se non ci si pone il problema di cosa sia successo circa tre settimane prima del 18 aprile e che avrebbe potuto portare ad un sommario sopralluogo in via Gradoli.
La notte tra il 31 marzo ed il primo aprile, l'On. democristiano Benito Cazora fu accompagnato in auto sulla Cassia da alcuni malavitosi calabresi che si erano offerti di fornire il proprio aiuto nella ricerca della prigione di Aldo Moro. All'altezza dell'incrocio con via Gradoli gli venne detto “questa è la zona calda”. Cazora si recò nella stessa serata dal Questore De Francesco e raccontò tutto al capo della DIGOS di Roma Domenico Spinella. Il giorno dopo tornò in Questura e gli fu detto che erano state fatte delle verifiche che avevano dato esito negativo.

E' questo che si è voluto coprire con la retro-datazione di quella perquisizione al 18 marzo? La pista di Cazora, che come si sa ebbe molti problemi dal suo attivo interessamento per la liberazione di Moro? L'episodio avvenne, guarda caso, proprio nei giorni in cui anche Francesco Fonti (malavitoso calabrese che in seguito si sarebbe pentito e che ha raccontato i particolari del suo interessamento al caso Moro nel 2009 a Riccardo Bocca) fu portato in via Gradoli dai contatti che la 'ndrangheta aveva a Roma e che passavano per la banda della Magliana. E proprio nello stesso periodo in cui sembra che anche i servizi segreti avessero avuto la stessa informativa ed erano pronti ad un blitz (sempre secondo le parole di Fonti).

Il giornalista Gian Paolo Pelizzaro scoprirà, a distanza di tanti anni, la presenza di tanti appartamenti e di società legate ai servizi segreti proprio tra le due palazzine al civico 96 di via Gradoli. Una di queste società era proprio lo studio di via Ximenes. Sara Iannone, tra l'altro, querelò Pelizzaro per diffamazione ma il Tribunale, con sentenza passata in giudicato, le diede torto in quanto negli articoli scritti per il mensile Area il fatto che la Iannone lavorasse presso strutture riconducibili ai servizi non dovesse essere ritenuto né un insulto né, tanto meno, una diffamazione.

Far ricadere la “colpa” sul poliziotto Cioppa (il cui nome fu trovato negli elenchi della P2) è stato un utile depistaggio per coprire, evidentemente, strutture e interessi che i servizi segreti avevano già in via Gradoli 30 anni prima dello scandalo di Marrazzo (Piero, ironia della sorte figlio di Giò) e che con molta probabilità riguardavano altre centinaia di appartamenti sparsi in tutta Roma.

Come spesso accade, non è detto che degli elementi singoli possano essere sommati. Occorre tener presente le unità di misura. E a sommare chilometri con chilogrammi non si percorre molta strada...

Per maggiori approfondimenti
http://www.vuotoaperdere.org/dblog/articolo.asp?articolo=127
Vuoto a perdere, la vicenda Cazora
Intervista a Francesco Fonti
Marco Cazora su Francesco Fonti
 
Di Manlio  14/11/2011, in Libri (2075 letture)
Come avevo preannunciato nel precedente post, sarà disponibile dalla prossima settimana il bel libro di Giorgio Guidelli che racconta la breve vita di Francesco Lo Russo, ragazzo simbolo dei movimenti del '77 che fu ucciso durante una manifestazione a Bologna l'11 marzo del 1977.

A Pesaro, presso 'auditorium della Chiesa dell'Annunziata, mercoledi 23 novembre alle ore 18.00 Giorgio Guidelli presenterà in anteprima il  suo nuovo libro che traccia un ritratto del tutto inedito del giovane morto negli scontri di Bologna del '77.

Interverranno:
prof. Glauco GENGA, relatore
dott. Gaetano BUTTAFARRO, moderatore
Giorgio GUIDELLI, autore
autorità cittadine

Consiglio a tutti coloro che ne hanno la possibilità, anche a costo di un piccolo sacrificio in termini di Km, di essere presenti. Giorgio è un giornalista colto, brillante e soprattutto intellettualmente onesto. Il suo è un libro che potrà cambiare non poco il punto di vista con il quale ciascuno di noi ha osservato quei movimenti, quegli anni.
Il giorno infrasettimanale purtroppo non mi consentirà di essere in sala, ma spero di poter assistere ad altre presentazioni che sicuramente non mancheranno.

Per conoscere meglio Giorgio e quello che scrive, consiglio a tutti di seguire il suo blog Parole di piombo che da qualche anno è ospitato dal giornale per il quale lavora.
 
Di Manlio  23/10/2011, in Libri (2434 letture)
Sarà in libreria fra pochi giorni un nuovo lavoro di Giorgio Guidelli, giornalista de "Il Resto del Carlino" che ho il piacere di annoverare tra i più cari amici e con il quale condivido la passione per lo studio degli anni di piombo.

La sua nuova fatica letteraria è, come al solito, un'inedito lavoro di approfondimento che scava nella vita di Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua ucciso dalle forze dell'ordine l'11 marzo 1977 a Bologna durante una manifestazione.

Inedito perchè si dà per scontato che i militanti di Lotta Continua e dei movimenti extraparlamentari degli anni 60-70 fossero dei marxisti-leninisti votati alla sola fede della violenza. Ed invece Guidelli, che si è posto il problema per primo, ha cercato di capire meglio, di scavare tra i ricordi e ha scritto questo bellissimo testo che restituisce alla storia il ritratto di un ragazzo comune impegnato tra fede, politica e sport. La storia che ci racconta Guidelli è il frutto di una ricostruzione rigorosa che comprende le testimonianze di decine di amici ed ex scout, corredate da immagini dell'epoca.
E proprio da una foto in bianco e nero dimenticata in un vecchio album, che ritrae Lorusso in preghiera durante un campo scout, parte il racconto dell'altra vita del ragazzo che fece piangere l'Italia.

Un libro snello che si caratterizza per la straordinaria leggerezza della penna di Giorgio Guidelli che sa coniugare la rigorosità dei contenuti alla piacevolezza di un'opera letteraria senza mai stancare il lettore e cogliendo sempre il cuore degli eventi.

Un gran libro, insomma. Una tappa obbligata per chi vuol capire meglio quegli anni, quelle manifestazioni che oggi tornano tristemente nelle pagine di cronaca, o per chi vuole scoprire un nuovo modo di divulgazione delle nostre pagine contemporanee, che molti si sono affrettati a voltare senza leggerle.

Prestissimo, una recensione ed una nuova intervista a Giorgio Guidelli


PS
Vi segnalo anche una bella intervista di Guidelli sul medesimo argomento su e il bellissimo evento che ha visto protagonista il suo libro su Roberto Peci che ha arricchito la manifestazione "Riparliamo degli anni '70"
 
Mercoledi 2 dicembre, alle ore alle ore 15.30 presso la Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati (accesso libero con ingresso da Via della Missione 4) si terra' la presentazione del libro di Paolo Cucchiarelli ''Il segreto di Piazza Fontana'' >Scarica locandina<.

"Il segreto di Piazza Fontana" non è un libro qualsiasi. Uscito nel mese di maggio, è stato destinato ad un trattamento a dir poco particolare, per un'opera del genere.
Paolo Cucchiarelli ci ha messo dieci anni per raccogliere tutto il materiale che era stato dimenticato (o volutamente cancellato) dai processi, ha faticato molto nel dare una logica a tutto ciò che agli altri studiosi è sfuggito ed è arrivato a delle conclusioni perfettamente coerenti con tutti i fatti che ha messo in fila. Una conclusione priva di ideologie, obiettiva e che incastra perfettamente tutti i dettagli che egli ben descrive nel testo.

Quale è stata la reazione degli esperti, dei politici, degli storici e dell'opinione pubblica in generale? Ci si sarebbe aspettato un dialogo, un contrapporsi di visioni sulle conclusioni, insomma un confronto. Invece, nulla. Il silenzio.

Eppure non si è sempre detto che quella di Piazza Fontana è stata la strage che ha cambiato per sempre le nostre vite? Non si evoca sempre la verità storica e politica? Non si resta scandalizzati di fronte ad 11 gradi di giudizio che non hanno saputo attribuire nomi e cognomi a mandanti ed esecutori?

A quanto pare no. O meglio. Dipende da che parte tira il vento. Se si scopre qualcosa che conviene, che fa comodo alle carriere ed alle tesi dei padroni di turno (della politica, dell'informazione, della cultura, ecc.) allora se ne può parlare. Ma se emerge qualcosa di "dissonante", stop.

Questa estate vi è stato addirittura un tentativo di raccogliere firme per screditare il lavoro di Cucchiarelli. Tentativo per fortuna naufragato perchè gli anni d'oro degli "appelli contro" che trovavano facile cassa di risonanza in una classe intellettuale ancora acerba a certe logiche, sono probabilmente chiusi.
Ma certi personaggi sembrerebbe non se ne siano resi conto...

Ecco allora che, avendo casualmente saputo di questa presentazione, oltretutto in un luogo istituzionale importante (Camera dei Deputati, sala Aldo Moro) ho ritenuto opportuno superare il muro del silenzio cui tutti i blog che si occupano di questi argomenti sembrano aver eretto nei confronti di questo libro.

Per cui invito tutti coloro che ne hanno la possibilità, a recarsi alla presentazione, a fare domande e stimolare il dibattito. Credo che soprattutto chi ha aspramento criticato le tesi di Cucchiarelli, spesso senza neanche aver letto il suo lavoro, abbia il dovere morale di essere presente ed avere il coraggio di confrontarsi con i presenti.

Nessuna inchiesta è perfetta, intendiamoci. Ma quando un lavoro offre poco alle critiche e non si è all'altezza di controbattere, non resta che contestarne a priori le tesi. E se ci si riesce a mettere dentro anche un bell'insatata mista di ideologia politica e difesa del potere, è anche meglio.


 
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