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Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato

George Orwell
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Avv. Valter Biscotti  05/10/2007, in Giudiziario (1949 letture)
Sto approfondendo la lettura dell'immensa documentazione prodotta sul caso Moro e volevo rendervi partecipi della mia ultima piccola scoperta.

La mia attenzione si sta soffermando, in particolare, sul tema specifico degli interrogatori di moro.

I più attenti ricorderanno che Moretti, nel suo libro intervista, parla delle trascrizioni definendole difficoltose ed accennando a due cassette che lui sostiene essere state successivamente distrutte.
Ma subito dopo dice "a un certo punto smettiamo perfino di registrare" (pag158).
Vorrei sottolineare il PERFINO .

Questo significa che sono esistite altre cassette oltre a quelle che lui dice di aver distrutto.

Poichè in via Monte Nevoso si stava lavorando a ciò che doveva essere reso pubblico del processo a Moro non può escludersi che la redazione dei testi (il memoriale del '78 è di fatto un sunto del vero e proprio memoriale autografo di Moro del 90) possa essere anche avvenuta sulla base di un eventuale riascolto degli interrogatori (quelli registrati).

Concluso il mio ragionamento, mi dico: "Sta a vedere che magari anche in via Monte Nevoso c'erano delle cassette".
Vado a Roma alla biblioteca del Senato a consultare gli atti della commissione e, tra gli oggetti repertati in via Monte Nevoso, trovo un registratore a cassette con uno di quei fili-auricolari per l'ascolto e ben 11 cassette di cui mai , dico mai, nessuno ha parlato.
Esattamente come per quelle di via Gradoli per le quali, ricordo, il verbale dell'agente che le sbobinò, parlava di "persona che parla con compagni di articolo".

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Di Manlio  15/10/2007, in Attualità (1535 letture)
Visto che l'obiettivo di questo spazio è quello di tentare di trovare una soluzione collettiva alla chiusura degli anni '70, mi è sembrato doveroso inaugurare il BLog con un articolo di Renato Farina dello scorso 7 ottobre.
L'ex giornalista vice direttore di Libero si è preso, finalmente, la rivincita nei riguardi di tutti coloro che lo hanno attaccato per la marginale vicenda del SISMI. Farina ha infatti fornito agli inquirenti, a riprova del suo straordinario attaccamento alle istituzioni, niente di meno che l'indirizzo web dell'organo ufficiale delle Brigate Rosse. Da ora in poi non saranno più necessarie lunghe indagini, arresti, carcere preventivo: basterà collegarsi al sito www.brigaterosse.org per cogliere in flagranza tutti (e dico proprio tutti visto che vi sono iscritti la bellezza di 628 utenti) i pericolosi eversori.

E' davvero inutile, credo, commentare tale notizia riportata dall'ex vice direttore di Libero che, ricordiamo, fu radiato dall'Ordine Nazionale dei Giornalisti (vedi articolo su L'Unità).

Analizziamo un attimo l'incipit dell'articolo:
"Prima di scrivere, un momento fa, ho preferito fare un controllo. Perché non ci credo, non riesco. Invece sì. Uno dei siti più attrezzati e belli che ci siano in Italia si chiama: www.brigaterosse.org. Le Brigate rosse hanno un sito internet, libero e prospero. Un tantino apologetico di reato, forse. Ma esiste e lotta insieme a noi. La copertina è la faccia di Moro prigioniero, ci sono le stelle a cinque punte. Poi c'è la sezione documenti. Messi in buon ordine. Integrali. È il manuale del terrorista, ideologico, pratico e glorificatore, molto elegante."

Farina ammette che, poichè la notizia era davvero esplosiva, ha voluto fare un controllo, verificare di prima persona. Come ogni agente segreto che si rispetti, verrebbe da dire.
Poi sottolinea il fatto di come si tratti di uno dei siti più attrezzati e belli tra quelli italiani, quasi a rimarcare come i brigatisti non badino a spese. Ed infatti tra i tanti documenti "apologetici" c'è perfino un manuale del terrorista. E pensare che un tempo i brigatisti sembra andassero nell'est europeo ad addestrarsi. Adesso possono farlo comodamente da casa loro.

Davvero incredibile.

Giacché ci siamo, vorrei segnalare a Farina una altro paio di scoop:
1) si è mai accorto di un sito che (questo si) inneggia alla ricostituzione del Partito Fascista? E' in rete, e chiede soldi per la campagna dei tesseramenti. E Libero è stato l'unico giornale a dedicare al sito qualche rigo nel marzo di quest'anno. Troppo indaffarato per dare importanza ad una notizia del genere?

2) si è mai accorto che nell'agosto del 2005 il sovversivo SISDE nella sua rivista GNOSIS ha pubblicato un articolo sulle Brigate Rosse rivalutandone il linguaggio e definendo che «Non era delirante, conteneva riflessioni» (vedi articolo per approfondire) e che "se le B.R. sono state sconfitte lo si deve anche a chi evitò letture superficiali del loro messaggio e predispose serie e coerenti risposte politiche, sociali ed operative".

Qualcuno sorriderà alla notizia, altri diranno che trattandosi di un atto di disinformazione mal confezionato, la gente non è stupida e non si farà prendere in giro. Sarà, ma faccio una semplice constatazione.
Il titolo di un articolo è l'aspetto più importante del testo, tanto è vero che la scelta è pertinenza dei direttori. Perchè? Perchè solo pochi lettori approfondiscono il contenuto per motivi di tempo o di interesse.
E allora su 500.000 persone che sfogliano il giornale solo il 10%, forse avranno letto a fondo e verificato la notizia. Per il restante 90% il messaggio che arriva è quello che dice il titolo.

Come è possibile sperare che si possa fare chiarezza su quegli anni, capire la nostra storia, perdonare e condannare quando c'è chi fa di tutto per distribuire disinformazione gratuita?
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Di Manlio  23/10/2007, in Attualità (1537 letture)

Fine pena: mai e poi mai?

Riprendo un articolo pubblicato sul Corriere della Sera sabato 20 ottobre (presente nella sezione Articoli Leggi) nel quale vi è l'ennesima segnalazione relativa ad un ex brigatista (ma il discorso vale per i militanti di tutte le altre organizzazioni) e ad un suo incarico lavorativo presso un Ente Pubblico.

Anna Laura Braghetti, condannata all'ergastolo per il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro e per l'assassinio di Vittorio Bachelet, collabora con l'agenzia del Ministero del Lavoro "Italia Lavoro" nell'ambito di un progetto denominato "Pari" che ha l'obiettivo la ricollocazione lavorativa di ex detenuti.
La Braghetti guadagna 1.300 € al mese ed il contratto, avviato nel luglio del 2006, scadrà al termine del 2007.

Naturalmente, ciascuno ha approfittato della ghiotta occasione, per dare il meglio di se. Da chi sostiene che chi ha combattuto lo Stato non può lavorare per ciò che ha tentato di abbattere a chi invita a rinchiudere gli ex terroristi in cella e a buttare la chiave.

Nessuno, e dico nessuno, che in queste occasioni colga l'opportunità per distinguersi al di fuori del coro e ribadire un concetto importante:
"Il nostro Paese si è dato l'ordinamento delle leggi speciali, prima, e degli "sgravi" giudiziari, poi, per tentare di chiudere un periodo buio e luttuoso della nostra storia. Ma questo è servito ad una riconciliazione sociale presupposto per la verità o è stato solo un tentativo frettoloso di rassettare il copriletto lasciando in disordine le lenzuola? E se è stato così, quale ne è stata la causa e, soprattutto, quale ne potrà essere la via d'uscita?"

Il commento di una persona intelligente ed informata come Giovanni Fasanella (leggi la notizia dal suo Blog) è la semplificazione del problema. "L'impunità in cambio del silenzio" infatti resta solo un gridare "al lupo al lupo" quando il lupo è lontano un chilometro dal gregge facendo finta di non vedere le mani del vicino che si aggirano furtive nei pressi del pollaio.
In queste occasioni mi sembra che siano davvero pochi coloro che si chiedono se i benefeci di cui i detenuti hanno fruito, il loro reinserimento nel mondo del lavoro siano avvenuti nel rispetto dei requisiti di legge. Perchè se così fosse, caro Fasanella, il problema non si risolve impedendo agli ex di rivestire i panni di essere umano. Si affronta andando ad approfondire chi ha scritto quelle leggi, cosa faceva in quegli anni e cosa fa adesso.

Mi sorge il dubbio che questo tipo di notizie non "nascano" casualmente ma, in qualche modo, facciano parte della strumentalizzazione Machiavellica "mischia sempre lo vero con lo falso acciocchè nessuno sappia più quale è lo vero e quale è lo falso". Perchè è uscita solo oggi? Se è relativa ad un contratto del 2006 possibile che, con tutte le inchieste fatte e tutte le polemiche su elezioni ed incarichi di ex terroristi in ambito pubblico (vedi casi D'Elia e Ronconi), sia emersa solo in prossimità della sua scadenza? O è lecito chiedersi se, forse, qualcuno abbia ritenuto l'attuale il momento più opportuno?

Giovanni Moro ha sollecitato, nel suo libro Anni settanta, la chiusura di quegli anni approfondendo le responsabilità politiche al di là delle responsabilità penali dei brigatisti. Quando sarà possibile tutto ciò? L'Italia, si sa, non è la patria del coraggio e sperare nel gesto eroico ed autonomo di qualche politico, storico, ex agente o ex brigatista, mi sembra improbabile. Allora quale è la strada per arrivare a comprendere fino in fondo le responsabilità collettive e fare un passo avanti nella chiusura di quegli anni?

"Fine pena: mai". E' scritto sul fascicolo dell'ergastolano. Ma non "fine pena: mai e poi mai e per nessuna ragione"

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Di Manlio  31/10/2007, in Dal libro (2731 letture)

Molto si sta discutendo in questo periodo sulla questione delle verità nascoste nel caso Moro ma, più in generale, sull'intera storia degli anni '70.

Tanti post e tanti punti di vista sono stati pubblicati sul Blog di Giovanni Fasanella La Storia Nascosta.

Una chiave per trovare le risposte, secondo me, c'è. Nel senso che ciò che è successo durante le trattative (quelle vere, intendo, non ciò che è stato fatto alla luce del sole...) sarà pure indicibile, ma non è di certo indecifrabile.

Dal libro vorrei citare due momenti che mi sembrano significativi in tal senso.

1) Il resoconto del colloquio con l'avv. Giannino Guiso ed in particolare (pag. 178):
"Le BR sono arrivate ad uccidere Moro, a mio parere, perché sono state costrette a farlo; quindi qualcuno le ha costrette a fare ciò"

2) Un'analisi personale sulla quale mi piacerebbe conoscere l'opinione dei lettori (pag. 131-132):
"Ammettere l’esistenza di trattative occulte top-secret (che ne sia stato o meno protagonista il musicista russo) e che queste trattative abbiano visto protagonisti personaggi legati a intelligence italiane o straniere, non vuol dire rileggere la storia del sequestro in chiave dietrologica, considerando il ruolo delle br semplice strumento operativo privo di potere decisionale autonomo. Tutt’altro. Proprio perché le br erano ciò che dicevano di essere, un’Organizzazione rivoluzionaria autentica, non era possibile riconoscerle come controparte, perché questo avrebbe significato una capitolazione. Nel tentativo di instaurare una qualsiasi forma di contatto diretto era necessario non agire a “viso scoperto”. Quando due eserciti sono in guerra tra di loro, il fatto che i generali nemici si incontrino per trattare, non vuol dire che una delle due armate debba essere considerata al soldo dell’altra. È naturale che ciascuna delle due parti si pone l’obiettivo di strumentalizzare l’altra operando in perfetta buona fede (rispetto alle proprie finalità). Lenin, in fin dei conti, tornò a Mosca grazie all’opera dei servizi segreti tedeschi. Questo non porta a dubitare della sua autenticità: sapeva di correre il rischio di essere strumentalizzato, ma pensava di poter, a sua volta, strumentalizzare."

Il problema é: a chi dobbiamo chiederne conto?

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Di Manlio  25/12/2007, in Interviste (5958 letture)

Tra le iniziative private che si sono svolte durante i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, particolarmente significativa è stata la vicenda che ha visto protagonista l'Onorevole della Democrazia Cristiana, Benito Cazora che, sfruttando i canali della malavita che lo avevano contattato, si attivò moltissimo rischiando a livello personale ma restando sempre all'interno dei confini della legalità.

Forse riuscì a trovare la chiave per aprire la porta della "prigione del popolo" ma probabilmente qualcun'altro aveva provveduto a "cambiare la serratura".

Benito Cazora è stato sempre citato nella pubblicistica in relazione a due episodi molto importanti: una segnalazione che ricevette con riferimento alla zona di via Gradoli indicata come "zona calda" nella quale concentrare le ricerche e la questione delle foto scattate dal meccanico Gerardo Nucci, abitante in via Fani, subito dopo la fuga del commando che avrebbero potuto immortalare persone riconducibili alla malavita calabrese (foto che, consegnate al magistrato Infelisi, non saranno mai più ritrovate).

Ho ritenuto interessante ed utile approfondire il ruolo di Benito Cazora, il contatto proveniente dagli ambienti della malavita calabrese, i reali e concreti elementi che l'Onorevole mise a disposizione delle istituzioni, le difficoltà incontrate nel suo percorso.

Sono stato contattato da Marco Cazora, che come tanti lettori ha voluto mandarmi un suo piccolo (nel senso di breve) ma importante contributo. Ne è nata un'amicizia ed una stima reciproca che mi ha portato a parlare a lungo con Marco e farmi un'idea nuova della figura di Benito Cazora (purtroppo defunto nel 1999) e dei suoi sinceri e concreti tentativi di salvare la vita ad Aldo Moro.

Alla vicenda Cazora non è stata data, secondo me, l'importanza che meritava. E' stata sottovalutata nel corso dei 55 giorni ma, soprattutto, dimenticata negli anni a venire. L'ultima intervista di Benito Cazora fu pubblicata poco prima della sua morte dal mensile Area (giugno 97, pag. 34-36 leggi) a cura della giornalista Paola Di Giulio coordinata da Gian Paolo Pelizzaro che, in quel periodo, approfondì la vicenda di via Gradoli con un corposo dossier che uscì in più puntate tra maggio e luglio sempre del 1997.

Il 18 aprile 2008, inoltre, Marco ha rilasciato una lunga intervista ad Alessandro Forlani nell'ambito della rubrica "Parole in frequenza" nella quale ha fornito ulteriori particolari della vicenda che vide suo padre protagonista e parlando anche degli anni a venire e di come quel tragico episodio abbia poi condizionato la vita privata e la carriera politica di Benito Cazora.

A Marco ho voluto fare qualche domanda aggiuntiva per dare al lettore un quadro più completo del contesto nel quale si mosse suo padre.


1) Marco, ci può ricordare, brevemente, il percorso politico di suo padre Benito Cazora?

Durante la 2° guerra come diversi bambini credo, distribuisce clandestinamente il giornale della D.C.. Decimo di undici figli e a 8 anni orfano di padre, inizia molto presto a lavorare coltivando intanto la passione per la politica. Iscritto alla D.C. diventa segretario di sezione, poi consigliere comunale a Roma, quindi assessore ed infine parlamentare sino al 1985.

2) In che rapporti era suo padre con Aldo Moro?

Dobbiamo ricordare che un tempo (sembra ormai lontanissimo lo scioglimento della Democrazia Cristiana) il partito era diviso in correnti e questo non permetteva grandi rapporti con i leader di correnti diverse. Di conseguenza tutto si “limitava” ad una forma di stima e di grande rispetto che portava mio padre, per esempio, a dare del Lei a persone del calibro di Moro o Fanfani. Ho l’impressione che oggi tutto sia molto diverso.

3) Nel tempo sono emersi due importanti episodi che, nell'arco dei tragici 55 giorni, hanno visto protagonista Benito Cazora. In primo luogo l'intercettazione telefonica con il segretario di Moro Freato nella quale suo padre racconta di un esponente della malavita calabrese che lo contattò per tentare di recuperare delle foto scattate in via Fani. E poi c'é la soffiata proveniente sempre da un esponente della 'ndrangheta che lo esortava a cercare la prigione di Moro nella zona della Cassia (nei pressi di via Gradoli). Ce li può raccontare meglio?

A questo proposito ci tengo a precisare, che la frase spesso pubblicata “l’ On. Benito Cazora incaricato dalla D.C. di sondare gli ambienti della malavita” non corrisponde al vero. Certo è che all’epoca non coincisero molto i tentativi di mio padre con quelli del partito.

Le trattative intercorse con esponenti della ‘ndrangheta all’inizio non furono ovviamente diretti.

Mio padre fu contattato da una persona qui a Roma che disse di essere un suo elettore e di essere in grado di fare qualcosa riguardo il tentativo di salvare l’ On. Aldo Moro. Ci fu un incontro per cercare di capire quanto questo personaggio fosse attendibile, ma poi bisognava prendere dei rischi e provare qualunque azione. Fu tutto terribilmente veritiero e così nacquero i rapporti con il fantomatico calabrese, rapporti che durarono fino alla scoperta del cadavere dell’On Moro.

Nel trascorrere di quei 55 giorni ci furono altri fatti oltre a quelli da Lei citati che portarono mio padre a sperare in una soluzione diversa. Ma i timori nel muoversi in acque tanto torbide furono molti.

Soffermandomi sui 2 episodi, mi sento portato a queste considerazioni: non si ipotizza forse che fossero troppo pochi i membri del commando per una simile operazione? Inoltre non si è giunti negli anni ad avanzare altrettante ipotesi inerenti al ruolo dei servizi “segreti”? Di conseguenza era probabile la presenza di personaggi noti ai calabresi? Ma come verificare sin da subito se quanto raccontato era vero? Curiosamente, con tempismo eccezionale, il rullino sparì e chi ne era responsabile non fu rimosso immediatamente dalle indagini, cosa che ci si aspetterebbe da un Paese “normale”. Occorre prendere atto che, invece, lo stesso le portò a termine con la solerzia ed il risultato che tutti gli riconosciamo. Per quello che riguarda Via Gradoli poi, oltre a quanto riferito da mio padre, dobbiamo ricordare l’espediente della seduta spiritica. Risulta evidente, pertanto, che non fu il solo stranamente ad indicarla. Ma poi fu scoperto un covo in Via Gradoli? Cosa rispose Cossiga alla moglie di Moro riguardo una via Gradoli a Roma e non un paese?

4) Per essere più precisi. Cosa intende con "fu tutto terribilmente veritiero"?

Fu veritiero per due ordini di motivi.

Il primo è legato a quanto avvenuto in quei 55 giorni, il secondo per quanto conosciamo oggi a distanza di 30 anni. Le trattative intercorse tra mio padre e le persone di quell’ambiente non le possiamo racchiudere nell’ ambito delle foto e di Via Gradoli, anche se entrambi sono estremamente significativi. E' opportuno ricordare; perchè ai più non è noto; che quei due “suggerimenti” altro non furono che un segnale di disponibilità e conoscenza che sarebbe andato ben oltre se i cosiddetti interlocutori istituzionali avessero accettato di metterli in condizione di “agire” sul territorio con la libertà di cui in quel momento non disponevano. Ad esempio posso dire che un incontro avvenne nel carcere di Rebibbia.

Con il passare degli anni inoltre, attraverso le nuove acquisizioni, ci possiamo rendere conto di quanto sia verosimile la presenza di altri componenti estranei alle BR e come sia possibile pensare ad un disegno più ampio, forse allora impensabile, perchè convinti ingenuamente dell’esistenza di brutali ma genuine frange armate di destra e di sinistra. E nulla di più.

5) Per tornare a via Fani, quindi, considerando che le foto furono scattate da Nucci al termine dell'agguato e non potevano riprendere gli attentatori all'opera, è possibile che potesse trattarsi di malavitosi calabresi legati ai servizi la cui presenza in via Fani sarebbe stata difficile da giustificare?

E’ possibile. Dovremmo chiederci a questo punto cosa significhi la presenza dei servizi.

Non avremo mai la risposta definitiva non solo perchè esiste il segreto di stato, ma soprattutto perchè siamo di fronte alla "ragion di Stato". Avrà mai qualcuno il coraggio di dirci di quale "ragione di Stato" esistesse all’ epoca? E quale prima? E, di conseguenza, quale è oggi? O se, in fondo, rimane sempre la stessa?

La realtà è che la ricerca della verità richiede un più ampio respiro anche se poi arrivandoci rischieremmo di rimanere senza fiato.

Anche se rischia di sembrare offtopic, vorrei fare un esempio concreto. C'è sempre stato un ampio diattito, nel nostro Paese, su quali siano stati, da sempre, i rapporti tra la politica e la mafia e, soprattutto, tra servizi e mafia. A volte si ha l’ impressione che le forze di polizia, la magistratura non siano in grado di ottenere i risultati sperati ma che quando finalmente si giunge alla cattura di un importante boss ci si sia arrivati perchè qualcuno ha ritenuto che fosse arrivato il momento giusto. Se così è, la domanda opportuna da porsi è chi ha il potere di decidere quale sia il momento giusto e, soprattutto, perchè. Una risposta che mi sono dato è "se quando cambiano i governi generalmente cambiano anche i vertici istituzionali (ripensiamo alle nomine degli enti nell’Italia parastatale), allora perchè non pensare ad un cambio ai vertici di quella che “oggi” si scopre essere la più grande “azienda” italiana? Insomma è davvero pensabile che in 60 anni tutto sia rimasto così com’era o sarebbe più opportuno riflettere sul significato di una presenza che verosimilmente non sopravviverebbe a se stessa se non per il volere di qualcosa molto più grande?

Per tornare al caso Moro, non ci stupiremmo se in Via Fani si scoprisse che ci sono stati anche calabresi o membri dei servizi stessi chi riuscirebbe a definire con esattezza quale confine li separi? Non ci stupiremmo ma magari potremmo schifarci. E’ giusto dire a chi muore per lo stato per quale stato muore.

6) Come mai il nome di Benito Cazora è sempre stato associato a boss o presunti boss malavitosi?

Le iniziative intraprese erano spesso del tutto personali ed era difficile pensare a qualcosa di diverso dal cercare soluzioni in ambienti contigui o comunque in grado di avvicinare le BR. Per il sequestro di Cirillo ci furono trattative con la camorra? Perchè poi con la camorra visto che i sequestratori erano brigatisti?

7) Suo padre si adoperò anche all'interno della DC per la salvezza di Moro? Secondo lei aveva delle concrete possibilità di giungere ad una conclusione positiva ma non fu ascoltato o, agli occhi dei compagni di partito, era solo in possesso di deboli piste che furono sottovalutate?

Se c’era cautela da parte sua, ce ne era ancora di più da parte di apparati di partito e non, che scettici, inoperosi, molto spesso rincuoranti e protervi evitarono di dar seguito a quanto riferito.

8) Quindi non si sente di poter affermare che suo padre fu fermato? O si?

Non è facile dire se sia stato fermato o se, semplicemente, non gli si è creduto.

Veda, nella vita molto spesso siamo circondati anche da persone intelligenti, volenterose, ma non per questo le si ascolta. Soprattutto in determinati ambiti, preferiamo affidarci anche a cialtroni pur di avere a che fare con qualcosa che riteniamo attendibile, e se qualcuno non lo possiamo controllare, gestire, diventerà automaticamente inaffidabile.

Questo credo sia valso non solo per mio padre (non ne farei pertanto una questione personale) e se accade più spesso oggi rispetto a ieri, forse ne intuiamo il perchè.

Certo è che il suo interferire in quella vicenda gli ha creato negli anni sempre maggiori difficoltà politicamente ed all’interno del partito. Sarà sicuramente una coincidenza ma sarei curioso di sapere se altri, ognuno nel proprio ambito, solo per aver cercato di operare al di fuori dei canoni convenzionali, hanno incontrato maggiori ostacoli nella propria professione.

Mi auguro che prima o poi qualcuno si dedichi a ricercare chi ha pagato e chi ha guadagnato in termini professionali. Se ne potrebbero ricavarne delle semplici casualità ma magari si potrebbe aggiungere un elemento di riflessione in più che, qualcuno troverà sterile o capzioso, mentre io ritengo che osservare negli anni quanto accaduto ci fornirebbe una visuale più ampia del disegno, del raggiungimento degli obbiettivi e di chi ne furono gli attori principali, i caratteristi e le comparse.

9) Immagino che, essendosi impegnato per evitare la sesta tragedia (dopo i cinque agenti morti in via Fani), la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro lo dovette turbare non poco. Cosa fece dopo il 9 maggio? Cosa vi ha detto dei suoi tentativi di salvare la vita di Aldo Moro?

Cosa fare dopo quel 9 maggio, se non riprendere la vita, viverla in una prospettiva diversa, ricordare, meditare, considerare, soffrire? Ma nulla di più era possibile. Ho sempre seguito mio padre sin da piccolissimo, ero affascinato da lui, dal suo lavoro. Nel 1978 avevo 16 anni e come molti giovanissimi di allora vissi quei 55 giorni in stato di sospensione, i Tg e le loro edizioni straordinarie avevano preso il posto dei pensieri comuni di un adolescente.

I racconti avvennero durante (parziali) e dopo.

10) Che tipo di racconti le fece suo padre? Considerazioni generali sulla vicenda o particolari sul suo ruolo?

Nulla di più di quanto si sappia.

Debbo dire che le considerazioni appartennero agli altri, di contro a lui spettarono le constatazioni: da quel momento in poi ci fu sempre la sensazione che il suo ruolo fosse stimato come inopportuno e di conseguenza molte cose cambiarono.

In politica, per quanto si voglia mistificare la realtà, il popolo non segue l’idea, segue il più forte e se l’idea, anche la più bella, viene emarginata, il più forte fa la storia. E’ ancora viva in me, che per molti anni ho vissuto e fatto politica, quella continua pesantezza dovuta al senso di diversità che i potenti trasmettevano agli altri, contagiandoli.

Quale miglior modo di capire che sottile fastidio abbia sortito nella mente del comando.

11) Secondo lei suo padre ha mai avuto il rimpianto di aver avuto la possibilità di salvare, con un'iniziativa autonoma, la vita di Aldo Moro ma che non gli fu possibile?

Credo di sì, anche se il trascorrere degli anni, la maggiore conoscenza degli eventi, lo hanno portato ad una consapevolezza diversa. Cosa sarebbe accaduto poi se fosse ancora in vita non è dato sapersi, ma forse sarebbe facilmente intuibile.

Non sono in grado di conoscere quello che fu il suo percorso mentale negli anni, ma posso certamente valutarlo essendogli stato accanto affettivamente e professionalmente. Ha sofferto per sempre quell’esperienza anche perchè chi gli è stato contro lo ha indotto, volente o meno, a non dimenticare. Ma c’è qualcosa che accompagna sempre coloro che pagano prezzi alti per scelte che altri reputano sbagliate: l’essere consapevoli di aver fatto la cosa giusta e non pentirsene anche se tutto questo ha un costo. Molto elevato.

12) Benito Cazora non è stato un personaggio che ha voluto ergersi a star negli anni a venire. Nessuna dichiarazione sui giornali, nessun libro, nessuna intervista se si esclude un breve intervento del 1993 al TG2. Eppure il suo contributo avrebbe potuto essere utile. Si é trattato di una sua volontà o di una necessità?

Non si è mai tirato indietro, non è mai stato reticente o pigro nel raccontare, non poteva autoinvitarsi ai diversi processi Moro o alle Commissioni Parlamentari. Semplicemente ha risposto a chi glielo ha chiesto. Non era tipo da libri, amava la politica, quella vera, attiva. E meno che mai avrebbe potuto sentirsi una star.

Molto più semplicemente si sentiva un emarginato che non era riuscito a dare un contributo concreto per qualcosa in cui aveva creduto e sperato disperatamente.

13) Secondo lei, Marco, Aldo Moro si poteva salvare? E se si, perché non ci si é riusciti?

Spero mi perdonerà se sarò lapidario. No, non si poteva salvare.

14) Lei é stato un osservatore privilegiato che ha potuto vivere, al fianco di suoi padre, i fatti in diretta, più che le carte di storici, politici e magistrati. Se è possibile conoscerla, quale é la sua opinione personale sul caso Moro?

Dal ’78 ad oggi molte cose sono cambiate.

La nostra società, le nostre abitudini, i nostri consumi. Molti direbbero che è cambiata anche la politica, ma forse così non è. Se partiamo per esempio da Portella della Ginestra, passando via via sopra tutti i cadaveri che il nostro caro Paese si è lasciato alle spalle sino ad oggi, ci accorgiamo che sono trascorsi 60 anni. E i colpevoli?

E’ impossibile dimenticare quel “io so” di Pasolini, che pur senza prove induceva a riflettere. E sono proprio i libri e gli sforzi degli studiosi che ci aiutano a comprendere il cammino nebuloso di questa Italia.

Forse cerchiamo troppe prove e le cerchiamo troppo lontano, e magari ci sono così vicine. Quanto scoperto in 30 anni sul caso Moro fa rabbrividire. Senza dubbio l’aspetto che mi inquieta di più è l’innumerevole elenco di persone coinvolte: P2, massoneria, servizi “deviati”, malavita, liberi professionisti.

Che fine hanno fatto tante persone? E la loro carriera?.

E’ forse giunto il momento di rendere noi cittadini consapevoli di una verità che non conosciamo? Dopo la liberazione ci siamo trasformati in colonia? Esiste un vicerè?

L’“emerito” Cossiga durante il caso Moro da Ministro degli Interni ha gestito tutto, con quale risultato? Gli è passata ogni cosa sotto gli occhi, dalla P2 in poi. Ma quante illuminanti lezioni ci impartisce ancora oggi...

L’ Italia è proprio uno strano Paese, quando non viene trovato il colpevole si riesce a premiare l’incompetente di turno con la sua carica più alta.

I giorni sono lunghi mentre gli anni se ne volano. Doveva andare così, deve andare così, domani... domani.

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Di Manlio  24/01/2008, in Attualità (2301 letture)
Ieri sera è andata in onda una puntata speciale della trasmissione Ballarò, condotta da Giovanni Floris, di approfondimento sugli anni di piombo centrata sul bel libro di Mario Calabresi "Spingendo la notte più in la".
Il libro ha dato spunto a Floris ed ai suoi ospiti di parlare delle vittime degli anni di piombo e del loro dolore ancora profondo e aperto.
In studio, infatti, Mario Calabresi (figlio del commissario Luigi Calabresi, ucciso nel '72), Benedetta Tobagi (figlia del giornalista Walter Tobagi, ucciso nel '80 anche se non dalle BR, come erroneamente citato da Floris ma dalla Brigata 28 marzo) e Marco Alessandrini (figlio del giudice Emilio Alessandrini ucciso nel '79).

Il comune denominatore delle storie dei tre ospiti è stato, certamente, il senso di inutilità della morte dei rispettivi genitori e la sensazione di abbandono che lo stato . I tre personaggi, pur diversi nelle loro professioni, erano accomunati dalla grande passione per il proprio lavoro, erano delle persone con un alto senso della famiglia e dei valori e hanno lasciato ai loro figli un'eredità di pace e non di vendetta o caccia all'ergastolano.
Luigi Calabresi Emilio Alessandrini Walter Tobagi


Tutti e tre hanno sottolineato il diverso comportamento che lo Stato ha sempre avuto con gli ex militanti di organizzazioni di lotta armata rispetto alle loro vittime. Pur convenendo che quando una persona ha esaurito il suo debito con la giustizia secondo le vigenti leggi possa avere il diritto di rifarsi una vita non è apparso altrettanto giusto ai tre ospiti, il tentativo di rimozione della memoria che sembra spesso contraddistinguere i loro interventi.

E' giusto invitare l'ex fondatore di Prima Linea Sergio Segio, ad esempio, a dibattiti televisivi e ad interviste sui quotidiani? Naturalmente si. E' giusto che Sergio Segio scriva dei libri sugli anni di piombo? Naturalmente si. E' giusto indicare Sergio Segio come "collaboratore del gruppo Abele"? Probabilmente no.
Meglio sarebbe ricordarlo come "fondatore del gruppo armato Prima Linea, assassino del giudice Alessandrini, ora collaboratore del gruppo Abele".
Tutti devono avere una seconda chance, ma a nessuno deve essere concesso di cancellare il proprio passato reinventandosi una verginità "per il miglior offerente".

La domanda che pongo ai lettori è semplice: come rendere equilibrato il bisogno di rispetto di chi ha perso un familiare con la giusta volontà da parte di un ex militante della lotta armata di voler ammettere degli errori (e una sconfitta) e voltar pagina diventando un elemento positivo per la società?

L'interrogativo più interessante, tuttavia, l'ha posto, secondo me, Benedetta Tobagi.
Nella commissione Stragi, durata la bellezza di 12 anni, sono confluite 1.500.000 di carte. Sarebbe interessante per il Paese che fossero rese note, che la loro pubblicazione possa essere utile a chi voglia cercare delle altre risposte. In fin dei conti sono già 7 anni che la commissione ha chiuso i lavori.
Bene.

Ho recentemente parlato con la Dott.ssa Emilia Campochiaro, responsabile dell'Archivio Storico del Senato che mi ha assicurato che il prossimo 16 marzo saranno rese disponibili online tutti i documenti relativi alla vicenda del rapimento e l'assassinio di Aldo Moro (e degli uomini della scorta).
Si dice che il lavoro di archiviazione, però, non sarebbe stato compiuto da dipendenti interni del Senato, nonostante le recenti 10 assunzioni di professionisti specializzati in archivistica, ma da consulenti esterni.
Già, consulenti esterni. Che troppo spesso hanno una stretta assonanza con "nomine di partito".

Io vorrei sapere se tutto ciò corrisponde al vero o se è solo una voce maliziosa messa in giro per alimentare nuove strumentalizzazioni.
Se fosse vero, e sottolineo se, sarebbe lecito porci due domande:
1) come sono stati nominati tali consulenti? C'è stato un concorso per meriti? E, ovviamente, chi sono?
2) perchè aggravare i cittadini di ulteriori costi quando le professionalità interne non mancavano e, oltretutto, sarebbero state garanti di maggiore autonomia?

Attendo, fiducioso, le risposte.

Manlio
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Un modo alternativo quello di ricordare Aldo Moro a trent'anni dalla sua scomparsa. Una specie di “contro-trentennale” quello di Maria Fida Moro, figlia maggiore del Presidente della DC rapito e ucciso dalle BR il 16 marzo 1978 che assieme al figlio Luca ha avuto l’idea di musicare in blues le parole pronunciate da Aldo Moro durante interventi pubblici.
“Se ci fosse luce” è il titolo del brano.
Il nipote Luca ha voluto aggiungere alle parole del nonno le sue:
"Vorrei che tu fossi ricordato vivo
perché la forza del tuo pensiero
a distanza di 30 lunghissimi anni
possa suonare in questo blues
e cadere come una lama sulla coscienza
di chi ancora cerca di ucciderti".

La figlia di Moro ha detto ai giornalisti: “Mi batterò sempre perché Aldo Moro non sia ricordato come un oggetto in un portabagagli. È ingiusto. Era un padre e un uomo. A noi preme la verità e il ricordo della sua umanità e della sua bontà”. E ha anche aggiunto che ha inteso fare questo per “affermare il primato della verità, sul piano umano, del caso Moro”

L'iniziativa è stata presentata lunedi 28 gennaio presso la sede dei Radicali in via di Torre Argentina alla presenza di tre ex militanti della lotta armata: Sergio D'Elia (oggi deputato dei Radicali), Giusva Fioravanti (oggi in affidamento ai servizi sociali nell'associazione "Nessuno tocchi Caino" e Valerio Morucci, uno dei protagonisti del rapimento d Aldo Moro, presente in via Fani e telefonista-postino delle BR nel corso dei 55 giorni di prigionia del Presidente della DC.

Il desiderio della figlia dello statista è che l'anniversario della strage possa diventare l'occasione per ricordare l'umanità dello statista, "il padre, il nonno, non c'interessano i misteri. Spesso invece è stato ridotto ad un oggetto nel portabagagli di una Renault".

Dunque, alla figlia maggiore di Aldo Moro non interessano i misteri.
Vuol dire che non ci sono misteri tali da consentire una rilettura della vicenda?
Oppure che ormai dopo essersi battuta invano per trent'anni per la verità, avendo constatato l'impossibilità di perseguirla in tempi brevi, è diventato più importante restituire dignità alla figura del padre attraverso le sue qualità di uomo?
O è forse un modo di proporre la chiusura di quegli anni attraverso il recupero dell'umanità dei protagonisti piuttosto che partendo dalle responsabilità penali?
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Intellettuali e lotta armata. Ovvero gli intellettuali hanno avuto un ruolo nelle nascita e nello sviluppo della lotta armata in Italia negli anni ’70?
E’ quello che si chiedono in molti e, fra i tanti, Giovanni Fasanella nel suo Blog che dedica all’argomento il sondaggio “Terrorismo di sinistra. Gli intellettuali hanno delle responsabilità?”

L’idea di fondo, mi sembra, sia quella di identificare in una larga parte di Intellighenzia coloro i quali hanno favorito, con ideologie e proclami, alla nascita e allo sviluppo della cultura delle armi come strumento per abbattere il sistema.

In questo senso i giovani che avevano intrapreso un percorso di lotta ai limiti della legalità trovarono una autorevole sponda per pensare che i tempi fossero maturi per l’innalzamento del livello dello scontro.
Fatto ciò, alcuni intellettuali presero le distanze, altri osservarono compiaciuti da lontano, altri continuarono ad alimentare, con i propri contributi, le fila di chi pensava di mettere in pratica le analisi teoriche.
Altri, molto probabilmente, stettero per lungo tempo con un piede dentro e l’altro pure alle organizzazioni di lotta armata.

Gli intellettuali, in sostanza, contribuirono a creare l’acqua dove “nuotavano i pesci” e, talvolta, sguazzavano nello stagno assieme ad essi.

Gli stessi intellettuali avendola successivamente fatta franca ed essendo arrivati ad occupare posti importanti della società, avrebbero “blindato” la verità su quegli anni e sulle collusioni lotta armata/classe intellettuale proprio per evitare che emergessero possibili contiguità che, indipendentemente dai reati, ne avrebbero compromesso l’immagine e le possibilità di carriera di fronte all’opinione pubblica.

Sarebbe questo il quadro, in poche parole, del legame tra intellettuali e lotta armata negli anni ’70?

Può anche essere, non ho elementi per escluderlo.

Però penso che la generalizzazione possa portare ulteriore confusione e far allontanare la ricerca della verità.
Come ritenere che la responsabilità degli episodi di violenza negli stadi siano da ripartire tra ultras e commentatori delle trasmissioni sportive che, una volta individuato alla moviola l'errore dell'arbitro, gridano alla malafede ed al campionato falsato.
Gli ultras, probabilmente, sono già sufficientemente malati di loro per "alzare il livello di scontro" senza dover attendere l'analisi della Domenica Sportiva. In sostanza, chi fa le violenze non ha bisogno del decisivo incitamento del commentatore sportivo e chi fa i commenti e litiga in TV non è in grado di spostare i comportamenti degli altri tifosi, salvo quello di cambiare canale.

Io credo che sia possibile, anzi assolutamente fondato, ritenere che vi siano stati intellettuali vicini alle organizzazioni armate sia a livello di consiglieri che di militanti effettivi. E che possano non essere stati mai individuati e che oggi ricoprono ruoli importanti alla direzione di un giornale piuttosto che come funzionari nei servizi segreti.

Credo anche però che sia importante non sparare nel mucchio.
Trovare elementi concreti su singoli casi e portarli all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo si, sarebbe utile per non rimuovere la memoria e per far capire alle generazioni successivi cosa erano quegli anni.

Ma se parliamo di un’intera classe a me viene da pensare che i più non si muovessero per ideologia quanto per moda, per “inguaribile civetteria” (come la definì Cossiga) e che molti degli appelli furono firmati senza neanche leggerne il testo, spesso perché lo aveva già fatto qualche collega.

Si badi. Non voglio giustificare nessuno perché, “la legge non ammette ignoranza”.
Solo che a me quella classe intellettuale sembrava più che giocasse alla rivoluzione perché faceva “chic” ma, in realtà, di operai e di lotta di classe a pochi interessava realmente.

Insomma, quel tipo di intellettuali, forse fu con grande acume immortalata da Giorgio Gaber quando gli avvenimenti erano in pieno corso, con uno dei suoi più celebri pezzi “Al bar Casablanca"



Al bar Casablanca
con una gauloise
la nikon, gli occhiali
e sopra una sedia
i titoli rossi dei nostri giornali
blue jeans scoloriti
la barba sporcata da un po’ di gelato
parliamo, parliamo di rivoluzione
di proletariato.

L’importante e che l’operaio prenda coscienza. Per esempio i comitati unitari di base… guarda gli operai di Pavia e di Vigevano non hanno mica permesso che la politica sindacale realizzasse i suoi obiettivi, hanno reagito, hanno preso l’iniziativa! Non è che noi dobbiamo essere la testa deli operai. Sono loro che devono fare, loro, noi…

O, se vogliamo essere più cattivi, con un'altra immagine di Pierangelo Bertoli

I poeti son dei matti che non pagano il pedaggio
fanno finta di capire quando scrivono "coraggio"
ma se c'è da far la guerra il poeta è giù in cantina
fa l'amore con la serva e si scopa la regina.

Ci sono stati intellettuali contigui, simpatizzanti o amici dei protagonisti della lotta armata? Cosa hanno fatto? Credo che le responsabilità vadano ricercate ed attribuite ai singoli. Attribuirle ad un'intera categoria equivale a volersi nascondere non avendo il coraggio di fare i nomi
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Di Manlio  13/02/2008, in Storia (2100 letture)
"... e la sua salma è immersa nei fondali limacciosi del Lago della Duchessa."

Sembrerebbe proprio che chi ideò il falso comunicato n. 7 che annunciava la morte di Moro mediante suicidio, avrebbe potuto tranquillamente utilizzare il concetto di sacrificio.
Almeno stando alle parole di Steve Pieczenik, intervistato nell'ambito di un documentario dal titolo "Gli ultimi giorni di Aldo Moro" andato in onda sabato 9 febbraio su France5.

Pieczenik fu il consulente, specializzato in mediazioni, che gli Stati Uniti offrirono all'Italia per gestire la complicata vicenda del rapimento del Presidente della DC ad opera delle Brigate Rosse. Il suo ruolo fu, sostanzialmente, quello di assicurare la tenuta del Governo italiano alla linea della fermezza e quando si rese conto che il suo compito era esaurito (in quanto tale fermezza non fu mai messa in discussione) se ne tornò negli USA.

Pieczenik è stato già intervistato nel libro "Nous avons tuè Aldo Moro" a cura del giornalista francese Emmanuel Ammarà che sarà pubblicato a breve anche in Italia. In quella occasione ebbe già modo di assumersi la paternità dell'idea del falso comunicato numero 7 realizzato per dare un colpo psicologico alle BR e che, sempre secondo l'americano, "fu per loro un colpo mortale perché non capirono più nulla e furono spinti così all'autodistruzione". Vai alla notizia

In questa nuova intervista, Pieczenik ha aggiunto altro. In sostanza ha affermato che Aldo Moro era necessario sino al compimento della sua strategia politica, che avrebbe ridato stabilità all'Italia.
Per ottenere questo però, c'era un prezzo da pagare: la morte di Moro. Che si rivelò necessaria quando, dopo quattro settimane dal rapimento, il rischio che potesse cedere ai propri carcerieri rivelando informazioni riservate diventò concreto.
La decisione finale se dovesse vivere o morire, stando alle parole di Pieczenik, fu presa da Cossiga o Andreotti.




L'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga è stato intervistato in occasione del documentario. Dopo aver visionato le immagini di Pieczenik ha commentato: "Doveva evitarsi la trattativa, perché si sarebbe sgretolato lo Stato, anche a costo di farlo morire".

Se volete vedere il video, questo é il link.

Secondo voi, sà più di conferma o di smentita?
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Di Manlio  20/02/2008, in Pensieri liberi (3922 letture)
Segreti di Stato non è un romanzo qualsiasi.
Ameno per due motivi:
1) l'autore si chiama Massimiliano Passamonti (nella foto sotto) e ha fatto parte per diversi anni di uno dei reparti di eccellenza delle nostre Forze Armate: il gruppo incursori della Marina, i "famosi" COMSUBIN.
2) la storia che Passamonti racconta è ambientata nell'Italia della strategia della tensione e vede protagonisti uomini della politica, dei servizi, della Marina Militare e un gruppo di terroristi della Brigata NoGlobal, un gruppo di estrema sinistra che pratica la lotta armata.

Si tratta di un bel thriller in cui non mancano, seppure in forma romanzata, riferimenti storici puntuali ed un nuovo punto di vista dal quale osservare gli anni della strategia della tensione, che tanti dolori hanno provocato al nostro Paese, dai quali non siamo ancora riusciti a venire fuori con una verità trasversale che possa attraversare le ragioni di tutti e portare ad una riappacificazione tra le diverse forze in gioco sia oggi che ieri.


Segreti di Stato è un libro che consiglio davvero a tutti, in particolar modo a chi vuole ragionare su una chiave di lettura del caso Moro sicuramente per molti versi di fantasia ma che non tralascia precisi riferimenti a luoghi, fatti o persone protagoniste di quel periodo.
Senza voler rovinare la lettura a chi vorrà seguire il mio consiglio, vorrei proporre uno spunto di discussione sull'idea drammaturgica di Passamonti.

Un gruppo di estrema sinistra opera in Italia.
Il Ministero dell'Interno, non fidandosi dei servizi segreti in quanto alcuni elementi si mostravano scontenti della riforma di ristrutturazione che il sistema politico stava per varare, chiede al comandante dei COMSUBIN di infiltrare un suo uomo all'interno del gruppo. L'operazione riesce ed il giovane incursore viene a conoscenza del tentativo che il gruppo sta portando avanti di rapire un importante leader politico. Il Ministro dell'Interno decide di consentire il rapimento (perchè l'evento sarebbe stato politicamente a lui favorevole) ma di attivare i COMSUBIN per ottenere la liberazione dell'ostaggio.
In quest'ottica viene organizzata una prova generale del blitz, cammuffata da esercitazione, utilizzando un casolare prefabbricato identico a quello nel quale, secondo le informazioni raccolte dall'infiltrato, sarebbe stato condotto il rapito.
Anche i servizi segreti, all'insaputa del Ministro dell'Interno, stanno muovendosi nella vicenda. Così quando viene effettuato il rapimento, per i COMSUBIN si tratta di una cosa inaspettata e perdono il controllo della situazione. Sicuri che l'ostaggio sia stato portato nel luogo a loro noto, decidono di effettuare subito l'irruzione che avevano già provato in esercitazione.
Ma i servizi tirano ai COMSUBIN un brutto scherzo ed il blitz fallisce miseramente.
Il rapimento va avanti ed anche i servizi perdono il controllo delle operazioni. Non potendosi fidare più di nessuno viene deciso che la soluzione migliore è rappresentata dalla morte dell'ostaggio.

Si trovano molti riferimenti a due operazioni realmente accadute come "Smeraldo" (21 marzo '78) e "Rescue Imperator" (prova generale del 12 febbraio '78).

Mi piacerebbe poter avviare delle riflessioni assieme a voi su tre questioni particolari:
a) I servizi sapevano qualcosa?
b) Alti e limitati vertici delle istituzioni sapevano qualcosa?
c) Il sequestro si è evoluto verso direzioni non pi controllabili e questo avrebbe portato alla decisione della morte dell'ostaggio come minor male?

Ovviamente, sottolineo che la vicenda raccontata da Passamonti, deve essere presa per quello che è: un romanzo.
E quindi opera di assoluta fantasia...
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