Di Manlio (pubblicato @ 16:03:17 in Attualità, linkato 1736 volte)
In una lettera aperta a Francesco Caruso >>Leggi<<, il Presidente Emerito Cossiga ha parlato ancora una volta del caso Moro attribuendo la responsabilità della "politica della fermezza" al PCI.
Ecco il passo citato nell'articolo:
"Ma vi è ancora chi ignora che la "politica della fermezza" nel caso Moro fu voluta anzitutto dal Partito Comunista. La Democrazia Cristiana avrebbe certamente e subito trattato con le Brigate Rosse e in cambio della libertà e della vita di Moro avrebbe riconosciuto le Br come soggetto politico e liberato tutti gli appartenenti alla lotta armata che erano in prigione. Ricordo bene quando Berlinguer e Pecchioli vennero da me, ministro dell'Interno, a protestare perché il Governo aveva agevolato i tentativi della Dc di colloquiare e trattare con le Br tramite la Croce Rossa e poi "Amnesty International", minacciando la caduta del Governo se si fosse continuato su questa strada."
Dunque, Presidente, vorrebbe farci credere che la DC si sarebbe sbracata fino al punto di mandare alla malora qualsiasi residuo di dignità delle Istituzioni pur di riavere indietro uno dei suoi leader ma che non era disposta ad accettare, come contropartita, una crisi di Governo?
Erano forse questi i principi cristiani cui si è ispirata per quasi 50 anni la visione del potere del partito che ha gestito i ruoli chiave delle nostre Istituzioni? O, forse, il PCI è stato un ottimo alibi per giustificare quello che tutti, con i comportamenti, hanno fatto e cioè non salvare Aldo Moro?
Di Manlio (pubblicato @ 15:08:45 in Giudiziario, linkato 8617 volte)
La Fiat 130 su cui viaggiava Aldo Moro il 16 marzo del '78 e l'Alfetta di scorta che lo seguiva erano custodite, prima della recente demolizione, presso il museo della Motorizzazione Civile di Roma. Ma la R4 che rappresentò la prima "bara" di Aldo Moro che fine aveva fatto? Strano ma vero, era stata restituita al legittimo proprietario Filippo Bartoli e dimenticata nella periferia romana abbandonata al proprio destino in un deposito utilizzato anche come pollaio. Fino a quando il giornalista del Resto del Carlino Giorgio Guidelli si è messo sulle sue tracce e l'ha ritrovata >>Leggi l'articolo<< ricavandone anche un bello ed emozionante libro dal titolo "L'auto insabbiata" .
Guidelli è tornato nell'abitazione del Sig. Bartoli il 9 maggio scorso in occasione della prima giornata nazionale dedicata alla memoria delle vittime del terrorismo per mostrare alle telecamere quello che a parere di tutti può essere un simbolo della nostra memoria. Ma l'auto non c'era più!
E' successo che a seguito del clamore suscitato dall'articolo e dal libro di Guidelli, Filippo Bartoli ha riconsegnato l'auto al cognato in quanto la medesima era di proprietà della ditta edile a lui intestata. Su sito della Televisione della Svizzera Italiana (RTSI.ch) è possibile visionare il TG del 9 maggio ed il servizio dedicato al nuovo tentativo di Guidelli di mostrare al mondo l'importante reperto. Ho voluto riporatre sul blog l'audio del TG in caso di difficoltà tecniche di collegamento al sito dell TV Svizzera.
Due cose sembrano certe. Il cambiamento di atteggiamento del Sig. Bartoli e della moglie (sorella della persona che avrebbe preso in carico l'auto) che addirittura minaccia di chiamare la Polizia. Il Sig. Bartoli ha anche ricordato di aver ricevuto una telefonata dalla Questura che lo invitava a "chiudere la questione così...". Per la precisione Guidelli, sul suo taccuino, ha appuntato il termine "bruciarla".
Dall'altro lato appare molto strano che a seguito del ritrovamento e con la tecnologia oggi a disposizione, nessun magistrato abbia provveduto ad una nuova perizia. Una nuova analisi scientifica condotta sull'automobile potrebbe raccontare nuovi particolari o, quanto meno, confermare elementi noti dando inequivocabile conclusione ad una serie di speculazioni che nel corso di 30 anni si sono susseguite. Del resto, nell'ambito della vicenda Moro, la situazione non sarebbe nuova. Nel '94 a seguito del ritrovamento di un nuovo proiettile nel bagagliaio dell'alfetta di scorta, si era proceduto con una nuova perizia balistica per appurarne la provenienza. Al contrario di ciò che ipotizzavano i cosiddetti "dietrologi" (e cioè che fosse la prova di una settima arma brigatista) i periti Domenico Salza e Pietro Benedetti dimostrarono che tale colpo fu sparato da un'arma già nota e sequestrata e che, causa un errato caricamento in quanto non adatto ad essa, ne fu anche motivo di inceppamento.
Come mai, allora, nessun magistrato ha ritenuto di dover sottoporre la R4, appena ritrovata, ad una nuova perizia tecnica? E come mai, invece, l'auto è nuovamente sparita?
Conosci un sito nel quale si parla di anni '70, di lotta armata attraverso un dibattito aperto e democratico? Segnalalo. Sarò lieto di linkarlo tra i siti amici.