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Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato

George Orwell
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Manlio  20/03/2012, in Attualità (1551 letture)
Anche i più dotati dal punto di vista dell’immaginazione, non sarebbero mai arrivati a pensare di poter acquistare un giorno un volantino originale delle Brigate Rosse. E invece a partire dal prossimo 29 marzo tutto ciò sarà (?) possibile. La casa milanese Bolaffi, cederà all’asta un lotto di 17 documenti brigatisti datati tra il 1974 ed il 1978 compreso uno proveniente dal rapimento Moro. E non uno qualsiasi ma proprio quello con il quale il 15 aprile i brigatisti annunciarono la condanna a morte del presidente della DC. Il prezzo di partenza è di 1.500€.
Non mi sarei stupito se una cosa del genere fosse avvenuta in un paese come la Germania che con quegli anni ha chiuso i conti, ha capito le ragioni degli uni e degli altri e ha serenamente accettato che una parte (seppur minoritaria) di una generazione ha cercato di ribellarsi facendo ricorso alle armi, senza per questo far ricorso a spiegazioni dietrologiche, grandi vecchi o occulte trame internazionali. E un documento come quello potrebbe rientrare nella casistica dei documenti storici.

Ma è davvero possibile che in un paese come l’Italia, in cui si cerca ancora la verità su tanti tragici episodi della storia contemporanea, si possa permettere di svendere un pezzo di storia chiusa dal punto di vista dei tribunali ma non ancora dal lato della verità storica e politica?

Possiamo considerarli documenti storici o forse “corpi di reato”? E se ci fosse qualcosa di inedito (documenti nuovi o parzialmente nuovi rispetto a quelli divulgati all’epoca)?

E poi il problema della fonte. Da dove provengono questi reperti?
In occasione delle operazioni di fabbrica i volantini venivano distribuiti direttamente “in loco” e potevano perciò essere raccolti da chiunque.
Nel sequestro Moro, però, i comunicati venivano distribuiti in più città in contemporanea e quindi l’unica possibilità di intercettare un originale era farlo sfuggire al sequestro delle Forze dell’Ordine. Quindi commettere un reato.

Sono certo che la Polizia Giudiziaria impiegherà poche ore a sequestrare il tutto ed avviare le dovute indagini. Ma se tutto ciò sarà permesso, allora mi aspetto che a breve sarà possibile acquistare nuovi reperti inediti: bossoli di via Fani, qualche scatto privato che riprende la scena immediatamente dopo l’agguato (tanto il magistrato non considerò quelle foto inutili ai fini delle indagini?), un’uniforme da aviere dismessa, una testina per macchina da scrivere…

E nel frattempo, poiché il caso Moro è ancora oggetto di lotta e divisione politica, la solita domanda echeggia tra coloro che ne studiano i risvolti da anni: ennesima strumentalizzazione monetizzata o messaggio trasversale (stavolta un “innocuo” manifestino, la prossima qualche pagina autografa)?
 
Di Manlio  12/12/2011, in Attualità (4605 letture)
Ho da poco terminato la lettura di uno dei libri recentemente dati alle stampe riguardanti la vicenda delle BR. In “Colpo al cuore” Nicola Rao racconta gli ultimi mesi della storia delle BR osservata da due punti di vista privilegiati che, alla fine convergeranno, ritrovandosi assieme sugli opposti fronti, nel blitz che vide la liberazione del Generale Dozier prigioniero della colonna veneta delle BR.
Le due anime del racconto sono Antonio Savasta, dirigente brigatista di prim’ordine, responsabile del sequestro Dozier e capo della colonna veneta e Salvatore Genova, commissario di Polizia che iniziò la sua carriera nella città di Genova ma che, per le abilità dimostrate nel contrastare l’azione brigatista nel capoluogo ligure fu chiamato dal Questore Umberto Improta per dare una mano per la liberazione di Dozier che, a causa della forte pressione statunitense sul governo italiano, stava diventando una questione di Stato molto delicata.

Il racconto delle due “carriere” cresce parallelamente.

Anche se Antonio Savasta ha parlato molto con gli inquirenti dando loro la possibilità di smantellare gli ultimi residui di velleità brigatiste e raccontando anche dei contatti internazionali delle BR, mai aveva fornito un racconto personale, che desse voce al suo vissuto di brigatista, che esprimesse l’esperienza della militanza sua e dei suoi compagni di viaggio in particolar modo per azioni che ancora oggi procurano dolore al solo pensiero come il sequestro e l’omicidio di Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimico di Porto Marghera.

L’operazione nacque come “processo” alla politica anti-operaia della Montedison per ribadire la vocazione di fabbrica delle BR-PCC e tentare una ricomposizione con le BR-PG di Senzani e l’ormai autonoma colonna milanese Walter Alasia. Il tentativo, insomma, di portare avanti una “campagna esemplare” che desse l’esempio alle altre fazioni brigatiste nella convinzione che l’azione le riportasse sulla linea dell’organizzazione principale.

Ma le cose non andarono così e quando il comitato esecutivo (composto da Savasta, Barbara Balzerani e Luigi Novelli ) decise per la morte del prigioniero in assenza del ritiro della cassa integrazione annunciata dalla Montedison, i militanti della colonna veneta minacciarono la fuoriuscita. Si giunse così al 5 luglio. Dopo 46 giorni di prigionia e maltrattamenti, Taliercio venne assassinato proprio da Savasta. Oggi, grazie al racconto che Savasta ha fatto a Nicola Rao sappiamo alcune cose in più, soprattutto riguardo la lacerazione interna del brigatista ed alle conseguenze che quella morte ebbe sull’intera organizzazione.
Il libro, secondo me ingiustamente ma mi rendo conto che per i giornalisti la Notizia con la Enne maiuscola è un’altra, è passato alla cronaca per le “pratiche” poco ortodosse di un funzionario della Polizia dell’epoca che, senza mezzi termini, ha ammesso di aver praticato la tortura nei confronti dei prigionieri delle Brigate Rosse perché il momento esigeva che si ottenessero risultati con qualsiasi mezzo. Una tortura scientificamente preparata, con uomini addestrati alla tecnica del waterboarding attraverso la quale si simula una morte per annegamento facendo bere al malcapitato grandi quantità di acqua e sale. La tecnica fu utilizzata una prima volta nei confronti del tipografo Enrico Triaca, arrestato nel maggio del ’78 poco dopo l’uccisione di Aldo Moro. Il brigatista denunciò le torture subite ma il giudice non gli credette e lo condannò per diffamazione. Tanto bastò, però, per suggerire al “prof. De Tormentis” (così veniva chiamato nell’ambiente il funzionario) di sospendere il suo rito in quanto eventuali altre denunce avrebbero potuto condurre alla verità.

Lo sdegno per aver avuto tra le Forze dell’Ordine personaggi squallidi e animaleschi sino a tal punto, è forte. Non la sorpresa. Chi conosce bene i fatti, chi ha studiato le carte, chi ha parlato con i protagonisti di entrambe le parti sa bene che la versione ufficiale che il fenomeno della lotta armata è stato debellato grazie a leggi democratiche e all’azione dei pentiti è una favola sul cui lieto fine in molti si sono rifatti una verginità e costruito nuove carriere. Dietro i discorsi dei vari Ministri dell’Interno e Presidenti del Consiglio che spacciavano la tutela delle leggi democratiche negando qualsiasi legame tra crimini commessi e matrice politico-ideologica, c’erano le leggi d’emergenza (per mezzo delle quali le pene venivano comminate non in funzione della gravità del reato ma in funzione della propria identità politica) e le carceri speciali (veri e propri circuiti di gettizzazione, punizione e riduzione ideologica nel quale finivano anche militanti marginali tirati in ballo da pentiti e che erano solo fiancheggiatori o prestanome). A livello occulto per l’opinione pubblica, invece, si usava con metodi più o meno cruenti la tortura (nel bel film di Aurelio Grimaldi “Se ci sarà luce sarà bellissimo” c’è un esempio che ci fa intendere di come la pratica sia stata diffusa a tutti i livelli).

La storia del “carcerario”, tra l’altro, è ancora tutta da raccontare e mi auguro che qualcuno un giorno troverà la voglia e lo stomaco per scriverla.

Bene fa, a tal proposito, Nicola Rao a riportare alla giusta dimensione un personaggio come Alberto Franceschini che oggi vorrebbe farci passare l’idea di un se stesso “rivoluzionario romantico” e che la violenza appartenne non alle “sue” BR ma a quelle del periodo successivo al suo arresto, pilotate da chissà quale entità superiore e condotte da Mario Moretti, spia di chissà quale servizio nostrano o estero. E invece Franceschini è stato tra i più violenti, uno che in carcere organizzava le violenze e decideva la morte di chi era ceduto alle torture confessando anche solo fatti minori. Uno che con i suoi scritti contribuiva a seminare odio e morte incitando i compagni fuori dal carcere subissandoli di analisi della realtà che farebbero pensare ad un largo uso di stupefacenti del capo storico. Un ex brigatista che stava dalla sua parte, parlando di Franceschini, me lo ha definito come “terrorista dentro, uno che ammazzerebbe anche la madre per le proprie finalità”. Non per un ideale, per squilibrio.

La verità di quegli anni poco alla volta verrà a galla. Forse il primo tassello potrà essere proprio il nome di quel “De Tormentis” che stando agli elementi che ha raccolto Paolo Persichetti nel suo articolo di ieri su Liberazione >Leggi http://baruda.net/2011/12/10/torturetana-per-de-tormentis-e-ora-che-il-mastro-torturatore-ditalia-si-faccia-avanti/ < ha ormai un nome e cognome. Poliziotto per trent’anni, congedato come Questore, catturò Luciano Liggio al fianco del Questore Mangano > Indizio 0<, approdò all’antiterrorismo di Santillo (in questo senso nel 76-77 ascoltò in carcere Ronald Stark, informatore infiltrato >Indizio 1<), figura nella ormai storica fotografia che ritrae gli investigatori attorno alla R4 che conteneva il corpo di Moro il 9 maggio 1978 >Indizio 2 <, nel gennaio del 2001 ha scritto un articolo per il mensile massonico “Il razionale” >Indizio 3 <, è stato Commissario per La Fiamma Tricolore nel 2004 >Indizio 4 <, iscritto all’Ordine degli Avvocati della provincia di Napoli dal 1984 >Indizio 5 <.

Insomma Avv. Nicola Ciocia, gli indizi porterebbero a lei.

Certo è che questo libro ha portato una animata discussione tra chi attacca queste pratiche, chi le difende, chi le nega e chi le giustifica. Il solito dibattito all’italiana che si fa sui giornali, in TV, in rete. Ovunque fuorchè nelle sedi predisposte: i tribunali. Eh si, tutti sanno ma tutti nascondono. Tutti fanno i moralisti ma nessuno è disposto ad esibire il proprio certificato di “anima trasparente”. Spero che libro e dibattito possano servire almeno ad aprire un’inchiesta seria per chiarire chi ha messo in atto quelle orrende pratiche, chi le ha ordinate all’interno delle forze investigative, chi le ha coperte e chi, a livello politico, ha concesso il lasciapassare che ad oltre trent’anni si è rivelato un salvacondotto.
 
Di Manlio  22/06/2011, in Attualità (3293 letture)
E' di questi giorni la notizia che una ex militante della RAF, Birgit Hogefeld, sia stata rimessa in libertà dalla magistratura tedesca.
>Leggi la notizia<
La Hogefeld si era resa colpevole dell'uccisione di un soldato americano nel 1985 e di un assalto ad una base militare USA in Germania. Nel 1996 era stata condannata all'ergastolo dopo essere stata arrestata nel 1993. In totale, quindi, 18 anni di carcere.

Sappiamo tutti cosa è successo in Italia alla sola notizia che al latitante (per la nostra giustizia) Cesare Battisti era stata negata l'estradizione da parte del Brasile. Boicottaggi, manifestazioni, chiamate alle armi. Senza entrare nel dettaglio, la decisione brasiliana nulla avrebbe da eccepire in termini di diritto internazionale: nessun Paese concede l'estradizione verso un altro Paese che prevede, per lo stesso reato, pene più severe. E' come se l'Italia estradasse una donna islamica che, secondo la legge del suo Paese, avesse commesso un grave reato "morale" per il quale è prevista la lapidazione.

Noi che ci definiamo democrazia avanzata, non siamo riusciti ancora a chiudere i conti con un passato che, per carità di Patria, abbiamo frettolosamente liquidato come “follia generazionale omicida”. E ne continuiamo a pagare le conseguenze. La Germania, che pure ha avuto un fenomeno di lotta armata lungo e sanguinoso, ha avuto il coraggio di analizzare le contraddizioni della sua società, ha ammesso i propri errori, ha saputo trovare delle pene adeguate ai singoli tenendo conto che si trattava di fenomeni collettivi.
Consiglio a tutti il film “La banda Baader Meinhoff” e invito ad ascoltare con attenzione anche le interviste in appendice. Davvero illuminanti per capire le differenze tra la situazione italiana e tedesca.

Le pene vanno comminate e fatte rispettare, ma se uno Stato non è in grado di farlo perchè concede "un aiutino" a chi non è conveniente perseguire più di tanto (vedi Casimirri) io non faccio parte di coloro che vorrebbero vedere Pinochet impiccato in una pubblica piazza. Mi basterebbe far si che tutti conoscano la verità sui crimini da lui commessi e che siano da monito per altri affinchè non siano reiterai. La vendetta non serve a nulla, se non ai soliti potenti che possono continuare a contare su chi proseguirà a tenere la bocca chiusa.

Il problema vero è che da noi lo Stato ha infranto le sue leggi non per tutelare l’interesse della democrazia (polis o pietas) ma per garantire piccoli interessi di bottega. Con il risultato di blindare certe verità e farle diventare continuo ed efficace strumento di ricatto. Con il risultato che la scia di morti si è allungata e che una serie di personaggi, da una parte e dall’altra, hanno acquisito molto potere. E continuano a mantenerlo dato che sono ancora in ballo.

Per parafrasare la splendida trasmissione di Arbore degli anni ’80 (che in questo periodo stanno incredibilmente ritrasmettendo in TV al mattino presto) non credo ci siano dubbi a rispondere alla domanda iniziale: io non so se la Germania sia democratica o meno. Ma di certo so che non lo siamo noi perché se democrazia vuol dire “potere del popolo” in Italia il popolo non ha mai contato nulla e gli affari sono stati fatti sempre alle sue spalle e sulla sua pelle.
 
Di Manlio  30/01/2011, in Attualità (1639 letture)
La sapete una cosa?
Comincio a pensare che dovrebbero essere aboliti i giorni della memoria...
Questo in generale, ma per quanto riguarda il nostro Paese, in particolare.

Ma vi sembra che qualcuno abbia voglia di ricordare davvero?
A furia di ricordare ci si potrebbe accorgere di una verità sotto il naso e magari incazzarsi (presente Poe, La lettera rubata?). Un esempio? Un presidente del consiglio piduista (cioè che usava le istituzioni per fare business all'ombra della legalità), un ministro della difesa ex fascista, tra i più facinorosi, di quel fascismo degli anni '70 che ancora si rifaceva a J. Borghese, alle teste vuote della XMAS, e alla repubblica(?) di Salò.
Per non parlare delle strumentalizzazioni, delle parole non credibili di chi utilizza queste occasioni come vetrine personali.

Vale davvero la pena ricordare? A quanto pare non serve o non basta. E l'ultima intervista di Licio Gelli parrebbe confermare che le cose non cambieranno mai (>leggi<)

Secondo me sarebbe molto meglio se gli italiani iniziassero a leggere. Ma è molto più facile fare una finta manifestazione che impegnarsi davvero a cambiare le cose.

Buoni ricordi a tutti
 
Le stragi (con i loro segreti) di Ustica e Bologna hanno visto superare il traguardo dei 30 anni. E le ricorrenze sono, in genere, il tremolante momento in cui le istituzioni continuano ad alimentare il desiderio di verità e giustizia dei familiari delle vittime ben sapendo che mai e poi mai nessun personaggio dello Stato muoverà un dito in quella direzione.

Se con Moro si era assistito ad una buona operazione di marketing con la pubblicazione online degli archivi della Commissione Stragi (dopo "soli" 7 anni dalla chiusura dei lavori) e con l'istituzione della giornata della memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi, con Bologna si è praticamente toccato il fondo.

Per la prima volta nessun Ministro è stato presente alla cerimonia di commemorazione. L'assenza del Governo è stata giustificata in diversi modi sotto il minimo comune denominatore dei fischi ricevuti in tutte le edizioni precedenti.

Quello che però mi ha colpito particolarmente sono le dichiarazioni del sotto segretario Carlo Giovanardi, che riporto testualmente:

BOLOGNA:GIOVANARDI,GOVERNO HA FATTO BENE A NON ANDARE (ANSA) - ROMA, 2 AGO - «Ogni anno a Bologna si è riproposto il triste spettacolo di una piazza che invece di ricordo e dolore ha espresso odio e livore per coloro che ritiene avversari politici. La strage, che colpì cittadini inermi di tutte le età e di tutti i partiti , sin dai funerali del 6 agosto, a cui partecipai come neo eletto consigliere regionale dell'Emilia Romagna, fu strumentalizzata per creare una bolgia di insulti e sputi nei confronti del Governo di allora, che colpirono particolarmente Craxi e Cossiga. Bene ha fatto quest'anno il Governo a non partecipare ad un rito che per troppi non è un momento di ricordo e commemorazione delle vittime di quella tragedia». Lo dice il sottosegretario arlo Giovanardi.

STRAGE BOLOGNA: GIOVANARDI,NO A STRUMENTALIZZAZIONI SINISTRA GOVERNO SI È RIFIUTATO DI PRESTARSI A GIOCO IGNOBILE (ANSA) - ROMA, 2 AGO - «È un dovere ribellarsi a miserabili strumentalizzazioni». Lo precisa il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi che già stamattina aveva commentano positivamente l'assenza del governo dalla cerimonia che si è tenuta stamattina a Bologna. «È un dovere morale e civile - aggiunge Giovanardi in una nota - ribellarsi alla miserabile strumentalizzazione che, fin dai giorni successivi alla strage di Bologna, una certa sinistra ha fatto delle vittime di quell'orribile attentato. Se quest' anno c'è stata maggiore compostezza e sobrietà è proprio perchè il Governo si è rifiutato di prestarsi a questo ignobile gioco, offensivo soprattutto del dolore dei familiari delle vittime». «Voglio aggiungere - continua l'esponente del governo - che sono stanco di subire insulti dai vari Fiano, eredi di un partito che ha sostenuto i più screditati regimi totalitari e, per lungo tempo, sottovalutato il terrorismo assassino, battuto dalla limpida testimonianza democratica di governi e uomini delle istituzioni che hanno saputo reagire alla violenza eversiva in un quadro di totale rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione».

Provo sconcerto, non lo nego. E vergogna.
Giovanardi  parla di " una piazza che invece di ricordo e dolore ha espresso odio e livore per coloro che ritiene avversari politici". Le proteste hanno coperto praticamente tutte le ricorrenze almeno degli ultimi 20 anni e vorrei ricordare al sotto segretario che dal 1996 per ben 7 anni il Governo è stato di centro sinistra. Le proteste non erano indirizzate al singolo rappresentante politico ed alla sua fazione, ma ad un intero sistema istituzionale che nulla ha mai fatto per far emergere responsabilità e spiegare il perchè di certi fatti.

In un periodo nel quale stanno emergendo delle importanti novità, delle nuove piste e delle nuove responsabilità molto vicine alle persone in cui si identificava un certo "doppio Stato" l'essere assenti vuol dire inequivocabilmente una sola cosa. Lo Stato, indipendentemente dal colore dei burattini che lo rappresenteranno di volta in volta, non ha nessuna intenzione di rendere onore alle vittime e giustizia al resto del Paese. la verità non la vuole. Punto.
Molto meglio continuare le strumentalizzazioni, manipolando a proprio piacimento il dolore e la fame di verità di una parte di popolazione che non ne vuole sapere di rassegnarsi al silenzio.

E del resto le parole di Giovanardi sono solo la conferma di quanto già espresse il Ministro Rotondi all'indomani della morte della signora Eleonora Moro. "Lei è vissuta senza sapere la verità e i segreti sopravviveranno a lungo dopo la sua morte".

Le istituzioni per essere più chiare di così avrebbero potuto fare solo una cosa: dire i nomi dei colpevoli.

No, cari amici. Se gli italiani hanno perso la capacità di indignarsi di fronte a molte cose, che almeno siano consapevoli delle bugie che dal Palazzo gli propinano quotidianamente su tutti i fronti...
 

Non avrei mai immaginato di ricevere e, soprattutto, pubblicare un comunicato stampa proveniente dagli abitanti di una via di periferia esasperati dalle situazioni che ne rendono precaria e pericolosa l'abitabilità.

Ma la strada si chiama via Gradoli, si trova a Roma sulla Cassia...

Questa volta preferisco non commentare i bene informati cittadini che, e questo deve essergli riconosciuto come merito, hanno saputo utilizzare senza strumentalizzazioni il passato tracciando un solco molto preciso e limpido (?) del perchè quella strada si trova oggi ad essere crocevia di molteplici e loschi interessi.


COMITATO PER VIA GRADOLI
Comunicato stampa n. 4 - 14 giugno 2010
L'esasperazione degli abitanti

Il 7 giugno quattro volanti sono intervenute in Via Gradoli per sedare una lite causata dalle minacce rivolte da alcuni stranieri a cittadini infastiditi dagli schiamazzi. Permane il degrado: non sono state rimosse le bombole GPL dai seminterrati, sono ripresi barbecue e discoteche estive, continua la locazione dei cubicoli oggetto dell'ordinanza di sgombero del 65; infine sono comparsi nuovi trans.
Gli abitanti della via, insofferenti ed esasperati, minacciano azioni eclatanti.
Si precisa che le indagini svolte dal Comitato non hanno alcun secondo fine se non quello di sollecitare l’amministrazione a intervenire per risanare la strada.

I misteri della via
Vecchi e nuovi misteri avvolgono edifici già coinvolti nei casi Moro, fondi neri del Sisde e Marrazzo. Tra i primi, sono stati evidenziati i legami tra Vincenzo Parisi (ex capo del Sisde e della Polizia, proprietario di 5 immobili ai civici 96 e 75) e il suo fiduciario, Domenico Catracchia, a oggi ancora proprietario di numerose unità immobiliari nella via; questi, nel 1994, fu oggetto di un procedimento, poi archiviato, volto ad accertare la responsabilità penale quale organizzatore di una agenzia per il favoreggiamento di immigrazione clandestina. Nelle perquisizioni fu rinvenuta un'agenda contenente nomi di proprietari occulti di appartamenti, società immobiliari, rendiconti, nominativi di funzionari di polizia e di magistrati.

Con riferimento a oggi, svelato quello relativo alla proprietà della casa di Natalì, si è accertato che la proprietà di un altro appartamento del 96, già occupato da trans, è riconducibile, mediante una concatenazione di srl, alla società lussemburghese Esquiline s.a.; il revisore dei conti è stato Achille Severgnini (già consigliere della Magiste International), l'amministratore è Marco Sterzi; il capitale sociale è costituito da 16.000 azioni, tutte della fiduciaria milanese SER-FID spa, salvo una di Sterzi.

È comparso nelle cronache Gennaro Mockbel; la sorella Lucia nel 1978 abitò in Via Gradoli 96 in un appartamento contiguo a quello delle BR e datole in comodato da una società del Sisde. La ragazza era informatrice del commissario Elio Cioppa, iscritto alla P2.

Le domande
1. Guido Severgnini, fondatore dello studio commercialista, aveva quale collega Michele Sindona?
2. Quale rapporto intercorre tra Achille ed Ernesto Severgnini?
3. Per conto di chi la SER-FID spa controlla l'Esquiline s.a.?
4. È vero che Catracchia fu difeso da Antonio Juvara, massone iscritto alla Loggia "Trionfo Ligure" aderente al Grande Oriente d'Italia, e che questi ottenne la restituzione dei documenti sequestrati e la repentina archiviazione del procedimento giudiziario?
5. È vero che Lucia Mockbel è sposata con Giancarlo Scarozza, figlio di Maria Antonietta Finocchi, e che è parente di Michele Finocchi, ex capo di gabinetto del Sisde, indagato per l'omicidio Alberica Filo Della Torre?
6. L'Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna ha ancora interessi nella via?
 
Di Manlio  10/03/2010, in Attualità (2107 letture)
… e la cucina italiana a base di pesce fresco è una prelibatezza con cui vale la pena deliziare il palato, almeno una volta nella vita.
Deve essere per questo che, ultimamente, un gran flusso di turisti affolla le spiagge di Managua e ne frequenta i ristoranti italiani che tra le proprie specialità offrono del buon pesce a meno di 25$ a testa.

Dopo la >simpatica proposta< del consigliere provinciale dell’UdC di Terni (che francamente aveva fatto un po’ ridere) qualcuno deve essersi incuriosito e ha deciso di prendersi una pausa dallo stress delle nostre metropoli per fare visita ad Alessio Casimirri, uno dei latitanti più famosi d’Italia (naturalmente famoso tra i pochi che si occupano di “anni di piombo”, per la maggior parte degli italiani il classico “Casimirri chi?”).
Ed evidentemente oltre a gustare del buon pesce, i giornalisti Colombari e Zanotti (non certo tra le firme più note della categoria, non me ne vogliano) devono aver trovato il compagno “Camillo” di ottimo umore, visto che è stato in vena di >raccontare< alcuni frammenti di vita, sua e di suo padre.

Davvero strano, mi verrebbe da dire. Casimirri ha molta nostalgia dell’Italia ma questo non gli impedisce di essere diffidente nei confronti degli ex connazionali che lo vanno a trovare. Se poi si mostrano anche interessati al suo passato e, tra un branzino ed un cefalo, infilano nella discussione due parole come “caso Moro”, il sub che fino a poco prima aveva loquacemente descritto tecniche di pesca e mostrato con orgoglio le sue prede, cambia di colpo espressione e torna ad essere un riservato oste.

Cosa mai avranno avuto in dote questi due bravi giornalisti per spingere un personaggio come Casimirri a non rifiutare il dialogo come accade nella totalità dei casi con turisti interessati più alla sua giovinezza che ai suoi prelibati piatti?

Un particolare mi ha colpito. Casimirri parla di un libro di memorie al quale ha più volte pensato. Ma alla fine sarebbe più affascinato da un’opera cinematografica da Hollywood. Mi è venuto in mente che ha più volte minacciato, chi a tentato di andarlo a riprendere per portarlo in Italia, di pubblicare le sue memorie. Ed, evidentemente, la cosa deve aver spaventato non poco gli agenti nostrani.
Ed allora perché ha parlato con due bravi ma, tutto sommato, non famosi giornalisti italiani? E perché ha alluso alle sue memorie manifestando il desiderio di un film sulla sua vita?

E’ una cosa che mi chiedo da quando ho finito la lettura del pezzo e sinceramente non riesco a trovare una risposta, neppure una traccia. Se qualcosa bolle in pentola lo sapremo presto.

Certo che in prossimità delle ricorrenze, strane manovre aleggiano sempre sul passato quando questo non può essere considerato chiuso.
 
Di Manlio  10/03/2010, in Attualità (2838 letture)
Sembra riservare molte sorprese questa apparentemente normale vicenda che per reato di ricliclaggio ha portato all’arresto dell’ex Senatore Di Girolamo e dell’imprenditore Gennaro Mokbel.
Adesso un articolo del Corriere della Sera >leggi< rivela che la sorella Lucia (>vedi post precedente<) avrebbe sposato niente di meno che il figlio di Michele Finocchi, ex capo di Gabinetto del SISDE (fino al 1991) coinvolto nell’inchiesta sui fondi neri quando amministratore del servizio era Maurizio Broccoletti. Nel 1993, dopo una rapida e brillante carriera che lo portò alla direzione dei servizi civili del Viminale, si rese latitante.

Un forte legame stringe quindi i Mokbel al servizio civile, oltre che alla banda della Magliana ed al terrorismo di estrema destra.


Nello stesso articolo, basato sulle intercettazioni telefoniche che i ROS effettuarono nei confronti di Gennaro Mokbel durante le indagini, l’imprenditore si vantava di essere in procinto di ricevere un’elevata onorificenza massonica: il trentatreesimo grado della Loggia di Palazzo Giustiniani.
Il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi ha subito smentito la frequentazione di Gennaro Mokbel alla sua Loggia («Respingiamo con fermezza qualsiasi riferimento che colleghi Gennaro Mokbel alla massoneria di Palazzo Giustiniani: nel nostro tempio non c'è posto per gente del genere»)

Altro >scoop< degno di nota lo fa il settimanale A diretto da Maria Latella. Un ex compagno di scuola avrebbe definito Gennaro Mokbel un “ladro di merendine” che rubava la colazione ai cocchi di mamma per poi sfidarli ad andarsela a riprendere. Un bullo, una specie di ras del quartiere che una volta chiuse la professoressa sul balcone dopo averla legata a una sedia.

Io dico che la storia non è finita e se si avrà il coraggio di andare avanti ne potremo vedere delle belle. Ma sino a quando si avrà il coraggio di osare?
 
Con gli arresti dello scorso 23 febbraio, è venuta alla luce una maxi truffa legata al riciclaggio che ha visto coinvolte importanti società di TLC, imprenditori e politici. Una truffa architettata attraverso società vuote che vendevano servizi telefonici inesistenti con la ''compiacenza'' di due big delle telecomunicazioni e che ha arrecato un danno di 365 milioni di euro allo Stato.
L'indagine ha fatto emergere anche il coinvolgimento della 'ndrangheta che avrebbe favorito elettorali a vantaggio di un senatore eletto nel 2008 dagli italiani all'estero. Il meccanismo ruotava attorno ad un imprenditore romano, tale Gennaro Mokbel che ha avuto trascorsi vicini all'estrema destra eversiva (è stato anche compagno di scuola di Francesca Mambro) e amicizie nellaBanda della Magliana.

Alcuni nomi e vie hanno uno stretto legame, a volte evidente molte altre più sottile, con importanti avvenimenti del passato. E se alla notizia della vicenda dell’ex governatore del Lazio Marrazzo a far sobbalzare fu la toponomastica (via Gradoli) in questa occasione è stato un nome, meglio un cognome, quel Mokbel che per chi si è occupato della vicenda Moro, non è possibile non ricollegare a quella Lucia Mokbel che abitava al civico 96 accanto all’interno 11 base operativa delle BR di Mario Moretti.

Il primo istinto è stato quello di approfondire le informazioni per cercare qualche filo, qualche piccola traccia che potesse ricondurre i due cognomi ad un qualche legame di parentela. Poi mi sono detto: “Sarà un caso, perché perdere quel già pochissimo tempo che riesco a dedicare a questi argomenti?”
Poi ieri il Corriere della Sera scrive un articolo nel quale è proprio l’avvocato di Gennaro Mokbel a confermare la parentela tra Lucia e Gennaro: fratelli.

Perché il nome di Lucia Mokbel riveste una certa importanza nel caso Moro? Per due motivi: il primo è che il 18 marzo avrebbe indicato ad alcuni agenti che si erano recati in via Gradoli per dei controlli che dall’interno 11 (dove era ubicata la base delle BR)  la notte precedente sentì dei segnali morse sospetti. Per questo consegnò nelle mani dei poliziotti un bigliettino pregandoli di farlo avere al commissario Elio Cioppa (il cui nome fu trovato tra gli iscritti della loggia P2) del quale la donna era amica. Quando incontrò il commissario Cioppa in un ristorante seppe che quel foglietto non gli era mai stato recapitato.
Il secondo motivo è la donna, in quel periodo, conviveva con Gianni Diana, anche questo un nome chiave nella vicenda.
Diana era un ragioniere che, per sue stesse parole, aveva “in uso l’appartamento all’interno 9” da circa un mese e mezzo due mesi (quindi da pochi giorni prima l’agguato di via Fani), era domiciliato in via Ximenes 21 presso lo studio del commercialista Galileo Bianchi e lavorava assieme ad un’altra inquilina di quello stabile, Sara Iannone. Bianchi, dopo soli 3 giorni dalla scoperta della base brigatista, diventò amministratore della società Monte Valle Verde srl, immobiliare proprietaria degli appartamenti di Diana e Iannone. Con l’inchiesta legata allo scandalo dei fondi neri del SISDE (e dell’ex direttore Maurizio Broccoletti) il giornalista Gian Paolo Pelizzaro scoprì che la Monte Valle Verde era una delle società riconducibili ai servizi segreti e che ben 24 dei 66 appartamenti delle due palazzine erano di proprietà di 3 società (tra cui la Monte Valle Verde) fiduciarie del SISDE. Anche se l’interno 11 che ospitava la base brigatista era di proprietà di un privato (l’ing. Ferrero, marito di Luciana Bozzi amica di Giuliana Conforto padrona di casa dell’appartamento di viale Giulio Cesare dove furono arrestati Valerio Morucci ed Adriana Faranda) una legittima coltre di ambiguità scese su quelle palazzine e su alcuni dei loro abitanti.

Ma non finisce qui.
Oggi si scopre che un filo lega l’imprenditore Gennaro Mokbel all’eversione di destra ed alla Banda della Magliana che, è bene ricordarlo, fu interessata dalla camorra nella ricerca della “prigione del popolo” di Aldo Moro. E la risposta che la Banda della Magliana fece avere al servizio segreto clandestino “Anello” fu: “cercate in via Gradoli”.

Ma non finisce neppure qui.
Il primo ad indicare agli investigatori via Gradoli fu il deputato della DC Benito Cazora, tra i pochi che si impegnò davvero a fondo nel tentativo di fornire informazioni utili per la liberazione di Moro. A fine marzo, infatti, fu portato da personaggi in contatto con la ‘ndrangheta proprio sulla Cassia nei pressi di via Gradoli. Chi lo accompagnava, giunto all’imbocco della via disse: “E’ questa la zona calda”. Cazora riferì in Questura l’informazione e gli fu risposto che sarebbero stati fatti dei controlli. Il giorno dopo Spinella chiamò Cazora per informarlo che le verifiche avevano dato esito negativo.
Sebbene siano tutti convinti che la perquisizione di cui parla Lucia Mokbel sia avvenuta il giorno 18 marzo, ritengo che se qualcosa è avvenuto in tale data, non possa trattarsi di quanto raccontato dalla Mokbel. Nel verbale del 18 aprile, poche ore dopo la scoperta del covo, la Mokbel parla di una perquisizione avvenuta circa 20 giorni prima. Ho rivisto alcuni filmati di quel 18 aprile e ben due testimoni, uno dei quali la signora Damiano (che diede l’allarme per l’acqua che si era infiltrata dal piano di sopra, l’abitazione di Moretti) parlano di controlli da parte di agenti in borghese avvenuti circa tre settimane prima. Controlli che avevano interessato tutti gli appartamenti dei due stabili.
Perché si da per assodato che i controlli avvennero il 18 marzo? L’interrogatorio congiunto Mokble-Diana avvenne in Questura alle 14.30. Alle 21.30, dopo poche ore, vi fu un secondo verbale reso al vice Questore aggiunto Nicola Simone del solo Diana nel quale egli retrodata il racconto della Mokbel al 18 marzo. Una svista? Non credo perché Diana fa esplicito riferimento a “un paio di giorni dopo il rapimento dell’Onorevole Moro”.

Cosa successe allora il 18 marzo?
Perché si tenta di far coincidere con quella data i controlli di cui ha parlato Lucia Mokbel?
I legami Servizi-Diana-Mokbel-Banda della Magliana sono del tutto causali, risalgono già al ’78 o sono successivi?

Non so se si tratta di domande superflue, dietrologiche o per le quali è stata già trovata una risposta.

Ma in un Paese dove i cittadini hanno smesso da tempo di porsi domande perché qualcuno fornisce preventivamente le risposte giuste, ho pensato che valesse la pena porsele. Non so voi...
 
Di Manlio  05/02/2010, in Attualità (3159 letture)
Non ci posso credere, mi sembra davvero una notizia pretestuosa prendersela con la Rai per lo spostamento del reality "L'isola dei famosi" dall'Honduras al Nicaragua con la motivazione che quella nazione sarebbe rifugio di alcuni dei terroristi che negli anni '70 si macchiarono di efferati delitti (in particolare si citano Alessio Casimirri e Manlio Grillo).

Che c'entra l'Isola dei Famosi? Allora chiudiamo FaceBook visto che lo stesso Casimirri ha un profilo con molti amici


La foto di Alessio Casimirri sul suo profilo di FaceBook


Bene. Allora dichiariamo guerra alla Francia, a tutto l'est europeo, ma anche alla Germania, visto che aiuti alle formazioni di lotta armata italiane arrivavano anche dai "cugini" della RAF...

Davvero non capisco. O meglio. Capisco che questi argomenti siano una chiave per accedere ai media, ma mi meraviglia il fatto che chi sbandiera tanto stupore non si indigni più di tanto quando neanche 11 gradi di giudizio sono riusciti a dare alle vittime un colpevole per la bomba alla BNA del 12 dicembre 1969 o quando a quasi 40 anni di distanza si sta ancora celebrando il processo per la strage di Piazza della Loggia a Brescia (strage ancora impunita).

A tanti anni di distanza si dovrebbe reclamare la verità su quegli anni, la verità di chi non ha ancora parlato.

Nei giorni scorsi il presidente Berlusconi è stato in Israele portando l'amicizia del popolo italiano e annunciando al mondo il proprio desiderio di voler vedere Israele nell'Unione Europea.
Chi mi conosce sa come sia da me lontana l'idea di essere anti-semita e di come sia massimo il rispetto per le vittime di un Paese che ha visto tanti connazionali massacrati nell'Olocausto.
Ma Israele non è anche la nazione del Mossad? Ed i Mossad non ha avuto in Italia un ruolo importante negli anni '70?
Tanto per dirne una ha contattato le BR offrendo il proprio aiuto per far si che esse continuassero ad insanguinare l'Italia.  Franceschini ha dichiarato che la proposta fu rifiutata, ai suoi tempi. Chissà che in altri tempi un piccolo "aiutino" il Mossad non l'abbia dato ai rivoluzionari di estrema sinistra. E magari non solo alle BR.

Eppure non mi sembra che qualcuno abbia avuto il coraggio di alzare il ditino per sollevare qualche piccola obiezione al sogno berlusconiano. In questo caso vale il detto napoletano "chi ha avuto, chi ha dato, scordammoci 'o passato, simm 'e Napoli, paesà"
 
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