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Il Paese delle carte segrete
Un adagio mai troppo abusato recita che la storia si fa con i documenti.
Tuttavia, per quanto concerne lo studio di temi come il terrorismo e lo
stragismo o di personalità come Moro, la strada per i ricercatori si trasforma
spesso in un percorso a ostacoli, ricoperto da uno stratificato pulviscolo di
diffidenza, ostruzionismo e opacità dei comportamenti, che rende il loro cammino
ancora più arduo. Oggi si apre a Roma, alla presenza del Capo dello Stato, il
convegno «Il governo della società nel XXI secolo. Ripensando Aldo Moro»,
promosso dall’Accademia di studi storici a lui intitolata. Tra le sezioni in cui
si articoleranno i lavori, una sarà dedicata a Moro nella ricerca storiografica.
A trent’anni dalla sua scomparsa, manca ancora una biografia scientificamente
accurata su questa figura, rimasta come imprigionata dalle tragiche circostanze
della propria morte, sospesa tra un’insidiosa volontà di rimozione e una non
meno fuorviante pulsione agiografica. Ma non è possibile nascondersi che esiste
soprattutto un problema documentario, legato alla disponibilità e alla qualità
delle fonti.
Presso l’Archivio centrale dello Stato è conservato l’archivio personale di
Moro dal 1953 al 1978. Per un motivo insondabile questi documenti non sono
trattati come gli altri e, ad esempio, l’inventario cartaceo non si trova nella
sala di studio ove dovrebbe essere. E si badi: si tratta di normali fonti che
hanno già subito due vagli censori preventivi, nel 1983 e nel 1992, da parte di
apposite commissioni preposte a verificare l’esistenza di eventuali vincoli di
riservatezza o di segreto di Stato. Nonostante la famiglia Moro abbia più volte
sollecitato la pubblica consultazione di queste carte, esse sono integralmente
sottoposte alle procedure di riservatezza previste dalle leggi vigenti e quindi
per poterle studiare bisogna inoltrare una domanda motivata al ministero
dell’Interno, ove funziona una commissione consultiva. L’anomalia, però, sta nel
fatto che neppure uno spillo di questi documenti è lasciato alla libera
consultazione dei ricercatori senza prima compiere questo iter preventivo,
diversamente da come avviene per altri uomini politici contemporanei.
Anche i documenti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, conservati
nell’Archivio storico del Senato, dovrebbero essere sottoposti a una maggiore
liberalità. Ad esempio, sono passati 7 anni da quando la Commissione stragi ha
approvato all’unanimità la pubblicazione e la libera consultazione delle carte
raccolte. Eppure, non è ancora possibile accedervi direttamente in quanto viene
risposto che la loro inventariazione è tuttora in corso, nonostante l’indubbia
professionalità del personale del Senato e gli ingenti finanziamenti ricevuti.
Per quanto riguarda le carte relative a Moro, sono state digitalizzate e rese
disponibili on-line, ma ciò ha prodotto un imprevisto effetto distorcente
giacché gli studiosi non possono lavorare sugli originali, ma si devono
accontentare dello schermo di un computer. È forse utile ricordare che la
digitalizzazione è uno strumento prezioso ai fini conservativi di una fonte, ma
non può essere utilizzato per escludere l’accesso diretto ai documenti, che
resta un momento fondamentale della ricerca. Infine, nel caso della Commissione
stragi, si è verificato un ampio uso della categoria di riservato, senza che
però sia possibile rivolgersi, come avviene per i documenti conservati presso
l'Archivio centrale dello Stato, a una commissione apposita, di solito generosa
nelle concessioni. In questo modo quelle carte rischiano di rimanere non
consultabili per chissà quanto tempo perché sono fuori da ogni disciplina.
Sarebbe piuttosto auspicabile l’elaborazione di un regolamento condiviso tra i
vari archivi storici che uniformi ed estenda le modalità già esistenti anche ai
documenti delle Commissioni d’inchiesta giudicati riservati dalle autorità
competenti.
In realtà, una simile situazione induce gli studiosi a nutrire aspettative
immotivate e contribuisce ad alimentare la dietrologia e il qualunquismo.
Inoltre, può provocare indebiti favoritismi negli accessi e inutili
sensazionalismi su questioni che invece dovrebbero essere affrontate con il
massimo equilibrio e serenità. Le vittime di tutto ciò sono anzitutto la
corretta informazione e la buona ricerca storica. Si tratta di un’importante
questione civile che non concerne solo gli storici, i quali chiedono di essere
messi in condizione di svolgere il loro lavoro, ma interessa la qualità e la
trasparenza della nostra democrazia.
Miguel Gotor (La Stampa 17 novembre 2008)
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