«Una fetta di prosciutto. E cominciò a parlare»
«Patrizio Peci non è un pentito ma un vigliacco. Ha venduto gli ideali delle
Brigate rosse per una fetta di prosciutto e una copia della Settimana
enigmistica». A svelare questi retroscena che 28 anni fa trasformarono il
terrorista rosso nel primo pentito delle Br, è Angelo Incandela, il maresciallo
che nel 1980 comandava il carcere di massima sicurezza di Cuneo, dove Peci venne
portato dopo la cattura a Torino. Con le sue rivelazioni il brigatista - nome di
battaglia Mauro - ha permesso alle forze dell'ordine di conoscere i segreti
interni del Partito Armato, la struttura gerarchica, la suddivisione in ruoli e le
competenze. Per vendicarsi del suo tradimento gli ex compagni processarono e
uccisero, dopo un sequestro durato 54 giorni, suo fratello Roberto.
«Nessuno ha mai detto la verità su questa storia - rimarca il maresciallo che
nelle carceri italiane ha trascorso quarant'anni della sua vita tra mafiosi,
ladri di polli e brigatisti -. Ma quale pentimento, quello non ha retto
all'isolamento e dopo quattro giorni è crollato. Lo scriva, mi raccomando: non
esiste un pentimento dell’anima, ma una tentazione della gola. È questa la
verità vera». Uomo di vecchio stampo questo maresciallo settantenne dalla testa
rasata, che veste come un giovanotto. Ordine e disciplina sono stati i valori a
cui si è ispirato per quarant’anni da «umile servitore dello Stato», come lui
stesso ama definirsi.
Maresciallo, se lo ricorda ancora quel giorno in cui Patrizio Peci decise di
parlare?
«E come potrei dimenticarlo. Tutti si sono fatti belli con questa storia, un
colpo da novanta inaspettato. Quando telefonai al generale Carlo Dalla Chiesa,
uomo di grande intelligenza e di rara capacità operativa, sa che mi disse?
“Angelo, ma vai a cagare”. Nessuno ci credeva. Del resto come si poteva
immaginare che uno dei venti brigatisti più ricercati d'Italia tradisse ideali e
compagni di lotta per un piatto di quaglie ripiene».
Come sarebbe a dire?
«Io Peci l'ho preso per la gola. Ecco guardi qui, ho conservato la lista
della spesa. Vede? Prosciutto, frutta, quaglie ripiene, cioccolato ma anche
calzini e mutande. Alla sera passavo nella sua cella e gli dicevo: “Patrizio che
vuoi da mangiare?“ e lui faceva l'ordinazione, come in albergo. Ricordo che non
fu facile portargli in cella una macchinetta per il caffè. Nei primi tre giorni
di isolamento lo osservavo dallo spioncino poi ho captato un suo sguardo e ho
pensato: questo è andato. Ho fatto aprire la porta e gli ho detto: “Allora Peci,
come va?” “È dura” mi ha risposto. Era la prima volta che un terrorista parlava
con uno di noi: lì ho intuito che era fatta. Gli ho spiegato che il modo di
rendere più confortevole la sua permanenza in carcere c'era. Lui ha capito e
guardandomi negli occhi mi ha detto: “Io i miei compagni non li tradisco, a meno
che non possa tornare in libertà”. Non ho risposto, me ne sono andato,
lasciandolo a rimuginare per tutta la notte. L'indomani alle sette chiedeva alle
guardie di poter avere un colloquio con me. Quando si è seduto davanti alla mia
scrivania, lo confesso, mi tremavano le gambe. Sapevo che non mi era permesso
sbagliare: io e quel ragazzino stavamo cambiando il corso della storia».
Nel suo piccolo ufficio di Cuneo, davanti a una tazzina di caffè, è iniziata
la fine delle Brigate rosse. «Peci non sopportava il carcere e aveva paura.
Quando ha svuotato il sacco aveva il terrore che i suoi compagni venissero a
saperlo e gliela facessero pagare. Temevo che all'ultimo si tirasse indietro e
non parlasse più ma quelle quaglie ripiene hanno lavorato a nostro favore. La
prima rivelazione importante la fece proprio a me, svelandomi del covo di via
Fracchia a Genova».
Com’è stato il vostro ultimo incontro?
«Mi ha dato la mano e mi da detto: “Maresciallo, o ti benedico per tutta la
vita o passerò il resto dei miei giorni a maledirti”. Poi mi sono preso una
grande soddisfazione: sono andato nella sezione dei brigatisti, a quel tempo ne
avevo una novantina e ho detto: da oggi Peci è un ex compagno, vi ha tradito. È
calato il silenzio, da quel giorno niente è stato più come prima. Per nessuno».
Se potesse parlargli oggi, cosa gli direbbe?
«Di dire la verità, di spiegare i veri motivi che stanno alla base del suo
pentimento, di non nascondersi dietro la maschera dell’uomo sinceramente
pentito. Capisco che è dura, perché per le sue rivelazioni il fratello è stato
ucciso, tanti compagni arrestati, altri sono morti in conflitti a fuoco. Non è
facile ammettere di aver ceduto non alla coscienza ma alla gola. Nelle
interviste che ha rilasciato non ha mai parlato di quella barretta di cioccolato
che gli ha sciolto la lingua».
Il Giornale (19 ottobre 2008)
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