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La Chiesa milanese conosceva i segreti delle Br
Andrea Tornielli
Il vescovo Luigi Bettazzi voleva offrirsi in
ostaggio ai brigatisti, in cambio di Aldo Moro. Ma la Segreteria di Stato di
Paolo VI lo invitò a lasciar perdere: «Ha già fatto tanto il Papa, non occorre
esporsi di più». Emergono nuovi retroscena sul ruolo avuto delle autorità
ecclesiastiche nei terribili giorni del sequestro Moro. Li ha descritti la
giornalista Annachiara Valle nel libro Parole, opere e omissioni. La Chiesa
nell’Italia degli anni di piombo (Rizzoli, pp. 268, 17 euro), in libreria dal 19
marzo, del quale anticipa oggi un capitolo il settimanale Famiglia Cristiana.
La mattina del 3 maggio 1978, sei giorni prima
che Moro fosse assassinato dai terroristi che lo avevano sequestrato massacrando
gli uomini della scorta, il vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi, presidente di Pax
Christi, aveva varcato il Portone di bronzo per recarsi in Segreteria di Stato.
Stava per incontrare Giuseppe Caprio, Sostituto della Segreteria di Stato, per
presentargli una proposta concordata con altri due presuli italiani, Alberto
Ablondi, vescovo di Livorno, e Clemente Riva, vescovo ausiliare di Roma.
Bettazzi disse a Caprio: «Ci muoveremo noi, in prima persona. Ma vorremmo che il
Vaticano ci desse il via libera». Sulla proposta di offrirsi ostaggio, però, la
Segreteria di Stato fu irremovibile. Secondo quanto riferito da Bettazzi, Caprio
rispose: «Non vede che stiamo finendo in braccio ai comunisti? Ha già fatto
troppo il Papa, non occorre fare di più. Non c’è nulla da fare. È meglio che
muoia un uomo solo piuttosto che tutta la nazione perisca... Ora che è venuto e
che ha chiesto il nostro parere, le proibiamo di offrirsi in ostaggio». «Posso
dire, oggi – spiega lo stesso Bettazzi – che il modo in cui è stato trattato il
sequestro di Moro, può essere interpretato come una “lezione” che si voleva dare
a chi voleva inserire le “sinistre” nei gangli del potere. L’onorevole Moro
anticipava troppo i tempi e per questo bisognava lasciarlo morire».
La novità più interessante nel capitolo del
libro dedicato al ruolo della Chiesa in quei giorni riguarda i contatti e le
informazioni che arrivavano sul dibattito interno alle stesse Brigate rosse.
«L’iniziativa di Bettazzi non era un colpo di testa. Tutt’altro. L’intervento
dei tre vescovi era stato preparato dai padri della Corsia dei Servi, a Milano.
Dopo averne discusso a lungo con padre David Maria Turoldo, Camillo De Piaz, suo
confratello, aveva alzato il telefono: “C’è da fare qualcosa - aveva detto
parlando prima con monsignor Ablondi e poi con monsignor Riva -. I vescovi non
possono stare a guardare. Moro deve essere salvato”. Padre Camillo sapeva che
bisognava offrire qualche spiraglio alle Br se si voleva ottenere la
liberazione».
Padre De Piaz, oggi novantenne, rivela: «Non
posso fare i nomi, ma posso dire che eravamo in contatto con persone che
potevano dirci cosa stava avvenendo all’interno delle Br e sapevano che i
brigatisti erano in disaccordo sulla decisione finale».
Secondo la giornalista c’erano molti
collaboratori di Paolo VI in Vaticano perfettamente sintonizzati con quanti
avevano «da sempre avversato il progetto politico di Aldo Moro». Mentre Papa
Montini, isolato, era invece tra quelli che «vorrebbero la trattativa». È noto
che Paolo VI, amico di lunga data di Moro, aveva cercato in tutti i modi di
aiutarlo. Erano stati allertati i cappellani delle carceri perché cercassero
informazioni utili e il Vaticano era pronto a pagare un riscatto di 10 miliardi.
Certo, la testimonianza di Bettazzi tende ad accreditare l’esistenza di una
Curia «cattiva», che riteneva Moro colpevole dell’apertura al Pci e non voleva
liberarlo come invece cercava di fare Papa Montini. Va ricordato però che la
cosiddetta «linea della fermezza» era appoggiata non soltanto dalla Dc, ma dal
Pci guidato da Enrico Berlinguer. Così come va ricordato che la famosa «Lettera
agli uomini delle Brigate rosse», contenente la famosa richiesta di liberare
Moro «senza condizioni», che agli occhi dei brigatisti e dello stesso ostaggio
sembrò chiudere alla possibilità di una trattativa, venne vergata interamente di
proprio di pugno dal Papa, come ha rivelato il suo segretario, monsignor Macchi.
Quell’esperienza fu terribile per Paolo VI. La
indaga, in un intenso volume appena pubblicato, che ha i tempi dell’opera
teatrale, lo scrittore Ferruccio Parazzoli. (Adesso viene la notte, Mondadori,
pp. 128, euro 13). La tragica vicenda del rapimento dello statista viene letta
attraverso la coraggiosa denuncia che lo stesso Pontefice aveva fatto sulla
presenza del diavolo nella società e anche nella Chiesa, definendolo «un essere
oscuro e conturbante che semina errori e sventure nella storia umana».
Il Giornale, 13 marzo 2008
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