L'intervista
Cossiga: non potevo trattare. Così ho concorso ad
ammazzare Moro
Presidente Cossiga del rapimento e uccisione di
Aldo Moro abbiamo una versione definitiva e veritiera o c'è ancora molto da
scoprire?
Facciamo un discorso un po' scientifico: esiste
la Storia ed esiste la fantasia [...]
Quando la Storia non combacia con le proprie scelte
ideologiche si esercita la fantasia e si ha quella specifica forma di storia che
si chiama dietrologia. Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse e le Brigate
Rosse sono un fatto tutto italiano e, come dice giustamente quella gran signora
di Rossana Rossanda, un fatto tutto interno alla sinistra italiana e alla storia
della Resistenza. Prima di fare il colpo, con quella potenza geometrica di
fuoco, i brigatisti si addestrarono. Probabilmente le armi che avevano erano
state fornite dall'Olp.
Qual è il suo ricordo di quella mattina?
Io abitavo allora a via Cadlolo, quasi di fronte
all'Hotel Hilton, e uscivo molto presto la mattina. Mi fermavo a un'edicola a
guardare le riviste che non mi compravano, che erano quelle di elettronica. Lì
mi raggiunse il caposcorta, che mi disse che mi cercava il capo della polizia.
Io andai alla macchina e il capo della polizia mi disse: "hanno annientato la
scorta di Moro. Lui non si sa. Forse l'hanno ucciso, forse l'hanno ferito, forse
è al Policlinico Gemelli, forse è morto". Io feci avviare la sirena e andai alla
Presidenza del Consiglio. Era il giorno in cui il governo si doveva presentare
alle Camere, con Enrico Berlinguer che voleva informare Andreotti che non
avrebbe più votato il suo governo perché aveva messo degli uomini che
rappresentavano per lui simboli negativi. Erano nomi che Moro aveva imposto,
uomini della destra e del centro-destra della Dc.
Istituzioni e sistema politico sembrarono del tutto
impreparati ad una notizia del genere. O no? Quale fu a suo giudizio il legame
tra Br e Mosca?
Alcuni parlano delle Br strumentalizzate dall'Unione
Sovietica che non voleva il compromesso storico. Non è vero. L'Unione Sovietica
voleva il compromesso storico, perché era comunque un modo di attenuare alcuni
aspetti della nostra politica atlantica. Enrico Berlinguer, dice a Pansa, alla
vigilia del '76:"se andremo al potere manterremo la nostra appartenenza alla
Nato, perché tra l'altro la Nato è un ombrello che garantisce anche la nostra
indipendenza". Il marxista-leninista Enrico Berlinguer, non stalinista, mai
avrebbe reso una simile intervista se Mosca non gli avesse detto: "falla pure,
pensa a vincere e basta". Poi, Aldo Moro è uno dei fondatori di Gladio…
Quindi?
Aldo Moro era un uomo abile, ma Stay Behind è stata
fondata per volontà di Moro, di Taviani, di Martino e con l'aiuto tecnologico di
Enrico Mattei. Comunque, io ho preso un pugno in faccia in vita mia alla Camera.
Da chi?
Da Pajetta.
Quando?
Quando Moro fece il discorso in difesa dell'intervento
americano nel Vietnam.
Aldo Moro era quindi un uomo politico italiano e
occidentale senza se e senza ma?
Senza se e senza ma. Capiva, però, che in questo Paese
non si sarebbe potuto governare a lungo senza trovare un accordo con i
comunisti. L'accordo che De Gasperi aveva già trovato. De Gasperi non aveva già
stretto un accordo con Togliatti? E la Costituzione italiana cos'è? Un patto tra
le due forze.
Nel circuito dei grandi protagonisti
politico-istituzionali della vita italiana del dopoguerra, il posto di Aldo Moro
qual è?
Gli uomini di Stato italiani sono stati Cavour, che non
parlava l'italiano bene, pensava in inglese e scriveva in francese. Il secondo è
stato Giolitti, che ha fatto l'Italia moderna. Poi Mussolini, anche se io sono
stato educato a casa mia a pane, latte, antifascismo e repubblicanesimo. E poi
De Gasperi. Sarebbe stato Togliatti un grande uomo di Stato. Il più grande uomo
di governo dopo Giolitti e Mussolini fu Andreotti; il più grande leader politico
Aldo Moro.
Ma per liberare Aldo Moro fu fatto, dal punto di
vista delle indagini, tutto il possibile?
Tutto il possibile, ma eravamo troppo deboli. Una mia
frase tratta da un'intervista rilasciata al suo collega Aldo Cazzullo è stata
equivocata. Non è vero che il capo del commando mi ha detto che mille persone
conoscevano il nascondiglio di Aldo Moro. Lui mi disse che più di mille persone,
anche sindacalisti del Pci, ci avrebbero potuto indicare nomi, cognomi e
abitazioni dei brigatisti rossi. Il Partito Comunista è diventato un partito di
Stato, io ho collaborato con esso, chiamo Massimo D'Alema "Il meglio figo del
bigoncio". Ma, anche per come noi li abbiamo trattati nei primi vent'anni,
l'antipatia per i Servizi e per le forze di polizia gli è rimasta. Hanno
cancellato Ugo Pecchioli. Per revocarlo hanno chiamato me. Hanno cancellato
Rossa, come è raccontato nel libro della figlia. Perché, in fondo, per un vero
militante comunista, un compagno, anche se sbaglia come i brigatisti, come
diceva Rossana Rossanda, non si tradisce.
Se guardiamo invece ai 55 giorni dal punto di vista
politico e della gestione che i vertici istituzionali fecero nel caso, qui è
evidente che la vicenda si complica, cioè liberare Moro significava accettare le
condizioni proposte dalle Brigate Rosse…
La condizione era una sola: non la liberazione dei
prigionieri, né tantomeno come credeva ingenuamente il Vaticano il denaro. Era
il riconoscimento politico in modo da aggirare il Partito comunista imborghesito
di Berliguer.
C'era qualcuno favorevole a questo riconoscimento?
Si nascondevano sotto lo scambio dei prigionieri nelle
trattative. E poi c'era chi voleva far saltare Andreotti.
Ma nei 55 giorni, a suo giudizio, si arrivò vicini a
liberare Moro?
Questo a suo giudizio indusse le Brigate Rosse ad
accelerare la conclusione del processo e ad uccidere Moro?
Guardiamo alla vicenda nella sua gestione politico e
istituzionale. Poteva andare diversamente?
Quando io andai a trovare questi signori in carcere, gli
chiesi come mai non avevano capito che loro avevano vinto. E gli dissi che non
avrebbero vinto ma stravinto, se avessero fatto il processo a Moro, lo avessero
condannato a morte, e dopo che Paolo VI ne aveva chiesto la liberazione, loro
avessero detto: "In omaggio a Paolo VI che ci ha riconosciuto, lo liberiamo".
E loro perché non lo liberarono?
Perché a mio avviso loro avevano il mito della
esemplarità: siamo creduti soltanto se siamo feroci, cioè il processo
rivoluzionario, le purghe, la confessione.
Perché secondo lei allora è così viva ancora la tesi:
"Moro doveva morire"?
Lei sa che per alcuni gli assassini di Aldo Moro si
chiamano, Paolo VI, Giulio Andreotti, Benigno Zaccagnini e Francesco Cossiga.
Comunque fino a quando lo dice la moglie e i figli capisco, sempre sono stati
privati di un marito di un genitore. Ma anche per una parte della sinistra Dc,
non quella di base però, non è possibile che Moro sia stato ucciso da sinistra.
Moro deve essere stato ucciso da destra e dall'imperialismo americano.
Lei porta ancora i segni della sofferenza di quei
giorni
Quando io dico che ho concorso ad ammazzarlo è vero,
anche se non sono un assassino. A differenza di altri io sapevo benissimo che la
linea della fermezza, salvo un miracolo, avrebbe portato alla sua morte.
Lo pensava anche Andreotti?
Sì. Ma che sperava più di me.
E Berlinguer?
Assolutamente.
In una lettera indirizzata a lei Moro evoca la
ragione di Stato. Scrive così:"io mi trovo sotto un dominio pieno e
incontrollato sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente
graduato…
Un momento, ecco l'inizio del riconoscimento. Lui
trattava. Un processo popolare. Riconosce la legittimità popolare e democratica
delle Br al processo.
"Che sono in questo Stato, avendo tutte le conoscenze
e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere
chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole o
pericolosa in determinate occasioni", Ecco, scrive Moro "il sacrificio degli
innocenti in nome di un astratto principio di legalità mentre un indiscutibile
stato di necessità dovrebbe indurli a salvarli è inammissibile".
Esatto. Lui era un cattolico sociale e riteneva che
contassero innanzitutto la società e la persona e che lo Stato fosse una
sovrastruttura tecnica. E che lo Stato non potesse essere uno Stato di cui si
doveva tutelare il prestigio.
È autentico il Moro che scrive così?
È autentico. E cerca di trattare con le Br.
Gli appelli che Moro fa alla al suo partito che
effetto ebbero?
Beh, alla fine ebbero effetto, tanto è vero che loro
uccidono Moro il giorno in cui forse, su proposta di Fanfani, la direzione del
partito avrebbe convocato il Consiglio nazionale, e il Consiglio nazionale
avrebbe votato per le trattative. E poi il Partito comunista si fidava solo di
Andreotti e di me. Appena uscì la prima lettera di Moro Ugo Pecchioli, venne da
me e mi disse: "Che Moro esca vivo o che Moro esca morto, dopo questa lettera
Moro è per noi politicamente morto. E quando Andreotti, con il mio consenso,
permise alla Dc, di cercare la strada di Amnesty International, la strada della
Croce Rossa e così via, vennero nel mio studio Enrico Berlinguer e Pecchioli a
dire: "Adesso basta".
In un'altra missiva che manda a lei, Moro entra nel
merito della trattativa, addirittura indicando un Paese, l'Algeria, come
possibile Paese che avrebbe potuto ospitare i terroristi di cui si chiedeva la
liberazione. Questa strada fu concretamente esplorata?
Fu esplorata dal ministro della Giustizia di allora, che
poi divenne presidente della Corte Costituzionale, ed era favorevolissimo
Giovanni Leone. In una burrascosa riunione del comitato per l'informazione e la
sicurezza, fu scartata con violenza da Carlo Donat Cattin, che non pensava
neanche lontanamente che il figlio fosse di Prima Linea.
Trent'anni dopo. Poteva finire diversamente?
Se avessimo trattato e cioè avessimo riconosciuto
soggettività politica alle Br, sarebbe saltato certamente il compromesso
storico, Moro sarebbe uscito e avrebbe guidato una crociata anticomunista. Però
avremmo sfasciato le forze di polizia che non avrebbero più creduto al potere
politico.
In questo che lei dice pesa il fatto che cinque
uomini della scorta erano stati uccisi?
Certo. E che la moglie di uno di questi aveva minacciato
di darsi fuoco davanti a piazza del Gesù se noi avessimo fatto le trattative.
L'uccisione di Moro ha cambiato la storia d'Italia?
L'ha cambiata perché ha interrotto il compromesso
storico. Perché Berlinguer credeva non alla Dc ma solo ad Aldo Moro. Dopo che fu
ucciso Moro lui perse le amministrative, vinte dalla Dc perché era il partito
del martire e perché nel immaginario collettivo le Br non erano verdi o bianche,
erano rosse.
E questa è l'influenza più grande?
Sì. E lì Berlinguer compì forse due errori: aver fatto
il compromesso storico troppo in fretta e averlo finito troppo in fretta.
Dove è continuato il suo dialogo con Moro in questi
trent'anni?
In chiesa. Solo in chiesa.
Sì. No. Il loro leader mi disse che avevamo sbagliato
tutto, che avremmo dovuto usare i vigili urbani, non le forze speciali. Però
loro si accorsero che noi stavamo per arrivare perché alla fine su mia
iniziativa dividemmo la città di Roma in tanti quadratini. Anzitutto erano stati
demoliti i servizi di informazione e di sicurezza con due grandi operazioni di
disinformazione del Kgb. Operazioni che avevano come obiettivo quello di
scompaginare i servizi segreti e quella forza di polizia che loro consideravano
più pericolosa, e cioè i Carabinieri. La prima è il Piano Solo. I giornalisti
che fecero la campagna non lo sapevano, ma il boccone avvelenato, per varie
tappe, partì dal Kgb. La seconda è la P2. Poi vi fu un terzo tentativo di
disinformazione, pensato contro Berlinguer. Fu quello della compravendita dei
terreni di famiglia, ma fallì. Allora io dissi: "Mio Dio, se anche il Kgb
sbaglia siamo fregati".
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