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L’uomo Cia burattinaio delle Br?
Mario Cervi
A trent’anni dal sequestro di Aldo Moro,
avvenuto il 16 marzo del 1978, emerge una testimonianza senza dubbio
interessante e forse importante. Steve Pieczenick - che l’amministrazione Carter
aveva inviato a Roma dopo l’agguato di via Fani perché collaborasse con le
autorità italiane - ha deciso di rivelare finalmente quale sia stato il suo
ruolo. L’ha fatto - traggo queste notizie da un servizio della Stampa di ieri -
confidandosi con il giornalista francese Emmanuel Amara che ne ha tratto un
libro («Abbiamo ucciso Aldo Moro», Cooper edizioni).
Pieczenick - questi in sintesi i passaggi di
maggior rilievo della narrazione - elaborò una strategia mirante a due
obbiettivi: 1) mantenere in vita Moro il più a lungo possibile, così che il
ministro dell’Interno Cossiga potesse meglio controllare i Servizi, gli organi
di polizia, e i militari, tutti allo sbando; 2) indurre i brigatisti a credere
che lo Stato, pur mantenendo un’apparente fermezza, avrebbe negoziato. In questa
strategia Pieczenick inserisce il comunicato fasullo del 18 aprile annunciante
che il corpo di Moro era stato recuperato nel lago della Duchessa, sulle
montagne al confine tra Lazio e Abruzzo (piombati al lago, i carabinieri ne
videro la superficie ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio, intatto). Il
falso comunicato era opera, secondo Pieczenick, dei servizi segreti italiani,
che volevano preparare al peggio l’opinione pubblica, e anche disorientare le Br.
«Fu - scrive Pieczenick - un’iniziativa brutale alla quale egli non partecipò
direttamente, ma che sacrificò la vita dello statista democristiano alla ragion
di Stato». «Storditi, infuriati, delusi» i brigatisti assassinarono l’ostaggio.
Pieczenick non è un mitomane. Arrivò a
Fiumicino ufficialmente, la sua missione era autorizzata dalla Casa Bianca:
questo dà un peso particolare a quanto racconta e dà un avallo rilevante ad una
tesi della cospirazione per la fine di Moro che è stata sostenuta da molti
altri, in versioni divergenti, e il più delle volte su fondamenti di prova e di
logica del tutto inconsistenti. Attingendo a motivazioni delle sentenze che
condannarono i sequestratori e uccisori di Moro, tanti politici e saggisti hanno
insistito - accade quasi sempre, basta citare l’attentato al presidente Kennedy
e le circostanze dell’uccisione di Mussolini - su una verità nascosta. È stato
ipotizzato un legame con i servizi segreti israeliani, che avrebbero avvicinato
elementi del terrorismo rosso per indurli ad agire, e parallelamente per indurre
gli Usa a privilegiare Israele e non l’Italia come alleato sicuro nel
Mediterraneo.
Quanto alla P2, è risaputo che la maggioranza
della Commissione parlamentare d’inchiesta le attribuì un’azione tenebrosa ad
ampio raggio, un intervento nei più tremendi misfatti del dopoguerra italiano
(questo in contrasto con la magistratura ordinaria che ridusse la P2 al rango
d’un avido comitato d’affari). Tina Anselmi, che presiedette la commissione
d’inchiesta, ha affermato: «Ci sono ancora tanti interrogativi non risolti nella
vita di questo Paese. A cominciare dalla morte di Aldo Moro. Non sappiamo ancora
oggi dove è stato nascosto e non sappiamo per ordine di chi è stato ucciso. Che
la P2 avesse un progetto politico è provato, è agli atti. E che certamente
avesse tra i suoi obbiettivi quello di far fuori la Dc di Zaccagnini e di Moro
(come si legge testualmente in un documento noto) è un altro fatto certo».
Pieczenick è in compagnia numerosa, anche se
non sempre buona per quanto riguarda la credibilità. La faccenda del lago è,
secondo Cossiga, una fesseria, perché la Procura della Repubblica di Roma, la
polizia e i carabinieri attestarono la genuinità del comunicato falso. In realtà
alcuni retroscena sono stati poi sviscerati. Molto dopo la morte di Moro si
accertò che l’autore del comunicato apocrifo era stato un falsario legato ad
ambienti torbidi, Toni Chicchiarelli, assassinato nel settembre del 1984 in
circostanze rimaste misteriose. Il che lascia interrogativi sul motivo e sui
mandanti del falso. Cossiga concorda con la diagnosi politica di Pieczenick
secondo il quale l’uccisione di Moro ha impedito il crollo dello Stato. È una
diagnosi verosimile. Le rivelazioni e le ipotesi sono utili purché non portino
ad una sorta di paradosso rimasto in piedi nonostante i processi, le confessioni
e le memorie autentiche degli assassini. Il paradosso secondo il quale Moro
l’avrebbero in buona sostanza ammazzato la Dc o la Cia, o Kissinger, o il Kgb, o
la P2, o gli israeliani o i servizi segreti italiani; con le Brigate rosse come
esecutrici materiali della sentenza decisa altrove. No, Moro l’hanno ammazzato i
brigatisti rossi. Sono d’accordo con lo storico americano Richard Drake - che
del caso Moro si è molto occupato - nell’esortazione agli italiani «di essere
sospettosi sulle teorie cospirative almeno quanto lo sono stati sulle
ricostruzioni ufficiali».
Il Giornale, 10 marzo 2008
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