"Ho manipolato le Br per far uccidere Moro"
Dopo 30 anni le rivelazioni del «negoziatore» Usa
FRANCESCO GRIGNETTI
«Ho mantenuto il silenzio fino ad oggi. Ho
atteso trent’anni per rivelare questa storia. Spero sia utile. Mi rincresce per
la morte di Aldo Moro; chiedo perdono alla sua famiglia e sono dispiaciuto per
lui, credo che saremmo andati d’accordo, ma abbiamo dovuto strumentalizzare le
Brigate Rosse per farlo uccidere. Le Br si erano spinte troppo in là». Chi parla
è Steve Pieczenick. Un uomo misterioso, che volò in Italia nei giorni del
sequestro Moro, inviato dall’amministrazione americana ad «aiutare» gli
italiani. Pieczenick non ha mai parlato di quello che fece in quei giorni. Dice
addirittura di essersi impegnato con il governo italiano di allora a non
divulgare mai i segreti di cui è stato a conoscenza. Ed è un fatto che né la
magistratura, né le varie commissioni parlamentari sono mai riuscite a
interrogarlo. Finalmente però l’uomo del silenzio ha parlato con un giornalista,
il francese Emmanuel Amara, che ha scritto un libro («Abbiamo ucciso Aldo Moro»,
Cooper edizioni) sul caso.
Le rivelazioni sono sconvolgenti. Pieczenick,
che è uno psichiatra e un esperto di antiterrorismo, avrebbe avuto un ruolo ben
più fondamentale in quei giorni. E che ruolo. «Ho manipolato le Br», dice. E
l’effetto finale di questa manipolazione fu l’omicidio di Moro.
Il «negoziatore» Pieczenick arriva a Roma nel
marzo 1978 su mandato dell’amministrazione Carter per dare una mano a Francesco
Cossiga. E’ convinto che l’obiettivo sia quello di salvare la vita allo
statista. Ben presto si rende conto che la situazione è molto diversa da quanto
si pensi a Washington e che l’Italia è un paese in bilico, a un passo dalla
crisi di nervi e dalla destabilizzazione finale.
Da come maltratta l’ambasciatore e il
capostazione della Cia si capisce che Pieczenick è molto più di un consulente.
E’ un proconsole inviato alla periferia dell’impero. «Il capo della sezione
locale della Cia non aveva nessuna informazione supplementare da fornirmi:
nessun dossier, nessuno studio o indagine delle Br... Era incredibile, l’agenzia
si era completamente addormentata. Il colmo era il nostro ambasciatore a Roma,
Richard Gardner. Non era una diplomatico di razza, doveva la sua nomina ad
appoggi politici». Cossiga è molto franco con lui. «Mi fornì un quadro terribile
dalla situazione. Temeva che lo Stato venisse completamente destabilizzato. Mi
resi conto che il paese stava per andare alla deriva».
Nella sua stanza all’hotel Excelsior, e in una
saletta del ministero dell’Interno, Pieczenick comincia lo studio
dell’avversario. Scopre che invece sono i terroristi a studiare lui. «Secondo le
fonti di polizia dell’epoca, ventiquattr’ore dopo il mio arrivo mi avevano già
inserito nella lista degli obiettivi da colpire. Fu allora che capii qual era la
forza delle Brigate Rosse. Avevano degli alleati all’interno della macchina
dello Stato».
Una sgradevole verità gli viene spiegata in
Vaticano. «Alcuni figli di alti funzionari politici italiani erano in realtà
simpatizzanti delle Brigate Rosse o almeno gravitavano nell’area dell’estrema
sinistra rivoluzionaria. Evidentemente era in questo modo che le Br ottenevano
informazioni importanti». Così gli danno una pistola. «Ogni volta che uscivo in
strada stringevo più che mai la Beretta che avevo in tasca».
Comincia una drammatica partita a scacchi. «Il
mio primo obiettivo era guadagnare tempo, cercare di mantenere in vita Moro il
più a lungo possibile, il tempo necessario a Cossiga per riprendere il controllo
dei suoi servizi di sicurezza, calmare i militari, imporre la fermezza a una
classe politica inquieta e ridare un po' di fiducia all’economia».
Ma la strategia di Pieczenick diventa presto
qualcosa di più. E’ il tentativo di portare per mano i brigatisti all’esito che
vuole lui. «Lasciavo che credessero che un’apertura era possibile e alimentavo
in loro la speranza, sempre più forte, che lo Stato, pur mantenendo una
posizione di apparente fermezza, avrebbe comunque negoziato».
Alla quarta settimana di sequestro, però,
quando comincia l’ondata delle lettere di Moro più accorate, tutto cambia. Una
brusca gelata. Il 18 aprile, viene diramato il falso comunicato del lago della
Duchessa. Secondo Pieczenick è un tranello elaborato dai servizi segreti
italiani. «Non ho partecipato direttamente alla messa in atto di questa
operazione che avevamo deciso nel comitato di crisi». Il falso comunicato serve
a preparare l’opinione pubblica al peggio. Ma serve soprattutto a choccare i
brigatisti. Una mossa che mette nel conto l’omicidio di Moro. E dice Pieczenick:
il governo italiano sapeva che cosa stava innescando.
«Fu un’iniziativa brutale, certo, una decisione
cinica, un colpo a sangue freddo: un uomo doveva essere freddamente sacrificato
per la sopravvivenza di uno Stato. Ma in questo genere di situazioni bisogna
essere razionali e saper valutare in termini di profitti e perdite». Le Br di
Moretti, stordite, infuriate, deluse, uccidono l’ostaggio. E questo è il freddo
commento di Pieczenick: «L’uccisione di Moro ha impedito che l’economia
crollasse; se fosse stato ucciso prima, la situazione sarebbe stata
catastrofica. La ragion di Stato ha prevalso totalmente sulla vita
dell’ostaggio».
La Stampa, 9 marzo 2008
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