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ISBN 9788867559756
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1.0 del 22/05/2013
Tipologia: Novità

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Vuoto a perdere è il solito libro sul caso Moro?
Ascolta cosa ne pensa Giovanni Pellegrino
(Presidente della Commissione Stragi dal 1994 al 2001)


Documento inedito

 
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Il giallo dei bossoli in via Fani e l'appunto sparito
25/03/2015 - Il Sole24ore - Roberto Galullo  
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Il giallo dei bossoli in via Fani e l'appunto sparito

il 10 marzo il magistrato Gianfranco Donadio – ex procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia e ora consulente della Commissione bicamerale d'inchiesta sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro – ha depositato una relazione segreta relativa a possibili accertamenti da condurre sui bossoli rinvenuti a via Fani.

Si spiega meglio, conoscendo questa novità, la sorpresa che suscitò in tutta Italia la Polizia scientifica, allorché dal 22 febbraio diede il via ad una nuova serie di accertamenti in Via Fani, dove Moro venne rapito e i suoi cinque agenti di scorta trucidati.

Oltre 37 anni fa, il giorno del rapimento, avvenuto il 16 marzo 1978, all'angolo di via Fani con via Stresa, gli agenti di Ps e i Carabinieri rinvennero 84 bossoli calibro 9 e 4 calibro 7,65, 12 frammenti di proiettili, un caricatore con 25 colpi calibro 9 lungo, un paio di baffi posticci e la pistola dell'agente di scorta Raffaele Iozzino, mentre non è stata ritrovata la pistola mitragliatrice Beretta M12 in dotazione al brigadiere di scorta Francesco Zizzi.

La deposizione del 1991 Il gruppo di lavoro sul caso Moro della precedente Commissione d'inchiesta, nella seduta del 10 ottobre 1991, sotto la presidenza del senatore Francesco Macis, espletò l'audizione del senatore Sergio Flamigni, forse il maggior analista italiano dell'affaire Moro. Flamigni (cartelle nn. 38 e 39) dirà che dei 91 bossoli delle armi usate che erano stati rinvenuti, ben 49 appartenevano ad un'arma sola (non è stato ancora ben individuato chi fosse il tiratore). L'azione è stata definita «un gioiello di perfezione» da un ufficiale dei servizi segreti, la cui intervista è stata pubblicata dalla “Repubblica” dll 18 marzo 1978. Secondo quell'ufficiale un'azione di tal genere poteva essere portata a termine solo da due categorie di persone: o militari addestrati in modo ultra sofisticato oppure, il che è sostanzialmente lo stesso, da civili che fossero stati sottoposti ad un lungo e meticoloso training in basi militari specializzate in operazioni di commando.

Alla luce di questa dichiarazione, disse Flamigni nel 1991, appare piuttosto superficiale credere all'ex brigatista Valerio Morucci quando disse che «l'unica prova dell'azione era stata compiuta nella villa di Velletri», naturalmente senza poter sparare. A proposito della strage di via Fani, ricordò infine l'ex senatore Flamigni nel 1991, c'è l'esigenza di chiarire il significato di certe espressioni usate dai periti a proposito di 39 bossoli senza la data di fabbricazione in uso ad eserciti non regolari o ad enti parastatali.

La perizia balistica del ‘Moro quater' La perizia medico-balistica disposta il 2 giugno 1993 dall'allora pubblico ministero Antonio Marini, nell'ambito del quarto processo Moro (23 febbraio 1994, pagine 32, 33), ha ribadito quanto già affermato nella perizia del 1981, ovvero che a sparare in via Fani furono sette armi. I medici legali Silvio Merli e Enrico Ronchetti, con il perito balistico Antonio Ugolini, hanno fornito una ricostruzione dell'agguato divergente rispetto a quella descritta da Valerio Morucci nel suo “memoriale”.

Secondo Morucci infatti i brigatisti avrebbero colpito la scorta di Moro con il fuoco di quattro mitra e due pistole semiautomatiche, sparando tutti i colpi dallo stesso lato della strada. I periti hanno invece identificato i bossoli di una quinta pistola, una calibro 9 ed hanno accertato che l'attacco fu portato da entrambi i lati.

Inoltre la nuova ricostruzione peritale rilevò un altro elemento contrastante con la versione fornita da Morucci nel memoriale scritto nel 1986: secondo questa versione l'unico del gruppo di fuoco ad avere una pistola calibro 7,65 sarebbe stato Franco Bonisoli, il quale tuttavia non avrebbe sparato contro il caposcorta maresciallo Oreste Leonardi. La perizia ha invece stabilito che a colpire Leonardi, oltretutto dal lato opposto della strada rispetto a quanto dichiarato da Morucci, sarebbe stata proprio un'arma calibro 7,65.

Il che porterebbe a ritenere che il commando fosse composto da un numero di persone superiore alle nove indicate da Morucci (lo stesso Morucci, Mario Moretti, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Alvaro Loiacono, Alessio Casimirri, Bruno Seghetti). Tanto più che la perizia, ricorda oggi l'onorevole Gero Grassi, al quale si deve la nascita della nuova Commissione bicamerale d'inchiesta, ha anche stabilito un'ulteriore circostanza, sempre negata da Morucci e dagli altri brigatisti pentiti: il parabrezza del motorino di Alessandro Marini, l'occasionale testimone che riferisce di essere stato fatto oggetto di colpi di arma da fuoco da parte di due terroristi a bordo di una moto, è risultato effettivamente infranto da un proiettile. L'insieme di tali circostanze porta dunque, ancora una volta, a ritenere che la ricostruzione che i brigatisti pentiti e dissociati hanno fornito dell'azione di via Fani presenta ancora oggi dei vuoti.

Colmare i vuoti: l'appunto Per colmarne alcuni (fondamentali) e per capirne di più, il magistrato-consulente Donadio ha riportato ora alla luce uno scambio epistolare del 1999 tra l'allora presidente della Commissione parlamentare sulle stragi, il senatore Giovanni Pellegrino, l'allora capo della Procura della Repubblica di Roma, Salvatore Vecchione e l'allora sostituto procuratore Franco Ionta. Pellegrino, il 28 ottobre 1999 (nota n. 3744/cs) scrive alla Procura e gli fa presente che un appunto della Questura di Roma del 29 settembre 1978 segnala che alcuni bossoli di via Fani provenivano da un deposito dell'Italia settentrionale, le cui chiavi sarebbero state in possesso di sole sei persone.

Il deposito del Nord Pellegrino chiese dunque alla Procura le risultanze delle perizie balistiche e se fossero state effettuate indagini sul deposito (militare o di enti istituzionali) del nord e sull'identità delle sei persone in possesso delle chiavi. Il 3 novembre 1999, alle 10.30, presso gli uffici della Questura di Roma, su delega del pm Ionta, su quell'appunto la Digos sente Domenico Spinella, ex prefetto in servizio al Viminale, ex capo della Digos, tra i primi ad accorrere sul luogo dell'agguato insieme all'allora questore di Roma Emanuele De Francesco, che dichiara testualmente: «Non ricordo chi sia stato l'estensore dell'appunto che mi viene esibito in copia fotostatica. Riconosco la mia firma e la firma dell'allora questore di Roma Emanuele De Francesco. Ritengo che potrebbe risalirsi all'estensore, esaminando l'originale dell'appunto, nel quale potrebbe evidenziarsi, se il tempo non l'ha cancellata, la sigla apposta in prossimità della mia firma. Non ricordo assolutamente l'origine delle notizie contenute nell'appunto».

Appunto sparito Il 4 novembre 1999 la Digos scrive una nota a Ionta (che la recepisce il giorno dopo) nella quale, oltre a verbalizzare quanto dichiarato dal prefetto Spinella, si legge, testualmente, che «l'originale dell'appunto non è stato rinvenuto». Il 6 novembre 1999 Ionta e Vecchione, terminate le brevi indagini effettuate a stretto giro dalla richiesta, rispondono alla Commissione parlamentare trasmettendo copia della perizia balistica conferita il 16 marzo 1978 sui reperti di via Fani e depositata l'11 luglio 1978, oltre alla copia della nota (informativa) della Digos del 4 novembre. Sul deposito del nord neppure una riga e forse anche per questo, il 2 marzo, la Commissione ha deciso di chiamare presto a testimoniare Domenico Spinella su quell'appunto originariamente classificato «segretissimo» sulla provenienza di alcuni bossoli (De Francesco è deceduto nel 2011). Il mistero dei bossoli, dunque, a distanza di 37 anni resiste ma anche su questo punto la Commissione bicamerale d'inchiesta spera di far luce.

di Roberto Galullo - (25 marzo 2015, Il Sole 24 Ore)

di Roberto Galullo - (25 marzo 2015, Il Sole 24 Ore)

 

 

       

 

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