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Morto suicida l’agente che arrestò i vertici delle nuove
Brigate Rosse
Del suo nome ormai non si ricordava quasi nessuno. Bruno Fortunato, agente in
pensione della Polfer, è morto suicida a 52 anni, ucciso da un colpo alla testa
sparato dalla stessa pistola che nel conflitto a fuoco consumatosi nel 2003 a
bordo del treno Roma – Bologna, aveva ucciso Mario Galesi, esponente delle nuove
Brigate Rosse. Nella sparatoria era morto anche il collega di Fortunato, il
sovraintendente Emanuele Petri, ed era stata catturata una delle maggiori
esponenti delle rinate Br, Nadia Desdemona Lioce. Bruno Fortunato, invece, con
un proiettile nell’addome, era stato ricoverato d’urgenza: sette giorni in
rianimazione, poi una lunga riabilitazione e una medaglia d’oro al valor civile.
Durante il processo alle nuove Br, Fortunato ha detto di avere un unico
rimpianto, quello di «non avere sparato, non avere ucciso Nadia Desdemona Lioce
che mi puntava contro la pistola e non è riuscita ad ammazzarmi solo perché
aveva la sicura». Tra i fotogrammi di vita che l’agente non ha mai dimenticato,
infatti, quello della brigatista che gli puntava contro la pistola sottratta un
attimo prima al collega Giovanni di Fronzo e che solo a causa della sicura non
aveva esploso il colpo.
Ancora non sono chiari i motivi del suicidio. Sembra, infatti, che Fortunato,
originario di Portici, nel napoletano, non abbia lasciato biglietti per spiegare
il suicidio. Chi lo conosceva ha comunque sottolineato che, dal giorno della
sparatoria, non era stato più lo stesso. Ieri si è chiuso nella sua villetta di
Anzio e a nulla sono valsi i tentativi dei colleghi allertati dalla moglie
Filomena per dissuaderlo. Fortunato ha prima sparato un primo colpo in aria e
poi ha rivolto la pistola verso se stesso.
«È una cosa che non mi aspettavo» ha detto Alma Petri, la vedova di Emanuele,
visibilmente scossa. «Un ottimo servitore dello Stato, una persona che ha fatto
il suo dovere fino in fondo a rischio della vita», sono state invece le parole
dell’avvocato Antonio Bonacci che ha rappresentato l’agente come parte civile.
Eppure, dalle testimonianze della stesso Fortunato emerge una realtà
drammatica che sa di solitudine: «Qualche sera fa ho ascoltato un’intervista ai
parenti di Aldo Moro, i quali hanno detto che nessuno si è più ricordato di loro
e neppure gli amici si sono fatti più vivi. Accade anche a me, nonostante io
abbia incontrato le Brigate rosse molto più recentemente».
Emilio Fabio Torsello (Oknotizie.virgilio.it 11 aprile 2010)
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