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E se l'ex brigatista si chiama Patrizio Peci?
Di Manlio (del 20/10/2008 @ 16:06:55, in Attualità, linkato 6062 volte)
Sembra si sia innescata una spirale. Ed il dibattito sugli ex militanti di lotta armata, le vittime, le associazioni e la nostra società, si allarga a nuovi interventi. Sabato sera nella puntata di TG2 Dossier Storie è andato in onda un servizio che, partendo dalla solita mancata estradizione dell’ex brigatista Marina Petrella ha affrontato il più generale tema del poco spazio fornito invece alle famiglie delle vittime. Il giorno dopo, su Repubblica, Silvana Mazzocchi ha realizzato il classico gol in contropiede intervistando niente di meno che Patrizio Peci il quale, tanto per gradire, sta per mandare in libreria una riedizione del suo famoso “Io, l’infame” che nel 1983 fu il suo primo atto di dolore per il grande pubblico. Luca Telese riprende sul suo sito l'argomento e su Il Sole 24ore un articolo di Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter assassinato nel maggio dell’80 da una banda di imbecilli capeggiata da Marco Barbone (altro pentito che ha scontato pochissimo carcere), analizza i differenti punti di vista sul rapporto tra terrorismo e cinema.

Proviamo a mettere insieme il mosaico…

Benedetta Tobagi, nell’inserto culturale della domenica del Sole 24ore rilancia il tema del rischio che le storie del passato possano alimentare, raccontate oggi, un alone di romanticismo soprattutto se il ruolo di un ex come Sergio Segio viene interpretato da un “figo” come Riccardo Scamarcio. A risponderle è il produttore del film, Andrea Occhipinti, che sottolinea come in realtà sia la storia a contare e non le scelte artistiche che, trattandosi di prodotto commerciale, devono essere compiute secondo principi legati più all’economia che alla morale. In merito all’istituzione proposta dal Ministro Sandro Bondi di una commissione che valuti le opere per decidere se possano aspirare ad usufruire dei finanziamenti pubblici è il Direttore Generale per il Cinema del Ministero dei Beni Culturali Gaetano Blandi a rassicurare tutti noi. Nessuna censura preventiva, solo una scelta etica: aderire alle parole del Presidente della Repubblica Napolitano pronunciate in occasione della prima giornata nazionale delle Vittime del Terrorismo. Il Ministero ha semplicemente chiesto alle associazioni cosa ne pensassero dei diversi film (non dal punto di vista artistico), a parlarne con autori e produttori che per conto loro si sarebbero impegnati a non dare spazio agli ex terroristi in occasione delle presentazioni pubbliche dei loro lavori.
Le solite cose all’italiana, mi verrebbe da pensare. Una questione di facciata, cambiarsi l’impermeabile senza curarsi delle mutande sporche…


Dall’intervista di Silvana Mazzocchi
«Ormai sono un´altra persona, che vive e fa cose diverse, che ha una famiglia, un figlio».
Il diritto alla normalità Peci lo dà per scontato. In base alla sua collaborazione e al suo ravvedimento. A giudicare dalle proteste pervenute (cioè zero) sembra che da tutti questo suo diritto gli sia da tutti riconosciuto.

«Sono quello che sono. Ma chi mi ha accettato ha riconosciuto la mia buona fede, sempre, dalla lotta armata alla dissociazione. Tutte scelte trasparenti, compiute senza condizionamenti».
Strano questo suo richiamo alla trasparenza ed all’autonomia… La sua buona fede se la sarebbe portata dietro in tutte le proprie scelte. E’ proprio questo che deve avergli fatto ricevere un trattamento di favore, evidentemente.

«Se ho accettato di scrivere una parte nuova del mio libro è stato solo per dimostrare che si può cambiare veramente vita e diventare un altro. Che si possono avere degli affetti e perfino qualche bene materiale. Volevo dimostrare che è possibile farcela».
Ricapitoliamo. Se a lui, di questi tempi, è offerta la chance di ripubblicare un libro, fare una lunga intervista su uno dei principali quotidiani nazionali deve essere proprio per questo. Dimostrare che è possibile rifarsi una vita. Ma le famiglie delle vittime, di questo, cosa ne pensano?
Certo avere affetti e beni “materiali” per uno che non è passato dai permessi, dal lavoro esterno, dalla semi-libertà e poi dalle richieste al Tribunale di Sorveglianza, è molto più semplice. Se poi ha avuto un piccolo aiutino da parte dello Stato è ancora più semplice…

«Non si può perdonare quello che non ha senso. E forse è per questo che i parenti delle vittime non riescono a spiegare mai, a chi non lo ha conosciuto, il senso del lutto. Non puoi perdonare la perdita irrevocabile, soprattutto quando sai che non c´era motivo, soltanto odio e ferocia animalesca in chi ha premuto il grilletto».
Non è molto chiaro se Peci parli più da terrorista o da familiare di una vittima. In ogni caso confesso che mi piacerebbe conoscere il parere delle associazioni su questo particolare aspetto, sempre ammesso sia possibile criticare il punto di vista del Pentito.

Dall’articolo di Luca Telese
Come prima cosa è bene ribadire come non sia stato Peci a sconfiggere le Br. Stando ai numeri l'80, l'81 e l'82 sono stati anni tragici dal punto di vista dei lutti e dell'efferatezza degli attacchi. Moretti è restato libero per oltre un anno dopo l'arresto (il primo? il secondo?) del febbraio dell'80 di Peci e Micaletto. Le Br Senzaniane si distinsero per una ferocia che le Br ‘operaiste’ dell'inizio e persino quelle ‘militariste’ Morettiane non avevano ancora dimostrato. Quindi il fatto che Peci sia stato premiato per aver consentito la sconfitta dell'Organizzazione è un falso mito, che però torna comodo per giustificare premi e protezione di cui ha goduto...
Più in generale, i pentiti non sono stati la causa della sconfitta della lotta armata, ma l’effetto. Le organizzazioni hanno iniziato a sfaldarsi perché è mancata loro quella sensazione di avere le masse al proprio seguito, di coltivare consenso. Una sconfitta interna dovuta alla distanza che separava la società civile dalle analisi e dalla scelta di concentrare tutto sullo scontro frontale, militare, contro il ‘nemico’.

Telese ci ricorda come Peci abbia passato in carcere meno tempo rispetto a quello trascorso alle scuole elementari, la qual cosa oltre che stupire dovrebbe far inorridire molte persone. E che tutt'ora vive in una condizione di semi-clandestinità protetto da ufficiali dei quali è possibile solo citare il nome in codice!
Ma scusate, di chi dovrebbe preoccuparsi oggi Patrizio Peci? Nel 1987 le Br dichiarano esaurita la loro esperienza, dalla fine del secolo scorso tutti i militanti delle Brigate Rosse sono liberi o semi-liberi e hanno intrapreso nuove vite. Le nuove leve del brigatismo sono tanto isolate dalla realtà quanto inconsistenti che difficilmente uno come Peci avrebbe potuto rappresentare per loro un obiettivo.

Noto poi che Telese è un ingenuo ottimista: sperare che Peci possa dire qualcosa che non siano le solite verità di comodo degli ex brigatisti è come, per un tacchino, credere di essere un semplice invitato a pranzo il giorno del ringraziamento…
Ma come, Peci? Uno che nonostante tutte le protezioni e i benefici di legge di cui ha goduto, non ha detto una sola cosa di rilievo sul caso Moro? Semmai sono stati dopo gli altri ad “adeguarsi” all’incipit fornito dal pentito. Si, ufficialmente perché non vi ha partecipato e perché le poche cose di cui era al corrente le aveva sapute da Raffaele Fiore (brigatista della colonna torinese, uno dei quattro “aviatori” di via Fani). Salvo, poi, dichiarare di essere stato in possesso di manoscritti originali di Aldo Moro e descrivere alcuni dettagli dell’agguato di via Fani come se ce li avesse ancora sotto gli occhi.

A raccontare per la prima volta la storia del pentimento di Peci, è stato l’allora comandante delle guardie carcerarie dello Speciale di Cuneo, Maresciallo Angelo Incandela. In un’intervista del 1994 sul Corriere della Sera, in occasione della pubblicazione del suo libro Agli ordini del Generale Dalla Chiesa, Incandela ricordò come lo spietato Peci fu aiutato nel suo pentimento da "alcune quaglie ripiene, due etti di prosciutto crudo, due paia di slip e calzini nuovi più un fumetto di Tex, di Topolino e un numero della Settimana enigmistica. Farà ridere, ma la strada alla sconfitta del terrorismo italiano è stata aperta anche da un peccato di gola".
E tanto per non lasciare nulla al caso, sempre domenica 19 ottobre il quotidiano Il Giornale riprende, appesantendolo, il concetto: «Nessuno - avrebbe confermato Incandela - ha mai detto la verità su questa storia. Ma quale pentimento, quello non ha retto all'isolamento e dopo quattro giorni è crollato. Lo scriva, mi raccomando: non esiste un pentimento dell’anima, ma una tentazione della gola. È questa la verità vera».

Il Maresciallo, nell’intervista, si dice ispirato da quarant’anni dai valori dell’ordine e della disciplina, definendosi «umile servitore dello Stato». Devono averlo recentemente abbandonato questi valori a giudicare dall’arresto nel 2008, alla tenera età di 73 anni, con l’accusa di essersi “posto al centro di un’articolata rete di rapporti clientelari con funzionari pubblici e privati, anche di notevole livello, realizzando con essi un continuo scambio di “favori”, finalizzato a reciproca utilità” (fonte CuneoCronaca.it).

Mah, non per alimentare una interpretazione dietrologica dalla quale mi ritengo distante anni luce. Ma secondo me, sulla vicenda Peci, non ce l’hanno raccontata giusta. E, soprattutto, non ce l’hanno ancora raccontata tutta.