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Intervista a Vladimiro Satta
Di Manlio (del 28/05/2007 @ 17:03:07, in Interviste, linkato 4526 volte)

1) Lei ha scritto un primo volume, "Odissea nel caso Moro", nel quale ha effettuato un lungo viaggio all'interno della documentazione della Commissione Stragi. Cosa l'ha spinta a questo impegnativo e lungo lavoro?

La consapevolezza che tra le carte raccolte dall’organismo parlamentare c’erano le risposte agli interrogativi in circolazione. Per effetto della chiusura della Commissione senza l’approvazione né la discussione di una o più relazioni conclusive, l’enorme massa di eterogenea documentazione raccolta durante i lunghi anni della sua esistenza sarebbe risultata difficilmente padroneggiabile da chi, a differenza di me, non ne avesse seguito quotidianamente l’afflusso e l’evoluzione. Tale patrimonio, perciò, avrebbe rischiato di disperdersi. Decisi quindi di cimentarmi personalmente nel salvataggio del salvabile e sottoposi i primi risultati all’attenzione del professor Giovanni Sabbatucci - persona che unisce la generosità alla straordinaria competenza professionale che tutti sanno- da me conosciuto quando ero studente di Storia dei partiti politici all’Università. Il positivo giudizio di Sabbatucci mi diede la fiducia per andare avanti.
 

2) Quali difficoltà ha comportato il dover analizzare un volume così massiccio di documenti?

Una grande fatica, ovviamente, e qualche incertezza iniziale nella strutturazione di capitoli e paragrafi. Tuttavia, direi che la quantità della documentazione abbia creato e crei tuttora più problemi ad altri che a me.

 

3) Prima di affrontare il suo lavoro, quale era la sua opinione sulla vicenda Moro?

 Quando giunsi in Commissione Stragi ne sapevo ben poco, ed ero impressionato dalla fama dei personaggi che vi ruotavano e dalle teorie “dietrologiche” che ascoltavo. Il fatto che il più delle volte costoro leggessero le carte in maniera molto diversa da come le leggevo io mi induceva ad attribuire loro una superiore profondità. A poco a poco, però, a furia di riscontrare nelle evidenze sotto i miei occhi tutt’altre cose rispetto a quelle interpretazioni, cominciai a domandarmi se a sbagliarmi fossi io o se fossero loro. 

 

4) I suoi testi sostengono la tesi del "quasi tutto è chiaro", che non e' certamente quella della maggior parte degli studiosi che hanno affrontato la vicenda. Se tutto e' stato chiarito ed e' nei documenti, perchè c'è ancora la necessità di creare sempre nuovi misteri attorno ad una tragedia di queste dimensioni?

Non pretendo che tutti siano d’accordo con me circa l’insussistenza di risvolti del caso Moro che  possano definirsi “misteri” ma, da un punto di vista scientifico, affermo che l’unica necessità per ogni studioso è quella di avvicinarsi il più possibile alla verità, quale che essa si riveli, senza prediligere per principio un determinato tipo di esito della ricerca piuttosto che un altro. Dunque, la creazione di nuovi e mirabolanti scenari piuttosto che il consolidamento di quelli già esistenti  (o viceversa) non dovrebbe essere avvertita alla stregua di una necessità. Ciò sarebbe fuorviante.

Non si può ignorare peraltro che il sensazionalismo, purtroppo ampiamente diffuso nel sistema dell’informazione, anche nel caso del delitto Moro si adatta bene a discutibili logiche editoriali. A livello individuale, analogamente, in alcuni casi gioca l’altrettanto criticabile idea che solo la scoperta di chissà quali misteri possa legittimare il proprio ruolo professionale; in altri casi, agisce il desiderio di distinguersi da quei poveri ingenui che sarebbero gli altri. E scatta così un meccanismo descritto da un aforisma di Flannery O’ Connor: quando una persona che è intelligente si mette in testa di esserlo, non c’è più modo di farla ragionare.

 

5) Ritengo che i brigatisti siano stati protagonisti assoluti della vicenda e che sia certo che non abbiano preso "ordini" da apparati esterni alla loro organizzazione. Non le sembra pero' inverosimile che strutture trasversali alle istituzioni non siano state in grado di essere piu' efficienti ed arrivare a gestire una trattativa direttamente con i vertici delle BR? Con modalità e finalita' di cui pero' nulla e' emerso e potrebbe essere forse questa l'area di indicibilità 'che ancora resta sul caso Moro. Cosa ne pensa?

Che sul caso Moro resti un’ <<area di indicibilità>> è un’opinione Sua e di altri, da me rispettata ma non condivisa.

Quanto all’eventualità di trattative segrete, non è questione di astratta verosimiglianza, la quale oltre tutto si attaglierebbe sia all’ipotesi che i servizi di sicurezza siano riusciti ad agganciare i vertici delle BR sia all’ipotesi opposta, specie considerando le pessime condizioni nelle quali essi versavano in quel periodo. Tra l’astrattamente verosimile ed il vero c’è in ogni caso un bel salto, ed è assai più significativo il fatto che, come Lei giustamente rileva, riguardo alle fantomatiche trattative tra brigatisti e servizi segreti <<nulla è emerso>> nonostante circa trent’anni di esplorazioni in tale direzione condotte da stuoli di ricercatori. Peraltro, le BR volevano un riconoscimento politico il quale, per sua natura, non poteva che essere pubblico, e lo volevano dalla <<DC e dal suo governo>>, come ripeterono in tutte le salse e in tutte le occasioni. L’oggetto della loro richiesta, dunque, era noto a tutti ed era incompatibile con il raggiungimento di un accordo segreto.

 

6) Sono note le sue divergenze dal pensiero del Senatore Flamigni e i lettori più informati ricorderanno un confronto a distanza tra voi due andato in onda su Radio Radicale. Perchè le vostre ricerche non sono state l'occasione per aprire un confronto intellettuale e produttivo per fare dei passi avanti nella ricerca della verità? Ho l'impressione che adesso esistano due schieramenti contrapposti (chi concorda con lei e chi con Flamigni) e questo non fa altro che allontanare ancor piùchi ha tesi fra loro contrapposte...

Nei miei lavori mi sono sempre confrontato ampiamente con le tesi di Flamigni. I suoi libri  contengono utili informazioni, la sua recente iniziativa di informatizzare gli indici dei 130 volumi degli atti della Commissione Moro faciliterà le ricerche future, e i dissensi non mi fanno disconoscere che anche a lui si deve l’approfondimento delle conoscenze sul caso Moro fino all’elevato grado attuale. Infatti, quando contemporaneamente al mio Odissea nel caso Moro uscì una nuova edizione del suo La tela del ragno, dalle colonne di <<Avvenimenti>> salutai l’evento come una buona notizia. Non sono stato ripagato di eguale moneta, ma poco importa.

Mi auguro che il pubblico guardi ai contenuti di ciò che lui ed io scriviamo, più che alla forma polemica in cui può capitarci di esprimere le nostre divergenze.

 

7) Secondo lei, chi oggi ha avuto da guadagnare sulla vicenda Moro e chi, ad esclusione della famiglia, ne ha invece subito conseguenze negative?

Politicamente, nel breve termine l’imboscata di via Fani condusse ad una rapida approvazione  della fiducia al governo Andreotti che il 16 marzo si presentava alla Camera con prospettive altrimenti incerte; nel medio termine, il corso della politica italiana si è mantenuto nel solco degli accordi tra Moro e Berlinguer, i quali avevano concordato di collaborare fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato prevista per la fine del 1978, per poi fare il punto della situazione e decidere entrambi liberamente se proseguire su quella strada oppure no (per la cronaca, nel 1979 furono i comunisti a scegliere di rompere e di andare alle elezioni anticipate che poi persero, non i democristiani); nel lungo termine, l’Italia fu interessata da una serie di trasformazioni epocali in gran parte dovute a fattori indipendenti dalla vicenda Moro, quali una congiuntura economica internazionale e nazionale espansiva anziché recessiva come era stata negli anni Settanta, una ristrutturazione industriale le cui logiche prevalsero sulle resistenze sindacali, una nuova e più tesa fase delle relazioni tra Est e Ovest, nonché altri fenomeni ancora, tali da configurare un quadro assai diverso rispetto a quello cui si erano applicate le ricette di Moro. Parafrasando una celebre frase di Moro stesso, gli anni a venire dopo il 1978 non sarebbero stati nelle sue mani neppure se egli fosse rimasto sulla scena.

La scomparsa di Aldo Moro ha lasciato quel tipo di vuoto, incolmabile, che rimane alla scomparsa di una personalità elevata a prescindere dalle sue fortune politiche del momento.  

Tengo a sottolineare altresì che l’uccisione di Moro non giovò ai suoi sequestratori ed assassini, i quali  erano partiti con l’ambizione di suscitare sommovimenti rivoluzionari a catena in tutto il Paese e, al contrario, si ritrovarono politicamente più isolati di prima.

Da ultimo, osservo che al di là delle coordinate che ho tracciato, la domanda su chi abbia avuto conseguenze negative o invece guadagnato dalla morte di Moro può avere molteplici risposte, data la statura del personaggio, le quali non possono essere messe retroattivamente in relazione con la dinamica del sequestro e del delitto: ad esempio, il fatto che Moro fosse un autorevolissimo candidato alla successione di Giovanni Leone al Quirinale non deve indurci a sospettare di Sandro Pertini. Ci mancherebbe solo questa!   
 

8) Quando sarà possibile chiudere la vicenda Moro? E, soprattutto, in che modo?

Se per chiusura si intende l’individuazione dei responsabili, ancora manca all’appello qualche componente delle BR che partecipò all’operazione (mi riferisco essenzialmente ai due motociclisti presenti in via Fani con funzioni di appoggio e di controllo delle eventuali reazioni dei passanti), mentre per il resto ci siamo. Se parliamo in senso storiografico, il mosaico è pressocché completo. Il tutto, naturalmente, fino a prova contraria, il che vale per tutte le umane cose: quelle che non ammettono prova contraria sono le fedi o, peggio, le mere ostinazioni.