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Se ne va Prospero Gallinari, brigatista coerente
Di Manlio (del 14/01/2013 @ 13:04:16, in Attualità, linkato 2609 volte)
E’ morto nella sua auto probabilmente colpito da un infarto mentre si recava al lavoro. Un destino macabro, come quello di Aldo Moro di cui Gallinari era stato carceriere, anche lui colpito al cuore ma da una raffica di mitra in un’auto.

Faceva ancora l’operaio, Prospero Gallinari, in una tipografia di Sesso, frazione di Reggio Emilia presso la quale aveva trovato ospitalità una volta uscito dal carcere.
Era un brigatista della “prima ora”, un capo storico, uno di quelli che ha partecipato alla fondazione delle Brigate Rosse assieme ai suoi compagni di Reggio Emilia che si erano uniti agli altri gruppi provenienti da realtà come Trento e le fabbriche milanesi.

Una persona che lungo tutto il suo percorso di militante della lotta armata, di carcerato, di libero cittadino dopo la sospensione della pena arrivata nel ’94 per motivi di salute è stata coerente con la propria storia e quella dei suoi compagni.
In tanti indicandolo come “il solidale di Moretti” hanno tentato di adombrare la sua militanza come quella di un “soldato agli ordini di chissà quali generali manovratori”. Nelle lunghe chiacchierate che ho avuto con lui mi diceva sempre: “chi parla sa benissimo di mentire e sa benissimo che io non replicherò mai”.

Non stava bene, Prospero, e sapeva che da cardiopatico combatteva contro una malattia che lo faceva soffrire e che lo impegnava molto. Quando gli chiedevo come stesse rispondeva con un sospiro e con un rassegnato “si lotta, come sempre”. Mi raccontava delle cure di cui avrebbe avuto bisogno ma che ogni volta si complicavano perché per sottoporsi ad esami e terapie era costretto ad andare fuori Reggio Emilia e per fare ciò aveva bisogno di permessi che allungavano i tempi.

Mi disse che gli sarebbe piaciuto poter avere il permesso di trasferirsi al sud almeno durante i mesi invernali perché il clima freddo e umido di Reggio gli creava molti problemi. Ma che ciò gli era sempre stato negato.
E si, perché Gallinari era in regime di sospensione condizionale della pena e al di fuori della possibilità di andare a lavorare part-time, aveva a disposizione solo due ore giornaliere per provvedere alle piccole cose quotidiane. Ma aveva il divieto, ad esempio, di uscire da casa nelle ore serali. Ogni cosa extra, richiedeva permessi, non sempre concessi.
Gallinari non era libero, come spesso si dice per dimostrare un trattamento di favore da parte dello Stato. E questo va ribadito ad onore di verità. Se non avesse avuto i problemi di salute che lo hanno portato alla morte, sarebbe rimasto in carcere.

Era disponibile a discutere con chi voleva parlare degli argomenti che lo riguardavano e che interessavano le BR per capire, per comprendere “le ragioni della lotta armata” e dei tanti giovani che ne hanno abbracciato l’ideologia. Ed anche di voler affrontare, per comprenderle realmente, le vicende delle BR dal punto di vista politico e non solo giudiziario. Qui sotto una registrazione tratta da RadioRadicale nella quale Gallinari spiega le ragioni del suo silenzio in aula.



Anche io, nel mio piccolo, mi ero avvicinato a lui per avere una testimonianza diretta, lontana dagli scoop e dal voler scavare nei presunti misteri o, peggio ancora, per ergermi a giudice di chissà quale tribunale delle anime.
Ed è questa testimonianza, risalente al luglio del 2007, che voglio riproporre. Perché mi ha molto colpito conoscerlo al di fuori dello stereotipo che viene fuori attraverso i mass media.

E’ stata una persona coerente, che ha creduto nella possibilità di fare la rivoluzione, che ha perso riconoscendo la sconfitta, che ha pagato ma che non ha mai pensato di poter barattare la propria storia in cambio di privilegi (piccoli o grandi che fossero). Cosa che invece altri sono stati disposti a fare anche solo pochi minuti dopo essere stati arrestati.

Qui puoi leggere l’intervista