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Intervista a Paolo Cucchiarelli: l'indicibile verità su Piazza Fontana
Di Manlio (del 11/12/2009 @ 11:49:16, in Interviste, linkato 6157 volte)
Quarant’anni sono tanti. Quarant’anni sono due generazioni. E due generazioni non sono state sufficienti a spiegare alle vittime della strage di Piazza Fontana chi le ha volute morte e per quale motivo. O meglio: il motivo si è sufficiente capito, soprattutto se inglobato nella dinamica complessiva degli eventi che ha caratterizzato il periodo comunemente noto come “strategia della tensione”.
Quello che manca alla verità, sono gli ultimi 100 metri. Chi ha messo la bomba alla BNA? Chi ha manovrato i fili di quegli ultimi minuti di un progetto che, politicamente e storicamente, appare ormai piuttosto chiaro?

La giustizia, dopo ben 11 gradi di giudizio, si è arresa: nessun colpevole. Condanne in primo grado, appelli ed assoluzioni definitive (per insufficienza di prove nel 1987) in terzo grado. Cioè passate in giudicato, senza ritorno. Come mai? Cosa è mancato agli inquirenti, alla magistratura, al Paese per capire e rispondere al desiderio di verità delle vittime?

Possibile che tanti libri, tante inchieste, tanto materiale giornalistico e investigativo non abbiano reso possibile mettere la parola fine su quegli ultimi 100 metri? Allora forse il problema è di natura metodologica?
Paolo Cucchiarelli, giornalista d’inchiesta dell’ANSA che ha già pubblicato nel 2005 un libro sulla strage assieme al collega Paolo Barbieri, ha provato a ricostruire quegli ultimi 100 metri mettendo insieme tutti i dati (soprattutto quelli mai rientrati nelle inchieste ufficiali spesso per volontà di insabbiamento) e ha fornito una ricostruzione che tiene insieme tutti i fili ed arriva ad una verità diversa rispetto al frullato di elementi discordanti che ha contribuito a creare disordine e allontanare dalla verità chiunque si sia avvicinato all’evento.

Ma di questa verità (per carità non una “verità assoluta” ma una verità in grado di “tenere sulle spalle” l’enorme peso delle carte) non si vuole parlare. Dopo la “puntata di Stato” dell’altra sera nel salotto di Porta a Porta, cui Cucchiarelli ha giustamente declinato l’invito perché non è una trasmissione televisiva il luogo adatto alla discussione serena e documentata di una verità, è ormai chiaro un dato incontrovertibile: la verità non la si riuscirà mai a trovare perché nessuno ha davvero interesse a trovarla. Fa comodo a tutti che resti un alone di oscurità in modo tale che ciascuno lo possa poi utilizzare all’occasione per nascondere il proprio passato o per attaccare l’avversario politico sul piano del suo passato storico. Tutti d’accordo: da Mieli a Penati, da La Russa allo stesso Vespa.

Se a questo aggiungiamo la particolarità tutta italiana dell’ideologia, vernice indelebile che copre le nostre coscienze, che impedisce a quasi tutti di affrontare con serenità i fatti che non collimano con le proprie idee (spesso appoggiate su fondamenta di sabbia) ecco spiegato l’atteggiamento con cui tutto il mondo politico, giornalistico e culturale ha accolto “Il segreto di piazza Fontana”: il silenzio. A parte alcune prese di posizione “a priori” di persone che nella maggior parte dei casi non avevano neanche letto il libro, un velo di silenzio è calato sull’immenso lavoro di Cucchiarelli.
Perché? Cui prodest? Segno che ciò che ha ricostruito Cucchiarelli è proprio quella verità indicibile che ha resistito a due generazioni?

Ho provato a chiederlo direttamente a lui in questa chiacchierata che vuole rappresentare un tributo di gratitudine verso quelle vittime che non hanno potuto essere consolate neanche da una seppur parziale verità giudiziaria e verso cui lo Stato appare sempre più propenso ad indirizzare miseri e cadenzati messaggi di pietà.

Piazza Fontana, la “madre di tutte le stragi”. Quarant’anni di depistaggi per coprire un segreto indicibile. Perché è riuscito a durare tanto e quanti anni ancora sarebbe durato?

Piazza Fontana è più un segreto politico che giudiziario. Gli elementi che rendevano intelligibile la vicenda sono stati “spazzati via” prima che la magistratura potesse intuire quale poteva essere la dinamica. Nella inchiesta c’e’e una parte, la quarta, che spiega quale compromesso al vertice dello Stato abbia impedito alla magistratura di muoversi da subito verso la pista nera, quella fascista. Si deve ad un pugno di coraggiosi magistrati, Stiz, Alessandrini, Fiasconaro, D’Ambrosio ( non però per quel che riguarda la vicenda Pinelli) se con il tempo l’Italia ha potuto capire che in questa vicenda la maggiore responsabilità, quella che determina e vuole i morti, è della destra. In Italia i segreti politici sono come una torta: tutte le forze in campo inclusi il PCI e la sinistra extraparlamentare, hanno una fetta che li vede protagonisti e questo fa sì che la torta resti intatta ed intoccabile. Per rompere questa situazione bisogna far “saltare la torta”, mettere mano a tutte le fette, compresa quella, dolorosa, di Valpreda e del suo essere caduto nella “trappola” che Stato e fascisti gli tesero. Questo è l’unico modo per poter arrivare, con certezza, ad individuare la reale responsabilità. Non esiste altra strada. Questo segreto è durato tanto perché prima di ora nessuno aveva lavorato a tutte le “facce” della storia cercando di capire cosa le tenesse assieme. Perché lo Stato ha processato assieme Valpreda e Freda e alla fine abbia deciso di mandare tutti assolti. Quella fu una scelta più “politica” che giudiziaria.

Quanti anni di lavoro hai impiegato per portare a termine la tua indagine? Quale la maggiore difficoltà incontrata? E quale, invece, la sorpresa più grande?

La mia indagine dalla “intuizione” iniziale, cioè la presenza del timer e della miccia nel salone della Bna e quindi dalla possibilità che due fossero le bombe, con un ben diverso grado di responsabilità, è durata circa 10 anni. Una intuizione è molto ma serve poco se non si sviluppa. Ricordo di averla a suo tempo comunicata al giudice Salvini che mi rispose “Per molto meno mi hanno massacrato”. Lui fece tutto quello che era in suo potere per seguirla. Ricordo che mi permise di incontrare a Salò (l’ho saputo poco tempo fa dove era stato) Carlo Digilio per fargli questa domanda: ma non c’erano per caso due bombe? (ne parlo nel libro). La logica giudiziaria e ben diversa da quella che può mettere assieme un giornalista che ha una grande forza poco sfruttata : può utilizzare liberamente, combinandole in tute le varianti possibile, tutte quelle singole “verità” in cui in Italia si trovano scomposte le vicende più importanti. E’ parlo della verità giudiziaria, di quella politica, di quella storica, di quella dei singoli protagonisti ecc. ecc. Se il magistrato non trova nessuno che confermi quell’elemento non va avanti ed essendo questo il “segreto” che tutto teneva nessuno poteva all’epoca confermarlo. Ho quindi iniziato una richiesta e la vera sorpresa e’ che man mano che andava avanti i singoli elementi del “mistero” si andavano quasi da soli a collocarsi nella casella giusta. Gli investigatori lo chiamano la “convergenza del molteplice”. Quando ho scoperto che il perito che per primo indagò nella Bna aveva detto da subito che c’erano timer e miccia e che due erano le borse direttamente coinvolte nell’inchiesta ho preso di lena ad indagare, a raccogliere elementi a leggere tutto e ad incrociare le novità accorgendomi che c’erano delle cose, degli oggetti, che da subito erano stati sottratti alla vicenda giudiziaria. Li ho reimmessi nella storia e questa ha cominciato a “girare” in ben altro modo. Ancor maggiore è stato lo stupore quando ho cominciato a capire che tutta la storia era “doppia” visto che io sono uno dei sostenitori in Italia dello “Stato parallelo”. Ancor più quando gli anarchici parlarono da subito di altre bombe previste il 12 dicembre e quando mi sono accorto che anche Alessandrini si era posto la stessa mia domanda: ma non è che due erano le bombe esplose alla Bna secondo il più classico degli schemi operativi utilizzato dai servizi segreti. Quando ho visto una copertina di Epoca del gennaio 1970 che appaiava Valpreda ad Oswald e quando ho constatato che l’ultimo processo era fallito proprio sul fatto di non aver considerato che le bombe in mano ai fascisti non erano quelle che erano “ufficialmente” scoppiate ma quelle che servivano per il “raddoppio” non mi sono più fermato. Dalla prima intuizione al libro sono passati 10 anni. Ho fatto tante altre cose ma non ho mai mollato questa storia e le relative ricerche che non sono state facili. Ho fatto tutto da solo, parlando con pochissime persone.

La tua inchiesta potrà essere la parola definitiva a ciò che ci interessa sapere sulla strage e sul ruolo giocato dai diversi attori, o diventerà un nuovo tentativo di avvicinarsi alla verità senza aggiungere molto di più a quanto già non si sappia?

Credo che si sia tolto il “tappo” che impediva di fare il “salto di qualità” nella interpretazione dei fatti. Credo che altro possa arrivare. Lo spero.

“Il segreto di piazza Fontana”. Chi sono i protagonisti di questo segreto? Quali apparati, soggetti, gruppi hanno avuto un ruolo nel segreto e nel mantenerlo?

A livello politico un po’ tutti. Segnalo il paragrafo sulla presenza di uomini de l’Anello nella vicenda. Sono loro che sovrintendono nel controllo degli anarchici, loro che fanno da “scorta” a Ventura quando consegna agli anarchici le “bombe in più”, loro uomini sono operativi a Padova, indagano sulla morte di Feltrinelli e su quella di Calabresi. Rinvio per chi volesse approfondire al volume “L’Anello della repubblica” di Stefania Limiti.

Potrà apparire paradossale, ma più che un punto di arrivo questa tua inchiesta potrà essere un punto di partenza che potrà fornirci nuove chiavi di lettura su quegli anni. Cosa ti aspetti di nuovo dopo l’uscita del tuo lavoro?

Mi aspetto un “ricasco” anche in sede giudiziaria e che qualcuno si senta finalmente libero di parlare, anche a sinistra, il settore politico che più ha pagato per questo segreto. Il settore politico cui appartengo.

Un lavoro come il tuo (700 pagine di pura inchiesta) in Italia non si era mai visto e su un argomento come la strage di piazza Fontana era, francamente, impensabile che si potesse fare. Cosa ha impedito che, in passato, un giornalista potesse condurre un’indagine simile?

Non lo so. Io non ho lavorato “a scenario”. Ho indagato come se la strage fosse avvenuta il giorno prima. Ho utilizzato un mio metodo di ricerca che sfrutta tutte le interpretazioni: quella deduttiva, induttiva, il riscontro, la lettura sintomale ecc. Un metodo che da due anni insegno, con soddisfazione al master in giornalismo investigativo promosso dall’Agi a Milano e che ora inizierà anche a Roma. Un metodo che mi ha permesso di “estrarre” tante novità da una storia che sembrava ormai chiusa, definitiva, morta.

Tanti hanno scritto e hanno detto su piazza Fontana, senza però mai giungere a smascherare colpevoli e mandanti. Per limiti storici o di metodo?

Ci vuole apertura mentale, metodo e voglia di addentrasi in luoghi dove non vi sono “mappe” di alcun tipo. Un lavoro molto faticoso, che procura grandi stress, molti dubbi e una sorta di “spaesamento”. Se si lavora con rispetto dei dati questi , alla fine, “parlano”. Garantito.

Perché inquirenti e magistrati non sono riusciti a giungere alla verità nonostante 40 anni e 11 gradi di giudizio?

Perché la verità giudiziaria è solo una delle verità e i metodi per arrivarci possono essere facilmente manipolati o condizionati.

Piazza Fontana, Pinelli, Calabresi. Tanti morti un unico segreto. Possiamo adesso affermarlo con chiarezza?

Il segreto della strage e’ una sorta di ‘matrioska’ che ha al suo interno anche la morte di Pinelli e , probabilmente, almeno una percentuale della morte di Calabresi. Io ho cercato di raccontarlo e dimostrarlo. Tocca ai lettori dire se ci sono riuscito.

Pensi che il “segreto” che è stato alla base della mancata verità su piazza Fontana sia in qualche modo collegato anche ad altri eventi tragici di cui ancora oggi sappiamo poco?

Si. Il modulo usato può essere stato ripetuto come anche l’utilizzo dell’esplosivo che era in mano ai fascisti, un plastico jugoslavo che aveva Ventura, avevano i fascisti veneti e aveva il giro dei fascisti implicati nella strage di Brescia.

Da chi ti aspetti maggiori resistenze ad accettare il tuo lavoro?

Da una certa sinistra. Gli attacchi ci sono già stati. Altri ci saranno. La migliore risposta è una spassionata lettura del libro che risponde a tutte le critiche che finora sono state avanzate.

Cosa ti aspetti dai familiari delle vittime? Secondo te, cosa cambierà nella loro percezione dei fatti?

Dall’avvocato delle vittime, Silicato, e dai familiari delle stesse, presenti alla presentazione fatta nel salone della Bna il 28 maggio, sono venute parole di grande apprezzamento. Elogi e valutazioni positive sulla serietà, sul rigore del lavoro.

Il libro ha avuto un lancio “a sorpresa” sul mercato. Si è saputo qualcosa solo il giorno prima e nella conferenza stampa di presentazione del 27 maggio le risultanze del tuo lavoro sono state solo “sintetizzate”. Le successive recensioni hanno mosso forti critiche alle tesi emerse dall’inchiesta ma senza che nessun dubbioso avesse letto il libro. Un pregiudizio politico prima ancora che di merito. Come te lo spieghi?

Sono le resistenze di chi teme che il mio libro dica una verità politicamente imbarazzante

La trappola agli anarchici era stata preparata nel tempo e confezionata alla perfezione (addirittura prestando attenzione alle borse che avrebbero dovuto esplodere e non, al loro contenuto, ai piccoli depistaggi, ecc). Il tutto fa pensare ad una mente molto raffinata, uno stratega del terrore di alto livello. Se questo è verosimile, lo scenario che si prefigura dentro e attorno allo Stato ed alle sue istituzioni è allarmante. In quale Stato abbiamo vissuto? E, soprattutto: quello attuale quanto è realmente diverso?

Uno Stato parallelo. Il libro lo dimostra. Due bombe, due taxi, due ferrovieri, due armieri del gruppo ordinovista, due “Valpreda”. Cosa è questo se non il modulo operativo di quello Stato parallelo a cui io e Aldo Giannuli abbiamo dedicato un fortunato libro 10 anni fa?