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Brigate Rosse. Non so se vi preoccupi più il passato o il presente…
Di Manlio (del 13/06/2009 @ 19:09:10, in Attualità, linkato 5438 volte)
Ieri mattina è scattato un nuovo blitz delle forze dell’ordine che hanno tratto in arresto un altro gruppo di presunti brigatisti tra i quali spiccano i nomi di Luigi Fallico (47), Beniamino Vincenzi, (38), Bruno Bellomonte (60) arrestati a Roma e Riccardo Porcile (39) e Gianfranco Zoia (55) arrestati a Genova. Una sesta persona è finita ai domiciliari per limiti di età ed altre 15 persone risultano indagate come fiancheggiatori. Tra di loro i nomi che hanno destato più sensazione sono quelli di Ernesto Morlacchi (35 anni, figlio di uno dei fondatori delle BR milanesi Pierino) e suo cugino Kamo Capossi.

Il gruppo era seguito da un paio d’anni quando gli inquirenti intercettarono una telefonata al negozio di cornici di Fallico. All’altro capo c’era Gianfranco Zoja, genovese armiere del gruppo, ed il contenuto della conversazione insospettì molto gli agenti soprattutto perché Fallico era un ex UCC degli anni ’80 e conosceva Nadia Lioce, del gruppo delle nuove BR-PCC che assassinarono i giuslavoristi D’Antona e Biagi.
Zoja stesso, nel 2004, andò a porre una lapide nel cimitero di Trespiano alla memoria di Mario Galesi, il brigatista che restò ucciso assieme all’agente della PolFer Emanuele Petri in occasione dell’arresto della Lioce il 2 marzo del 2003.

Una delle armi sequestrate. Attenzione al tetano...

Il gruppo era trainato da Fallico il cui impegno nella ricostruzione dei contatti con vecchi esponenti delle BR nel tentativo di ricostruire un progetto di lotta armata era noto agli inquirenti. Nelle intercettazioni si parlava di un possibile attentato da porre in atto in occasione del G8 che si sarebbe dovuto tenete in Sardegna e che poi è stato spostato in Abruzzo.

Oltre agli ovvi complimenti alle forze dell’ordine per questa importante azione preventiva, si sono levati i soliti cori di strumentalizzazione che, ormai, tenderei a definire in perfetto stile “post-strategia-della-tensione”.

I punti, per così dire, all’ordine del giorno sono stati grossomodo i seguenti:
1) le BR non sono mai morte e c’è un serio pericolo di ritorno della lotta armata
2) dobbiamo continuare a tenere la guardia alta ed essere severi nei confronti delle forme di protesta perché dietro si celano terroristi pronti a riportarci nel clima degli anni di piombo
3) il legame con le BR del passato è sempre evidente ma, stavolta, c’è la novità del coinvolgimento del figlio di uno dei brigatisti fondatori, assieme a Renato Curcio, delle BR a Milano ed in sostanza è come se, questa volta a differenza di altre, ci fosse anche una continuità materiale oltre che storica con le vecchie Brigate Rosse.

Vogliamo provare a rispondere seriamente a queste osservazioni?

1) Nella nostra società la spinta rivoluzionaria è sempre stata presente e sempre lo sarà perché siamo nati da una guerra civile che ha visto lottare fianco al fianco, in nome di un nemico comune, persone che avevano obiettivi totalmente differenti. La strategia di breve periodo era assimilabile, ma nel lungo periodo una buona parte di coloro che hanno combattuto il fascismo speravano in una “vera rivoluzione” per raggiungere una società di ispirazione marxista. Poi è successo che quella seconda rivoluzione non c’è mai stata perché i dirigenti del PCI post-liberazione diedero un altolà ed in molti restarono con le pive nel sacco ma non restituirono le armi. Le sotterrarono in attesa di tempi migliori. Poi successe anche che una buona parte di quelli che stavano dalla parte degli sconfitti, furono assimilati nelle strutture della nuova Repubblica, sempre in nome di quell’interesse comune di sconfiggere il nemico d’oltre cortina. Se si fosse avuto il coraggio di fare un Control-Alt-Canc, forse le cose sarebbero cambiate.
Ci saranno sempre dei giovani (e anche meno giovani) che fanno dell’ideale rivoluzionario un sogno e soprattutto una pratica politica. Non potremmo farci mai nulla. Ma la differenza con il passato è che mentre prima potevano contare su ampie fasce di consenso, infiltrarsi fino ad alti livelli delle istituzioni e della società, contare su un contesto internazionale che poteva garantirgli forza e finanziamenti, oggi appaiono solo dei “piccoli illusi” che non capiscono di fare il gioco del nemico, cioè di chi vuole gestire la società per conto degli interessi capitalistici.
Ma le avete viste le armi? Ridicoli residui bellici mezzi arrugginiti, ed è per questo, forse, che gli agenti che li mostravano ai fotografi erano incappucciati, per evitare di prendere il tetano. A parte le organizzazioni di stampo mafioso, il resto dei nemici si sono dimostrati più virtuali che reali ed è per questo che il travestimento da nuclei speciali mi è apparsa più una trovata di marketing che una necessità imposta dall’occasione.
Nessun rischio serio di ritorno di lotta armata, ma possibilità che l’esaltazione individuale porti a delle nuove tragedie che fanno male, in primo luogo alle vittime, ed in secondo luogo proprio a quegli strati di popolazione più deboli cui un rivoluzionario tende il braccio.

2) Le forme di protesta, anche le più estreme purchè nel rispetto delle leggi, in una democrazia rappresentano la garanzia dell’opposizione, del controllo e di quel campanello d’allarme che chi governa dovrebbe tenere presente per avere sempre la misura degli stati d’animo delle piazze. Ricordiamo che la TV non è la realtà, ma solo ciò che qualcuno ha deciso di farci vedere della realtà (e alle volte non è neanche quello, ma sarebbe un discorso troppo lungo). Se in una manifestazione contro il G8 o contro il decreto Gelmini vediamo qualcuno che si lancia delle sedie o che sfascia una vetrina o che, ancora, prova a “caricare” la Polizia, non vuol dire che quella forma di protesta è da bollare come terroristica, ma più semplicemente che quella forma di protesta vede la partecipazione (più o meno legittima) di individui che rappresentano “segmenti violenti” presenti in tutta la nostra società. Non dobbiamo sentirci gratificati e più tranquilli se la Polizia risolve con arresti e pestaggi ed il Governo propone una legge come il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” che limiterebbe il diritto a manifestare facendolo diventare una discrezionalità del Prefetto.
E’ certo, però, che dobbiamo continuare a tenere “alta la guardia” perché degli episodi isolati, purtroppo, non possono essere totalmente esclusi.

3) Come prima cosa è utile ricordare che Ernesto Morlacchi è semplicemente stato inserito nel registro degli indagati e non è stato preso nessun provvedimento nei suoi confronti. E un indagato è innocente, almeno fino a prova contraria. Poiché dubito che gli investigatori non abbiano letto il libro del fratello Manolo, la storia di “Ernestino il clandestino” non credo fosse una novità per loro. La conoscenza con certi personaggi deve averli portati ad ulteriori approfondimenti.
Ma se il legame con il passato è ancora vivo, è solo ed esclusivamente in virtù di un motivo. Quel passato non si è chiuso, nessuno ha avuto il coraggio di fare i conti con la propria storia (e non parlo dei brigatisti, evidentemente). Nessuno ha interesse a fare i conti con la verità anche perché in Italia si ha uno strano concetto di “verità condivisa”: non la si assimila alla somma delle verità di tutti i protagonisti, ma si tende ad identificarla con la verità che fa comodo a tutti i protagonisti. Fino a quando chi stava dall’altra parte (i vecchi partiti, i rappresentanti dei vecchi Governi, le istituzioni, i servizi, la magistratura, le organizzazioni massoniche e le lobbies economiche) non sarà disposto a raccontare la propria storia, che non è proprio limpida quella di Gesù Cristo, dovremmo rassegnarci ad avere emuli di ogni forma di estremismo.
Oggi si può ancora essere rivoluzionari, sognare una società diversa e più giusta, ma è sbagliato pensare che questo obiettivo possa essere raggiungibile con le armi e la “lotta di popolo armata”. Chiudere i conti sugli anni ’70 vuol dire riscrivere una storia condivisa che nessuno potrà più impugnare e strumentalizzare a seconda di come tira il vento. I nostalgici resteranno sempre, ma a nessuno verrà più l’idea di utilizzare gli stessi strumenti del passato, perché si sono dimostrati storicamente inutili.


Non commento, invece, la definizione delirante (oltre che strumentale) del leghista Boni:
«Chiudere definitivamente i centri sociali che il più delle volte si sono dimostrati essere un ricettacolo per violenti e delinquenti, che non esitano a mettere a ferro e fuoco le nostre città»
.

La Lega dice di fare molto lavoro sui giovani e nelle fabbriche per dare risposte alle richieste delle fasce sociali più deboli. Che si rimbocchi le maniche, allora, e se vuole estirpare il male della violenza, si preoccupi di lavorare per limitare al minimo “l’acqua in cui nuotano i pesci rivoluzionari”, ma non si illuda di poter chiudere l’oceano.

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