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I misteri di via Fani
Ex legionario. Tiratore scelto. Una vita tra criminalità e
terrorismo. Nuove carte dal Paraguay riaccendono l'attenzione su Giustino De
Vuono
Il 16 marzo 1978, via Fani, Roma. Un commando delle Brigate rosse mette in
atto il sequestro di Aldo Moro, allora presidente della Democrazia cristiana. Da
sette armi diverse vengono esplosi 91 colpi. Un'arma in particolare ne spara 49.
Vanno tutti a segno. Sul terreno restano i corpi senza vita dei cinque uomini
della scorta di Moro.
Solo un tiratore esperto poteva sparare con tanta precisione. E quel
personaggio potrebbe essere Giustino De Vuono, un ex legionario molto abile con
le armi, la cui foto segnaletica venne inserita nella lista dei possibili
esecutori della strage di via Fani. Un passato fra delinquenza comune e
'ndrangheta, De Vuono era stato politicizzato dalle Br durante un soggiorno in
carcere. Agli atti della Questura di Roma c'è un verbale del 19 aprile 1978 in
cui un teste, Rodolfo Valentino, conferma: «Verso le 10 del 16 marzo, mentre mi
trovavo alla guida della mia auto, rimasi colpito da un fatto: una Mini o una
A112 di colore verde mi ha sorpassato a grande velocità fermandosi per il
traffico prima alla mia destra, poi davanti a me e poi è ripartita.
Alla guida vi era un uomo le cui sembianze mi sono apparse del tutto simili
ma con i baffi a quelle di Giustino De Vuono, pubblicate sui giornali, però non
ne sono sicuro. Accanto a lui vi era un altro uomo... Pensai che si trattasse di
due malviventi che avessero fatto una rapina e per questo li notai». D'altra
parte i rapporti tra Br e criminalità organizzata non sono una novità.
«Le armi le compravamo dalla malavita in zona ticinese a Milano», ha
raccontato un brigatista, «i contatti c'erano». Ma ora sulla figura di Del Vuono
si aprono nuovi scenari. Dai documenti della polizia del Paraguay emerge la sua
presenza in Sudamerica negli anni a cavallo dell'omicidio Moro: frequenti
spostamenti tra Paraguay e Brasile tra il 1977 e il 1980, ma con un vuoto tra
fine '77 e agosto '78. «De Vuono è un personaggio che non ha avuto tutta
l'attenzione che avrebbe meritato», dice Aldo Giannuli, perito della commissione
Stragi e professore alla Statale di Milano: «Non c'è dubbio che se dovesse
essere confermata la sua presenza in via Fani, si sposta tutta la lettura del
caso Moro.
Ad esempio, Mario Moretti dovrebbe spiegare com'è arrivato in contatto con il
calabrese De Vuono. In quel momento poi, una delle piazze in cui si svolge la
partita per liberare Moro è proprio la Calabria. C'è tutta una serie di
personaggi che si muovono intorno alla vicenda. Ora poi sarebbe utile sapere
perché De Vuono fosse in Paraguay e si spostasse spesso in Brasile». Un passo
indietro sulle orme di De Vuono. Asuncion, Paraguay, luglio1981.
La dittatura di Alfredo Stroessner in collaborazione con i servizi segreti
dei paesi latinoamericani, compie omicidi e torture di ogni tipo in nome
dell'anticomunismo. È di quel periodo un'informativa diretta al capo del
Dipartimento d'investigazione della polizia della capitale: narra le vicende di
un italiano trovato in Svizzera in possesso di documenti paraguayani falsi. Si
tratta di De Vuono.
Come descritto dettagliatamente nel rapporto, che analizza un periodo
compreso fra il 1977 e il 1981, De Vuono sarebbe un «presunto integrante» delle
Br oltre a essere indicato come uno degli assassini di Moro. Da quanto si evince
dal carteggio, stilato in data 4 luglio 1981, la presenza del De Vuono in
Paraguay non è una novità: il documento analizza i suoi spostamenti e le sue
azioni dal 1977 al 1980. Viaggi e passaggi da un paese all'altro del continente
americano, sovente con documenti falsi. Secondo la documentazione presente nel
famigerato Archivio del Terrore, Giustino De Vuono sarebbe entrato in Paraguay
in automobile, nel giugno '77, con un documento falso a nome Antonio Chiodo.
In quelle circostanze oltrepassò la frontiera tra Brasile e Paraguay in
località Puerto Stroessner (oggi Ciudad del Este), zona nota alle cronache
odierne per via dei traffici illeciti che la animano giorno e notte. De Vuono
non era solo nell'auto. Con lui, c'era Anecio Daniel, documenti brasiliani,
proprietario del mezzo e suo complice. Durante il viaggio inizierà a gettare le
basi per recuperare altri documenti falsi. Il 22 giugno i due uomini se ne vanno
dal Paraguay.
La loro permanenza è stata brevissima. E stavolta l'italiano utilizza la sua
vera identità per lasciare il Paese. Nel 1977, dunque, la presenza di De Vuono
fra Brasile e Paraguay è cosa certa. Com'è certa una sua dimestichezza nello
spostarsi in quelle zone e nell'utilizzare documenti falsi. Ma poi le sue tracce
si perdono fino all'agosto del 1978, quando incontra la sua compagna Antonia
Vallejos nella capitale paraguayana, Asuncion. Siamo a pochi mesi dal sequestro
e l'omicidio del presidente Dc. Nel frattempo in Italia De Vuono è ricercato e
nel dicembre dello stesso anno sarà emesso nei suoi confronti un mandato di
cattura.
Inoltre, il 15 dicembre 1978, la Questura di Roma certifica che il soggetto
in questione è «irreperibile». L'informativa in mano ai poliziotti della
dittatura stroessneriana puntualizza che nell'agosto 1979 De Vuono rientra in
Paraguay. Lo fa sempre dalla stessa frontiera, ma questa volta è da solo. De
Vuono ottiene una Cedula de Identidad e un Certificato di Buena Conducta, come
cittadino paraguayano e sotto il falso nome di Antonio Aguero.
Questi documenti furono elaborati e preparati da due militari: l'ufficiale
del Dipartimento anti-narcotici Luis Fernandez e il sergente Maggi. I due, forse
inavvertitamente, raccontano la vicenda a un loro collega che riferisce ai
superiori e denuncia il tutto.
Da quel momento inizia un'indagine e la polizia di Stroessner cerca di
mettere agli arresti De Vuono. Non ci riuscirà, perché dall'Italia non
giungeranno riscontri. Dal nostro Paese, infatti, arriva la notizia che De Vuono
non ha problemi di tipo giudiziario e nemmeno «antecedentes policiales». Almeno
così racconta la vicenda un articolo apparso sul quotidiano paraguayano ?Abc?.
Per questo De Vuono viene rilasciato immediatamente. E, ottenuta la
documentazione necessaria, se ne va un'altra volta dal Paraguay. In ogni caso è
evidente come, nonostante frequenti controlli e scoperte di documenti falsi, De
Vuono godesse di ampia libertà di spostamenti.
Durante giugno o forse luglio del 1980, il rapporto di polizia non è preciso,
De Vuono torna nuovamente in Paraguay. Anche questa volta tenta di procurarsi
documenti falsi, sempre corrompendo agenti di polizia. E così riesce a ottenere
un passaporto paraguayano n. 424 rilasciato in data 15-01-1981, un Certificado
de Buena conducta, rilasciato nella stessa data e la Cedula de Identidad n.
1.141.974. Tutti a nome Dionisi Amacio Martinez. Documenti falsi, trovati poi in
suo possesso in Svizzera. Il 15 luglio 1980 in Italia il consigliere istruttore
Achille Gallucci invia al procuratore generale una documentazione in cui chiede
la revoca del mandato di cattura per De Vuono e altri.
Nel 1981 la vicenda di De Vuono sembra terminare con un fermo di polizia in
Svizzera che consentirà di scoprire i documenti falsi dell'italiano. Anche
Sergio Flamigni, ex senatore del Pci, custode di un archivio immenso relativo a
P2, caso Moro e servizi segreti, chiede chiarezza. «La figura di De Vuono è
molto particolare. Sembra svanire nell'aria. Nonostante il riconoscimento da
parte di Valentino (aprile 1978), a un certo punto la sua figura scompare.
Ci sono poche informazioni che lo riguardano. Da sempre si è detto che
potesse essere lui l'uomo della 'ndrangheta presente in via Fani. Addirittura
quello che ha sparato i 49 colpi a segno. Ma non si è andati troppo a fondo. Ci
sono molti dubbi ancora oggi, ma c'è la sensazione che fattori ?esterni? abbiano
contribuito a far sparire qualcuno dall'occhio del ciclone di quei momenti.
Forse i servizi segreti. È una storia italiana di cui probabilmente mai nessuno
conoscerà la verità».
di Alessandro Grandi (L'Espresso, 14 maggio 2009)
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