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La nuova inchiesta Lo «Sciacallo» tira in ballo i servizi segreti
americani. Torna la pista del tedesco Kram
Carlos «assolve» Mambro e Fioravanti
Strage di Bologna, è stato interrogato per la prima volta a Parigi
Carlos lo sciacallo, per la prima volta davanti a un magistrato italiano,
detta la risposta in lingua francese: «La strage del 2 agosto, a Bologna, non è
opera dei fascisti». Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, così come Luigi
Ciavardini, i neofascisti condannati per la bomba alla stazione coi suoi 85
morti e i duecento feriti, non avrebbero nulla a che fare con la terribile
esplosione al tritolo che nell'estate del 1980 sbriciolò la sala d'aspetto di
seconda classe e investì il treno Ancona-Chiasso in sosta sul primo binario.
Ascoltato per rogatoria dal pubblico ministero bolognese Enrico Cieri, entrato
alle nove di venerdì col funzionario della Digos Marotta nell'austero Palazzo di
Giustizia parigino che guarda in faccia le punte della cattedrale di Notre Dame
e taglia in due la Senna, il terrorista internazionale di origini venezuelane
non batte ciglio e ripete: «A mettere la bomba a Bologna non sono stati né i
rivoluzionari né i fascisti...».
Allora chi è stato, insiste il magistrato aggiustandosi gli occhiali sul
naso. Ma Carlos, in camicia rossa, ben sistemato nei suoi sessant'anni in arrivo
il prossimo 12 ottobre, va per i fatti suoi: «Io voglio parlare davanti a una
commissione ministeriale, non a un magistrato... comunque quella è roba della
Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene. Il guaio è che
l'Italia è una semicolonia degli Stati Uniti, ragion per cui nel vostro Paese
non si possono risolvere i tanti misteri... L'Italia dal 1943 è metà pizzeria e
metà bordello degli americani, per questo non si risolve nulla... e lo stesso
vale per la Germania, semicolonia americana dal 1945».
Carlos, il cui vero nome è Ilich Ramirez Sanchez, detenuto nel carcere
francese di Poissy e famoso per l'assalto al quartier generale dell'Opec nel
1975, spiega anche perché «non possono essere stati i neofascisti» a mettere la
bomba alla stazione di Bologna. «In quegli anni — detta — il traffico di armi ed
esplosivi attraverso l'Italia era cosa soltanto nostra. Col beneplacito dei
servizi italiani, coi quali noi rivoluzionari trattavamo personalmente, i
compagni potevano attraversare l'Italia, così come la Grecia, con tutte le armi
in arrivo da Saddam Hussein. Per questo posso certamente dire che in quei giorni
mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto
esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere
in mano i neofascisti italiani. Quel tritolo viene dai militari... Tra i
rivoluzionari palestinesi e l'Ori (l'Organizzazione dei rivoluzionari
internazionali, quella di Carlos, ndr) — puntualizza il terrorista — i patti con
i servizi segreti italiani erano chiari: in Italia traffico di armi sì,
attentati no... E noi abbiamo mantenuto la parola». Quindi Carlos demolisce
anche la tesi di Cossiga, quella dello scoppio accidentale dell'esplosivo in
transito: «Conosco bene quel tritolo, non suda, non si muove... per farlo
saltare serve per forza l'innesco».
A fianco di Carlos, portato in tutta sicurezza al primo piano del tribunale
circondato dalla Gendarmeria, ci sono gli avvocati Sandro Clementi e Isabelle
Coutant. Con loro l'interprete Sophie Blanco. Davanti al terrorista, a far
domande, stanno seduti il giudice istruttore Yves Jannier (che ha sostituito
Brughier) e il pm Cieri, l'ufficiale di collegamento italiano in Francia,
Forcella, e il magistrato italiano di collegamento a Parigi, Camelieri. Prima di
iniziare «lo sciacallo» li fissa negli occhi uno per uno, prende carta e penna e
chiede a ognuno di loro nome e cognome. Non tutti rispondono. A un tratto il
magistrato bolognese tira fuori un album fotografico e chiede a Carlos se
conosce Abu Saleh Anzeh, rappresentante in Italia del Fronte popolare per la
liberazione della palestina (Fplp). Sorride, «lo sciacallo».
Prima di diventare segretario a Damasco di George Abbash, Anzeh era il suo
uomo delegato ai rapporti con i servizi segreti militari. «Del resto noi eravamo
organizzati militarmente — spiega Carlos — per questo subito dopo lo scoppio a
Bologna ho ricevuto un rapporto scritto. Noi, prima di tutti, volevamo capire
cosa fosse accaduto». A inviarlo, dice ancora, è stata Magdalena Cecilia Kop,
nel 1980 una semplice militante poi diventata sua moglie, oggi ripudiata perché
starebbe collaborando con il Bka, la polizia politica tedesca. «Andate a
chiederlo a lei cosa c'era scritto... I servizi sapevano bene che a Bologna quel
giorno c'era Thomas Kram e farlo saltare in aria con la stazione sarebbe stato
come mettere la firma dei palestinesi sull'eccidio... Così l'Italia si sarebbe
staccata dai palestinesi e avvicinata agli israeliani. Ma Kram (già interrogato
dal pm Cieri, ndr) si è salvato e l'operazione è fallita. Thomas era braccato
passo passo dagli 007... In realtà era diretto a Perugia. Perché non tutti lo
sanno, ma il '68 non è nato a Parigi, è nato a Perugia nel 1967».
Biagio Marsiglia (Il Corriere della Sera, 26 aprile 2009)
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