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Data news: 08/05/2010
Argomento: News
Titolo: Moro, l'ultima notte doveva essere liberato
MORO:ULTIMA NOTTE DOVEVA ESSERE LIBERATO,TANTE CONFERME
ANSA A 32 ANNI DA V.CAETANI, ‘QUALCOSA ACCADDE,FINÌ CON RENAULT ROSSA’
(di Paolo Cucchiarelli, ANSA)
Gli americani hanno un'espressione che calza: ‘La verità è come l'olio della corazzata Missouri’. Un modo di dire che paragona la verità alle bolle di olio che ancora affiorano ogni tanto nella baia di Pearl Harbour dall'ammiraglia Usa affondata dall'attacco aereo giapponese. Qualche frammento di verità sul caso Moro affiora ancora oggi, a 32 anni dall'uccisione dello statista Dc. Tanti frammenti importanti che confermano che Moro doveva essere rilasciato vivo il 9 maggio del 1978 e che qualcosa di imprevisto, non concordato, accadde quell'ultima notte. Elemento questo confermato negli anni dall'ammiraglio Fulvio Martini, numero due del Sismi all'epoca, dal terrorista Carlos detto ‘lo sciacallo’ e dall'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif: il 9 maggio, oltre al pagamento di un riscatto, a Milano era in atto una complessa azione per la liberazione di Moro grazie allo scambio tra esponenti della Raf prigionieri di Tito e detenuti Br in mano all'Italia. Martini andò in Jugoslavia per prendere in carico i tre e portarli a Beirut, dove un aereo dei servizi segreti italiani aspettava in un angolo appartato dello scalo. La destinazione prevista era lo Yemen, base di Carlos. Una fazione del Sismi, ha raccontato due anni fa Carlos all'ANSA, cercò di salvarlo: alcuni brigatisti dovevano essere prelevati dalle carceri e portati in un Paese arabo, probabilmente per scambiarli con i tre della Raf in mano a Tito. Oggi arrivano nuove conferme dopo che l'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif ha detto che la trattativa venne improvvisamente interrotta dagli italiani, come sostiene anche Carlos: «Avrei potuto salvare Moro. Nessuna imprudenza. Ho chiamato un numero, ho lasciato un messaggio dopo l'altro. Nessuna risposta. Davvero strano: una linea speciale e nessuno risponde...» ha detto al Corriere della sera nel 2008. Intervistate da Alessandro Forlani per la rubrica Rai ‘Pagine in frequenza’ per uno speciale di Gr Parlamento alcuni protagonisti lanciano la loro personale ‘bolla d'olio’ su quella ultima notte. Franco Mazzola, all'epoca sottosegretario alla Difesa: «Il governo non poteva trattare, ma poi trattavano tutti: la Dc, il Papa, la Caritas. Insomma, trattavano. È chiaro che se Tito si prestava ad un'operazione come questa, lo faceva con l'accordo del governo italiano. Certo, ne erano a conoscenza pochissime persone: diciamo Cossiga e Andreotti; l'ammiraglio Martini il 9 maggio andava a chiudere l'operazione, ma quelli non hanno aspettato». Umberto Giovine, allora direttore di Critica Sociale: «L'ammiraglio Martini mi parlò un giorno di questa operazione svolta in Jugoslavia; non mi meraviglia più di tanto che non vi faccia neppure cenno nel suo libro di memorie, nè che minimizzi in commissione Stragi: probabilmente si sentiva sempre vincolato dal segreto». Per il rapimento di Aldo Moro «tutto si giocò nelle ultime 48 ore», anzi «nell'ultima notte», quella tra l'8 e il 9 maggio del 1978 dice Claudio Signorile, all'epoca vice segretario del Psi. Agnese Moro: «Ad un certo punto si parlò anche di un possibile espatrio di mio padre, in cambio della liberazione; non ricordo chi ne parlò, se politici, magistrati o qualcuno dei servizi, comunque era un'ipotesi fatta anche da papà nelle lettere». Nuccio Fava, direttore del Tg1: il segretario di Paolo VI, Macchi, mi disse che il Papa era molto dispiaciuto che Moro avesse scritto che lui aveva fatto ‘pochino’; e aggiunse che Paolo VI era pronto ad ospitare Moro in Vaticano, mettendo in piedi una commissione indipendente, che tenesse in custodia il prigioniero e definisse una trattativa tra governo italiano e Br; della commissione avrebbero fatto parte la Croce Rossa internazionale, la Mezza Luna Rossa algerina e altri soggetti neutrali. Macchi disse anche che il dolore per quanto era successo aveva accelerato la dipartita di Paolo VI«. Padre Carlo Cremona, segretario di Macchi: »Padre Macchi, se faceva qualcosa andava fino in fondo; quella mattina era contento, come se avesse raggiunto il suo scopo, come se una promessa fosse stata mantenuta; mi disse di stare attento al telefono, perchè avrebbe dovuto chiamare una persona, che avrebbe fatto da mediatore con le Br. Questa persona avrebbe dovuto dire che la trattativa era andata in porto, e che Moro, come d'accordo, avrebbe incontrato una persona amica, forse Mennini, che lo confortasse, lo facesse salire su un'auto e lo portasse in Vaticano, libero. Io rimasi al mio posto, ma arrivò solo la notizia che il cadavere di Moro era stato trovato«. Corrado Guerzoni, segretario di Moro: »Che le Br abbiano fatto tutto da sole corrisponde ad una lettura sempliciotta del sequestro Moro; secondo me, hanno gestito un appalto«. Sereno Freato, tra i più stretti collaboratori dell'allora presidente della Dc: »Liberare Moro avrebbe costituito un grande vantaggio per le Br: a mio avviso è arrivato un ordine dall'alto. Forse Moro è stato, come scrive, liberato dalle Br e consegnato a X o Y, qualche settore deviato delle istituzioni o dei servizi internazionali: le Br hanno fatto da pali. Forse Moro ha riconosciuto qualcuno; è giusto dire che quella notte del 9 maggio tante cose sono accadute, che non sappiamo«. Una ulteriore conferma viene da Marco Cazora, figlio di Benito, deputato Dc che aveva cercato di aprire una canale di trattativa con ambienti della malavita romana che sostenevano di aver scoperto la prigione di Moro. Di fronte alle sue insistenze per un intervento delle forze dell'ordine, Cazora si sentì rispondere da qualcuno »molto importante«: »Smettila di darti tanto da fare, tanto quello martedì è libero«. Era sabato. Il figlio di Cazora ricorda anche quanto riferito da Cossiga in commissione Stragi nel '97 cioè che Andreotti gli disse, la sera dell'8 maggio, di sperare in una soluzione positiva. L'indomani la Renault rossa era in via Caetani.
QUELLA MISSIONE IMPOSSIBILE DI MARTINI IL 9 MAGGIO
Il 9 maggio 1978, Fulvio Martini - il dirigente dell'ufficio RS che curava i rapporti internazionali, di fatto il numero due del Sismi - si alzò molto presto. Alle 4 di mattina partì da solo, non armato, con la propria macchina da Venezia: destinazione la Jugoslavia. A cavallo fra aprile e maggio era maturata, anche su sollecitazione iniziale della famiglia Moro, la ‘pista jugoslava’ per la liberazione dello statista Dc sequestrato dalle Br il 16 marzo. Aveva il suo cardine nel maresciallo Tito e sulla sua possibilità di essere ‘cerniera’ tra Est ed Ovest (oltrechè punto di passaggio di molti gruppi terroristici all'epoca) e di cui parlano ampiamente la relazione finale della commissione Moro, Giulio Andreotti e la stessa famiglia Moro. «Alle 12 - ha rivelato Martini anni fa, rispondendo ad una richiesta di notizie per un libro sulla vicenda Moro - qualcuno mi fermò dietro un muro: era un uomo del servizio segreto militare. Il mio compito, quel giorno, era andare a prelevare i 3 della Raf che erano in mano a Tito, due uomini e una donna. Uomini della Raf che dissero di aver avuto rapporti con le Br a Milano. Mi portarono a Porto Rose e cominciammo a discutere. Gli jugoslavi avevano ipotizzato di scambiarli con i tedeschi chiedendo in cambio dei terroristi ustascia che erano stati arrestati a Bonn dopo un omicidio. Alle 16 arrivò la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro, proprio mentre stavamo per discutere della situazione e delle notizie che avevamo raccolto. Chiamai Roma e mi dissero di rientrare subito». Una vicenda, quella della pista jugoslava e dei terroristi della Raf in mano a Tito, mai chiarita e che è ai margini della ricostruzione ufficiale del caso Moro anche se i riferimenti non mancano. Cossiga, ad esempio, ha detto più volte che il Sismi agì da solo, senza informarlo. Quei terroristi della Raf venivano da Milano ed avevano avuti contatti proprio con i Br che si opponevano alla morte di Moro. Il 6 maggio 1978 fonti diplomatiche jugoslave rivelano che sono state arrestate ed espulse dalla Jugoslavia 3 tedesche che hanno gli stessi cognomi della banda Baader-Meinhof. Le donne hanno dato le generalità di Baader, Ensslin e Meinhof, morti suicidi nel carcere di Stammheim nel 1979. Il 29 maggio la Germania chiede l'estradizione per 4 terroristi - Brigitte Mohnhaupt, Rolf Clemens Wagner, Peter Boock e Sieglinde Hoffmann - che secondo i tedeschi sono stati arrestati il 20 di maggio in Jugoslavia. I 4 rappresentano di fatto lo stato maggiore del gruppo terroristico tedesco, legato a Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, ‘lo Sciacallo’, il terrorista internazionale oggi in prigione francese. Il 30 maggio Belgrado conferma l'arresto dei terroristi tedeschi che erano in Jugoslavia - si sostiene - per organizzare un congresso della Raf. Il governo jugoslavo è disposto ad estradare i 4 terroristi e chiede a sua volta l'estradizione dalla Repubblica Federale Tedesca di 8 ustascia. Il 17 novembre 1978 la Jugoslavia rimette i 4 terroristi in libertà e li espelle dal suo territorio. È forte l'irritazione a Bonn. Il 20 dicembre 1978 il ministro dell'Interno di Bonn afferma che i 4 terroristi della Raf non si trovano in Libia e che la Mohnhaupt è sospettata di essere implicata nel rapimento di Aldo Moro. Il 2 settembre 1979 fonti vicine ai servizi di sicurezza tedeschi apprendono che i 4 si troverebbero a Baghdad in residenza sorvegliata. Fin qui la storia di una «missione impossibile» da parte di uno dei più rispettati agenti segreti italiani, resa tale soprattutto dal ritrovamento della R4 rossa in via Caetani con il cadavere di Moro proprio mentre Martini sta trattando con gli jugoslavi. Un riferimento importante per contestualizzare e probabilmente «leggere» la vicenda lo ha dato proprio Carlos ‘lo Sciacallo’ nel marzo 2000 quando, intervistato da Il Messaggero, disse: «C'erano patrioti anti-Nato, inclusi alcuni generali, che erano partiti per aspettare il rilascio dei prigionieri e per salvare la vita a Moro e l'indipendenza dell'Italia. Invece questi patrioti, inclusi alcuni generali, sono stati dimessi e costretti ad andare in pensione» (Martini in agosto abbandonò il servizio e i giornali parlarono apertamente di «epurazioni nei servizi segreti», ndr). Afferma ancora Carlos in quella intervista: «A Milano avvenne questo fatto. Che rivoluzionari stranieri mentre stavano recandosi ad una riunione decisiva, per stabilire un contatto con un rappresentante dello stato, sono sfuggiti per un soffio all'arresto della polizia. Gli agenti stavano cercando di intercettare i loro principali ospiti stranieri di cui possedevano, nelle loro mani, foto e dettagli sulla loro identità». A conferma di questa sua ‘lettura’ della trattativa, Carlos fa una rivelazione, forse importante: «All' aeroporto di Beirut un jet Executive dei servizi segreti italiani rimase in attesa a lungo aspettando un contatto con le Br attraverso gente estranea alla resistenza palestinese. Non c'erano uomini di Al Fatah». Nel 2008, intervistato dall'Ansa Carlos fornisce un ulteriore tassello che si incastra con gli altri: ci fu un ultimo, estremo tentativo di salvare Moro che ebbe come scenario la pista dell' aeroporto di Beirut dove un executive dei servizi segreti italiani attese invano, l'8 e il 9 maggio del 1978, che a Roma una certa situazione si sbloccasse. Una fazione dei servizi segreti italiani, favorevole allo scambio, avrebbe dovuto prelevare dalle prigioni alcuni Br che dovevano essere portati in un Paese arabo. A bordo di quel jet c'erano il colonnello Stefano Giovannone, uomo del Sismi legato a Moro, ed esponenti dell'Fplp, garantiti e sotto la protezione dello Stato italiano. Le cose però saltarono per l'intervento di qualcosa o di qualcuno quell'ultima notte.
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