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15/02/2011 ANSA

GELLI: AVEVO LA P2,COSSIGA AVEVA GLADIO E ANDREOTTI L'ANELLO

  ''Giulio Andreotti sarebbe stato il vero ''padrone'' della Loggia P2? Per carita'... io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l'Anello''. L'Anello? ''Si', ma ne parleremo la prossima volta''.
Con poche parole l'ex venerabile Gelli conferma per la prima volta che il senatore Andreotti sarebbe stato il referente di un'organizzazione quasi sconosciuta, un sorta di servizio segreto parallelo e clandestino, un possibile anello di congiunzione tra i servizi segreti (usati in funzione anticomunista) e la societa' civile.
Il settimanale Oggi, che pubblica l'intervista a Gelli nel numero in edicola domani, ha chiesto un commento ad Andreotti, che con queste parole ha fatto sapere di non voler commentare. Gelli dice: ''Se avessi vent'anni di meno, mobiliterei il popolo, bloccherei ferrovie e autostrade per protestare contro l'ingerenza dell'Europa. Per bloccare chi vieta di esporre il crocifisso negli edifici pubblici''. Sulla P2, Licio Gelli tra l'altro dice: ''La rifarei. Anche se tanto del mio Piano di rinascita e' stato realizzato. Mi sarebbero bastati altri quattro mesi. Solo quattro. E avrei cambiato il sistema politico senza colpo ferire''. L'ex venerabile da' un giudizio negativo su Berlusconi: ''La sua politica non mi piace. Si e' dimostrato un debole, ha paura della minoranza e non fa valere il potere che il popolo gli ha dato. Oggi il Paese e' in una fase di stallo. Molto pericolosa. Berlusconi e' stato troppo goliardico, avrebbe dovuto dedicare piu' tempo ad altri incontri, ad altre cene''.Lapidario il giudizio su Gianfranco Fini: ''E' un uomo senza carattere''.
Alla domanda se ci siano suoi documenti segreti, magari all'estero, Gelli da' una risposta sibillina: ''Non me lo ricordo... I servizi segreti italiani hanno pagato per avere un mio archivio, falso, nascosto a Montevideo. 400 milioni di vecchie lire. Una valigia piena di cartacce, giornali, inutili fogli''. E nega ''nel modo piu' assoluto'' di conservare dossier su personaggi politici''.
15/06/2010 ANSA

Casimirri: «Con il sequestro di Aldo Moro non ho mai avuto niente a che fare»

  «Con il sequestro di Aldo Moro non ho mai avuto niente a che fare». A 32 anni dall'eccidio della scorta di Aldo Moro, dopo una condanna a sei ergastoli e una fuga in Nicaragua, il brigatista rosso Alessio Casimirri si dichiara estraneo al rapimento Moro, in un'intervista a Sette, il magazine del Corriere della Sera, in edicola da giovedì 17 giugno.
Casimirri parla da Managua, in Nicaragua, dove vive dal 1983. «Ormai - dice - sono un cittadino nicaraguense e questo è diventato il mio Paese». E sulle numerose dichiarazioni che confermano la sua presenza nel commando che rapi lo statista democristiano, Casimirri ribatte: «Valerio Morucci ha dichiarato di non poter dire se avessi fatto o meno parte del commando. Anche la dichiarazione di Raimondo Etro è falsa». Sui servizi segreti, per i quali secondo indiscrezioni avrebbe lavorato, dice, «non ho mai conosciuto il capitano dei carabinieri Francesco Delfino, non ho mai fatto parte del Sismi e mai ho collaborato con i servizi. Anzi. Volevano sequestrarmi, narcotizzarmi e portarmi con un pulmino alla frontiera». All'accusa di aver addestrato le teste di cuoio del Nicaragua, ribatte di aver «addestrato un gruppo di sommozzatori della Croce Rossa». Casimirri conclude con un'accusa: «Ogni tanto arriva qualcuno a offrirmi soldi, tanti soldi, per accusare qualcun altro di aver protetto la mia latitanza. Un vostro importante politico mi ha offerto 300mila dollari, ma non ho bisogno di mentire».
08/05/2010 ANSA

Caso Moro: c'era un fascicolo nell'archivio della STASI

  Ci sono molte carte riguardanti la vicenda Moro e le Br negli archivi della Stasi. A rivelarlo è la nuova edizione accresciuta ed aggiornata di un fortunato libro scritto da Antonio Selvatici: 'Chi spiava i terroristi. Kgb, Stasi-Br, Raf', edito dalla Pentdragon. Il libro segnala che, tra i molti incartamenti dedicati alle Br, c'è una scheda intestata a Valerio Morucci in cui, sul retro, si rinvia ad un non meglio precisato ‘Archivio Moro’. «Nonostante abbia sollecitato ricerche accurate - scrive Selvatici - gli archivisti di Berlino non hanno trovato nulla. Probabilmente è stato distrutto. Forse sarebbe stato possibile riscrivere una delle pagine più oscure della storia della Repubblica». Tra le molte ‘informative’ riguardanti le Br anche una sul 1980. «Numerosi terroristi italiani, così come membri di organizzazioni terroristiche della Germania Ovest hanno intenzione di realizzare un attentato su un volo in entrata in Italia, proveniente dalla Libia e facente scalo in un aeroporto francese, all'inizio del novembre 1980 (...).
In questo gruppo terroristico pare si trovino italiani che sono ricercati a livello internazionale». L'informativa cita il capo delle Br, Mario Moretti, come uno dei componenti del commando.
Fonte ANSA
08/05/2010 ANSA

MORO:ULTIMA NOTTE DOVEVA ESSERE LIBERATO,TANTE CONFERME

  MORO:ULTIMA NOTTE DOVEVA ESSERE LIBERATO,TANTE CONFERME/ANSA A 32 ANNI DA V.CAETANI, ‘QUALCOSA ACCADDE,FINÌ CON RENAULT ROSSA’ (di Paolo Cucchiarelli) Gli americani hanno un'espressione che calza: ‘La verità è come l'olio della corazzata Missouri’. Un modo di dire che paragona la verità alle bolle di olio che ancora affiorano ogni tanto nella baia di Pearl Harbour dall'ammiraglia Usa affondata dall'attacco aereo giapponese. Qualche frammento di verità sul caso Moro affiora ancora oggi, a 32 anni dall'uccisione dello statista Dc. Tanti frammenti importanti che confermano che Moro doveva essere rilasciato vivo il 9 maggio del 1978 e che qualcosa di imprevisto, non concordato, accadde quell'ultima notte. Elemento questo confermato negli anni dall'ammiraglio Fulvio Martini, numero due del Sismi all'epoca, dal terrorista Carlos detto ‘lo sciacallo’ e dall'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif: il 9 maggio, oltre al pagamento di un riscatto, a Milano era in atto una complessa azione per la liberazione di Moro grazie allo scambio tra esponenti della Raf prigionieri di Tito e detenuti Br in mano all'Italia. Martini andò in Jugoslavia per prendere in carico i tre e portarli a Beirut, dove un aereo dei servizi segreti italiani aspettava in un angolo appartato dello scalo. La destinazione prevista era lo Yemen, base di Carlos. Una fazione del Sismi, ha raccontato due anni fa Carlos all'ANSA, cercò di salvarlo: alcuni brigatisti dovevano essere prelevati dalle carceri e portati in un Paese arabo, probabilmente per scambiarli con i tre della Raf in mano a Tito. Oggi arrivano nuove conferme dopo che l'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif ha detto che la trattativa venne improvvisamente interrotta dagli italiani, come sostiene anche Carlos: «Avrei potuto salvare Moro. Nessuna imprudenza. Ho chiamato un numero, ho lasciato un messaggio dopo l'altro. Nessuna risposta. Davvero strano: una linea speciale e nessuno risponde...» ha detto al Corriere della sera nel 2008. Intervistate da Alessandro Forlani per la rubrica Rai ‘Pagine in frequenza’ per uno speciale di Gr Parlamento alcuni protagonisti lanciano la loro personale ‘bolla d'olio’ su quella ultima notte. Franco Mazzola, all'epoca sottosegretario alla Difesa: «Il governo non poteva trattare, ma poi trattavano tutti: la Dc, il Papa, la Caritas. Insomma, trattavano. È chiaro che se Tito si prestava ad un'operazione come questa, lo faceva con l'accordo del governo italiano. Certo, ne erano a conoscenza pochissime persone: diciamo Cossiga e Andreotti; l'ammiraglio Martini il 9 maggio andava a chiudere l'operazione, ma quelli non hanno aspettato». Umberto Giovine, allora direttore di Critica Sociale: «L'ammiraglio Martini mi parlò un giorno di questa operazione svolta in Jugoslavia; non mi meraviglia più di tanto che non vi faccia neppure cenno nel suo libro di memorie, nè che minimizzi in commissione Stragi: probabilmente si sentiva sempre vincolato dal segreto». Per il rapimento di Aldo Moro «tutto si giocò nelle ultime 48 ore», anzi «nell'ultima notte», quella tra l'8 e il 9 maggio del 1978 dice Claudio Signorile, all'epoca vice segretario del Psi. Agnese Moro: «Ad un certo punto si parlò anche di un possibile espatrio di mio padre, in cambio della liberazione; non ricordo chi ne parlò, se politici, magistrati o qualcuno dei servizi, comunque era un'ipotesi fatta anche da papà nelle lettere». Nuccio Fava, direttore del Tg1: il segretario di Paolo VI, Macchi, mi disse che il Papa era molto dispiaciuto che Moro avesse scritto che lui aveva fatto ‘pochino’; e aggiunse che Paolo VI era pronto ad ospitare Moro in Vaticano, mettendo in piedi una commissione indipendente, che tenesse in custodia il prigioniero e definisse una trattativa tra governo italiano e Br; della commissione avrebbero fatto parte la Croce Rossa internazionale, la Mezza Luna Rossa algerina e altri soggetti neutrali. Macchi disse anche che il dolore per quanto era successo aveva accelerato la dipartita di Paolo VI«. Padre Carlo Cremona, segretario di Macchi: »Padre Macchi, se faceva qualcosa andava fino in fondo; quella mattina era contento, come se avesse raggiunto il suo scopo, come se una promessa fosse stata mantenuta; mi disse di stare attento al telefono, perchè avrebbe dovuto chiamare una persona, che avrebbe fatto da mediatore con le Br. Questa persona avrebbe dovuto dire che la trattativa era andata in porto, e che Moro, come d'accordo, avrebbe incontrato una persona amica, forse Mennini, che lo confortasse, lo facesse salire su un'auto e lo portasse in Vaticano, libero. Io rimasi al mio posto, ma arrivò solo la notizia che il cadavere di Moro era stato trovato«. Corrado Guerzoni, segretario di Moro: »Che le Br abbiano fatto tutto da sole corrisponde ad una lettura sempliciotta del sequestro Moro; secondo me, hanno gestito un appalto«. Sereno Freato, tra i più stretti collaboratori dell'allora presidente della Dc: »Liberare Moro avrebbe costituito un grande vantaggio per le Br: a mio avviso è arrivato un ordine dall'alto. Forse Moro è stato, come scrive, liberato dalle Br e consegnato a X o Y, qualche settore deviato delle istituzioni o dei servizi internazionali: le Br hanno fatto da pali. Forse Moro ha riconosciuto qualcuno; è giusto dire che quella notte del 9 maggio tante cose sono accadute, che non sappiamo«. Una ulteriore conferma viene da Marco Cazora, figlio di Benito, deputato Dc che aveva cercato di aprire una canale di trattativa con ambienti della malavita romana che sostenevano di aver scoperto la prigione di Moro. Di fronte alle sue insistenze per un intervento delle forze dell'ordine, Cazora si sentì rispondere da qualcuno »molto importante«: »Smettila di darti tanto da fare, tanto quello martedì è libero«. Era sabato. Il figlio di Cazora ricorda anche quanto riferito da Cossiga in commissione Stragi nel '97 cioè che Andreotti gli disse, la sera dell'8 maggio, di sperare in una soluzione positiva. L'indomani la Renault rossa era in via Caetani. QUELLA MISSIONE IMPOSSIBILE DI MARTINI IL 9 MAGGIO Il 9 maggio 1978, Fulvio Martini - il dirigente dell'ufficio RS che curava i rapporti internazionali, di fatto il numero due del Sismi - si alzò molto presto. Alle 4 di mattina partì da solo, non armato, con la propria macchina da Venezia: destinazione la Jugoslavia. A cavallo fra aprile e maggio era maturata, anche su sollecitazione iniziale della famiglia Moro, la ‘pista jugoslava’ per la liberazione dello statista Dc sequestrato dalle Br il 16 marzo. Aveva il suo cardine nel maresciallo Tito e sulla sua possibilità di essere ‘cerniera’ tra Est ed Ovest (oltrechè punto di passaggio di molti gruppi terroristici all'epoca) e di cui parlano ampiamente la relazione finale della commissione Moro, Giulio Andreotti e la stessa famiglia Moro. «Alle 12 - ha rivelato Martini anni fa, rispondendo ad una richiesta di notizie per un libro sulla vicenda Moro - qualcuno mi fermò dietro un muro: era un uomo del servizio segreto militare. Il mio compito, quel giorno, era andare a prelevare i 3 della Raf che erano in mano a Tito, due uomini e una donna. Uomini della Raf che dissero di aver avuto rapporti con le Br a Milano. Mi portarono a Porto Rose e cominciammo a discutere. Gli jugoslavi avevano ipotizzato di scambiarli con i tedeschi chiedendo in cambio dei terroristi ustascia che erano stati arrestati a Bonn dopo un omicidio. Alle 16 arrivò la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro, proprio mentre stavamo per discutere della situazione e delle notizie che avevamo raccolto. Chiamai Roma e mi dissero di rientrare subito». Una vicenda, quella della pista jugoslava e dei terroristi della Raf in mano a Tito, mai chiarita e che è ai margini della ricostruzione ufficiale del caso Moro anche se i riferimenti non mancano. Cossiga, ad esempio, ha detto più volte che il Sismi agì da solo, senza informarlo. Quei terroristi della Raf venivano da Milano ed avevano avuti contatti proprio con i Br che si opponevano alla morte di Moro. Il 6 maggio 1978 fonti diplomatiche jugoslave rivelano che sono state arrestate ed espulse dalla Jugoslavia 3 tedesche che hanno gli stessi cognomi della banda Baader-Meinhof. Le donne hanno dato le generalità di Baader, Ensslin e Meinhof, morti suicidi nel carcere di Stammheim nel 1979. Il 29 maggio la Germania chiede l'estradizione per 4 terroristi - Brigitte Mohnhaupt, Rolf Clemens Wagner, Peter Boock e Sieglinde Hoffmann - che secondo i tedeschi sono stati arrestati il 20 di maggio in Jugoslavia. I 4 rappresentano di fatto lo stato maggiore del gruppo terroristico tedesco, legato a Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, ‘lo Sciacallo’, il terrorista internazionale oggi in prigione francese. Il 30 maggio Belgrado conferma l'arresto dei terroristi tedeschi che erano in Jugoslavia - si sostiene - per organizzare un congresso della Raf. Il governo jugoslavo è disposto ad estradare i 4 terroristi e chiede a sua volta l'estradizione dalla Repubblica Federale Tedesca di 8 ustascia. Il 17 novembre 1978 la Jugoslavia rimette i 4 terroristi in libertà e li espelle dal suo territorio. È forte l'irritazione a Bonn. Il 20 dicembre 1978 il ministro dell'Interno di Bonn afferma che i 4 terroristi della Raf non si trovano in Libia e che la Mohnhaupt è sospettata di essere implicata nel rapimento di Aldo Moro. Il 2 settembre 1979 fonti vicine ai servizi di sicurezza tedeschi apprendono che i 4 si troverebbero a Baghdad in residenza sorvegliata. Fin qui la storia di una «missione impossibile» da parte di uno dei più rispettati agenti segreti italiani, resa tale soprattutto dal ritrovamento della R4 rossa in via Caetani con il cadavere di Moro proprio mentre Martini sta trattando con gli jugoslavi. Un riferimento importante per contestualizzare e probabilmente «leggere» la vicenda lo ha dato proprio Carlos ‘lo Sciacallo’ nel marzo 2000 quando, intervistato da Il Messaggero, disse: «C'erano patrioti anti-Nato, inclusi alcuni generali, che erano partiti per aspettare il rilascio dei prigionieri e per salvare la vita a Moro e l'indipendenza dell'Italia. Invece questi patrioti, inclusi alcuni generali, sono stati dimessi e costretti ad andare in pensione» (Martini in agosto abbandonò il servizio e i giornali parlarono apertamente di «epurazioni nei servizi segreti», ndr). Afferma ancora Carlos in quella intervista: «A Milano avvenne questo fatto. Che rivoluzionari stranieri mentre stavano recandosi ad una riunione decisiva, per stabilire un contatto con un rappresentante dello stato, sono sfuggiti per un soffio all'arresto della polizia. Gli agenti stavano cercando di intercettare i loro principali ospiti stranieri di cui possedevano, nelle loro mani, foto e dettagli sulla loro identità». A conferma di questa sua ‘lettura’ della trattativa, Carlos fa una rivelazione, forse importante: «All' aeroporto di Beirut un jet Executive dei servizi segreti italiani rimase in attesa a lungo aspettando un contatto con le Br attraverso gente estranea alla resistenza palestinese. Non c'erano uomini di Al Fatah». Nel 2008, intervistato dall'Ansa Carlos fornisce un ulteriore tassello che si incastra con gli altri: ci fu un ultimo, estremo tentativo di salvare Moro che ebbe come scenario la pista dell' aeroporto di Beirut dove un executive dei servizi segreti italiani attese invano, l'8 e il 9 maggio del 1978, che a Roma una certa situazione si sbloccasse. Una fazione dei servizi segreti italiani, favorevole allo scambio, avrebbe dovuto prelevare dalle prigioni alcuni Br che dovevano essere portati in un Paese arabo. A bordo di quel jet c'erano il colonnello Stefano Giovannone, uomo del Sismi legato a Moro, ed esponenti dell'Fplp, garantiti e sotto la protezione dello Stato italiano. Le cose però saltarono per l'intervento di qualcosa o di qualcuno quell'ultima notte.
23/01/2010 ANSA

Moro: Signorile, si giocò tutto la notte tra 8-9 maggio

  Sul rapimento immobilismo servizi e forze ordine fu una scelta
di Paolo Cucchiarelli

Per il rapimento di Aldo Moro "tutto si giocò nelle ultime 48 ore", anzi "nell'ultima notte", quella tra l'8 e il 9 maggio del 1978. É questa la rivelazione che fa Claudio Signorile, all'epoca vice segretario socialista, che si attivò per salvare il leader della DC, rapito dalle Brigate Rosse, in una lunga intervista ad Alessandro Forlani che può essere ascoltata sul sito rai di grparlamento.
Quindi, per Signorile tutto precipitò nella notte tra l'8 e il 9 di maggio. "quando mi occupavo della trattativa con le BR, per il tramite di Pace e Piperno, avevo il telefono sotto controllo ed ero pedinato; se avessero voluto utilizzare le informazioni raccolte, avrebbero potuto fare qualcosa; servizi e forze dell'ordine sapevano tutto, ma l'immobilismo di cui furono protagonisti nei 55 giorni del sequestro moro, fu una scelta".
Signorile, che avvertì la Commissione Stragi di quanto fosse importante considerare il ruolo dei servizi segreti internazionali nei 55 giorni, traccia un'interpretazione generale del sequestro con diverse novità. "Le BR rapirono moro in autonomia, secondo una loro logica, ma senza l'intenzione di ucciderlo: ne é prova il fatto che lo interrogassero a volto coperto". "Dopo pochi giorni però il sequestro cambiò di significato, natura e quindi anche conclusione".
Molti i particolari che Signorile racconta sulla trattativa da lui condotta, per fermare l'esecuzione. "Il 9 maggio il presidente della Repubblica Leone doveva firmare un provvedimento di clemenza a favore di Alberto Buonoconto, che sarebbe stato trasferito in un carcere più vicino ai familiari". "Quella stessa mattina il presidente del Senato Fanfani avrebbe pronunciato un discorso alla direzione DC, che di fatto avrebbe aperto una crisi politica e forse anche di governo, perchè dalla linea della fermezza, condivisa col PCI, la DC passava a quella della trattativa, proposta dal PSI". "So per certo che l'8 maggio due importanti uomini politici salirono al Qquirinale, per convincere Leone a non firmare". Come é noto, non ci fu bisogno di nessuna di queste mosse, perché la mattina del 9 Moro fu ucciso.
"Non credo che ci fosse bisogno di dare a Moretti l'ordine di agire, perché i brigatisti sapevano già cosa fare; certo c'erano delle persone sopra Moretti, che non sono mai state scoperte". "Il mio più grande rimorso é quello di non aver insistito di più con Fanfani nel nostro incontro del 6 maggio, perché facesse subito una dichiarazione netta, che ponesse fine alla linea della fermezza".
Signorile rivela anche, per la prima volta, un importante particolare, cioè il fatto che la notizia della morte di Moro si diffuse prima della telefonata di Morucci al professor Tritto, a mezzogiorno e dieci. "Cossiga mi chiamò al Viminale, per prendere un caffé insieme, e io mi stupii, perché non avevamo un rapporto di grande consuetudine". "Dopo pochi minuti che ero nella sua stanza, erano le 10 e mezzo- 11, sentiamo l'altoparlante della centrale operativa, annunciare che la nota personalità era stata ritrovata al centro di Roma".
Signorile però ritiene capziosa la ricostruzione fatta da alcuni giornalisti, che attribuiscono in quell'occasione a Cossiga la frase:"mi hanno fregato".
23/01/2010 ANSA

Moro: Signorile rivela, morte decisa l'ultima notte

  'Vorremmo sapere cosa é successo quella mattina". "vorrete dire quella notte"! "tutto si giocò nelle ultime 48 ore e poi nell'ultima notte". é questa la rivelazione che fa Claudio Signorile, all'epoca vice segretario socialista, che si attivò per salvare il leader della DC in una lunga intervista ad Alessandro Forlani che può essere ascoltata sul sito rai di grparlamento.
"Quando mi occupavo della trattativa con le BR, per il tramite di Pace e Piperno, avevo il telefono sotto controllo ed ero pedinato; se avessero voluto utilizzare le informazioni raccolte, avrebbero potuto fare qualcosa; servizi e forze dell'ordine sapevano tutto, ma l'immobilismo di cui furono protagonisti nei 55 giorni del sequestro Moro, fu una scelta". Signorile, che avvertì la Commissione Stragi di quanto fosse importante considerare il ruolo dei servizi segreti internazionali nei 55 giorni, traccia un'interpretazione generale del sequestro con diverse novità.
"Le BR rapirono Moro in autonomia, secondo una loro logica, ma senza l'intenzione di ucciderlo: ne é prova il fatto che lo interrogassero a volto coperto". "dopo pochi giorni però il sequestro cambiò di significato, natura e quindi anche conclusione".
12/01/2010 ANSA

Moro: la figlia Agnese, Stato aveva idea di dove era. Verso la fine dei 55 giorni circolò idea di espatrio

  "Il vero mistero del sequestro e dell'assassinio di mio padre, è quello che un uomo politico, che aveva scritto la costituzione e che aveva guidato il paese nei momenti più difficili, possa essere stato abbandonato da tutti e lasciato morire; credo che uno studio della sua vita politica potrà farci capire meglio anche i misteri dei 55 giorni". Lo dice Agnese Moro, una dei 4 figli dello statista, in un'intervista ad Alessandro Forlani, che può essere ascoltata sul sito del grparlamento rai.
Molti gli episodi dei 55 giorni su cui Agnese moro fa le sue puntualizzazioni. Riguardo al tema della prigione del padre, Agnese Moro ricorda l'episodio della telefonata arrivata a casa, che annunciava l'individuazione del covo e l'attuazione di un blitz, per liberare il prigioniero. "la mattina dopo, non ricordo la data precisa, ci dissero che era troppo pericoloso e che non se n'era fatto niente". "Credo, aggiunge, che comunque le forze dell'ordine avessero un'idea, forse anche precisa, di dove mio padre veniva tenuto nascosto; non é vero che non avessimo persone preparate a fronteggiare il terrorismo, tant'é che poi in pochi mesi é stato sgominato".
La figlia ricorda una frase scritta dal padre in quei giorni:"non c' é niente da fare, quando non si vuole aprire la porta". "il paese, dice Agnese Moro, ha guardato morire un innocente senza fare niente, e questo pesa sulla coscienza di tutti". Anche Agnese conferma poi il fatto che di fronte alla segnalazione su Gradoli, e al suggerimento dato dalla madre di cercare via Gradoli, dal Viminale si disse che questa via a Roma non esisteva. "eravamo tutti presenti e non é possibile smentire questo fatto, come fa il presidente Cossiga". Agnese poi conferma il fatto che ad un certo punto, verso la fine dei 55 giorni, circolò l'idea di un espatrio del padre, in cambio della liberazione. "era un'idea lanciata da mio padre nelle lettere e ne parlammo in casa come un'ipotesi praticabile, anche se non ricordo chi, politici, magistratura, servizi, ce ne parlò. Riguardo alle trattative in campo negli ultimi giorni, l'unica di cui i familiari fossero a conoscenza era quella portata avanti dal partito socialista. "evidentemente però, spiega Agnese Moro, non si riuscì ad arrivare ai vertici delle BR". Lapidario il commento su una presunta visita di don Mennini al prigioniero:"bisogna chiedere a lui".
24/09/2009 ANSA

COPASIR SI OCCUPI AL PIÙ PRESTO DEL CASO MORO

  MORO: FIANO (PD); COPASIR SE NE OCCUPI AL PIÙ PRESTO
Il Copasir deve occuparsi al più presto del caso Moro. È l'auspicio espresso da Emanuele Fiano, deputato Democratico del Comitato parlamentare per la Sicurezza della repubblica. «Chiederò al presidente Rutelli - ha precisato il parlamentare in una nota - di mettere in calendario una nostra riunione specifica su questo tema alla quale possano partecipare i direttori di Aise e Aisi, Bruno Branciforte e Giorgio Piccirillo, insieme al prefetto De Gennaro. Mi auguro che tutti i colleghi saranno d'accordo con questa proposta». Fiano ha poi rilevato che «la drammatica emergenza dettata dall'Afghanistan ha centrato la riunione di oggi del Copasir e l'audizione del direttore dell'Aise, Branciforte, su quanti e quali rischi corrono i militari italiani impegnati in questa missione. Tuttavia rimane del tutto aperta la necessità di chiarimenti che le agenzie del sistema di sicurezza dello Stato devono essere in grado di fornirci circa le dichiarazioni del pentito Francesco Fonti sulle novità del caso Moro».
23/09/2009 ANSA

CAFORIO (IDV) COPASIR ORA INDAGHI SU ANELLO

  MORO: CAFORIO (IDV) COPASIR ORA INDAGHI SU ANELLO INCROCIO DI ELEMENTI TRA DICHIARAZIONI FONTI E UNA INCHIESTA
«Le dichiarazioni del pentito della 'ndragheta Francesco Fonti sono sconcertanti: il Parlamento ha il dovere di fare chiarezza». Lo afferma il senatore dell'Italia dei Valori e componente del Copasir Giuseppe Caforio dopo la pubblicazione dell'inchiesta di Riccardo Bocca sull'Espresso in base alla quale,sottolinea Caforio, «il Sismi nel 1978 e il suo direttore di allora, Giuseppe Santovito, erano a conoscenza dell'indirizzo presso il quale era detenuto l'onorevole Aldo Moro. Le dichiarazioni - prosegue Caforio - sono estremamente puntuali e dettagliate e ciò che colpisce è la coincidenza tra quanto afferma Fonti e quanto emerge in un recente libro-inchiesta su un servizio segreto clandestino, pubblicato con il titolo 'L'Anello della Repubblica'. Anche in quel libro testimonianze e indizi danno corpo alla concreta ipotesi che Aldo Moro si trovasse in via Gradoli prima di tutta la messa in scena del Lago della Duchessa. Ora gli inquirenti facciano il loro dovere così come deve farlo il Parlamento: porterò nel Copasir - conclude Caforio - la richiesta di andare a fondo nella ricerca di una verità che sembra assai vicina».
23/09/2009 ANSA

DOMANI COPASIR SI OCCUPERÀ DI RIVELAZIONI FONTI

  MORO: FIANO,DOMANI COPASIR SI OCCUPERÀ DI RIVELAZIONI FONTI
«Le dichiarazione del pentito della 'ndrangheta Francesco Fonti riportate da Riccardo Bocca sull'Espresso, che accreditano la tesi che il Sismi nel 1978 e il suo direttore di allora, Giuseppe Santovito, fossero a conoscenza dell'indirizzo presso il quale era detenuto Aldo Moro, sono ovviamente di enorme gravità». Lo ha detto Emanuele Fiano, deputato del Pd e membro del Copasir. « necessario - prosegue Fiano - che il Parlamento accerti la consistenza di tali dichiarazioni. Domani stesso nel corso dell'audizione presso il Copasir dell'ammiraglio Branciforte, direttore dell'Aise, chiederò di verificare se esistano tracce o riferimenti presso il suo servizio circa tali affermazioni, ugualmente farò con il direttore del Dis prefetto De Gennaro e con il direttore dell'Aisi generale Piccirillo. Altrettanto importante sarebbe comprendere la consistenza delle dichiarazioni del pentito circa il fatto che Mario Moretti ricevesse, nel 1990, in carcere, non meglio specificati pagamenti mensili su assegni circolari. Mi auguro - conclude Fiano - che quanto prima potremo applicare compiutamente la legge 124 che dovrebbe rendere per la prima volta nel nostro paese accessibili atti eventualmente coperti dal segreto di stato e risalenti all'epoca del rapimento Moro».
22/09/2009 ANSA

PDCI, VERIFICARE SUBITO DICHIARAZIONI FONTI

  PDCI, VERIFICARE SUBITO DICHIARAZIONI FONTI
«La testimonianza del pentito Francesco Fonti, le cui ultime rivelazioni sulla nave dei rifiuti di Cetraro sono risultate esatte, relativa al rapimento di Aldo Moro, pubblicato da 'L'Espressò sul suo sito, meritano una immediata verifica da parte dell'autorità giudiziaria, perchè evidenziano un intreccio malato tra politica, criminalità organizzata e servizi segreti di cui molto spesso si è sospettato». Lo afferma Jacopo Venier, della segreteria del Pdci, secondo il quale, «se confermate, le rivelazioni di Fonti riaprirebbero il 'caso Morò, che resta una delle pagine più oscure e buie della storia della Repubblica».
22/09/2009 ADNKronos

SU SITO L'ESPRESSO, TESTIMONIANZA EX BOSS 'NDRANGHETA FONTI

  L'ESPRESSO, SU SITO TESTIMONIANZA EX BOSS 'NDRANGHETA FONTI = 'RICOSTRUISCE SUO TENTATIVO PER CONTO DI UNA PARTE DELLA DC DI TROVARE LA PRIGIONE DI MORO'
Dalle 16.20 il settimanale 'L'Espresso' ha pubblicato sul suo sito un video e un articolo con la straordinaria testimonianza in prima persona sul rapimento Moro di Francesco Fonti. L'ex boss della 'ndrangheta, grazie alle sue rivelazioni, ha già permesso di trovare in Calabria una nave affondata dolosamente e carica, secondo gli investigatori, di scorie tossiche o radioattive.
Il pentito, adesso, ricostruisce giorno per giorno, il suo tentativo per conto di una parte della Democrazia Cristiana di trovare la prigione di Moro. Fonti ricostruisce i suoi incontri con i vertici del Sismi, i contatti con la banda della Magliana, il dialogo con un deputato Dc e quello con un capo di Cosa Nostra. Fino al delicatissimo appuntamento con il segretario della Dc Benigno Zaccagnini. Una vera e propria indagine sul campo fermata da uno stop improvviso.
Con una scoperta sconvolgente, anni dopo, nel carcere di Opera, dove Fonti fu rinchiuso fianco a fianco con il capo delle Br Mario Moretti.
22/09/2009 ANSA

FRANCESCO FONTI, TUTTI SAPEVANO DI VIA GRADOLI MORETTI PAGATO DAL VIMINALE PER MANTENERE IL SUO SILENZIO

  FRANCESCO FONTI, TUTTI SAPEVANO DI VIA GRADOLI MORETTI PAGATO DAL VIMINALE PER MANTENERE IL SUO SILENZIO
Francesco Fonti, il pentito della 'ndrangheta che ha permesso di individuare sui fondali a largo della Calabria le 'navi dei veleni', fa nuove clamorose rivelazioni pubblicate sul sito de «L'Espresso». Una testimonianza in prima persona raccolta da Riccardo Bocca che da anni segue le rivelazioni del pentito che ora getta nuova luce sui retroscena della vicenda Moro. Fonti fu inviato dalla 'ndrangheta a Roma il 20 marzo del '78 chiamato da Riccardo Misasi e Vito Napoli. Incontra il segretario della Dc Benigno Zaccagnini e si rende conto che molti personaggi della banda della Magliana sanno che Aldo Moro, e i suoi rapitori sono in via Gradoli. «Come è possibile, mi domando, che tutta la malavita di Roma sia al corrente di dove si trova il covo delle Br?». Fonti ha riscontri anche dai rappresentanti della 'ndrangheta a Roma e incontra anche la sua fonte nel Sismi, un certo «Pino» che torna poi anche nella vicenda delle «navi dei veleni». L'ultima certezza dopo molti incontri e tante certezze Fonti la ebbe il 4 aprile quando incontrò il direttore del Sismi Giuseppe Santovito. «Pino mi porta dal capo da Forte Braschi, dopo un dialogo interlocutorio, Santovito mi chiede se ho notizie precise riguardo ad un appartamento in via Gradoli 96. Gli rispondo che, in effetti, ho sentito questo indirizzo da amici, e lui commenta: 'Tutto vero, Fonti: è giunto il momento di liberare il presidente Moro'. In ogni caso, aggiunge congedandomi, 'teniamoci in contatto tramite Pino». Contento di quella notizia Fonti torna il 9 o il 10 aprile a San Luca dal suo capo, Sebastiano Romeno, che gli fa le sue congratulazioni ma lo gela con una notizia: «peccato che da Roma i politici abbiamo cambiato idea: dicono che, a questo punto, dobbiamo soltanto farci i cazzi nostri». Fonti, preso dallo sconforto, telefona alla questura di Roma, per invitarli ad andare in via Gradoli 96, «lì troverete i carcerieri di Aldo Moro». Pochi giorni dopo, il 18 di aprile, il covo di via Gradoli 96, viene scoperto, ricorda Fonti, «per una strana perdita d'acqua. Dei brigatisti come è logico, viste le premesse, non c'è traccia. E a questo punto so bene il perchè: non c'è stata la volontà di agire. E Fonti una sorta di risposta l'ebbe quando nel 1990 si trovò nel carcere di Opera insieme a Mario Moretti e si accorse che il capo delle Br riceveva ogni mese una busta con un assegno circolare. »Qualche tempo dopo - rivela Fonti - un brigadiere che credo si chiami Lombardo mi confida che, per recapitare i soldi (del ministero dell'Interno ndr) lo hanno fatto risultare come un insegnante di informatica, e in quanto tale è stato retribuito, l'ennesimo mistero - conclude la testimonianza di Fonti - tra i misteri del caso Moro dico a me stesso; l'ennesima zona grigia in questa storia tragica«.
21/04/2009 ANSA

SEQUESTRO MORO: CIRO CIRILLO, POTEVA ESSERE SALVATO COME ME

  «Aldo Moro poteva essere salvato pagando un riscatto in denaro, proprio come accadde con me». Lo ha sostenuto Ciro Cirillo (ex assessore regionale all'urbanistica e lui stesso ostaggio delle Brigate Rosse dal 27 aprile al 24 luglio 1981) nel corso della presentazione del libro-intervista firmato da Giuliano Granata e Tonia Limatola, «Io, Cirillo e Cutolo - dal sequestro alla liberazione», edito da Cento Autori. Sollecitato dalle domande del giornalista Nico Pirozzi, che ha moderato l'incontro, Cirillo ha aggiunto: «A rivelarmelo furono i miei stessi carcerieri, che mi spiegarono anche che quando la trattativa prese il via era già tardi. Troppo tempo era inutilmente passato, prima di capire che c'era la possibilità di percorrere anche questa strada». Altri tasselli al mosaico sono, successivamente, stati aggiunti da Giuliano Granata, ex capo della segreteria particolare di Cirillo e componente della direzione nazionale della Dc, protagonista della trattativa parallela con il capo della Nco, Raffaele Cutolo, e i servizi segreti, nel carcere di Ascoli Piceno. «La cifra messa a disposizione dei brigatisti in cambio della liberazione di Moro - ha spiegato l'ex sindaco di Giugliano - era di circa quaranta miliardi di lire». Il tempo, però, non giocò a favore dell'ostaggio, che fu ucciso 55 giorni dopo il sequestro. «Il prevalere dell'ala militarista del movimento diede una svolta tragica al sequestro», ha concluso Granata.
«Della trattativa parallela con il capo della Nco, Raffaele Cutolo, per la liberazione di Ciro Cirillo, attraverso il pagamento di un riscatto in denaro, erano al corrente buona parte dei vertici della Democrazia Cristiana». Lo ha affermato Giuliano Granata, già capo della segreteria particolare di Ciro Cirillo, l'ex assessore regionale all'urbanistica, ostaggio delle Brigate Rosse dal 27 aprile al 24 luglio 1981 - e componente della direzione nazionale della Dc, protagonista della trattativa parallela con Cutolo, il Sisde e il Sismi, nel carcere di Ascoli Piceno. «Questo l'ho capito a distanza di qualche mese dalla liberazione di Cirillo, quando l'esistenza di una trattativa con la camorra cominciò a trapelare anche dalle colonne di qualche giornale», ha spiegato Granata, sollecitato dalle domande del giornalista Nico Pirozzi, durante la presentazione del libro-intervista firmato con Tonia Limatola, «Io, Cirillo e Cutolo - Dal sequestro alla liberazione», edito da Cento Autori. «A chiedermi conferma della mia presenza nel carcere di Ascoli Piceno e anche di un incontro con Cutolo fu, nel corso di una vera e propria irruzione nel consiglio comunale di Giugliano, Joe Marrazzo, il giornalista Rai autore di numerose inchieste su mafia e camorra. Non negai. Subito dopo, però, telefonai ad Antonio Gava, per metterlo al corrente di quanto era accaduto». «A conclusione del colloquio Gava mi disse che quelle dichiarazioni rendevano necessaria una riunione della direzione nazionale del partito. Ebbene - conclude Granata - se, come si è sempre sostenuto, nessuno in casa DC sapeva della trattativa con Cutolo, quale necessità c'era di convocare, con così tanta urgenza, una riunione della direzione per elaborare una strategia di condotta, a seguito dell'intervista che avevo rilasciato a Marrazzo?».
18/11/2008 ADNKronos

CASO MORO: COSSIGA, TOGLIERE 'SEGRETO DI FATTO' SU CARTE PRESIDENTE DC = C'È CONFERMA O SMENTITA 'LODO' CON PALESTINESI

  «Nella mia veste di senatore farò tutto quello che posso perchè da queste carte venga tolto il 'segreto di fattò». Lo scrive il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, che nella pagina dei commenti de 'La Stampà risponde alla denuncia dello storico Miguel Gotor, secondo il quale i documenti personali di Aldo Moro non sono ancora consultabili dagli studiosi. L'archivio del presidente Dc rapito e ucciso dalle Br, scrive Cossiga, contiene notizie preziose sulla Democrazia cristiana, sul compromesso storico e «la conferma o la smentita delle rivelazioni, di origine palestinese e italiana, fatte questa estate alla stampa sul così detto 'Lodo Moro', e cioè sugli accordi di non belligeranzà che Aldo Moro avrebbe concluso con Al Fatah, con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina e con altri movimenti di resistenza palestinese, attraverso il servizio segreto militare». Il senatore a vita ricorda: «Io ho un archivio ben modesto che non è coperto da alcun segreto e da nessun segreto sarà coperto neanche dopo la mia morte, perchè ho dato istruzioni in questo senso a mia figlia e a mio figlio». Cossiga precisa che «le uniche carte interessanti che sono in mio possesso sono un rapporto delle autorità tedesche» ma già rese note da «un brillante giornalista italiano che non mi ha disvelato la fonte, sulla Rete Internazionale Stay Behind, e appunti sui tragici 55 giorni». Appunti che non sono nella sua «libera disponibilità» perchè «vennero redatti con un mio collaboratore d'allora, oggi importante parlamentare del partito di opposizione: per il resto -dice il senatore a Miguel Gotor- è sin d'ora a sua disposizione».
11/11/2008 ADNKronos

MORO: COSSIGA, LINEA FERMEZZA FU DI BERLINGUER

  «Una delle cose che non ho mai capito, per esempio, è perchè non si associa la linea della fermezza ad Enrico Berlinguer, perchè fu sua più che mia. Io ricordo ancora nel mio studio Enrico Berlinguer con il suo fare da gran signore, e per questo deciso, nel mio ufficio ad intimarmi di smettere di permettere alla Dc di cercare soluzioni tramite la Croce rossa». Lo afferma il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, intervistato da Lucia Annunziata per 'Titoli' su Red. Annunziata lo incalza: «Questi rapporti con il Pci, presidente, lei se li rigira un pò come vuole, guardi che Pecchioli e Berlinguer non hanno di fronte alla storia la stessa responsabilità che ha lei». «Ripeto -replica Cossiga- che il partito della fermezza fu innanzi tutto il partito comunista e non capisco ancora oggi perchè questa cosa la famiglia Moro non l'abbia mai riconosciuta».
11/11/2008 ANSA

MORO: COSSIGA, LA LINEA DELLA FERMEZZA FU DI BERLINGUER

  «Una delle cose che non ho mai capito è perchè non si associa la linea della fermezza sul rapimento di Moro a Enrico Berlinguer, perchè fu sua più che mia. Io ricordo ancora nel mio studio Enrico Berlinguer con il suo fare da gran signore, e per questo deciso, nel mio ufficio ad intimarmi di smettere di permettere alla Dc di cercare soluzioni tramite la croce rossa». Così Francesco Cossiga rivolto a Lucia Annunziata durante «Titoli», trasmissione di su Red tv. La giornalista ha risposto: «Questi rapporti con il Pci, presidente, lei se li rigira un pò come vuole, guardi che Pecchioli e Berlinguer non hanno di fronte alla storia la stessa responsabilità che ha lei». «Ripeto - ha ribattuto Cossiga - che il partito della fermezza fu innanzi tutto il Partito Comunista e non capisco ancora oggi perchè questa cosa la famiglia Moro non l'abbia mai riconosciuta».
07/11/2008 ADNKronos

CASO MORO: COSSIGA, IMPOSIMATO MI ACCUSA MA È UN POVERINO

  SONO SEMPRE STATO FAVOREVOLE A COMPROMESSO STORICO - «Povero Imposimato! Si è perfino dimenticato che io sono stato sempre favorevole al compromesso storico e sono stato ministro dell'Interno di governi sostenuti dal Partito Comunista, che il Partito Comunista è stato il più fermo sostenitore della linea della fermezza e che in una sua lettera dalla cattività Aldo Moro mi ha accusato di essere, per sostenere la linea della fermezza, sotto l'influenza di Enrico Berlinguer, perchè mio cugino e sardo. Poverino Imposimato!». Lo sottolinea in una nota il presidente emerito della Repubblica e senatore a vita, Francesco Cossiga, a proposito delle dichiarazioni sul delitto Moro del magistrato Ferdinando Imposimato, autore di un libro presentato ieri all'università 'La Sapienzà di Roma.
06/11/2008 ANSA

UNIVERSITÀ: A SAPIENZA LEZIONE SU CASO MORO E COSSIGA

  «Il caso Moro è stato un delitto di Stato, dove le Brigate rosse sono state 'la pistola', ma Cossiga e altri politici i veri responsabili». È questa la tesi sostenuta dal magistrato nel delitto Moro, Ferdinando Imposimato, e il giornalista del Tg5, Sandro Provvisionato, autori del libro inchiesta «Doveva Morire», presentato oggi agli studenti nell'università La Sapienza di Roma, durante un incontro-lezione organizzato da «Sapienza in Movimento». «Nella morte dell'ex-presidente democristiano Aldo Moro - sequestrato e ucciso dalle Brigate rosse nel '78 - sono intervenuti fattori diversi dalle Br, esponenti di governo come Cossiga hanno vanificato le occasioni presentate per salvare Moro», ha spiegato Imposimato, giudice istruttore che ha seguito i processi Moro. Per Imposimato, che nel libro ha anche diffuso «documenti nascosti ai magistrati per diversi anni e poi ritrovati», il potere politico aveva deciso, dopo il sequestro di Moro, di «abbandonarlo perchè promotore del compromesso storico, all' epoca osteggiato da Usa e Urss». Tra le tesi del magistrato c'è anche quella secondo cui «i servizi segreti hanno rappresentato l'anello di congiunzione tra i terroristi e i politici». «Il delitto Moro non è stato un complotto - ha aggiunto Provvisionato - ma una convergenza di interessi perchè il leader Dc dava fastidio a molte persone e, tra gli altri, a anche alla P2».
24/10/2008 Ansa

MISERIA DELLE BR, TORNA 'IO L'INFAMÈ DI PATRIZIO PECI

  'IO L'INFAME' (SPERLING&KUPFER; PP.254; 15 EURO)- «Non ho rimpianti, non ho rimorsi. Sono felice di aver fatto quello che ho fatto, perchè era giusto farlo». Parola di Patrizio Peci il primo pentito delle Br che - per unanime ammissione - con le sue confessioni contribuì a smantellare l'organizzazione e che ritorna oggi in libreria con il racconto di quegli anni in una versione arricchita e aggiornata. Un altro libro di un ex terrorista dunque? Luca Telese, curatore della collana, risponde subito nella prefazione:«fatto salvo che tutti hanno diritto a parlare - anche e soprattutto gli ex terroristi - forse bisognerebbe non prendere per oro colato quello che ci raccontano». Ed ancora: «in non credo che la verità sugli anni di piombo si potrà mai fare per decreto storiografico o ministeriale. ne tantomeno assumendo univocamente memorie di parte (qualunque sia la parte). Ma sono certo invece che solo l'incrocio delle fonti possa avvicinarci ad un'approssimazione ragionevole della verità». Ma cosa dice Peci di nuovo rispetto all'edizione pubblicata nel 1983? Nulla di più di quello che già si sapeva. La forza della testimonianza - se così si può dire - risiede oggi, come nell'edizione di allora, nella dissacrazione del mito delle Br. «Uno stupefacente almanacco - sintetizza Telese - delle umane miserie, dei sogni borghesissimi (e quindi ovviamente repressi) di tanti brigatisti, delle piccole-grandi debolezze dei rivoluzionari che prima giocavano alla guerriglia di classe, e poi sparavano, con la facilità e la spietatezza di chi è folgorato dalla luce abbagliante del fanatismo». Compresa la violenza terribile e disumana che praticarono e teorizzarono. Patrizio Peci - cui le Br uccisero il fratello e la cognata incinta di cinque mesi per ritorsione - è oggi uno sconfitto: «credevo che la politica avrebbe cambiato il mondo, ma ora vedo che la politica ha cambiato noi». Gli piace Hugo Chavez, un leader «che ci prova»; fa un lavoro «normale», non è «miliardario e sovvenzionato dai servizi segreti», come vogliono alcune voci e aspetta il 27 del mese perchè i soldi finiscono subito. Ha come capo uno dei carabinieri che all'epoca gli dava la caccia, ma ancora oggi non sa dire a distanza di tanti anni se davvero è lui quello che ha smantellato le Brigate Rosse. «Figura tragica della della recente storia italiana, con questo libro - osserva Giordano Bruno Guerri che all'epoca raccolse le sue confessioni - Peci ha lasciato almeno una testimonianza: forse non sufficiente a riscattarlo, ma senz'altro preziosa come documento storico ed umano».
15/10/2008 Ansa

TERRORISMO: GUAGLIARDO NON RIVELÒMAI INCONTRO CON S. ROSSA

  L'incontro che l'ex BR Vincenzo Guagliardo ebbe con Sabina Rossa, figlia di Guido, l'operaio dell'Italsider ucciso nel 1979 e per il cui omicidio Guagliardo fu condannato come esecutore materiale, non fu mai reso noto dell'ex brigatista, nè citato nelle sue richieste di trattamenti alternativi al carcere. A rivelarlo è il suo avvocato, Ugo Giannangeli, il quale spiega che Guagliardo non ne fece cenno nemmeno con lui, prima che la notizia fosse pubblicata da un quotidiano. «È stata una scelta di grande dignità - ha spiegato Giannangeli - e fatta per rispetto nei confronti di Sabina Rossa e dei famigliari delle altre vittime, perchè questo contatto non potesse essere interpretato come strumentale per avere dei benefici». L'incontro, che avvenne circa due anni fa a Melegnano (Milano), dove l'ex brigatista lavorava con la moglie, Nadia Ponti - condannata perchè dirigente nazionale delle Br - fu chiesto dalla stessa Sabina Rossa. Guagliardo, dopo un lungo travaglio, decise di incontrare la figlia della vittima e rimase con lei un paio d'ore. Sabina Rossa, in quell'occasione, incontrò anche Nadia Ponti. L'ex brigatista non ne fece cenno con nessuno «per rispetto verso i famigliari delle vittime», tant'è vero che l'episodio non compare nell'incartamento allegato alla richiesta di libertà condizionale che è stata respinta dal tribunale di Sorveglianza di Roma, città in cui la coppia sta scontando la semilibertà. «Non è possibile che la nostra sorte sia legata al fatto che un parente delle vittime voglia incontrarci o meno - sintetizza così Giannangeli il pensiero di Guagliardo -: al fatto che la figlia di Guido Rossa abbia voluto incontrarmi e il figlio di un carabiniere, comprensibilmente, non lo voglia fare con qualcun'altro».
15/10/2008 Ansa

TERRORISMO: SABINA ROSSA, KILLER MIO PADRE OGGI RAVVEDUTO L'HO INCONTRATO, MERITA SEMILIBERTÀ

  «Chiedo di parlare con il giudice che ha rigettato la richiesta di libertà condizionale avanzata da Vincenzo Guagliardo, detenuto dal 1980, perchè possa riconsiderare la sua decisione. Ho incontrato Vincenzo Guagliardo ,che la mattina del 24 gennaio 1979 sparò a mio padre, quando era in regime di semilibertà e credo di poter testimoniare a favore del suo ravvedimento». Lo dichiara Sabina Rossa, deputata del Gruppo Pd e figlia di Guido Rossa, l'operaio dell'Italsider ucciso dalle Br nel 1979.
Guido Rossa, operaio comunista dell'Italsider di Genova, fu ucciso dalle Brigate Rosse per aver denunciato e fatto arrestare dai carabinieri un collega che, in fabbrica, distribuiva volantini delle Br. La mattina del 24 gennaio 1979 Vincenzo Guagliardo e Riccardo Dura lo colpirono mentre saliva in macchina per andare a lavoro. Nel libro scritto nel 2006 da Sabina Rossa per affrontare, dopo tanti anni, il suo passato, la parlamentare si diceva «assolutamente convinta che gli ex brigatisti che hanno saldato il conto con lo stato non possano essere considerati 'reatì ma persone, di cui si è disposti a guardare il cambiamento». Nel libro Sabina Rossa racconta il suo incontro con Vincenzo Guagliardo - che, con Dura, sparò a suo padre - e sua moglie Nadia Ponti. La coppia le racconta l'ingresso nelle br, il carcere, ma soprattutto Guagliardo torna al giorno in cui ha sparato a Guido Rossa, attraverso il finestrino dell'auto, come lo ha colpito alle gambe, come poi, diversamente da quanto previsto, Riccardo Dura si è avvicinato ed ha sparato a sua volta finendolo. Racconta il suo sgomento per quella morte che non doveva esserci, la certezza che fosse un errore politico.
14/10/2008 Ansa

MORO: COSSIGA, IL 'SENZA CONDIZIONI' DI PAOLO VI FU DI SUO PUGNO

  «Non è vera l'accusa che sia stato Giulio Andreotti a suggerire a Paolo VI l'aggiunta della frase »senza condizioni« nell'appello che fece ai brigatisti per la liberazione di Aldo Moro». Lo dichiara l'ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, intervenendo alla puntata di Porta a porta dal titolo «Un anno tre papi: 1978», dedicata ai pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II che andrà in onda questa sera.
Alla domanda se sia vero che proprio il giorno prima della morte di Moro il Vaticano era pronto a pagare un riscatto, Cossiga, all'epoca ministro dell'Interno, risponde «Questo io l'ho saputo solo dopo». Poi l'ex presidente della Repubblica racconta: «la sera prima dell'uccisione dello statista ero andato a Palazzo Chigi dove trovai un Giulio Andreotti (allora presidente del Consiglio, ndr) fiducioso poichè era stato informato che il Vaticano stava per raggiungere degli accordi».
13/10/2008 ANSA

MORO: ACCAME, VIA IL SEGRETO DA INCHIESTA MASTELLONI

  «La chiave di conoscenza del cosiddetto »Lodo Moro« (dai contorni apparentemente misteriosi) si trova nell'inchiesta del magistrato Mastelloni sul traffico di armi tra i movimenti palestinesi e le Br, inchiesta che sfiora anche la vicenda Carlos e su cui è stato posto il segreto di Stato». Per conoscere quindi i termini di questa misteriosa intesa, come chiesto recentemente dalla Comunità israelitica romana, bisogna togliere il segreto da quelle carte: una richiesta avanzata dal presidente dell'Associazione nazionale assistenza vittime nelle forze armate, Falco Accame, già presidente della commissione Difesa della Camera. «Gli accordi per la vendita di armi e munizionamenti alle Br, furono stipulati - sottolinea Accame - dall'addetto militare a Beirut, colonnello Stefano Giovannone, che venne anche arrestato nel corso dell'inchiesta. Tracce di questi accordi che il colonnello certamente rese note al Sismi, si debbono trovare ovviamente negli archivi del nostro servizio segreto militare che possono chiarire ciò in cui consisteva il cosiddetto Lodo Moro a cui si addebita anche la possibilità di una 'valigia palestinesè possibile autrice della strage di Bologna».
26/08/2008 ADNKronos

TERRORISMO: COSSIGA, DEL LODO MORO NON SAPEVO NULLA NE PRESI ATTO

  «Io non ne sapevo niente, ma ho dovuto prendere atto che c'era un patto con l'Olp e con le altre formazioni arabe». Nuove rivelazioni sul cosiddetto «Lodo Moro» da parte del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga in un dibattito con Enrico Cisnetto ed Ernesto Galli della Loggia durante «Auronzo InConTra», la manifestazione gemella di «Cortina InConTra» organizzata da Enrico e Iole Cisnetto. «Moro - ha spiegato Cossiga - era il vero interlocutore amico dei servizi segreti, delle forze armate e delle forze dell'ordine. In confronto io e Andreotti eravamo dei pivellini». «Un giorno la polizia fermò un camioncino sospetto, che era di Pifano, il capo degli autonomi di via dei Volsci: dentro c'era un missile - ha continuato Cossiga - Dopo il suo arresto, ricevetti un telegramma da parte di George Habbash, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Rivendicava la proprietà di quel missile e protestava perchè avevamo violato 'il patto'. Quale patto, chiesi io. E da lì venne fuori la storia di un accordo tra servizi segreti per evitare che l'Italia fosse oggetto di attentati terroristici. In cambio, noi eravamo zona franca per loro. E poi - ha concluso il senatore a vita - l'Italia è sempre stata filo-araba».
20/08/2008 ANSA

BIANCO (PD), SU «LODO MORO» COSSIGA PROVOCA

  «Cossiga è un uomo di straordinaria intelligenza e conosce molte cose, ma a volte si lascia andare alla voglia di provocare»: lo ha detto Enzo Bianco (PD), già ministro dell'Interno e presidente del Copaco (Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti). Bianco lo ha dichiarato rispondendo a una domanda sul cosiddetto 'Lodo Moro' che secondo Cossiga avrebbe costituito negli anni del terrorismo un lasciapassare ai palestinesi e che avrebbe causato tra l'altro la strage di Bologna. A margine di un dibattito di «Cortina InConTra» con Enrico Cisnetto, Bianco ha detto che «Cossiga sa molte cose: è stato presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro dell'Interno. Ma io non credo alla sua versione. Per me sulla strage di Bologna vale la verità che è uscita dalle sentenze della magistratura. Sicuramente ci sono ancora delle cose che devono venire fuori, e magari se ne saprà qualcosa in più quando cesserà il segreto di Stato. Ma non c'è dubbio che la strage di Bologna non abbia nulla a che fare con i palestinesi».
14/08/2008 ANSA

ACCORDO CON ITALIA DI MORO, NO ATTACCHI

  Un accordo tra l'Italia di Aldo Moro e i palestinesi, un'intesa tra il governo di allora e il Fronte popolare che poteva far transitare armi ed esplosivi garantendo al Paese l'immunità da attacchi. A confermare l'esistenza di quello che Francesco Cossiga ha definito il 'lodo Moro' è Bassam Abu Sharif, ex portavoce del Fronte popolare e consigliere di Arafat, che in un'intervista al 'Corriere della Sera' dichiara «trattai io il 'lodo Moro'». «Ho seguito personalmente le trattative per l'accordo. Aldo Moro era un grande unomo - dice - un vero patriota. Voleva risparmiare all'Italia qualche mal di testa». «Non l'ho mai incontrato - aggiunge Abi Sharif - Abbiamo discusso i dettagli con un ammiraglio, gente dei servizi segreti, e con Stefano Giovannone (capocentro del Sud e poi del Sismi a Beirut, ndr). Incontri a Roma e ub Libano. L'intesa venne definita e da allora l'abbiamo sempre rispettata». Il 'lodo Moro' concedeva ai palestinesi «piccoli transiti, passaggi, operazioni puramente palestinesi, senza coinvolgere italiani». «Da parte nostra - prosegue l'ex portavoce del Fplp - garantivamo anche di evitare imbarazzi all'Italia, attacchi che partissero direttamente dal suolo italiano». «Gli americani non erano affatto felici della nostra cooperazione con l'Italia - aggiunge - soprattutto perchè passavamo agli italiani informazioni top secret su quello che gli americani stavano facendo nel vostro Paese». Abu Sharif, nell'intervista parla anche dei rapporti tra il Fronte palestinese e i brigatisti:«se un ex Brigate rosse stava scappando, aveva bisogno di un rifugio e ci chiedeva aiuto, non potevamo cacciarlo. Gli preparavamo un passaporto e lo facevamo andare via. Piccoli militanti,non gente importante. Le autorità italiane lo sapevano: il povero Giovannone veniva a protestare da me». Infine Abu Sharif parla della strage alla stazione di Bologna e dice «non c'entriamo niente. Nessun ordine è venuto da me. Il massacro non ha niente a che vedere con organizzazioni palestinesi. Neppure un incidente. Non c'era nessuna ragione per farlo».
14/08/2008 ADNKronos

CASO MORO: EX PORTAVOCE FRONTE POPOLARE PALESTINESE, COSÌ TRATTAI IL 'LODO MORO' = «CI VENIVA CONCESSO DI ORGANIZZARE PICCOLI TRANSITI- TRATTAMMO CON GIOVANNONE...»

  «Ho seguito personalmente le trattative per l'accordo con Aldo Moro. Lui era un grande uomo, un vero patriota. Voleva risparmiare all'Italia qualche mal di testa. Non l'ho mai incontrato. Abbiamo discusso i dettagli con un ammiraglio, gente dei servizi segreti, e con Stefano Giovannone, capocentro del Sid e poi del Sismi a Beirut. Incontri a Roma e in Libano. L'intesa venne definita e da allora l'abbiamo sempre rispettata». Lo ha dichiarato Bassam Abu Sharif, ex portavoce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e consigliere speciale di Yasser Arafat in in un'intervista al 'Corriere della Serà, in cui conferma l'esistenza di un accordo tra Italia e palestinesi, definito dal presidente emerito Francesco Cossiga come 'lodo Morò. «Ci veniva concesso di organizzare piccoli transiti, passaggi, operazioni puramente palestinesi - continua Sharif - senza coinvolgere italiani. Dovevamo informare le persone opportune: stiamo trasportando A, B, C. Dopo il patto, ogni volta che venivo a Roma, due auto di scorta mi aspettavano per proteggermi. Da parte nostra, garantivamo anche di evitare imbarazzi al vostro Paese, attacchi che partissero direttamente dal suolo italiano». Quanto alla strage di Bologna del 2 agosto 1980, «noi non c'entriamo niente», assicura l'ex portavoce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. «Nessun ordine è venuto da me. Il massacro non ha niente a che vedere con organizzazioni palestinesi. Neppure un incidente. Non c'era nessuna ragione per farlo, soprattutto a Bologna».
«La Cia o il Mossad potrebbero avere usato un palestinese - aggiunge poi Sharif - un loro agente. È stato fatto esplodere, senza che lo sapesse, per accusare noi. Gli americani non erano affatto felici della nostra cooperazione con l'Italia. Soprattutto perchè passavamo agli italiani informazioni top secret su quello che gli americani stavano facendo nel vostro Paese». «Avrei potuto salvare Moro - conclude parlando del presunto accordo per scarcerare alcuni brigatisti e portarli a Beirut in cambio della vita del presidente del Consiglio - da parte mia non c'è stata nessuna imprudenza. Ho chiamato un numero, ho lasciato un messaggio dopo l'altro. Nessuna risposta. Davvero strano: una linea speciale e nessuno risponde».
26/07/2008 AGI

COSSIGA: 80 ANNI, MOMENTO PIU’ DIFFICILE FU SEQUESTRO MORO

  “Quello del sequestro Moro fu il momento più difficile politicamente e moralmente”. Lo afferma il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, in una intervista al Tg1 in occasione del suo 80esimo compleanno. Cossiga mostra ai telespettatori una foto di Aldo Moro, dove c’è’ scritto “con ammirazione e grande riconoscenza”. “Fu l’unico - spiega Cossiga - a tenergli compagnia quando Moro passò le consegne ad Andreotti a Palazzo Chigi. Poche ore dopo Moro mi mandò questa sua foto”.
Alla domanda se quel grazie sarebbe ancora lì oggi, Cossiga risponde: “Assolutamente si’”.
Alla domanda su cosa non rifarebbe delle cose fatte nella sua vita, Cossiga risponde: “Il Presidente della Repubblica, perché è’ un grosso errore andare al Quirinale senza avere una grossa forza politica alle spalle, che ti sceglie con convinzione, e non perché, come nel mio caso, ero l’unico che si poteva far eleggere con i voti del Pci”.
26/07/2008 ANSA

MONS. MENNINI, IL PARROCO CHE EBBE UN RUOLO NEL CASO MORO

  PAPA: MONS. MENNINI, OLTRE CHE A MOSCA, NUNZIO IN UZBEKISTAN (ANSA) - CITTÀ DEl VATICANO, 26 LUG - Mons. Antonio Mennini, già rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, assumerà anche il ruolo di nunzio apostolico in Uzbekistan. La decisione del Papa è stata resa nota oggi un comunicato della Sala Stampa vaticana.

Mons. Antonello Mennini, parroco della Chiesa Santa Lucia, nel quartiere Trionfale di Roma, al tempo del rapimento e dell'uccisione del presidente della Dc Aldo Moro, ebbe un ruolo - come latore di lettere del prigioniero delle Br alla famiglia- nella vicenda che cominciò con la strage del 16 marzo 1978, il sequestro di Moro e si concluse con la tragedia del 9 maggio. Il nome di «Don Antonello» peraltro compare nella relazione parlamentare della commissione d'inchiesta sul sequestro. Quest'anno nel trentennale della strage di via Fani, il nome di don Antonello - passato negli anni successivi dalla parrocchia romana ad incarichi sempre più prestigiosi- è stato citato da esponenti politici nel rievocare le varie fasi della tragedia di Moro. Tra le testimonianze più significative quella di Francesco Cossiga, ministro dell'Interno nel 1978, che ha raccontato: «Don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse e noi invece non lo scoprimmo. Avevamo messo sotto controllo telefonico e sotto pedinamento tutta la famiglia e tutti i collaboratori. Ci scappò, Don Mennini». E ancora: « ho sempre creduto che don Antonello, allora suo confessore attualmente nunzio apostolico in Russia, abbia incontrato Moro prigioniero delle Br per raccogliere la sua confessione prima dell'esecuzione dopo la condanna a morte. Come ministro dell'Interno allora mi sentii giocato. Mennini ci scappò. Seguendolo avremmo potuto trovare Moro. Ma ancora oggi il Vaticano è riuscito a fare in modo che Mennini non potesse essere interrogato mai da polizia e carabinieri».
09/07/2008 ANSA

MORO/30:MAZZOLA,SE FOSSI UN MAGISTRATO INTERROGHEREI CARLOS

  Franco Mazzola, al tempo del sequestro Moro a capo di uno dei tre comitati di crisi, interviene sulle rivelazioni fatte all'Ansa dal terrorista venezuelano Carlos. Nell'intervista alla RAI, che può essere riascoltata sul sito di Grparlamento, Mazzola spiega che Carlos sa molte cose e anzitutto bisogna chiedersi, perchè fa queste affermazioni a 30 anni di distanza. «Devo dire però che, mentre dell'operazione jugoslava (scambio di 4 terroristi della RAF per la libertà di Moro) e di quella vaticana (pagamento di un riscatto) qualche sentore si era avuto, e quindi posso dire che questa operazione, questo abbozzo di operazione c'era stato, di questa operazione mediorientale non ho mai sentito parlare». Mazzola aggiunge poi che il Colonnello Giovannone, con cui ha parlato molte volte, non gli ha mai fatto cenno a fatti di questo genere; inoltre che Giovannone avesse il potere di far evadere dei brigatisti è pura fantapolitica. «Posso però anche dire che Carlos mescola, volutamente o non volutamente, visto che sono passati tanti anni, storie che hanno credibilità (Jugoslavia) con cose che hanno credibilità molto minore». «Certo se fossi un magistrato, che aveva in mano il Moro sexies ormai archiviato, riaprirei il caso, per interrogare Carlos, almeno per avere una completezza di informazione». Sollecitato sul fatto che il figlio di Moro, Giovanni, era stato sentito dalla magistratura, poco dopo l'assassinio del padre, per spiegare perchè avesse chiesto il passaporto e se sapesse qualcosa in merito ad un'informativa dei servizi, che parlava di un'operazione da svolgersi nello Yemen, Mazzola ha risposto di non aver mai visto questa informativa e di non poter dire nè che esiste, nè che non esiste. «Quello che è credibile è lo scenario generale indicato da Carlos, quello ciòè di un'Italia 'campo di battaglia' in cui si confrontano i servizi segreti internazionali». «Resto dell'idea che l'unico uomo che sa tutto di queste vicende, tentativi falliti di salvare Moro e influenze esterne sulle BR, è Mario Moretti».
08/07/2008 ANSA

COSSIGA, SAPEVO DI AVERE CONDANNATO A MORTE ALDO MORO. LA STRAGE DI BOLOGNA? UN INCIDENTE DELLA RESISTENZA PALESTINESE

  «Quando il Pci di Berlinguer ha optato per la linea della fermezza ero certo e consapevole che, salvo un miracolo, avevamo condannato Moro a morte». In una intervista al 'Corriere della Sera' in occasione dei suoi 80 anni, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga racconta i fatti che hanno segnato la sua lunga carriera politica, dagli anni di piombo, a Tangentopoli, fino al Pd di Veltroni, «perfetto doroteo che parla bene senza dire nulla». Cossiga difende la sua scelta di non trattare con le Br per la liberazione di Moro: «Io - dice - ero e resto convinto che lo Stato sia un valore. Per Moro non era così: la dignità dello Stato, come ha scritto, non valeva l'interesse del suo nipotino». L'ex presidente della Repubblica ripete anche la sua verità sulla strage di Bologna: «Fu un incidente accaduto agli amici della 'resistenza palestinese'», che «si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo». La condanna di Mambro e Fioravanti arrivò, quindi, perchè «nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista». Cossiga si dice anche convinto che «la Cia e gli Stati Uniti non siano stati estranei a Tangentopoli, così come alle disgrazie di Andreotti e di Craxi», che sono stati «i più filopalestinesi tra i leader europei. I miliardi di All Iberian furonono dirottati da Craxi all'Olp. E questo a Fort Langley non lo dimenticano». Infine uno sguardo all'attualità e al Partito Democratico: «Ma che cos'è? - si chiede - Io mi iscriverei meglio a ReD, il movimento di D'Alema, di cui ho disegnato anche il logo: un punto rosso cerchiato oro».
07/07/2008 ANSA

MORO/30:GALLONI, SUPER SERVIZIO SEGRETO SAPEVA TUTTO

  «Ho scritto questo libro, perchè spero che la magistratura riapra le indagini sul delitto Moro: finora tutti i magistrati che se ne sono interessati, hanno sempre dovuto arrendersi di fronte ai silenzi che venivano dai servizi segreti». Giovanni Galloni, all'epoca del sequestro vicesegretario della DC, racconta in un'intervista ad Alessandro Forlani del Grparlamento della RAI quelli che considera i misteri irrisolti legati al delitto, riassunti nel libro «30 anni con Moro», Editori Riuniti. Moro sapeva che americani ed israeliani avevano infiltrato le BR, ma non passavano le informazioni ottenute alle nostre autorità. «Il nostro ambasciatore a Washington, avvertito sul problema da Moro, si sentì dire che le informazioni venivano passate ai servizi segreti italiani, spiega Galloni, ma probabilmente le nostre spie non le trasmettevano al governo, perchè in gran parte i servizi erano deviati». Il terrorismo di sinistra venne strumentalizzato ed usato, per creare instabilità in Italia. Una volta rapito Moro, gli Stati Uniti fecero in modo che lo statista e la sua politica di apertura al PCI, uscissero di scena. Il racconto di Galloni, che ha come fonte un ex senatore del Congresso degli Stati Uniti, ha forti somiglianze con quello di Steve Piezenik, l'esperto americano inviato dall'amministrazione Carter, che ha di recente affermato di aver tenuto le BR sul filo del rasoio, conducendo finte trattative, e allo stesso tempo, tenendo i terroristi sotto la minaccia di un blitz. Alla fine, dice Piezenik, le BR non possono far altro che uccidere l'ostaggio. Galloni aggiunge che ai primi di aprile l'ex agente segreto Vito Miceli andò in missione in America, per vedere se almeno la vita di Moro poteva essere salvata, ma la risposta fu interlocutoria: «se riuscite a trovare la prigione, potete liberarlo». Secondo il politico DC gli americani sapevano dov'era Moro, ma non hanno aiutato le indagini. Alla fine alcuni uomini della DC e il Papa Paolo VI giocarono le ultime carte, proponendo una trattativa umanitaria, ma l'intesa che si stava per raggiungere con le BR fallì all'ultimo momento. Il motivo è avvolto nel mistero. «Ho concordato con Fanfani quello che avrebbe dovuto essere il suo intervento alla direzione DC del 9 maggio; ci doveva essere l'annuncio della convocazione del consiglio nazionale e l'apertura ad un gesto umanitario verso i terroristi, che non violasse le leggi». «Le BR erano pronte a rilasciare Moro e glielo avevano annunciato, come testimonia una delle lettere dello statista; Moretti ha dichiarato che loro uccisero Moro, perchè furono presi dalla paura, che il nascondiglio venisse scoperto».All'obiezione che quella mattina, nè Leone firmò un provvedimento di clemenza, nè Fanfani aprì alla trattativa, Galloni risponde che ci sono ancora troppi segreti. «Non so come le informazioni arrivassero dalle istituzioni alle BR, ma so che al Viminale era attivo un gruppo riservato di agenti segreti, che agiva sempre con la copertura del segreto di Stato». Galloni conclude paragonando il caso Moro al caso Mattei:«abbiamo pensato per quasi 40 anni che fosse stato un incidente e ora sappiamo che fu una bomba ad uccidere il presidente dell'ENI; speriamo che gli archivi dell'ovest e dell'est rivelino i livelli di copertura del terrorismo italiano degli anni 70».
01/07/2008 ANSA

MORO/30: GARDNER, DA USA VIA LIBERA CONTRO BR SOLO 8 MAGGIO

  L'8 maggio 1978 l'Ambasciata Usa a Roma ebbe via libera per aiutare il governo italiano a combattere il terrorismo: lo scrive nelle sue memorie l'ex diplomatico Richard N. Gardner. L'ambasciatore Usa a Roma nel 1977-1981 ha rivelato - nel suo «Mission: Italy» del 2004- di esser riuscito a convincere Washington del carattere «transnazionale, se non addirittura internazionale» delle Br: per questo lo Special Coordinating Committee del consiglio di Sicurezza americano decise l'8 maggio di superare i limiti imposti dalla legislazione statunitense. «L'emendamento Hughes-Ryan al Foreign Assistance Act del 1975 - scrive Gardner - approvato in reazione a ciò che era sembrato un inopportuno intervento della Cia in Cile ed in altre parti del mondo, proibiva al governo Usa di intervenire nella politica interna di altri paesi». Quindi, la richiesta di aiuto che arrivò dal governo italiano «per localizzare il nascondiglio in cui Moro era tenuto prigioniero, ci aveva causato un forte imbarazzo», ricorda Gardner che ritenne la risposta negativa del Dipartimento di Stato Usa alla sollecitazione di Roma «un'interpretazione dell'emendamento Hughes-Ryan eccessivamente rigida», poichè considerava le Br ed il sequestro dello statista meramente un fattore di politica interna. Gardner da tempo cercava di convincere Washington del carattere «transnazionale» delle Br, anche sulla base di un rapporto Cia che all'inizio del 1978 sottolineava «il legame con i servizi segreti cecoslovacchi e l'esistenza di contatti informali tra i terroristi italiani, la Raf tedesca e le organizzazioni arabe». «Andreotti e Cossiga si dimostrarono estremamente riconoscenti quando pochi giorni dopo gli comunicai questa decisione - ricorda Gardner riferendosi al via libera dell'8 maggio - Ma, purtroppo, in via Caetani era già stato ritrovato il cadavere di Moro» .
01/07/2008 ANSA

MORO/30: SERVIZI USA DIVISI SULL'INTESA DC-PCI INGRESSO COMUNISTI NEL GOVERNO ERA MINACCIA PER LA NATO

  L'intesa tra Moro e Berlinguer divise le intelligence statunitensi: lo dimostra la documentazione declassificata sulla stagione 1974-1978. Nel giugno 1977, in piena era Carter, un documento interno spiegava che gli effetti «deleteri» del 'Compromesso storico' erano motivo di preoccupazione: «Il Pci nell'esecutivo creerebbe problemi di sicurezza, in particolare all'interno del Nuclear Planning Group della Nato. Le aperture di Berlinguer all'ombrello militare occidentale non bastano per definire il Pci 'pro-Alleanza'», spiega il documento dei servizi segreti Usa che precisa: «Questa formulazione non trova il consenso degli 007 della Difesa, delle Forze armate, e nemmeno di alcuni elementi della Cia, per i quali si tratta di una formula 'benigna', che non tiene conto dei veri obiettivi del partito comunista». Per i «falchi», il Pci avrebbe operato al fine di ridurre l'influenza americana nella Nato ed in Europa, in particolare ridimensionando, o eliminando del tutto, la presenza militare statunitense nel Paese: il 'Compromesso storico' era da impedire. Per le «colombe», i rischi della collaborazione tra Dc e Pci erano da verificare sul campo: si trattava della vecchia linea del capo della Cia Colby, dell'ala 'aperturista' dell'Agenzia, che aveva trovato riscontro nella linea pragmatica adottata dall'amministrazione Carter, impostata al superamento della «retorica del confronto che aveva caratterizzato la precedente amministrazione». Le divisioni tra i servizi Usa si erano concretizzate almeno a partire dal luglio 1974, durante l'era Ford-Kissinger: un National Intelligence Estimate bollava il 'Compromesso storico' come una minaccia per l'Alleanza Atlantica. Anche in quella occasione, i servizi della Difesa e quelli militari, «con il sostegno di alcuni elementi della Cia», sottolineavano il rischio del «ritiro dell'Italia dalla Nato e la rimozione delle basi militari Usa nel Paese». Il direttore della Cia - all'epoca William Colby, appunto - era invece convinto che i comunisti al governo non avrebbero avuto, almeno nell'immediato, un atteggiamento di rottura: «Il Pci penserebbe a consolidare il potere interno piuttosto che spingere per soluzioni radicali». Una dicotomia presente in quasi tutti i documenti disponibili riferiti all'Italia ed al Compromesso storico nel periodo 1974-1978, nei quali trovava ampio spazio anche la percezione che si aveva a Mosca dell'intesa Dc-Pci: «Crea malumori perchè potrebbe ridurre l'influenza del Pcus sui partiti comunisti. È chiaro che a Breznev non piace Berlinguer e non si fida di lui. La vittoria della politica del leader italiano potrebbe dare spiacevolì lezioni ad altri partiti comunisti» scrivevano gli analisti Usa sin dal 1974.
30/06/2008 APCom

MORO/ MASTELLONI: CARLOS USATO DA 007 FRANCESI PER 'MESSAGGIO'

  "Non credo che dalla audizione di Henry Kissinger davanti al Copasir (comitato per la sicurezza della Repubblcia, ndr) arriveranno novità importanti. Credo che non ci saranno sorprese". E' quanto afferma, interpallato da Apcom, il Procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Mastelloni, che in passato da giudice istruttore ha indagato su vicende come quella della caduta dell'aereo militare 'Argo 16' e sul traffico d'armi tra Br e Olp nella seconda metà degli anni' 70.
Ci potrà essere qualcosa di interessante per gli storici, ha aggiunto Mastelloni commentando l'audizione in programma oggi pomeriggio a Palazzo San Macuto, ma difficilmente ci sarà qualcosa di stravolgente nelle dichiarazioni di Kissinger che possano aggiungere qualcosa di nuovo nelle vicende giudiziarie che riguardano il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro.
Sulle recenti dichiarazioni del terrorista Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos, relative alla tragedia di Ustica, Mastelloni afferma che l'ex 'primula rossa' del terrorismo internazionale denominato lo 'Sciacallo' potrebbe essere stato utilizzato 'dai francesi' (i servizi di intelligence d'oltralpe) per mandare un messaggio dopo le rivelazioni (non gradite) del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga che in una intervista tv aveva parlato del ruolo della Francia nella vicenda del Dc9 dell'Itavia.
"I servizi francesi - sottolinea Mastelloni - si sono dimostrati forti e efficienti. Non è un caso che ebbero la lungimiranza di comprarsi e acquisire con la caduta del muro di Berlino gran parte dell'archivio della Stasi (l'ex potente servizio di intelligence della Ddr, ndr)".
Quell'archivio probabilmente aiutò i francesi nella cattura nel 1994 dello stesso Carlos che avvenne grazie alla collaborazione delle autorità del Sudan, tappa finale della lunga latitanza del terrorista.
29/06/2008 ANSA

MORO/30: IMPOSIMATO, CARLOS CONFERMA IPOTESI INVESTIGATIVE

  Le rivelazioni del terrorista venezuelano Carlos all'ANSA confermano alcuni filoni di indagine sul delitto di Aldo Moro: lo sottolinea Ferdinando Imposimato. Il giudice istruttore del processo sul sequestro e l'assassinio del leader Dc non ha dubbi: «Le dichiarazioni del terrorista sono di straordinario interesse. Lo stesso Moro prigioniero sollecitò con due lettere, una a Erminio Pennacchini, l'altra a Flaminio Piccoli, l'intervento di Stefano Giovannone, a cui era legato da profonda amicizia, per essere liberato». L'operazione si risolse in un insuccesso: «Si sono messe in moto forze contrarie alla liberazione dello statista Dc», spiega il giudice riferendosi «ad ambienti Nato, ma anche a quelli del Patto di Varsavia». La possibile liberazione di Moro «accelerò la sua esecuzione, perchè le pressioni sulle Br erano molteplici, come ha confermato anche Mario Moretti». Il giudice ritiene verosimili anche le rivelazioni sul rapimento di Gianni Agnelli: «A Milano era operativa una struttura di cui facevano parte anche terroristi della Raf tedesca, che erano in contatto con Mario Moretti».
29/06/2008 ANSA

MORO/30:NEL'DIARIO SEGRETO DI HAMMAD' L'INTERVENTO DI ARAFAT

  Una parziale conferma delle rivelazioni del terrorista Carlos sul caso Moro viene da una testimonianza raccolta in un libro «Diario segreto di Nemer Hammad» pubblicato quattro anni fa dall'ex direttore del Tg2 Alberto La Volpe. Nel libro, Hammad, per anni l'ambasciatore dell'Olp a Roma, raccontava che, nei giorni del sequestro Moro il governo italiano gli chiese se Arafat potesse attivarsi per cercare un canale di contatto con le Br: «Con l'allora capo dei servizi segreti Santovito andammo a Beirut dove incontrammo Arafat. Lui disse che Moro aveva fatto molto per noi e si mostrò disponibile e che era giusto cercare di intervenire per salvarlo, anche se l'Olp non aveva mai avuto contatti con le Br». In seguito, racconta sempre Hammad, un uomo conosciuto dai servizi segreti palestinesi «si impegnò a mettersi in contatto con persone che avevano avuto relazioni con le brigate rosse, e che a suo giudizio in quel momento si trovavano a Berlino». La missione però non ebbe successo «perchè arrivato a Berlino, quelli che si pensava potessero arrivare alle br o negarono o non vollero parlare».
29/06/2008 ANSA

MORO/30: ACCAME, VIA SEGRETO STATO SU INCHIESTA ARMI BR-OLP

  «Per sapere delle avvitività del colonnello Giovannone, a cui si riferisce 'Carlos', si dovrebbe togliere il segreto di Stato apposto nel giugno 1988 all'inchiesta del magistrato Mastelloni di Venezia del 1979, sul traffico di armi Br-Olp. Giovannone venne anche arrestato». Lo sottolinea, in una nota, Falco Accame presidente dell'associazione vittime arruolate nelle forze armate e familiari dei caduti. A proposito delle rivelazioni sul 'caso Moro' del terrorista venezuelano in carcere a Parigi, Accame aggiunge che 'Carlos' potrebbe fornire indicazioni sullo sparatore che in Via Fani esplose una quarantina di colpi e fuggì su una moto. Accame vorrebbe sapere se apparteneva alla banda di 'Carlos' e se la macchina con targa venezuelana appartenuta all'addetto militare dell'ambasciata di Caracas a Roma, e presente in Via Fani, sia stata riassegnata dal Ministero dell'Interno al brigatista Valerio Morucci.
29/06/2008 ANSA

MORO/30: DE LUTIIS, SETTORI SERVIZI NON LO VOLEVANO LIBERO

  «È possibile che alcuni settori dei servizi segreti italiani abbiano saputo che a livello internazionale si preferiva che il sequestro Moro si concludesse con l'uccisione dell'ostaggio». È l'opinione di Giuseppe De Lutiis, storico dell'intelligence italiana, riguardo all'intervista esclusiva dell'ANSA nella quale il terrorista Carlos ha parlato di un estremo tentativo di una fazione del Sismi per salvare lo statista democristiano. De Lutiis è convinto che «il compromesso storico», di cui Moro era l'alfiere, «fosse temuto sia dagli Stati Uniti che dall'Urss e da altri Paesi dell'una e dell'altra parte». In questo quadro, secondo lo studioso, è possibile che una parte del Sismi, più vicina ai servizi dei Paesi Nato, si sia opposta al tentativo di cui ha raccontato Carlos. Secondo De Lutiis, la versione del terrorista detenuto in Francia non è del tutto nuova, ma introduce tasselli di verità su cui è opportuno fare verifiche. A questo scopo bisognerebbe interpellare, dice il professore, «gli ufficiali che erano in posti di responsabilità nei servizi in quel periodo e che sono ancora vivi». Oltre a questi, di cui preferisce non fare i nomi, De Lutiis cita il generale Gianadelio Maletti, a quel tempo fuori dal Sismi, ma «persona autorevole che sicuramente conosce queste vicende». Maletti vive da parecchi anni in Sudafrica.
29/06/2008 ANSA

MORO/30: PRIORE, CARLOS CONFERMA RUOLO RILEVANTE PALESTINESI

  Le dichiarazioni di Carlos all'ANSA confermano il ruolo dei terroristi mediorientali nelle trame per salvare Aldo Moro: così il giudice Rosario Priore. «In questa luce - spiega il magistrato titolare di alcune delle inchieste sull'omicidio dello statista - va inquadrato anche il tentativo in extremis del figlio dell'onorevole Moro, quel viaggio nello Yemen del Sud dove era ubicata la centrale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina». Secondo Priore tuttavia, l'operazione che vede protagonista il colonnello Giovannone, precisata da Carlos all'ANSA, non era stata ordita da una fazione del Sismi: «Il servizio segreto militare riceveva ordini dal livello politico, che all'epoca era nettamente schierato su una posizione filo-araba. Nei servizi l'anima 'filo-israeliana' apparteneva al passato. Giovannone non agiva da solo, o al di fuori dell'input politico». «Carlos ci dà ragione - aggiunge Priore riferendosi alle ipotesi investigative perseguite negli anni - confermando anche la missione di Martini in Yugoslavia». I tentativi «internazionali» per liberare Moro fallirono, «come quelli di carattere 'interno'», perchè si misero in moto «entità che perseguivano l'obiettivo opposto». «Non mi riferisco a Washington e Mosca - precisa il giudice - ma agli altri servizi segreti, agli altri Stati che si appropriavano degli spazi lasciati liberi da Cia e Kgb».
29/06/2008 ANSA

MORO/30: PELLEGRINO, CARLOS RAFFORZA INDIZI CONOSCIUTI

  Un ulteriore indizio che una trattativa per la liberazione di Aldo Moro ci fu e giunse a un notevole punto di maturazione. L'ex presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino definisce così le rivelazioni del terrorista Carlos nell'intervista esclusiva concessa all'ANSA. Pellegrino premette di avere «molti dubbi sulla credibilità di Carlos». Ricorda come lo Sciacallo alcuni anni fa inviò segnali di disponibilità a incontrare la Commissione che l'allora senatore Ds presiedeva, salvo poi far saltare tutto all'ultimo momento. Nonostante ciò, «quello che ha detto Carlos - ha affermato Pellegrino - è un'ulteriore conferma di un fatto che ritengo estremamente probabile: negli ultimi giorni del sequestro Moro una trattativa o forse molto di più era giunta a un notevole punto di maturazione». La conferma di quanto si fosse giunti vicini a un esito positivo, secondo Pellegrino, è in uno scritto autografo nel quale Moro parla già della sua liberazione e - ricorda Pellegrino - ringrazia le Brigate Rosse per la loro unilaterale generosità«. L'ex presidente della Commissione stragi esamina i possibili artefici della trattativa con i brigatisti e cita tra gli altri il Vaticano. »Ci sono state più attivazioni di trattativa - conclude Pellegrino - e uno andò molto vicino a ottenere la liberazione di Moro«.
28/06/2008 ANSA

MORO/30: INTERVISTA ESCLUSIVA AL TERRORISTA CARLOS

  L'ANSA trasmette oggi un'intervista in esclusiva con il terrorista venezuelano Carlos 'lo sciacallo' nel carcere parigino di Poissy. Nell'intervista, Carlos fa rivelazioni sul tentativo sull'estremo tentativo di salvare Aldo Moro, cui aveva finora fatto solo accenni. Il servizio è così organizzato: 1)MORO/30 - L'8 MAGGIO FAZIONE SISMI TENTÒ DI SALVARLO/NOTIZIA 24 righe - CARLOS, LO 'SCIACALLÒ GRAN PATRON DEL TERRORISMO (60 righe-scheda di Stefano Fratini) - CARLOS, COSÌ SALTO ULTIMO TENTATIVO DI SALVARE MORO Roma, 80-90 righe di Paolo Cucchiarelli - STRAGE BOLOGNA: CARLOS, NÈ ROSSI NÈ NERI, MA AMERICANI (34 righe) A corredo saranno diffuse foto, fra cui quella del testo dell'intervista autografato da Carlos. Sul sito www.ansa.it, sarà pubblicato il testo integrale dell'intervista.

Ci fu un estremo tentativo messo in atto da una fazione del Sismi (i servizi segreti militari) per salvare Aldo Moro. È quanto sostiene Ilich Ramirez Sanchez, meglio noto come Carlos, uno dei grandi protagonisti del terrorismo internazionale, intervistato dall'Ansa nel carcere parigino di Poissy in occasione del trentennale dell'uccisione dello statista da parte delle Brigate Rosse. Il piano - afferma Carlos - prevedeva che l'8 maggio 1978, il giorno prima della morte di Moro, alcuni brigatisti in carcere venissero prelevati e portati in un paese arabo. Li sarebbe giunto anche un aereo dei servizi italiani con a bordo uomini della resistenza palestinese (presumibilmente del Fronte popolare di liberazione della Palestina, Fplp), che avrebbero svolto il ruolo di garanti. Ma il piano saltò. L'aereo italiano - aggiunge lo 'sciacallò - attese invano, su una pista dell'aeroporto di Beirut, che la situazione si sbloccasse. Sempre secondo Carlos, a mettere in allarme a Roma la fazione 'filo Natò dei servizi sull'operazione a cui si stava pensando come 'extrema ratiò per evitare il tragico epilogo del rapimento Moro, fu probabilmente una indiscrezione fatta a Beirut da un membro dell'ufficio politico dell'Olp, Bassam Abu Sharif. Dopo l'assassinio del presidente della Dc, i responsabili del Sismi all'origine dell'operazione furono epurati, allontanati o costretti alle dimissioni. L'intervista a Carlos - le cui affermazioni, tutte da verificare, hanno più di un elemento di verosimiglianza - è stata realizzata tramite il suo difensore Sandro Clementi e la signora Sophie Blanco, che gli hanno portato in carcere le domande dell'ANSA.

Considerato per decenni la 'Primula rossà del terrorismo internazionale, Ilich Ramirez Sanchez, detto 'Carlos', conosciuto anche come 'lo sciacallo« fu arrestato in Sudan il giorno prima di ferragosto del 1994. Dopo l'arresto fu subito consegnato alla Francia. La leggenda vuole che i servizi di tutto il mondo avessero di lui solo una vecchissima fotografia (cosa inattendibile perchè Carlos, almeno negli ultimi tempi, era strettamente sorvegliato). E un'altra leggenda vuole che il suo arresto sia stato provocato da una rissa per gelosia tra due donne che ha causato l'intervento della polizia. Nato il 12 ottobre 1949 a Caracas (Venezuela), figlio di un avvocato comunista che lo chiama Ilich in onore di Lenin, Carlos avrebbe firmato il suo primo attentato nel 1973 a Londra, sparando contro il direttore di un grande magazzino. In quell'occasione il colpo fu deviato dalla dentiera dell'uomo. Carlos, alto e corpulento, è ritenuto l'autore o l'ispiratore di vari sanguinosi attentati avvenuti in Europa negli anni '70 e '80, i più importanti dei quali sono il sequestro (a Vienna nel 1975) di 70 persone tra cui 11 ministri del petrolio dei paesi dell'Opec, concluso con tre morti; un attentato, nel 1982, contro il treno Tolosa-Parigi sul quale avrebbe dovuto trovarsi il sindaco di Parigi Jacques Chirac, cinque morti. Carlos sarebbe stato al centro di una rete terroristica internazionale e avrebbe avuto rapporti soprattutto con gruppi oltranzisti palestinesi (il Fronte popolare per la liberazione della Palestina - Fplp) e con gruppi terroristi tedeschi (Magdalena Kopp è stata la sua compagna per 13 anni), più gli anarchici del »Movimento 2 giugno« e le »Cellule rivoluzionarie« (Rz) che la Raf. I suoi rifugi sono soprattutto in Siria e nello Yemen, ma la Kopp ha raccontato che anche la Stasi della Germania Est li ospitava (anche se nega che li abbia utilizzati). Oltre al terrorismo, Carlos ha coltivato anche la sua romantica immagine di dandy vecchia maniera, collezionista di belle donne, gran bevitore, fumatore di sigari di grande qualità e nottambulo impenitente. Anche dopo il suo arresto ha avuto una love-story con la sua avvocatessa francese. Il 24 dicembre 1997 Carlos è condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Parigi per il triplice omicidio della Rue Toullier del 27 giugno 1975. Alla lettura della sentenza, Carlos ha alzato il pugno chiuso gridando: »Viva la rivoluzione«. Il 23 giugno 1999 la Cassazione ha respinto il ricorso e la condanna al carcere a vita è diventata definitiva. In seguito la Francia ha respinto la richiesta di estradizione presentata dall' Austria per il sequestro dei ministri dei paesi Opec (Vienna 1975). Nel marzo del 2000, dal carcere parigino della Santè, Carlos ha rilasciato due interviste a quotidiani italiani, in cui ha parlato del caso Moro, di Ustica e della strage di Bologna e ha detto anche di ritenere probabile una nuova azione delle Brigate rosse. Nel 2004 la commissione bicamerale d'inchiesta sul caso Mitrokhin, istituita dal parlamento italiano, si è recata a Parigi per acquisire carte sul terrorista in riferimento ai suoi rapporti con la 'retè dei servizi dell'Est. Nello stesso anno, inutile viaggio a Parigi del Pm romano Franco Ionta per interrogare il terrorista venezuelano nell'ambito della nuova inchiesta sul sequestro e l' omicidio di Aldo Moro. Carlos infatti si avvale della facoltà di non rispondere. Nel 2007 è rinviato a giudizio davanti alla Corte d'assise di Parigi anche per una serie di attentati commessi in Francia nel 1982 e 1983 che hanno provocato complessivamente undici morti e più di un centinaio di feriti.

Ci fu un ultimo, estremo tentativo di salvare Aldo Moro che ebbe come scenario la pista dell'aeroporto di Beirut dove un executive dei servizi segreti italiani attese invano, l'8 e il 9 maggio del 1978, che a Roma una certa situazione si sbloccasse. Una fazione dei servizi segreti italiani, favorevole allo scambio, avrebbe dovuto prelevare dalle prigioni alcuni Br che dovevano essere portati in un Paese arabo. A bordo di quel jet c'erano il colonnello Stefano Giovannone, uomo del Sismi legato a Moro, ed esponenti dell'Fplp, garantiti e sotto la protezione dello Stato italiano. È Ilich Ramirez Samchez, detto Carlos «lo sciacallo», a confermare questa notizia a cui il capo terrorista aveva alluso, in maniera enigmatica, in una intervista all'ANSA realizzata grazie alla collaborazione dell'avvocato difensore del capo terrorista Sandro Clementi che lo ha incontrato nel carcere parigino di Poissy. In un primo momento le allusione di Carlos erano state collegate alla missione che proprio la mattina del 9 maggio di 30 anni fa portò l'ammiraglio Fulvio Martini, all'epoca vice del Sismi, ad incontrare, nel carcere jugoslavo di Portorose, 4 capi della Raf. Tutto invece saltò perchè qualcuno a Roma seppe della cosa e intervenne a bloccare il tutto. Carlos aveva detto, in una intervista di qualche anno fa, che c'erano «patrioti anti Nato, compresi molti generali, che erano partiti per aspettare il rilascio del prigioniero e salvare la vita di Moro e l'indipendenza dell'Italia. Invece questi generali furono costretti alle dimissioni». Carlos, a 30 anni dai fatti, chiarisce la vicenda che poteva essere decisiva: «fu una conseguenza dei fascisti (Mussoliniani li definisce) che controllavano l'intelligence militare che aveva preparato delle operazioni per andare a prendere nelle carceri, di notte, alcuni brigatisti imprigionati. Credo che l'informazione sia arrivata ai servizi della Nato a Beirut e probabilmente per l'imprudenza di Bassam Abu Sharif (membro dell'ufficio politico dell'Olp)». Una soffiata, dunque, rese possibile lo stop a quell'ultimo misterioso tentativo a cui hanno alluso, per decenni, esponenti socialisti e della Dc. Quell'aereo a Beirut - spiega Carlos - «era a disposizione della resistenza palestinese per andare sotto la protezione dello Stato italiano (servizi militari) nel Paese opportuno per organizzare il ricevimento dei brigatisti sul punto di essere sottratti dalle carceri dai servizi militari». Un riscontro a queste parole è il fatto che dopo la morte di Moro si ebbe un vero e proprio ripulisti nel Sismi, che pure era nato da pochi mesi. Sui giornali nessuno spiegò in quelle settimane quale ne fosse la ragione; lo stesso Martini abbandonò il servizio segreto per alcuni anni. Nella lunga intervista a Carlos (disponibile nella versione integrale sul sito www.ansa.it) molte sono le ulteriori rivelazioni: a Milano, mentre si stava preparando un incontro delle Br con un «uomo dello Stato» ci fu un blitz che interruppe il canale che era stato aperto: «Quello che posso dire- rivela lo Sciacallo- è che vi era un contatto tra le due direzioni (Br-Raf) e che ci fu in quel momento una operazione delle teste di cuoio (prima nella storia). Il governo italiano non aveva necessità di stabilire contatti con gruppi stranieri per liberare Moro». Recentemente Cossiga ha confermato che ci fu in effetti una missione di questo tipo proprio a Milano dopo che c'era stato un contatto tra Br e un uomo di Chiesa grazie al segreto del confessionale. Carlos spiega ancora che i contatti che portarono a questo ultimo tentativo - che oggi rivela - passarono tra Giovannone e l'Fplp e grazie anche ad altri ufficiali che si recarono a Beirut più volte.«Separatamente vi erano contatti con le Br con rivoluzionari europei non italiani. Per ragioni di sicurezza le Br si erano 'chiusè nell'imminenza della tripla operazione consistente nella simultanea cattura di Moro, Agnelli e un giudice della Corte suprema. Le azioni dovevano svolgersi simultaneamente in Italia». Questa dei tre rapimenti è una assoluta novità. Carlos ne è ben cosciente e sottolinea per due volte che doveva essere rapito Gianni Agnelli e non Leopoldo Pirelli come poi si è detto e scritto. Nulla invece dice della identità dell'alto magistrato che doveva essere anche egli rapito. Nelle sue risposte, su cui ha a lungo meditato, come ha raccontato l'avvocato Clementi, Carlos ha detto di non aver mai saputo nulla del'ingente riscatto che la Chiesa era pronta a pagare proprio la mattina del 9 di maggio a Milano.«Sono stupito di apprendere che la Chiesa avesse quella cifra per pagare. Benchè fosse un buon cattolico (Moro), l'uomo della Chiesa era Andreotti che si è opposto al salvataggio di Moro. Il tentativo di Beirut è stato sabotato a Milano e questo è un dato di fatto (e qui Carlos sembra alludere al contatto avvenuto tramite la Chiesa a Milano cui si sarebbe risposto con un vero blitz che costrinse gli uomini della Raf che erano nel capoluogo lombardo a fuggire in Jugoslavia dove poi vennero arrestati). I sovietici avevano interesse a salvare Moro; gli yankees e gli israeliani erano contro e quindi se vi fosse stato un intervento di uno Stato straniero si sarebbe trattato di uno della Nato e non del Patto di Varsavia».

Il nome di Carlos è stato collegato diverse volte al caso Moro, ma sempre in maniera trasversale, indefinita, o talmente avventurosa da sembrare romanzesca: Nel 1985 due giornalisti dell'agenzia giapponese Kyodo rivelano di aver appreso «da fonti sicure ad altissimo livello» che il rapimento Moro sarebbe stato proposto alle Brigate rosse da Carlos che sarebbe entrato clandestinamente in Italia, avrebbe diretto il sequestro e sarebbe poi sparito dopo l'uccisione di Moro. Nello stesso anno, Franco Mazzola, ex sottosegretario Dc Franco Mazzola, nel suo libro «I giorni del diluvio» (recentemente ristampato), racconta il caso Moro in modo romanzato e attraverso personaggi che hanno nomi diversi ma spesso riconoscibili. In uno di questi è facile riconoscere lo «sciacallo». Nel 1995, i carabinieri dei Ros arrestano a Roma la terrorista tedesca Margot Christa Frohlich, moglie del brigatista Sandro Padula, condannato all'ergastolo nel processo Moro-Ter. La Frohlich è stata una delle principali collaboratrici di Carlos. Nel 2000, il settimanale «7Giorni7» scrive che Carlos avrebbe addestrato i rapitori di Aldo Moro e pubblica due documenti che proverebbero i contatti internazionali delle Brigate rosse. Nello stesso anno Carlos rilascia un'intervista scritta al Messaggero nella quale, oltre ad affermare che le Br erano ancora in fase operativa e che «bisogna aspettarsi nuovi attacchi terroristici», dice che quello del brigatismo rosso è un fenomeno del tutto italiano, non vi sono «agenti stranieri», che Moro «poteva essere salvato», e che all'interno dei servizi italiani c'era un gruppo favorevole alla trattativa con le Br, per salvare Moro e «l'indipendenza dell'Italia. Invece sono stati dimessi e costretti ad andare in pensione». Un mese dopo, altra intervista, questa volta al Tempo. I contenuti sono più o meno gli stessi con l'aggiunta dell'affermazione:«Ho soggiornato in Italia quando ero giovane, negli anni Settanta». Nel 2003, da Parigi, Oreste Scalzone racconta che, verso la fine del caso Moro, uno dei collaboratori di Carlos, il tedesco Johannes Weinrich, cercò, attraverso gruppi di sinistra in Svizzera, contatti con Scalzone e l'area dell' Autonomia, per sondare la possibilità di una strada per ottenere la liberazione di Moro. Dietro il tentativo di mediazione ci sarebbe stato l'Olp su sollecitazione del colonnello Giovannone, dirigente dei servizi segreti italiani in Medio Oriente e iscritto alla P2. Nel 2004, alcuni membri della commissione Mitrokhin fanno trapelare che tra i membri della «Separat», una rete gestita del terrorista internazionale Carlos, ci sarebbe anche il brigatista rosso Valerio Morucci, uno dei postini del caso Moro. Nel 2005 Falco Accame, ex presidente della commissione Difesa della Camera, dichiara che sul famoso 'tiratore sceltò presente in via Fani c'è il sospetto che sia un tedesco della banda di Carlos o comunque a lui collegato. Ad aprile di quest'anno, Antonino Arconte, che afferma da anni di aver fatto parte, con il codice G-71, di una «Gladio militare» mai resa nota, dice che «secondo la nostra rete in Nord Africa e Medioriente, lo Sciacallo era della partita Moro con alcuni specialisti della sua rete, la Separat. Tuttavia sfuggì alla caccia dopo che, secondo le nostre informazioni, aveva partecipato direttamente all'operazione Moro». Lo stesso Arconte sostiene di essere stato incaricato di consegnare, il 2 marzo 1978 (quindi più di due settimane prima del rapimento Moro), un messaggio, a distruzione immediata, che affermava: «segnalati movimenti insoliti intorno alla sede del governo Arafat, a Tunisi. Lo sciacallo ha lasciato la sua tana di Tripoli. Si ordina a tutto il personale O.G. (Operazione Gladio) militare e civile di attivarsi per conoscere gli spostamenti e riferire. Si autorizza intercettazione e conclusione, se impossibile il prelievo». L'ordine sarebbe stato inviato a tutte le stazioni di Malta, Mersina, Partus, Beirut, Sidone, Alessandria d'Egitto, Bengasi, Sirte, Tripoli, Tunisi, Algeri, Tangeri.

28/06/2008 ANSA

MORO/30: CIA, EMERGENZA NON AIUTA OPPOSITORI INTESA DC-PCI QUESTA L'ANALISI CIA IN UN DOCUMENTO DI FINE APRILE 1978

  Il protrarsi dell'emergenza creata dal rapimento Moro renderà le cose più difficili per chi si oppone all'intesa DC-PCI: così la Cia a fine aprile 1978. Nel documento - forse non opportunamente valorizzato dagli studiosi ed in gran parte rimasto inedito - l'Agenzia americana osserva che il sequestro ha incrementato le occasioni di cooperazione tra gli esponenti dei due partiti, tanto che «i democristiani hanno meno chance di usare l'anticomunismo in chiave unificante» per superare le rivalità interne. «I politici italiani - puntualizzano gli analisti di Langley - sostengono che le umilianti lettere scritte da Moro prigioniero ne hanno determinato la fine politica, sia che sopravviva o no fisicamente». Ma la «conclusione sembra prematura», sottolinea la Cia ipotizzando che all'interno della Dc «ciò stimolerà un'accresciuta rivalità tra chi è ansioso di succedere a Moro alla guida del partito», incoraggiando inoltre la considerevole parte di coloro che nella Dc «vogliono proseguire una politica di contrasto nei confronti del Pci: gli stessi messi all'angolo da Moro nelle fasi finali della trattativa per il Compromesso storico».
26/06/2008 ANSA

MORO/30: FREATO, ANCHE VIA GRADOLI FU SUA PRIGIONE

  Classe 1928, braccio operativo dello staff del Presidente Moro, Sereno Freato, durante i 55 giorni del sequestro, teneva i contatti tra la famiglia Moro e le istituzioni, attivando tutti i possibili canali per una trattativa. Fu lui ad invitare a Roma l'avvocato della Raf Dennis Payot, e fu lui a cercare il Maresciallo Tito, da cui si recò un dirigente del ministero dell'industria, con un aereo prestato da Silvio Berlusconi. Dopo aver testimoniato sulla vicenda in tribunale e alla Commissione Moro, non ha mai rilasciato interviste. Oggi a 30 anni di distanza dai fatti dà la sua interpretazione delle tante incongruenze della versione dei brigatisti al microfono di Alessandro Forlani. L'intervista può essere ascoltata sul sito del canale Grparlamento della RAI. «Il cadavere di Moro era in condizioni perfette, spiega, e quindi gli spostamenti devono essere stati vari; in particolare, se Moretti abitava a Via Gradoli, lì deve esserci stato anche Moro, perchè il capo delle BR non si separava certo dal prigioniero». Che gli spostamenti siano stati più di uno, Freato lo deduce anche dal fatto che, secondo Payot, le forze dell'ordine si stavano comportando in Italia proprio come in Germania avevano fatto per il sequestro Schleier. Ben più operativa della figura dell'esperto americano, fu, secondo Freato, quella dei due esperti mandati da Bonn, che non hanno mai rilasciato dichiarazioni. «Hanno costretto i brigatisti a scappare di rifugio in rifugio, finchè si sono liberati dell'ostaggio, uccidendolo». Payot aveva iniziato a prendere dei contatti con i brigatisti a Milano e nel nord, ma poi si tirò indietro, quando il governo svizzero lo minacciò di espellerlo dall'albo. «Era arrivata una telefonata di Cossiga, che non voleva questa trattativa, perchè temeva che portasse ad un riconoscimento politico delle BR; mi chiamò il ministro dell'Interno, spiega Freato, per dirmi 'ho sistemato quel tuo avvocato'». Freato spiega anche gli altri tentativi fatti per liberare Moro. «Ci rivolgemmo un pò a tutti, dal Vaticano alla Libia, ai palestinesi; si attivarono uomini dei servizi come il colonnello Giovannone, ma alla fine tutti i contatti portavano sempre ai brigatisti in carcere, mentre noi dovevamo parlare con quelli fuori». «I socialisti avevano un contatto con Morucci, ma a quanto pare nemmeno lui riuscì a convincere Moretti che uccidere Moro era un errore mortale per le BR; arrivò un ordine dall'alto, cè ancora molto da scoprire su quell'ultima notte». Un altro mistero è poi quello del silenzio di Moro su Leonardi e in generale sulla scorta: «forse le lettere erano censurate, oppure Leonardi, uomo del Sifar, aveva riconosciuto qualcuno dei suoi assassini». Freato non crede però che Moro avrebbe abbandonato la politica: «l'opinione pubblica era con lui e Moro sarebbe diventato un imperatore: a maggior ragione, quindi, si doveva eliminarlo». Molti anche i giudizi taglienti, ma anche molto partecipati sui protagonisti della vicenda: su Zaccagnini dice che era in buona fede ed ha avuto la vita rovinata, dietro di lui però c'era la banda dei 4, quelli che comandavano davvero nella DC e quelli che avevano convinto Moro ad accettare la presidenza. Su Mazzola dice «non era certo un nostro amico», su Galloni solo una battuta: «ahi, ahi». Molti anche i ricordi privati: «Moro mi disse il giorno prima di Via Fani, che dopo la fiducia al governo voleva fare un giro delle capitali amiche, Washington, Parigi, Bonn; si rendeva conto che l'accordo con i comunisti non era stato spiegato in modo esauriente agli alleati occidentali e voleva fare quello che era stato fatto prima del 63 per l'accordo con i socialisti».
25/06/2008 ADNKronos

SERVIZI SEGRETI: LUNEDÌ AUDIZIONE KISSINGER AL COPASIR - 'SEGRETARIO DI STATO ALL'EPOCA DI MORO, È INTERLOCUTORE INTERESSANTE'

  Il Copasir, Comitato parlamentare per la sicurezza, procederà ad una serie di audizioni con personalità ed esperti nel settore dell'intelligence. Obiettivo, «una raccolta di informazioni e di giudizi che penso sarà utile», spiega il presidente del Comitato, Francesco Rutelli. Lunedì prossimo sarà ascoltato Henry Kissinger. «Abbiamo una responsabilità di controllo sull'attività dell'intelligence che ci spinge ad ascoltare personalità che possano dare informazioni interessanti. Kissinger -ha ricordato Rutelli- è stato Segretario di Stato negli anni di Moro e di tante vicende della storia italiana e certamente è un interlocutore su alcuni dei punti di crisi che più direttamente interessano il nostro Paese e la nostra attività di intelligence».
25/06/2008 ANSA

MORO: COPASIR ASCOLTERÀ KISSINGER, DA LUI DATI IMPORTANTI

  La prossima settimana il Copasir ascolterà Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano. Lo ha annunciato, nel corso di una conferenza stampa a San Macuto, il presidente del Comitato per la Sicurezza della Repubblica (Copasir), Francesco Rutelli. Kissinger era segretario di stato americano negli anni del sequestro Moro e, ha argomentato il presidente del comitato «di tante vicende italiane, da lui potranno giungere informazioni importanti». L'ex segretario di stato Usa sarà ascoltato a San Macuto il 30 giugno alle 17.30: «Gli faremo avere una lista di domande scritte - ha precisato Rutelli - e vedremo cosa risponderà. Kissinger la prossima settimana sarà in Italia per partecipare, tra l'altro a una tavola rotonda con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e ha accettato l'invito del Copasir.
23/06/2008 ANSA

MORO/30: AVVIATO SBLOCCO ATTI COPERTI DA SEGRETO SARANNO CONCENTRATI A PALAZZO CHIGI MA NON ANCORA VISIONABILI

  Già dall' 8 aprile il governo, allora presieduto da Romano Prodi, ha avviato la declassificazione di tutti gli atti riguardanti il « caso Moro». La notizia viene da una lettera del Viminale inviata il 20 di questo mese al giornalista Gabriele Mastellarini che ha avanzato formale richiesta alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell'Interno e all'Archivio storico del Senato della Repubblica. Questa ultima richiesta riguarda i 100 faldoni inviati in commissione stragi il 28 agosto 1998 dall'allora responsabile del Viminale Giorgio Napolitano e che sarebbero coperti da un tutela che li rende non visionabili al pubblico nonostante la recente legge sul segreto di Stato fissi a 30 anni il periodo massimo della tutela per tutti gli atti coperti dal segreto di Stato. Tutte le forme inferiori di tutela, dovrebbero quindi comunque venir meno. Mastellarini ha ricevuto la lettera che specifica che tutto il materiale proveniente dal Viminale, e presumibilmente anche da altri dicasteri, sarà concentrato presso la Presidenza del Consiglio. Palazzo Chigi, infatti, - afferma la lettera- è stato «individuato quale struttura dove custodire tale carteggio una volta declassificato, al fine di concentrare in una unica sede l'accesso e la visione degli atti da parte dei soggetti aventi titolo» La Presidenza del Consiglio ( Alta Autorità Nazionale per la Sicurezza) ha però escluso l'immediata efficacia della recente legge che prevedeva l'automatica declassifica, subordinandola all'adozione di un regolamento previsto dal comma 7 dell'articolo 42. La questione posta da Mastellarini per un effettivo «sblocco» dei documenti su Moro ancora tutelati dal segreto è anche all'attenzione del Tar del Lazio che dovrebbe pronunciarsi in questa settimana su un ricorso avanzato dal giornalista, mentre il 1 luglio della questione si occuperà la commissione d'accesso agli atti di Palazzo Chigi.
13/06/2008 ANSA

MORO: AGNESE, VERITÀ PARZIALE E MANCA RIFLESSIONE STORICA

  Sulla vicenda di Aldo Moro «la verità e ancora parziale e manca ancora una vera e propria riflessione storica sugli eventi». Ne è convinta Agnese Moro, figlia dello statista ucciso 30 anni fa. Lo ha affermato stasera a Trento a margine di un incontro con studenti delle scuole superiori e universitari, impegnati in un approfondimento sulla memoria degli Anni di piombo. «Nella ricostruzione dei fatti - ha spiegato - molte cose a me non sembrano molto logiche. Una per tutte è in via Fani: comè possibile che a sparare siano state davvero persone mai addestrate militarmente, che si erano allenate soltanto a centrare bottiglie nelle campagne? In ogni caso - ha proseguito - non è solo la vicenda di mio padre, ma tutti i primi trent'anni della Repubblica sono ancora poco studiati. Stiamo cercando, con l'Accademia Moro, di appassionare gli studiosi». Del padre «non esiste una biografia - ha portato ad esempio Agnese Moro - ma solo lavori giornalistici e non di storici, sui documenti». Dei ricordi personali più cari cita la lettera a lei indirizzata «letta 12 anni dopo la sua morte, che mi ha regalato parole che mi mancavano e non speravo di sentire», ma anche piccoli episodi. «La gente - ha concluso - spesso dimentica che dietro ogni atto di violenza ci sono persone, con la loro umanità e i loro affetti. Mio padre non è solo un simbolo, era una persona».
24/05/2008 ANSA

MORO/30: GIOVANNI MORO, IN ITALIA PATOLOGIA MEMORIA ANNI '70

  L'Italia deve fare i conti con una «patologia della memoria che interessa gli anni '70». Lo ha detto Giovanni Moro, figlio dello statista assassinato dalle Brigate rosse e presidente della Fondazione per la cittadinanza attiva. Moro è intervenuto a Macerata ad un convegno promosso dall'Università e intitolato «Violenza e Storia d'Italia. Conflitti e contaminazioni ideologiche del secondo '900». Quegli anni, ha affermato Moro, secondo una sintesi del suo intervento diffusa dall'ateneo, restano «un periodo difficile da classificare tramite temi o titoli dominanti, perchè è stato intessuto da complicazioni concrete come la militarizzazione dell'attivismo politico; la convivenza tra il consociativismo dei partiti e i primi segnali di stanchezza della società davanti a questo sistema; e ancora l'immobilismo, la necessità di un cambiamento impossibile contrapposto all'attività riformista del Parlamento di quell'epoca». Sono ancora troppi i pregiudizi con cui guardiamo agli anni del terrorismo. «E la violenza - ha concluso - è un idolo dal quale dobbiamo liberarci».
21/05/2008 ANSA

CASO MORO: FARINA (PDL), INTERPELLANZA SU OPERAZIONE GRADOLI = RENDERE PUBBLICI GLI ATTI, IL PAESE DI GRADOLI NON FU MESSO A FERRO E FUOCO

  Renato Farina, del Pdl, ha presentato oggi un'interpellanza al ministro dell'Interno sul caso Moro, dopo aver visto alcune scene del film del regista Carlo Infanti, «La verità negata». Nell'inchiesta si sostiene che gli esiti della seduta spiritica del 2 aprile 1978, a Zappolino, nella villa del professor Clò siano stati del tutto differenti da quelli sostenuti nelle versioni ufficiali. «Durante quella seduta - afferma l'esponente del Pdl-fu chiesto agli spiriti di La Pira e Don Sturzo ove fosse tenuto prigioniero il presidente della Dc, Aldo Moro, e dopo il vaticinio »Gradoli«, il suggerimento della signora Moro: »Cercate a Roma una via Gradoli« fu ignorato; le si rispose anzi che nel »Tutto Città« non esisteva, infatti le forze dell'Ordine non andarono in via Gradoli ma fu messa a ferro e fuoco Gradoli, cittadina dell'alto Lazio, per cercare Moro, questo lasciano intendere molti illustri parlamentari e storici, come Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, che ripete questo fatto in un libro recente.» In realtà, afferma ancora Farina, «le autorità cittadine in carica a Gradoli a quei tempi hanno testimoniato al regista Carlo Infanti (ed oggi lo ribadisce nell'intervista apparsa su »Il Giorno« a firma di Silvio Danese) che nessun inquirente cercò Aldo Moro in quel paese e non vi furono controlli a tappeto, le stesse autorità cittadine hanno dichiarato che in quei giorni tre inviati di 'Unità'», 'Messaggero' e 'Avanti' si recarono a Gradoli, appurando non vi era successo nulla e infatti nulla scrissero nè allora nè nei trent'anni successivi su quei tre quotidiani circa la presunta «invasione» di Gradoli.« Farina chiede di sapere quali azioni il Ministro dell'Interno e il Presidente del Consiglio »intendano intraprendere per accertare e riferire chi siano i giornalisti eventualmente reticenti e come si sia potuto sviluppare anche in sedi ufficiali una simile panzana storica, e se non ritengano poi doveroso rendere immediatamente pubblici tutti gli atti concernenti la cosiddetta operazione di Gradoli.«
19/05/2008 ANSA

MORO: CIRO CIRILLO,INTERVENTI DA VARIE PARTI PER FARLO FUORI

  Per il rilascio di Aldo Moro si sarebbe dovuto trattare. Lo ha detto oggi a Napoli Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse nell'81 a Torre del Greco, in occasione di un incontro nell'Università Suor Orsola Benincasa nel corso del quale è stata proiettata in anteprima nazionale la puntata su «Il caso Cirillo» realizzata da Gianni Minoli per «La storia siamo noi». «Secondo me - ha detto l'ex esponente della Dc - ci sono stati interventi da varie parti perchè Moro venisse fatto fuori. In quella occasione si sbagliò - ha continuato Cirillo - bisognava trattare, anche se le Br volevano perseguire un obiettivo politico diverso da quello che riguardò il mio sequestro».
14/05/2008 ANSA

MORO/30:SALVINI,SERVE COMMISSIONE INDIPENDENTE PER MEMORIALI. FIGLIA AGNESE, CAPIRE UOMO PER CONOSCERE VERITÀ

  Il caso Moro è stato ricostruito nel dettaglio per quanto riguarda i componenti e «la gestione interamente delle Brigate Rosse» e per quanto riguarda il sequestro e l'uccisione del presidente della Dc. Non così, invece, per il «balletto» del ritrovamento dei memoriali dello statista ucciso, le cui copie furono trovate in varie occasioni e di cui non si trovarono mai gli originali. Per ricostruire questi aspetti oscuri sarebbe utile una «commissione di storici e giuristi indipendenti». È l'opinione del gip di Milano Guido Salvini che in serata ha partecipato a un dibattito a Cologno Monzese con la figlia di Aldo Moro, Agnese. Salvini, che si è occupato delle cosiddette nuove BR del 'Partito comunista politico-militare', per il quale è in corso un processo a Milano, parlando delle differenze tra il terrorismo dei giorni nostri e quello degli anni '70 ha detto che «in trent'anni la società ha maturato degli anticorpi, ha avuto una maturazione etica che rende assai difficile il ritorno di quel terrorismo». Questo perchè «la grande maggioranza dei giovani ha maturato il rifiuto della violenza come mezzo di lotta politica». «Io non sono molto appassionata del caso Moro - ha premesso parlando coi cronisti la figlia dello statista - ma molto più interessata alla persona di mio padre, perchè il parlare del caso Moro rischia sempre di mettere in secondo piano quest'uomo che ha sempre vissuto accanto agli uomini della sua scorta, suoi compagni di viaggio in questa vicenda così triste. Ci sono molte ricostruzioni e credo che ci sia ancora molto lavoro da fare da parte degli storici in senso stretto. Credo, come la maggioranza delle persone, che ci sia ancora molto da chiarire». Ma non si è fatto tutto per scoprire quanto realmente accaduto oppure non è stato fatto tutto per salvare la vita di suo padre? Le è stato chiesto. «Entrambe le cose - ha risposto Agnese Moro - ma io questa sera sono qui per ricordarlo come persona viva e sono convinta che non si capirà mai quello che è successo, fintanto che non si capirà la persona che l'ha vissuto».
13/05/2008 ADNKronos

CASO MORO: SENATO, ON LINE OLTRE 100 FALDONI DI DOCUMENTI = 62 MILA PAGINE CONSULTABILI IN RETE

  Sono on-line gli atti dell'inchiesta sul 'caso Morò. Oltre 100 faldoni di documenti, corrispondenti a circa 62 mila pagine, della «Commissione stragi - filone Moro» sono ora consultabili in Rete grazie al progetto «Commissioni d'inchiesta on-line» curato dall'Archivio storico di Palazzo Madama. L'archivio storico è depositario degli archivi delle Commissioni d'inchiesta monocamerali e bicamerali che chiudono i lavori con Presidenza Senato. Un ponderoso patrimonio documentale che sarà progressivamente inventariato, digitalizzato e reso disponibile in rete. Il software utilizzato per la schedatura permette di ottenere la visualizzazione e la stampa di ciascun documento, effettuare ricerche su una o più Commissioni, per nome di luogo e di persona, per soggetto produttore. Peculiarità di questo progetto è la produzione di inventari che presentano una corrispondenza univoca tra la voce d'indice e il documento digitalizzato inteso come singola lettera, dossier, volantino, sentenza, relazione.
Gli inventari, spiega il sito del Senato, rispecchiano fedelmente l'ordine delle carte stabilito dalla segreteria della Commissione. Ove necessario, per la migliore consultabilità dell'archivio sono predisposti strumenti di ausilio alla ricerca quali i repertori per tipologia di documenti. Nella banca dati è attualmente disponibile il fondo «Commissione terrorismo e stragi», limitatamente al filone «Caso Moro», uno dei 27 filoni d'inchiesta che sono presentati come sub-fondi. L'archivio storico, che per la prima volta svolge la funzione tipica dell'Ufficio stralcio di riordino e di pubblicazione dell'Archivio, rende consultabili in Internet progressivamente i filoni d'inchiesta, senza attendere la conclusione del lavoro di inventariazione. La priorità data al filone «Caso Moro» è stata determinata,viene sottolienato, «dalla volontà dell'Istituzione di offrire un contributo alle iniziative in memoria dello Statista nel trentesimo anniversario della scomparsa». L'archivio della Commissione Moro, già pubblicato a stampa in 130 volumi nella serie degli Atti parlamentari, è stato digitalizzato ed è consultabile attraverso gli indici.
09/05/2008 ANSA

MORO: QUANDO CASIMIRRI REAGÌ A 'CRONISTA IMPICCIONE' / CHIAMATE ANCORA PER VIA FANI? È STORIA PASSATA,RISPOSE ALL'ANSA

  Carlo Giacobbe - Certe volte un particolare, una sfumatura possono rappresentare una realtà più vividamente di una guerra o di un cataclisma. Erano trascorsi 20 anni da quello che è passato alla storia come il caso Moro: 20 anni esatti dal rapimento che all'Urbe e al mondo si era annunciato con la morte di cinque innocenti e che, meno di due mesi dopo, avrebbe lasciato di nuovo attoniti l'Italia e il mondo nell'apprendere del sesto sacrificio, il più clamoroso. Da Città del Messico, dove al tempo vivevo seguendo i paesi centroamericani, provai a raccogliere una intervista telefonica a quello che molti ritengono abbia fatto parte del gruppo di fuoco di Via Fani: Alessio Casimirri, ultimo dei sicari Br ancora in libertà e condannato a sei ergastoli. Casimirri, divenuto cittadino nicaraguense, non è stato mai estradato, anche dopo che, a quello sandinista, si sono succeduti governi conservatori. Contattarlo presso la 'Cueva del Buzò (la tana del sub), il ristorante di Managua dove si era stabilito dal tempo dei sandinisti, non era stato facile ma neanche un'impresa. Alcune chiamate, seguite da controtelefonate di controllo, e poi finalmente la comunicazione. Il giornalista, teso anche pensando a come dovrà gestire l'emozione del suo interlocutore, abbozza la domanda: sono Carlo Giacobbe, dell'Ansa, chiamo dal Messico. Intanto la ringrazio di aver accettato di parlare con me, proprio oggi... Dall'altro capo la voce interrompe bruscamente: «sì, ma mi dica di che si tratta». Colto un pò di sorpresa, spiego: sa, oggi sono 20 anni che... Già, che? Che avete assassinato a sangue freddo cinque persone che facevano onestamente il loro lavoro per rapirne una sesta da voi posta già in lista di attesa per l'aldilà? oppure, che il gruppo di fuoco ha colpito con millimetrica precisione? o anche, che avete ammazzato come un cane il padre della mia amica Cinzia Leonardi?. Poi mi esce un riferimento, incongruo come lingua italiana ma finalmente chiaro al mio interlocutore: sono 20 anni che è successa Via Fani. «Ah - risponde la voce - è per quello che mi chiama? Ancora!». Ora, è difficile rendere con la parola scritta il senso di una inflessione, di una intonazione di voce, servendosi appena di punti interrogativi, esclamativi o di sospensione. Dopo dieci anni, però, assicuro che il tono di quell' «ancora!» ce l'ho scolpito nei timpani come la risata di un figlio. Non esprimeva solo freddezza (la freddezza evidentemente necessaria a chi può fare parte di un 'gruppo di fuocò, più o meno chirurgico che sia), anzi non esprimeva quasi per niente freddezza. Esprimeva solo fastidio, insofferenza per il disturbo arrecatogli. «Già, avrei dovuto immaginarlo. I giornalisti, si ricordano che esisti solo quando si tratta di impicciarsi dei tuoi sentimenti, di scavare nel privato della gente... Ma quella è una storia passata e se ne potrà parlare compiutamente quando si sarà trovata una soluzione politica, globale e collettiva...». Del breve vaniloquio seguito, prima che Casimirri chiudesse quella conversazione, confesso che non ricordo più niente. Ripenso spesso, però, a quel tono di disappunto, rimastomi dentro forte e chiaro per la vita.
09/05/2008 ANSA

MORO:SCATTÒ FOTO CORPO A VIA CAETANI,C'ERA SILENZIO IRREALE DELLO STESSO REPORTER ANCHE IMMAGINI FUNERALI TORRITA TIBERINA

  Per Rolando Fava, fotografo e giornalista dell'Ansa, oggi in pensione, il ricordo della foto del corpo di Aldo Moro nel bagagliaio della Renault, la più importante della sua vita, quella che ha fatto il giro delle prime pagine di tutto il mondo, è ancora vivo, come se fosse oggi. Ricorda che, alle 13 di quel 9 maggio, c'era un traffico eccezionale in piazza Venezia, che lo aveva spinto ad informarsi su che cosa stesse succedendo. Così aveva saputo che era stata segnalata, in via Caetani, la presenza si un'auto che conteneva una bomba«, come succedeva spesso in quegli »anni di piombo«. »La strada era stata subito chiusa da entrambi i lati dalle forze dell'ordine. In realtà, c'era già stata la rivendicazione delle Br e a Via Caetani sono arrivati Cossiga, Colombo, Gonella - ricorda oggi Fava - Mi ha subito colpito il silenzio irreale. Ma io non avevo alcuna idea che potesse trattarsi di Moro, quando sono entrato in Palazzo Caetani (e ho potuto farlo solo passando da una entrata secondaria che conoscevo, sul retro) e ho chiesto al portiere il favore di affacciarmi da una finestrella un metro per un metro del suo appartamento, al piano rialzato. Da lì ho scattato le immagini degli artificieri che aprivano prima il cofano anteriore, poi il portabagagli. Solo allora qualcuno ha levato la coperta e ho visto Aldo Moro in quella posizione un pò innaturale, credevo ancora che fosse drogato, che dormisse...ma è stato per poco, subito la strada si è riempita del dolore di tutti«. Sempre a Rolando Fava è casualmente toccata anche l'esclusiva dei funerali dello statista, a Torrita Tiberina, che avvennero inaspettatamente, in gran segreto, con la semplice bara portata a spalla al cimitero dai familiari sotto la pioggia battente, per le strette vie del paesino caro a Moro, il 10 maggio, il giorno dopo il ritrovamento del suo corpo.
08/05/2008 ANSA

MORO/30:CICCOTTI, UNICA TESTIMONE SMENTISCE BR SU MORTE

  Graziana Ciccotti, ancora oggi abita in via Montalcini n. 8, anche dopo aver smesso di svolgere il suo lavoro di insegnante. Per le Br la signora Ciccotti è l'unica indiretta testimone della uccisione di Aldo Moro nel garage della «prigione» romana, la mattina del 9 di maggio. Infatti sia Anna Laura Braghetti, la «vivandiera», sia Germano Maccari, accusato di essere colui che sparò insieme a Mario Moretti sul corpo di Moro racchiuso nel portabagagli della Renault, hanno sempre fatto riferimento ad un incontro casuale, nel garage, con la signora Ciccotti intenta a raggiungere una località fuori Roma dove insegnava. Un incontro avvenuto la mattina del 9 di maggio. Solo che la Ciccotti non ha visto la Renault 4 nel garage dell'int. 1 la mattina del 9 di maggio ma alcuni giorni prima. Anzi non ha visto neppure, con certezza, una Renault, ma solo una macchina rossa. Ecco cosa racconta Maccari: «Erano le 6 del mattino, la cesta di vimini con Moro venne portata giù nel box-garage. Io richiusi la porta basculante. Facemmo uscire Moro dalla cesta e lo facemmo accomodare nel bagagliaio della Renault. Il presidente si accovacciò, quando sentimmo delle voci. Era la Braghetti che stava conversando con una vicina. La donna andò via e cominciò l'esecuzione». Stesso, ma più colorito, il racconto della Braghetti: «Era mattino molto presto, credo che fossero le sei e mezzo, le sette. Io ero all'esterno del garage e passò una signora: la signora vide la Renault rossa... nel garage c'erano Aldo Moro e chi lo avrebbe ucciso di lì a poco». La Ciccotti, più volte, così come anche suo marito, non ha datato però l'episodio al 9 di maggio, bensì «in un tempo variante da tre giorni ad una settimana prima» della morte di Moro. La Ciccotti ha escluso anche di aver rivisto la macchina dopo la morte di Moro. Il marito della signora ha raccontato: «Qualche giorno prima della morte dell'on. Moro mia moglie vide attraverso la serranda basculante del box una autovettura di colore rosso». Tuttavia per una certa pubblicistica e per le Br la signora Ciccotti è una testimone che conferma l'uccisione di Moro nel garage di via Montalcini 8.
08/05/2008 ANSA

MORO/30:MARTINI DA TITO IL 9 MAGGIO PER TENTARE SCAMBIO/ NOTIZIA CONFERMATA DA DICHIARAZIONI DI CARLOS 'LO SCIACALLO'

  di Paolo Cucchiarelli - Il 9 maggio 1978, Fulvio Martini, che era il dirigente dell' ufficio RS che curava i rapporti internazionali, di fatto il numero 2 del servizio segreto militare italiano, si alzò molto presto. Alle 4 di mattina, partì da solo, non armato, con la propria macchina da Venezia: destinazione la Jugoslavia. A cavallo fra aprile e maggio era maturata, anche su sollecitazione iniziale della famiglia Moro, la 'pista jugoslava che aveva il suo cardine nel maresciallo Tito e sulla sua possibilità di essere «cerniera» tra Est ed Ovest ( oltrechè punto di passaggio di molti gruppi terroristici all'epoca) e di cui parlano ampiamente la relazione finale della commissione Moro, Giulio Andreotti e la stessa famiglia Moro. Martini aveva buoni rapporti con il capo dei servizi segreti dell'epoca Janash. «Aveva più volte cercato di accopparmi. - ha raccontato Martini diversi mesi prima di morire - Dopo la caduta del muro l'ho più volte aiutato perchè rischiava di morire di fame». «Alle 12 - ha rivelato l'ammiraglio rispondendo ad una richiesta di notizie per un libro sulla vicenda Moro - qualcuno mi fermò dietro un muro: era un uomo del servizio segreto militare. Il mio compito, quel giorno, era andare a prelevare i 3 della Raf che erano in mano a Tito, due uomini e una donna. Uomini della Raf che dissero di aver avuto rapporti con le Br a Milano. Mi portarono a Porto Rose e cominciammo a discutere. Gli jugoslavi avevano ipotizzato di scambiarli con i tedeschi chiedendo in cambio dei terroristi ustascia che erano stati arrestati a Bonn dopo un omicidio. Alle 16 arrivò la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro, proprio mentre stavamo per discutere della situazione e delle notizie che avevamo raccolto. Chiamo subito Roma e mi dicono di rientrare immediatamente». La rivelazione sulla missione jugoslava da parte dell'ex direttore del Sismi era nata anche da una osservazione fatta a proposito di un indecifrabile messaggio audio che si inserì, sulle onde della rete2 della Radio diretta da Corrado Guerzoni (capo di gabinetto di Moro quando questi era presidente del Consiglio e collaboratore della famiglia durante i 55 giorni). Il 24 aprile 1978, alle 18,35, i radioascoltatori sentirono distintamente questa frase:«Il conte si sta dirigendo in Jugoslavia: la famiglia prenda contatto». Una vicenda, quella della pista jugoslava e dei terroristi della Raf in mano a Tito, mai chiarita completamente e che è ai margini della ricostruzione ufficiale del caso Moro anche se i riferimenti,come detto, non mancano. Quei terroristi, infatti, venivano da Milano ed avevano avuti contati proprio con i Br. Il 6 maggio 1978 fonti diplomatiche jugoslave rivelano che sono state arrestate ed espulse dalla Jugoslavia 3 tedesche che hanno gli stessi cognomi della banda Baader-Meinhof. Le donne hanno dato le generalità di Baader, Ensslin e Meinhof, morti suicidi nel carcere di Stammheim. Il 29 maggio la Germania chiede l' estradizione per 4 terroristi che sono Brigitte Mohnhaupt, Rolf Clemens Wagner, Peter Boock e Sieglinde Hoffmann che secondo i tedeschi sono stati arrestati il 20 di maggio in Jugoslavia. I 4 rappresentano di fatto lo stato maggiore del gruppo terroristico tedesco, legato a Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, 'lo Sciacallò, il terrorista internazionale oggi in prigione francese. Il 30 maggio Belgrado conferma l'arresto dei terroristi tedeschi che erano in Jugoslavia - si sostiene - per organizzare un congresso della Raf. Il governo jugoslavo è disposto ad estradare i 4 terroristi e chiede sua volta l'estradizione dalla Repubblica Federale Tedesca di 8 ustascia. Il 17 novembre 1978 la Jugoslavia rimette i 4 terroristi in libertà e li espelle dal suo territorio. È forte l'irritazione a Bonn. Il 20 dicembre 1978 il ministro degli interni di Bonn afferma che i 4 terroristi della Raf non si trovano in Libia e che la Mohnhaupt è sospettata di essere implicata nel rapimento di Aldo Moro. Il 2 settembre 1979 fonti vicine ai servizi di sicurezza tedeschi apprendono che i 4 si troverebbero a Baghdad in residenza sorvegliata. Fin qui la storia di una «missione impossibile» da parte di uno dei più rispettati agenti segreti italiani ( «Umberto Federico D'Amato è stato il più grande poliziotto di sicurezza, io il più grande spione»), resa tale soprattutto dal ritrovamento della R4 rossa trovata in via Caetani con il cadavere di Aldo Moro proprio mentre Martini sta trattando con gli jugoslavi.
Un riferimento importante per contestualizzare e probabilmente «leggere» la vicenda lo ha dato proprio Carlos nel marzo 2000 quando intervistato da «Il Messaggero» disse:«C'erano patrioti anti-Nato, inclusi alcuni generali, che erano partiti per aspettare il rilascio dei prigionieri e per salvare la vita a Moro e l' indipendenza dell' Italia. Invece questi patrioti, inclusi alcuni generali, sono stati dimessi e costretti ad andare in pensione».(Martini in agosto abbandonò il servizio e i giornali parlarono apertamente di «epurazioni nei servizi segreti», ndr). Afferma ancora Carlos in quella intervista:«a Milano avvenne questo fatto. Che rivoluzionari stranieri mentre stavano recandosi ad una riunione decisiva, per stabilire un contatto con un rappresentante dello stato, sono sfuggiti per un soffio all'arresto della polizia. Gli agenti stavano cercando di intercettare i loro principali ospiti stranieri di cui possedevano, nelle loro mani, foto e dettagli sulla loro identità». A conferma di questa sua 'letturà della trattativa, Carlos fa una rivelazione, forse importante: «All' aeroporto di Beirut un jet Executive dei servizi segreti italiani rimase in attesa a lungo aspettando un contatto con le Br attraverso gente estranea alla resistenza palestinese. Non c'erano uomini di Al Fatah». Sui giornali stranieri, dopo il blitz del generale Dalla Chiesa a via Monte Nevoso, nell'ottobre del 1978, si tornò a parlare della pista tedesca e di una nota riservatissima dei servizi di sicurezza jugoslavi. In particolare i terroristi della Raf avrebbero confessato di aver partecipato, a Milano, ad una riunione clandestina con «responsabili» delle Br. Tema dell'incontro: come chiudere il caso Moro, uccidere l'ostaggio o rilasciarlo dopo averlo processato. A chi l'interrogava la donna della Raf in mano agli jugoslavi avrebbe raccontato che la discussione sul «che fare di Moro» prese una drammatica piega perchè all' interno della «direzione strategica» dopo un acceso dibattito prevalse la tesi che la «condanna a morte del prigioniero » andava eseguita. Ma nessuno, oltre Martini, a detto mai nulla sulla missione del 'marinaio« quel 9 di maggio del 1978 anche se una autorevole fonte socialista ha confermato che il Psi era a conoscenza di quel tentativo . » Martini disse che ce la poteva fare ma le cose andarono diversamente«.
08/05/2008 ANSA

MORO/30:COSSIGA, NULLA SEPPI DI MISSIONE MARTINI

  Francesco Cossiga non seppe nulla all'epoca della missione intrapresa la mattina del 9 maggio dall'ammiraglio Fulvio Martini per cercare di scambiare Aldo Moro con tre terroristi della Raf in mano al maresciallo Tito. « È la prima volta che sento tanti dettagli.- dice rispondendo a delle domande dell'Ansa - Nessuno all'epoca mi parlò di questo e neanche delle trattative che erano in corso, da parte del Vaticano se non la sera dell'8 di maggio. Chi poteva mi spiegò, dopo, che non mi si disse nulla all'epoca affinchè tutto ciò non interferisse con i miei compiti di ministro dell'Interno». «Nulla ho mai saputo sul fatto che Martini dovesse recarsi in Jugoslavia a prelevare quattro terroristi della RAF per trasferirli in Libano nella disponibilità del colonnello dei CC Giovannone, capo della stazione del servizio, ai fini di un eventuale scambio con l' onorevole Moro. Ma non posso escluderlo, perchè poche erano le informazioni che il servizio segreto militare passava al Ministero dell'Interno. Io venivo intercettato ed anche pedinato viste le mie note posizioni favorevoli al compromesso storico ed anche per il mio essere cugino di Berlinguer. Delle intercettazioni e dei pedinamenti venni a sapere solo quando divenne Presidente del Senato e quindi ero in pista per divenire, come poi accadde, capo dello Stato».
08/05/2008 ANSA

MORO/30: FREATO, ANDAI DA TITO CON AEREO BERLUSCONI

  Ci sono diverse tracce che accreditano la pista jugoslava, voluta e ricercata dalla famiglia Moro grazie ai buoni rapporti che intercorrevano tra il presidente della Dc e il maresciallo Tito. Un elemento, rivelato dal segretario di Aldo Moro, Sereno Freato, nel 2004 in una intervista a «Il Giornale di Brescia» contribuisce a definire i contorni di questo tentativo in extremis di scambiare Aldo Moro con i capi della Raf che erano in Jugoslavia. Sereno Freato si recò a Belgrado per incontrare Tito utilizzando l'aereo di un imprenditore: Silvio Berlusconi. «Ho il rimorso di non aver fatto abbastanza. Mi ricordo tutto», ha raccontato Freato in quella intervista. «La signora Noretta che voleva vedere Berlinguer, lui che nicchiava e poi ci andò. La signora Moro era preoccupata, voleva dirgli che la prossima volta sarebbe accaduto a lui quanto era accaduto al marito. Mi ricordo ancora, di aver sentito per la prima volta il nome di Berlusconi proprio in quei giorni... Ad un certo momento qualcuno consigliò di contattare il presidente della Jugoslavia, il leader della Libia Gheddafi. Serviva un aereo privato. Lo imprestò un certo Berlusconi. Volai dal presidente Tito con l'aereo di Berlusconi...». La pista jugoslava è citata anche nella relazione di maggioranza della commissione Moro. Ufficialmente ad indurre Tito ad interessarsi della questione, quando era passato poco meno di un mese dall'agguato di via Fani, fu il direttore generale del ministero dell'Industria, Eugenio Carbone, che aveva partecipato fin dall'inizio ai negoziati per la controversia di frontiera tra Italia e Jugoslavia chiusa nel '75 con il trattato di Osimo. Carbone raccontò di essersi presentato da Tito con una lettera del presidente del Consiglio e di aver sollecitato contatti con i governi di Cuba, della Libia, dell'Iraq, nonchè con l'Olp di Yasser Arafat. A rafforzare ulteriormente questo scenario contribuisce anche Francesco Cossiga che ha confermato di aver saputo all'epoca che il figlio di Moro, Giovanni, aveva chiesto per lui e per la sua fidanzata un passaporto che fosse valido anche per lo Yemen. «Io diedi il mio assenso. Fu dato a lui e alla sua fidanzata», dice oggi Cossiga. Giovanni Moro ha invece sempre smentito la questione del passaporto. In commissione Stragi, anni fa, raccontò di essere stato interrogato in proposito dal procuratore della repubblica Gallucci che gli chiese perchè volesse andare nello Yemen a trattare con i terroristi. «Mi disse che avevo chiesto un passaporto ed io risposi che lo avevo fatto non certo per andare nello Yemen; non c'era un visto per lo Yemen e non c'era nessuna intenzione in tal senso. Gallucci mi disse che c'era un'informativa dei servizi segreti secondo la quale era mia intenzione recarmi nello Yemen, per intavolare attraverso gli yemeniti una trattativa con le Br. Notizia totalmente inventata». Rosario Priore, il giudice che ha indagato sulla vicenda Moro, ha dato anch'egli un suo contributo in proposito «nessuno si interessa - scrisse nel '98 - di accertare quali fossero i parlamentari che raggiungevano Beirut per incontri con organizzazioni palestinesi. Così come nessuno appura quale fosse l'entità che parenti di Moro dovevano incontrare nello Yemen del sud». Quella entità era «Carlos lo sciacallo?».
08/05/2008 ANSA

MORO/30: LA RENAULT 4 ROSSA, BARA DIMENTICATA / A ROMA L'AUTO DI VIA CAETANI, PROPRIETARIO NON VUOLE ESPORLA

  È finita in un cortile della periferia di Roma la Renault 4 rossa che conteneva il corpo di Aldo Moro, trovato il 9 maggio 1978, in via Caetani. Era stata rubata qualche mese prima al suo proprietario, un imprenditore di origine marchigiana, Filippo Bartoli che aveva immediatamente denunciato il furto. E a lui fu restituita, dopo che era stato interrogato più volte e alla fine risultato estraneo al rapimento e all'uccisione del presidente della Dc. Bartoli l'ha lasciata, coperta da un telone, tra altri rottami, in un'area di sua proprietà, in via Casette Mistici, dove è stata «riscoperta» all'inizio del 2007. Matteo Guidelli, un giornalista del «Resto del Carlino», ha poi scritto un libro sulla ricerca dell'automobile, che fu la prima bara di Moro. La R4 rossa è ormai inservibile, dopo i minuziosi accertamenti a cui fu sottoposta da parte della polizia scientifica e degli artificieri, che l'avevano anche aperta con la fiamma ossidrica. Ma, nonostante i terribili ricordi ad essa legati - spiega Bartoli - «non riesco a separarmene». La vettura fu riconosciuta subito nelle immagini Tv anche dalla moglie e dalle figlie dell'imprenditore, a causa di una caratteristica macchia di bitume. Bitume e sabbia erano i materiali trattati dall'azienda di Bartoli e tracce di sabbia furono rinvenute sul corpo dello statista ucciso. Inizialmente si pensò ad un depistaggio da parte dei brigatisti, ma lo stesso Bartoli spiegò che probabilmente si trattava dei resti di qualche carico da lui trasportato con la Renault. L'imprenditore e i suoi familiari hanno resistito a tutti i progetti di esporre l'automobile, compreso quello tentato da Venanzo Ronchetti, ex sindaco di Serravalle di Chienti, il paese del maceratese di cui la famiglia è originaria e dove ancora torna tutte le estati. Respinte anche altre proposte venute dalla Renault e dai registi che si sono occupati del caso Moro, per film o fiction televisive. Nel libro di Guidelli, «L'auto insabbiata, la bara di Moro ritrovata 30 anni dopo» (edizioni Quattroventi), lo stesso Valerio Morucci, intervistato dal giornalista, si dice favorevole all'idea di esporre la macchina in via Caetani a ricordo «del nostro errore». In occasione del trentennale del rapimento e dell'uccisione dello statista, dell'automobile si occuperanno servizi giornalistici di Tv italiane straniere. Ma, al momento, la Renault rossa sembra destinata ancora a rimanere in quel cortile, a differenza, ad esempio, delle vetture utilizzate da Moro e dalla sua scorta al momento dell'agguato in via Fani, che ora sono finite in depositi giudiziari, o dell'A 112 bianca crivellata di colpi dove furono uccisi a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro, ora custodita a Saluzzo.
08/05/2008 ANSA

MORO/30:COSSIGA, SOLO L'8 MAGGIO SEPPI DEL VATICANO

  «La sera dell'8 di maggio andai da Giulio Andreotti per manifestargli tutta la mia preoccupazione e lo trovai sereno. Allora, per la prima volta, mi parlò delle trattative fatte del Vaticano, che poi seppi esser passato per il cappellano maggiore delle carceri, e che la Santa Sede aveva già raccolto una grande somma di denaro per pagare un riscatto». Francesco Cossiga ricorda le ultime 48 ore che precedettero l'uccisione di Aldo Moro. La sera dell'8 di maggio tutto sembrava volgere al meglio e non è vero, sottolinea l'ex capo dello Stato, che Andreotti affrontò quella situazione con freddezza o cinismo. «Un giorno Andreotti, che è freddo sì ma era addoloratissimo mi disse: 'Caro Francesco io sono profondamente addolorato. Anzitutto per il povero Aldo che si trova in queste condizioni e poi perchè nessuno o pochi crederanno che io sono così fortemente addolorato». L'indomani mattina venne a trovarmi Signorile nel mio studio - ricorda ancora Cossiga - «e poco dopo il capo della Polizia Parlato mi chiamò al telefono per dirmi che era stata intercettata la comunicazione che annunciava a Tritto dove era il cadavere di Moro. Prima ancora che arrivasse il messaggio alla famiglia noi eravamo già sul posto. Signorile si alzò e andò via per informare Craxi. Io alzai il telefono e chiamai prima Andreotti e poi il presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Avevo già consegnato al mio capo segreteria Zanda due lettere di dimissioni. Una nel caso che Moro fosse rilasciato, una nel caso in cui fosse ucciso. La mattina del 9 di maggio ne preparai un'altra e la consegnai. Era pronta nel caso la Dc avesse deciso di aprire le trattative. Chi era stato il ministro dell'Interno della fermezza non poteva gestire un'altra fase». «Io ero informato perfettamente che Fanfani il 9 mattina avrebbe chiesto la convocazione del consiglio nazionale.Però non ho mai creduto alla liberazione. Alle Br di far liberare qualcuno non gliene fregava nulla. Volevano solo saggiare la questione. In realtà anche la liberazione sarebbe stato un riconoscimento. C'era stata la famosa telefonata di Moretti alla signora Moro e le Br erano passate dal riconoscimento dello Stato a quello della Dc». Spiega ancora Cossiga:« ho parlato con tutti i Br. Gli ho detto: voi non vi siete resi conto che quel giorno avevate vinto e siccome il vostro obiettivo non era quello di prendere il potere ma era quello di far saltare l'alleanza Dc-Pci, non avete capito che cosa sarebbe successo qualora, dopo l'appello del Papa, voi, dopo aver condannato a morte Moro, lo avreste liberato. Saremmo rimasti Dc e Pci col culo per terra e senza mutande. Ma le Br avevano questa mentalità vetero-leninista: la 'terribilita» io la definisco«. E Cossiga fa un ulteriore riferimento alla sera dell'8 maggio: » Noi avevamo fatto un piano a reticolo. Avevamo suddiviso la città, il centro, in tanti quadrati. E la notte l'Esercito ci dava una mano per bloccare il settore e poi lo si passava al setaccio. Io avevo capito che se Moro era a Roma prima o poi lo si beccava. Infatti qualcuno nelle Br ha detto che la morte di Moro è stata affrettata perchè sentivano il cappio che li stringeva al collo«. C'è una cosa di cui - dice ancora Cossiga - la gente poco intende parlare e cioè le operazioni »di disinformazione messe in atto in Italia dalla residentura del Kgb che agiva a Roma. La prima è stato 'il Piano Solò. L'archivio Mitrokhin lo dimostra. È un prova credibile perchè Mitrokhin era un semplice archivista che copiava i documenti senza una logica ben precisa. Quella - spiega Cossiga - fu una classica operazione di 'intossicazionè. La seconda fu fatta dopo la morte di Moro quando riuscirono a far dire al povero Zaccagnini che dietro la morte del presidente della Dc c'era la Cia. Un'altra operazione che gli americani hanno sempre ritenuto una intossicazione è la P2 che peraltro fruttò uno sputtanamento agli Usa. La storia della P2 è una invenzione degli americani. Quando videro che i comunisti si avvicinavano sempre di più al potere misero sù quella loggia segreta per fronteggiare quella avanza. Il movente, lo strumento, era la massoneria. Non è neanche una grande novità. Credo che solo tre presidenti americani non siano stati massoni; due di questi erano Kennedy e Nixon. E basta rifletter su che fine abbiano fatto...«.
08/05/2008 ANSA

MORO/30: ZUPO, VENNE MANIPOLATA LA SECONDA FOTO DI MORO

  È stata manipolata, ritagliata, scontornata, lasciando solo l'immagine di Moro, la seconda foto del presidente della Dc diffusa dai brigatisti il 20 di aprile del '78. Quella foto serviva a smentire l'uccisione del presidente della Dc, annunciata il 18 di aprile dal falso comunicato del lago della Duchessa. A rivelarlo, facendo leva sui ricordi frutto del lungo lavoro come difensore dei poliziotti uccisi in via Fani, è l'avvocato Giuseppe Zupo, autore di «Operazione Moro», uno dei libri più approfonditi sulla vicenda pur essendo stato scritto ,assieme a Vincenzo Marini Recchia, nel 1984. «Vidi quella foto e mi accorsi che era stata ritagliata. Era scomparso il fondale. Avevo solo in mano un rapporto che segnalava l'importanza di quel fondale. La polizia scientifica, infatti, aveva escluso che si trattasse di un fotomontaggio. Anzi aggiunse un'osservazione di notevole interesse: 'Il panno (con la sigla delle Br) non ricopre tutto il fondo. Sulla sinistra è scoperta una parte della materia che è dietro al panno, dove si notano delle strane e non identificate linee diagonalì». Con le tecniche della scomposizione e ricomposizione delle immagini forse quel particolare - dice oggi Zupo - «avrebbe potuto fornire qualche utile indizio sul luogo in cui, in quel momento, era tenuto Moro. Ma la foto era stata sapientemente ritagliata». Molti gli altri dubbi rimasti al legale a partire dal numero dei componenti del commando di via Fani, alla stessa logica di tutta l'operazione. «È il più grave delitto politico compiuto in Europa perchè si colpiva un partito-Stato su cui fondava una cerniera essenziale dell'Alleanza Atlantica. Un fatto di questo genere - spiega Zupo - non viene improvvisato da un manipolo di furenti brigatisti ma viene pensato in tutte le sue variabili. Le Br erano realtà politica vera, non fantocci, e non si infiltrano delle marionette perchè non c'è alcuna ragione per farlo». La prigione, poi, aggiunge Zupo «doveva essere un luogo di assoluta sicurezza. Gli spostamenti dovevano avvenire in assoluta matematica sicurezza. Certamente l'Unione Sovietica sapeva e conveniva; gli faceva comodo e ha assicurato una sostanziale neutralità, ma questa era l'area operativa dell'Alleanza Atlantica. la questione era possibile, con il compiacimento dell'Urss, ma era certamente sbrigata da qui». Quanto poi all'iter dei processi Zupo ha una sua precisa idea: «C'è stato un solo vero momento di verità, quello gestito da Severino Santiapichi. Dopo è stato uno scherzo, un gioco offensivo, non dico per malafede ma per evidente incapacità di essere all'altezza delle questioni». E Zupo ha una sua idea anche sulla fine di Moro: «Seppure ai brigatisti fu concesso di metterci la firma, deve esserci stata la compresenza di due realtà. Una era quella criminale che assicura che l'ultima fase venga gestita senza problema. Questo mi riporta a un nome che è stato cancellato dalla vicenda Moro, quello del legionario Giustino De Vuono che venne identificato da più testimoni sia in via Fani sia in via Gradoli».
08/05/2008 ANSA

MORO/30: NEL ROMANZO DI MAZZOLA C'È MISSIONE DA TITO

  Nel romanzo 'I giorni del diluvio', interamente dedicato alla vicenda dell'omicidio Moro, e scritto nel 1985 da Francesco Mazzola, la vicenda del tentativo di liberare dei terroristi in mano a Tito per scambiarli con Moro c'è. Mazzola, nel '78, era sottosegretario alla difesa. Nel romanzo il maresciallo Tito si chiama Lazlo Brozik e fa da tramite per un incontro tra un rappresentante italiano e un uomo delle Br che deve avvenire in un Paese arabo. La missione, che aveva come tramite un presidente africano »nerissimo«, venne affidata ad un sottosegretario. Poco prima di partire, alla vigilia della morte di Moro il sottosegretario venne bloccato. Berlinguer (Bagetti nel libro) aveva saputo quello che il governo stava facendo e aveva minacciato di uscire dalla maggioranza e di provocare la crisi. Zaccagnini (Davitto) spaventato aveva bloccato la missione. Nel 2003 Mazzola, intervistato dall'Ansa, aveva detto che nel suo romanzo c'era un 75% di fantasia ed un 25% che rifletteva la realtà. »Se questa storia della Jugoslavia faccia parte del 75 o del 25% lo lascio indovinare a lei«, rispose Mazzola. Ora Mazzola afferma che la tesi di un intervento di Tito e dei Paesi non allineati era ipotizzabile »ma è una tesi romanzesca, non è la copertura della verità. È una ipotesi possibile dal punto di vista della logica politica: ma non di più, è una ipotesi«. »La cosa vera invece è che sapendo quello che doveva avvenire la mattina del 9 maggio durante la direzione della Dc, cioè il discorso di Fanfani, l'esecuzione è stata anticipata di alcune ore. Quando la direzione è cominciata Moro era già morto. Questa è la cosa molto, molto, molto inquietante«. E Mazzola conferma la tesi più volte esposta: »Le Br non hanno fatto tutto da sole perchè una operazione come quella di Moro non l'hanno più ripetuta. Sono convinto che Moro, per 55 giorni, non sia stato tenuto in un cunicolo di un metro e mezzo per due perchè altrimenti le sue condizioni sarebbero state molto diverse. Il corpo di Moro non mostrava assolutamente di essere rimasto immobile per 55 giorni su un letto. C'era poi della sabbia nel risvolto dei pantaloni. Credo che Moro sia stato spostato almeno due volte, cioè sia stato almeno in due posti diversi e questo richiedeva una capacità operativa che le Br non hanno mai più manifestato dopo. Continuo a essere convinto che le Br fossero, consapevolmente o inconsapevolmente, infiltrate da un servizio straniero e che l'unico che probabilmente sapeva tutto è Moretti il quale parla ma solo di quello che vuole lui«.
08/05/2008 ANSA

MORO/30: COSSIGA, CON L'AIUTO DEL PSI LO AVREMMO SALVATO

  «Se i socialisti mi avessero detto con chi avevano contatti, saremmo arrivati al nascondiglio di Moro» In un'intervista a EuroNews il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga torna sul ruolo giocato nella vicenda dai socialisti. «Dopo il messaggio del lago della Duchessa - aggiunge il senatore a vita - la linea della fermezza fu nella Dc molto indebolita. Fu il momento in cui Fanfani, che aveva preso insieme a me e ai leader della dc la decisione della linea della fermezza, cambiò. Fu da quel momento che i socialisti iniziarono le trattative. I socialisti non si fidarono di noi credendo di poter condurre loro le trattative: perchè se mi avessero detto con chi avevano tentato, con chi avevano contatti, probabilmente saremmo arrivati al nascondiglio di Moro».
08/05/2008 ANSA

CASO MORO: SENATO PUBBLICAON LINE GLI ATTI DELLA COMMISSIONE

  Le lettere di Aldo Moro, i rapporti provenienti dalle Questure di tutta Italia, la documentazione prodotta dall'Arma dei Carabinieri sulle «operazioni di rilievo compiute contro i movimenti eversivi» nel 1978, i volantini diffusi dalle Brigate Rosse per rivendicare gli attentati, gli articoli pubblicati dal settimanale Op, le analisi «riservate» della Digos. C'è tutto questo e molto altro nell'enorme patrimonio documentale della «Commissione stragi - filone Moro» che sarà consultabile on line nel sito del Senato a partire da domani venerdì 9 maggio, nel trentesimo anniversario della morte dello statista democristiano. «È un atto di omaggio ad Aldo Moro, alle vittime di uno dei periodi più difficili nella storia della nostra Repubblica e ai servitori dello Stato che dedicarono la propria vita alla ricerca della verità. Ma è anche un doveroso atto di trasparenza nel solco delle migliori tradizioni dell'Istituzione parlamentare», ha commentato il Presidente del Senato, Renato Schifani. Per la prima volta l'archivio di una Commissione d'inchiesta è stato riordinato e schedato documento per documento secondo criteri archivistici, con un software relazionale che consente di pubblicarlo in Internet nella forma di inventario e con l'ausilio di un motore di ricerca interno. A partire dalla home page del Senato (www.senato.it), saranno consultabili l'inventario e i documenti originali digitalizzati della «Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi», relativamente al filone «caso Moro». Nella loro versione cartacea, questi documenti occupano ben 112 faldoni e corrispondono a circa 62 mila pagine. Sono stati inoltre digitalizzati e pubblicati in rete gli Atti parlamentari della «Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia»
08/05/2008 ANSA

MORO/30: A CAZORA DISSERO, TANTO DOMANI LO LIBERANO

  «Guardi lasci stare tanto domani le Br ci restituiscono Moro, vivo, lo liberano». Queste le parole che il questore di Roma Emanuele De Francesco rivolse l'8 maggio di 30 anni fa al deputato Dc Benito Cazora. Cazora era un parlamentare della Dc contattato da alcuni calabresi legati alla 'ndrangheta che svolse in proprio delle indagini che lo portarono nella zona di via Gradoli ancor prima della scoperta del covo Br e a contattare un misterioso personaggio che chiese delle coperture per effettuare un blitz per liberare, in extremis Aldo Morodalla prigione visto che il martedì le Br lo avrebbero ucciso. Questi ed altri importanti elementi sono contenuti nella nuova edizione del libro di Manlio Castronuovo «Vuoto a perdere» edito da Besa. L'autore non è nè uno storico, nè un documentarista nè un giornalista. Nel '78 aveva 12 anni e oggi si occupa di marketing manager. Con grande passione ha raccolto e letto gran parte di quello che è uscito sul caso Moro offrendo così al lettore, in questo suo lavoro, una sorta di «guida» alla vicenda che è contraddistinta da una grande chiarezza di esposizione. Tra le novità presenti nella nuova edizione anche la spiegazione di come nacque la pista riguardante Igor Markevitch e una nuova ipotesi sulle basi Br presenti a Firenze. Ma è il capitolo su Cazora ad offrire gli spunti più interessanti. Castronuovo ha raccolto la documentazione del figlio del deputato, Marco Cazora e le interviste fatte a suo tempo dai giornalisti Paola Di Giulio e Giampaolo Pellizzaro. Il figlio di Cazora ricostruisce in dettaglio i molti contatti avuti in quei giorni. Da Francesco Varone, uno degli uomini con cui era in contatto, incontrato insieme a Sereno Freato una decina di giorni prima della morte di Moro Cazora ebbe diverse informazioni. «Esse riguardavano sia l'organigramma del commando che operò in via Fani, sia la composizione della colonna romana delle Br. Nell'appunto c'erano nomi e cognomi - racconta Marco - mio padre si recò subito dal questore De Francesco per consegnarglielo. Ma non ne fece una copia». Quell'appunto sparì. Domenica 7 maggio Cazora si recò in via della Camilluccia 551 per un incontro riservato. Un uomo gli disse: «Moro è da 36 ore con poca sorveglianza perchè il comitato esecutivo è riunito fuori Roma e la maggioranza dei brigatisti è per la sua uccisione. Il mio gruppo è pronto per organizzare un blitz entro la notte a patto di essere appoggiati dalla forze dell'ordine che avrebbero dovuto assumersi tutta la responsabilità dell'operazione. Se non interveniamo subito, martedì mattina ve lo restituiscono morto». L'indomani Cazora chiamò il sottosegretario Lettieri, il capo della polizia Parlato e il ministro Cossiga. Cazora venne tranquillizzato da De Francesco: domani ce lo restituiscono, vivo. Nessuno poi ha più indagato su via della Camilluccia 551.
08/05/2008 ANSA

MORO/30:SQUITIERI,LEONE FIRMÒ,QUALCUNO STRAPPÒ GRAZIA

  L'allora capo dello Stato Giovanni Leone firmò la grazia per la terrorista Paola Besuschio al fine di arrivare alla liberazione da parte delle Br di Aldo Moro: qualcuno si recò, presumibilmente durante la notte tra l'8 e il 9 di maggio al Quirinale e la strappò dopo averla tirata via dalle mani di Leone. È questo il racconto che fa all'Ansa il regista Pasquale Squitieri, amico della famiglia. «Leone dopo qualche settimana dalla morte di Moro si dimette. Un presidente della Repubblica se ne va dal Quirinale in taxi e non si riunisce il Parlamento. La sera vado a casa sua e lo trovo sulla veranda, distrutto. 'Presidente, Sciascia ha pubblicato in Francia 'L'Affaire Morò, perchè lei non pubblica in Italia 'La notte della grazià, perchè lo sappiamo che lei era pronto a firmare la grazia per una terrorista, la Besuschiò. Leone era per salvare Moro. E lui mi rispose:' Pasquà io l'avevo firmata la grazia, era pronta. Vennero due e me la tolsero dalle mani». «Uno - disse Squitieri- era Zaccagnini, l'altro chi era?' Lui mi rispose: ' Tu non conosci i politici Pasquà, ti uccidono i figli...». «Chi era l'altro? Posso fare solo delle ipotesi. Il ministro di grazia e Giustizia Paolo Bonfacio? Oppure Berlinguer, chi lo sa? Lo rividi molto tempo dopo Leone e gli dissi . 'Vi ricordate quella notte al Quirinale?'. Mi rispose:» Quale notte Pasqua?«.
07/05/2008 ANSA

MORO/30:COME FANFANI CERCÒ FINO ALL'ULTIMO DI SALVARLO

  di Paolo Cucchiarelli - L' unico uomo politico invitato al funerale privato di Torrita Tiberina di Aldo Moro senza i potenti della politica, Amintore Fanfani, cercò fino all'ultimo di salvare il Presidente della Dc. Quando arrivò,poco dopo le 12 del 9 di maggio, la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro in Via Caetani il Presidente del Senato stava svolgendo il suo intervento alla direzione Dc che doveva concludersi con una sorta di appello politico in grado di dare un «via libera» politico alla firma della grazia da parte del Capo dello Stato per una terrorista (Paola Besuschio). La morte di Moro interruppe quell'estremo tentativo. L'allora vice segretario della Dc, Giovanni Galloni ha recentemente rivelato che Fanfani gli spiegò, tra la fine di aprile e i primi di maggio, che ormai «si trattava di salvare la vita di un uomo che, come desiderava la moglie, si sarebbe definitivamente ritirato dalla politica». Per questo il Psi, tramite Signorile, agì d'intesa con Fanfani da cui ci si aspettava un sostegno esplicito alla grazia che il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, intendeva dare alla brigatista per contribuire in maniera probabilmente decisiva alla liberazione di Moro. Qualcosa però accadde, nota Galloni, che cita alcune dichiarazioni dei brigatisti che parlano della paura di essere presi tutti in trappola in quelle ore. L'ex vice segretario Dc non cita una importante intercettazione telefonica di Eleonora Moro proprio alle 11,12 del 9 di maggio del '78. La signora Moro si rivolge a Sereno Freato:« Se si riuscisse a comunicare con questa gente e a dirgli, diciamo così: 'ridatecelo, che non gli permetteremo di dare più fastidio nel mondo'». Moro però era già morto. Fanfani, all' epoca presidente del Senato, svolse, dopo il falso messaggio del lago della Duchessa del 18 aprile del 1978, un ruolo importante per cercare una soluzione che, senza compromettere lo Stato, portasse, comunque, allo sblocco della trattativa in corso tra BR e Dc. Negli appunti che Fanfani annotava sulle sue agende sono riportate impressioni, notizie e anche considerazioni di natura politica e personale: un vero e proprio viaggio all' interno del caso Moro visto da dietro le quinte. Tra le informazioni rilevanti l'annotazione che Arnaldo Forlani fosse a favore della trattativa subito dopo il lago della Duchessa e il fatto che la famiglia Moro temeva da anni un gesto violento contro il leader democristiano: «Aldo ed io da anni eravamo preparati a un simile triste evento», annota il 18 marzo '78 Fanfani. Il periodo che precede l'uccisione di Moro, il 9 maggio 1978, conferma sostanzialmente il ruolo che Fanfani svolse tra la Dc, bloccata nell' intransigenza, e il Psi, che incalzava, principalmente con Claudio Signorile, perchè si arrivasse comunque ad un gesto capace di impedire l' uccisione. Tra l' altro il diario di Fanfani - che sarà pubblicato tra qualche tempo dalla Fondazione che porta il suo nome- conferma la giustezza del ruolo attribuito a Fanfani nel famoso fumetto che venne pubblicato da «Metropoli» all' inizio degli anni Ottanta. È uno spaccato contraddittorio e anche amaro di quei giorni drammatici. «Non contesto il dovere dello Stato e dei partiti di non trattare; ma ciò non esonera il Governo dal fare tutto ciò che deve per ridurre l' aggressività delle Br e metterle in difficoltà, per renderle più ragionevoli anche nel trattamento di Moro», annota. Il piano Victor (nelle due varianti di Moro morto-Moro vivo) venne annunciato da Cossiga il 6 di maggio. Nel caso di Moro vivo sarebbe stato ricoverato al Policlinico Gemelli per più settimane. Confermata anche la ricostruzione che accreditava l' individuazione di uno o più detenuti che, per condizioni giuridiche e personali, potevano ricevere la grazia. Amintore Fanfani, la mattina del 9 maggio si recò a casa Moro e, con grande commozione, la famiglia gli comunicò la notizia dei funerali privati senza gli uomini del potere. «Aggiunge - scrive Fanfani riferendo le parole di Eleonora Moro di quel giorno- che, ove provocassero i dc, la famiglia Moro risponderebbe in modo inaspettato».
07/05/2008 ANKronos

CASO MORO: SGARBI, PRIGIONE DI VIA MONTALCINI DIVENTI UN MUSEO = COMUNE DI ROMA ACQUISTI L'APPARTAMENTO, MINISTERO IMPEDISCA RISTRUTTURAZIONE

  Il Comune di Roma acquisti l'apppartamento di via Montalcini 8, prigione di Aldo Moro nei 55 giorni del sequestro da parte delle Brigate Rosse, e «lo consacri al ricordo di un martire della democrazia». La proposta è di Vittorio Sgarbi, critico d'arte e assessore alla Cultura del Comune di Milano, che in una lettera aperta pubblicata oggi sul «Giornale» e rivolta ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, e al Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, chiede che quell'appartamento di cento metri quadrati al piano terra nella zona della Magliana dove stanno per cominciare i lavori di ritrutturazione da parte della nuova inquilina, venga rilevato dal Comune. «Il ministero potrebbe prescrivere che non si facessero lavori inutilmente diustruttivi per rendere insignificante il luogo più significativo della nostra storia» afferma Sgarbi nella lettera pubblicata da 'Il Giornale'. «Si spendono denari per comprare ridicole opere di arte contemporanea, ambienti da rimontare nei musei. E si abbandonano e distruggono -aggiunge- i luoghi reali». «Tra i simboli più alti della democrazia repubblicana c'è Aldo Moro. E c'è un luogo fisico, la stanza in cui fu prigioniero, che rischia di essere cancellata da una ristrutturazione voluta da una persona che vuole restituire alla normalità un luogo della storia e della memoria», osserva il critico d'arte. «E Moro, fotografato in qul sito, appare come un 'ecce homò, così come molti anni fa tentati di dimostrare accostando la fotografia delle Brigate Rosse in cui si vede lo statista dolente e abbandonato, a quella di un Cristo di Domenico Pezzi».
07/05/2008 ANSA

MORO/30: 8 MAGGIO, STRANI ELENCHI TROVATI A VIA GRADOLI/ANSA POSSIBILI OBIETTIVI DI ATTENTATI O LISTA DELLA P2 ?

  8 maggio 1978, i giorni passati da Moro nelle mani dei suoi rapitori sono ormai 54. Sono trascorsi tre giorni dal comunicato che annunciava che le Br stavano «eseguendo» la sentenza, ma ancora nessuna novità. Anche il quadro politico è fermo. Il «Corriere della sera» parla di elenchi di militari, politici e dirigenti trovati in via Gradoli. Si pensa a possibili obiettivi di attentati, ma tutti e quattro i nomi usciti erano nella lista della P2 (come un altro nome che uscirà il giorno dopo), allora ancora sconosciuta (sarà trovata solo nel 1981). Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 10:45 - «La Digos (ex ufficio politico) della Questura di Roma, in merito ad una notizia apparsa stamani su un quotidiano del ritrovamento, nel covo di via Gradoli, di presunte liste di personalità politiche e industriali che le Brigate rosse avrebbero dovuto colpire, 'smentisce che il nome dell'ex presidente della Regione Lazio Gerolamo Mechelli compaia comunque tra le carte e i documenti rinvenuti nell'appartamento sulla via Cassia'». 12:44 - «Ancora vaste operazioni di polizia, sempre nell'ambito delle indagini sul rapimento di Aldo Moro, sono in corso stamani in alcune zone del centro storico e nei quartieri periferici». 12:48 - «'Ho voluto mantenere con scrupolo il massimo riserbo perchè una polemica all'interno del Psi avrebbe soltanto acuito i rischi di rottura degli equilibri politici'. Lo afferma l'on. Manca in una intervista che apparirà sul prossimo numero del settimanale Panorama. (...) 'Nel momento - sottolinea - in cui siamo andati all'ipotesi della grazia da dare ad alcuni detenuti, io non ho più condiviso la posizione di Craxi'. Alla domanda del giornalista se c'è stato il pericolo di una rottura della politica di unità democratica, Manca risponde:'Sì, c'è stato un momento all'inizio della scorsa settimana, in cui c'erano sul tavolo la rottura della maggioranza, la crisi. le elezioni'». 13:13 - «'Come avvocato e come militante di vecchia data di 'Soccorso rosso' ritengo che si debba lanciare un appello allo Stato italiano e alle Br perchè si attengano ai principi enunciati dalla Convenzione di Ginevra. Da una parte sia consentita un'inchiesta internazionale sulle condizioni dei detenuti politici in Italia e dall'altra non sia pronunciata o eseguita alcuna condanna a morte'. Chi fa questa proposta nel corso di un'intervista che Panorama pubblicherà nel prossimo numero è l'avv. Di Giovanni, che conosce a fondo i brigatisti, avendoli difesi quasi tutti. (...) Il legale dice poi che l'appello del Papa 'avrebbe potuto avere un peso considerevole per una soluzione positiva della vicenda, se non fosse stato controbilanciato, anzi addirittura annullato, da prese di posizione all'interno degli stessi ambienti ecclesiastici' e prosegue affermando che 'l'appello di Waldheim avrebbe potuto avere un'importanza decisiva' perchè 'conteneva un'esplicita presa d'atto di una situazione di fatto', ma anche l'appello di Waldheim è stato oggetto di attacchi concentrici e di prese di posizione contrarie, anzi rabbiose, ripugnantì». 14:12 - «Il quotidiano afferma che tra le carte e i documenti sequestrati in via Gradoli ci sarebbe un piano di attentati che la colonna romana delle Brigate rosse aveva predisposto contro numerose persone. Questo piano comprenderebbe due elenchi - nel primo, corredato da fotografie, nomi, cognomi e indirizzi, le vittime designate avrebbero dovuto essere Beniamino Finocchiaro, ex presidente della Rai e attuale sindaco di Molfetta (Bari), l'ex direttore generale della Rai Michele Principe e Loris Corbi, presidente della società 'Condotte d'acqua'. Sempre secondo il quotidiano, nel primo elenco c'era il nome di Publio Fiori, il consigliere democristiano ferito in un attentato il 2 novembre scorso a Roma. Nel secondo elenco invece - sempre secondo quanto pubblicato dal giornale - ci sarebbero nomi di esponenti della Democrazia Cristiana regionali, provinciali e comunali». 20:04 - «Zaccagnini ha visto questo pomeriggio il capogruppo dei deputati Piccoli e quello dei senatori Bartolomei. I due esponenti della Dc, al termine dell'incontro con il segretario del partito, mentre lasciavano la sede di piazza del Gesù, sono stati intervistati dai giornalisti che hanno chiesto loro se fossero prevedibili modifiche nell'atteggiamento del partito sul caso Moro. Piccoli ha detto che la posizione della Dc rimane 'precisa e continua'». 21:49 - «I funzionari delle Digos, dopo essersi limitati a precisare che il nome di Gerolamo Mechelli non figurava nelle carte trovate nel covo di via Gradoli, non hanno aggiunto particolari a proposito della notizia secondo la quale farebbero parte del materiale sequestrato elenchi di nomi di dirigenti di enti pubblici e di esponenti politici. Da fonti attendibili si è avuta tuttavia qualche indiscrezione secondo la quale nel covo di via Gradoli sarebbe stato trovato un quaderno a quadretti nel quale col metodo usato dagli alunni delle scuole elementari e medie per fare le ricerche, sono state compilate delle schede riguardanti una serie di personalità militari, di esponenti politici, di dirigenti di enti pubblici». 22:10 - «Non credo che i comunisti vogliono attribuire ai 'santuari' responsabilità legate alla tragedia di Moro. Non possiamo però ignorare la presenza di forze tendenti a modificare l'attuale quadro politicò. (...) Lo afferma Ugo La Malfa, presidente del Pri, in una intervista che apparirà domani sulla 'Gazzetta del popolo'»
07/05/2008 ANSA

MORO/30: 9 MAGGIO, IL CADAVERE DI MORO IN VIA CAETANI/ LA CRONACA ANSA DEL RITROVAMENTO DEL CORPO NELLA R4 ROSSA

  9 maggio 1978, dopo 55 giorni il caso Moro si conclude in modo tragico. Il suo cadavere viene trovato nel vano posteriore di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, a due passi dalla sede del Pci di via delle Botteghe Oscure e a poca distanza da quella Dc di piazza del Gesù (non a 'metà stradà tra le due, come si è spesso scritto). Non si è mai capito perchè le Brigate rosse abbiano rischiato questo trasferimento 'simbolico' del corpo di Moro da via Montalcini (alla Magliana) fino al centro di Roma. Ecco la cronaca del ritrovamento attraverso le notizie dell'ANSA. 13:59 - «Un cadavere in una macchina è stato trovato in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure. Sul posto si sono recati il questore di Roma e il capo della Digos Spinella. Al momento non si hanno altri particolari». 14:04 - «L'on. Moro sarebbe la persona trovata morta all'angolo di via delle Botteghe Oscure con via Caetani. Lo ha riferito un funzionario della Digos». 14:07 - «Funzionari di polizia hanno confermato che l'uomo trovato morto nei pressi di via delle Botteghe Oscure è l'on. Aldo Moro, Il corpo si trova in una R4 rossa in via Caetani. La strada è bloccata da agenti di polizia, che non fanno passare i giornalisti e neppure la folla che si sta radunando tra via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù». 14:09 - «Il cadavere è stato notato da alcuni passanti a bordo di un'auto parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, all'angolo con il palazzo in cui ha sede il Partito comunista italiano. Il corpo è riverso sui sedili posteriori dell'auto avvolto in alcune coperte». (In realtà era nel vano bagagli e non sui sedili posteriori). 14:14 - «Appena nella sede della Dc si è diffusa la notizia del ritrovamento dell'auto in via Caetani la Direzione ha sospeso la riunione. C'è stato un momento di grande confusione. I giornalisti sono stati quasi bloccati in sala stampa. Mentre aumentava la ridda delle voci i giornalisti sono scesi sotto il portone, un poliziotto della scorta di Zaccagnini ha detto di aver visto personalmente la macchina e di aver riconosciuto nel cadavere posto nel bagagliaio quello dell'on. Moro». 14:23 - «Il ministero degli Interni ha confermato che il cadavere ritrovato nei pressi di via delle Botteghe Oscure è quello dell'on. Moro. Ecco la comunicazione del ministero:'Alle 13.30 le forze di polizia hanno ritrovato il corpo esanime dell'on. Moro in un'autovettura parcheggiata in via Caetani'». 14:25 - «Sul posto si è recato il ministro dell'Interno Cossiga, il sottosegretario Lettieri, l'on. Darida. Uomini della polizia e artificieri stanno forzando il cofano anteriore della Renault sui sedili posteriori della quale era adagiato il corpo esanime dell'on. Moro». 14:43 - «Il procuratore della Repubblica De Matteo in una breve e laconica dichiarazione fatta ai giornalisti che sono tenuti ad una distanza di oltre 80 metri rispetto all'auto nella quale si trova il cadavere dell'on. Moro ha detto:'Vi confermo che è l'on. Moro. Non posso dirvi altro'. Il corpo dell'on. Moro si trova sul sedile posteriore dell'auto, il suo viso è coperto da una giacca blu». 14:46 - «Secondo testimonianze raccolte sul posto pare che la Renault rossa sia stata parcheggiata alcune ore prima del suo ritrovamento. Questo è avvenuto, secondo quanto risulta, in seguito ad una telefonata anonima giunta verso le 13 al 113 con la quale è stato detto che su un'auto rossa parcheggiata in via dei Funari (una parallela di via delle Botteghe Oscure che incrocia via Caetani) c'era una bomba. Gli agenti accorsi hanno invece trovato in via Caetani, sull'auto, il corpo esanime dell'on. Moro avvolto in un plaid». 15:48 - «Un sacerdote della chiesa del Gesù, padre Damiano, ha impartito l'assoluzione alla salma dell'on. Moro tuttora distesa sul sedile posteriore della Renault trovata parcheggiata in via Caetani. Il sacerdote conosceva personalmente il presidente della Dc per averlo visto più volte recarsi nella chiesa del Gesù a pregare. Il prete, avvicinato da un redattore dell'ANSA, ha detto di essere stato chiamato poco prima da alcuni agenti di polizia perchè si recasse in via Caetani con l'olio santo. (...) Secondo quanto ha dichiarato il sacerdote, l'on. Moro sarebbe morto da poco tempo: la salma infatti non mostrerebbe la rigidità di un decesso che risalga a molto tempo addietro». 15:50 - «L'auto nella quale si trova il corpo dell'on. Moro è targata Roma N57686. Come già è stato detto è una Reault rosso amaranto. Il corpo è reclinato sul fianco sinistro nel vano posteriore fra lo sportello del portabagagli e la spalliera del sedile posteriore che è leggermente abbassata in avanti». 16:08 - «Poco dopo le 15.30 la salma di Moro è stata prelevata dalla Renault e caricata su un furgone della polizia mortuaria che si è allontanato preceduto e seguito da alcune automobili della polizia». (Era un'ambulanza dei vigili del fuoco). 16:23 - «L'on. Moro è stato ucciso con diversi colpi d'arma da fuoco. Sul petto ci sono i segni di non meno di quattro ferite. Fra la camicia bianca e la giacca blu sono stati trovati fazzoletti intrisi di sangue all'altezza delle ferite. Nei risvolti dei pantaloni c'è una notevole quantità di sabbia». 16:57 - «La Renault è stata lasciata in via Michelangelo Caetani presumibilmente fra le 7.40 e le 8.10 di stamani. È quanto risulta dalle prime testimonianze raccolte sul posto». 19:18 - «I funzionari della Digos hanno accertato che la Renault sulla quale è stato trovato il corpo di Moro è stata rubata il 2 marzo». 20:33 - «È stato precisato che la sabbia trovata nei risvolti dei pantaloni è molto chiara e che infilati nei calzini sono stati trovati alcuni 'forasacchi', piccole spighe di erba di campo che si impigliano facilmente nei vestiti».
07/05/2008 ANSA

MORO /30: PALOSCIA, QUEL GIORNO DAVANTI A QUELLA RENAULT

  Annibale Paloscia seguì, con altri cronisti dell'ANSA, il ritrovamento del cadavere di Moro in Via Caetani. Ecco come ricorda le emozioni e i fatti quel giorno particolare a 30 anni dagli avvenimenti. (di Annibale Paloscia) Erano passati 54 giorni dal 16 marzo e , come tutta l'Italia , eravamo in attesa di quel momento in cui le Br lo avrebbero liberato o ucciso. La speranza che Moro tornasse vivo era stata ridotta a un lumicino dal comunicaton.9 delle Br, diramato il 6 maggio: annunciava la condanna a morte dell'ostaggio, ma lasciava lo spiraglio che l'esecuzione non fosse ancora avvenuta. Nei giorni 7 e 8 erano circolate voci sulla possibilità, in estremo, di uno scambio tra il presidente della Dc e un «prigioniero comunista». Come sempre avevo dislocato i cronisti nei punti chiave: la procura della repubblica, la questura, i carabinieri, la prefettura. I capi di quelle strutture erano trincerati nei loro uffici, ma se fosse arrivata una notizia certa sulla sorte di Moro, si sarebbero catapultati fuori per correre sulla scena finale del sequestro. I cronisti aspettavano quel momento. Io ero in redazione col cronista di turno. Cercavo di verificare la notizia di alcune perquisizioni compiute all'alba dalla Digos, su indicazione di un politico democristiano. Telefonavo ogni tanto al dottor Domenico Spinella, capo della Digos, silente come una tomba. Non mi dava nè conferme , nè smentite dell'operazione, ma il fatto che lo trovassi sempre al suo posto,era chiaramente indicativo che le perquisizioni erano andate a vuoto. Avevo sul tavolo una radiolina che mi permetteva di sintonizzarmi sulle frequenze della sala operativa della Ps. A quel tempo le comunicazioni tra la questura e le Volanti non erano criptate. Doppia Vela, nome in codice della sala operativa, contrariamente al solito, quella mattina parlava di rado e sembrava occuparsi di cose insignificanti. Ma, improvvisamente, verso le 13,30 , Doppia vela si anima, si agita, mi arriva un'ondata di voci concitate. Si parla di Moro e di un'auto in via Caetani. Telefono a Spinella: non risponde, non è più al suo posto, il segretario mi dice che è uscito. È arrivato il momento. Avverto il vice direttore Balzanetti di quanto sta succedendo e corro a piedi in via Caetani per non rischiare di rimanere imbottigliato nel traffico. Dopo 500 metri, corsi con le gambe di un mezzofondista, ero in via Caetani. Le sirene della polizia avevano già fatto accorrere una folla di funzionari della Dc e del Pci che avevano le sedi nazionali là vicino. Vedo in fondo alla strada una Renault rossa col cofano aperto, isolata da cordoni di poliziotti e carabinieri agitatissimi. Un vigile urbano mi dice che nell'auto c'è un morto. Non sa altro. Entro in un ristorante e telefono all'Ansa la notizia del morto nell'auto in via Caetani. Torno nella folla, cerco di superare i cordoni per avvicinarmi alla Renault. A pochi metri da me si stampa il volto massiccio e grave di Spinella. Gli faccio un cenno, lui muove la testa in giù due volte e allarga le braccia in segno di sconforto. Lo conosco troppo bene per avere dubbi sulla sua mimica. Mi scaravento di nuovo nel ristorante e telefono all'Ansa il flash che è Moro il morto della Renault rossa. Le telescriventi dell'Agenzia trasmettono le due notizie alle 13,59 e alle 14,04. Dopo pochi minuti un'autombulanza dei vigili del fuoco fende la folla. Scende il comandante dei vigili del fuoco Elveno Pastorelli con un medico. Pastorelli, come sempre si impone col suo fisico statuario: parla con le autorità che non sanno che fare, dà ordini, fa trasferire il cadavere di Moro sull'autoambulanza per portarlo all'istituto di medicina legale . Rientro all'Ansa sulla motocicletta di un fotoreporter e telefono al centralino dei vigili del fuoco. Mi faccio passare in ponte radio l'autoambulanza di Pastorelli. Fino ad allora il comandante Pastorelli era stata l'unica fonte di cui noi cronisti potevamo fidarci per non soccombere alla strategie di disinformazione messe in opera per 54 giorni sia dal versante dei terroristi che da quello contrapposto del Viminale. Ci aveva informato correttamente sul covo di via Gradoli, era corso in elicottero al lago della Duchessa, dopo il falso messaggio che lì c'era il cadavere di Moro, e ci aveva avvertito che la notizia, nonostante fosse avallata dal ministero dell'Interno, era una patacca. L'autoambulanza col cadavere di Moro non è ancora arrivata all'obitorio quando parlo con Pastorelli. Gli chiedo come è morto Moro. Mi dice che sul cadavere ci sono varie ferite da arma da fuoco, specialmente al petto, mi descrive il vestito. Batto sulla telescrivente la notizia che l'Italia ancora non conosce: Moro è stato assassinato dai suoi aguzzini.
07/05/2008 ANSA

MORO/30: 9 MAGGIO, GLI ALTRI AVVENIMENTI DEL GIORNO

  Il 9 maggio 1978, giorno finale del caso Moro, era cominciato con una Direzione Dc, nella quale, si dice, Fanfani avrebbe voluto introdurre qualche elemento di novità. La notizia dell'uccisione di Moro non gliene dà il tempo. Ecco la cronaca degli avvenimenti di prima e dopo il ritrovamento del corpo di Moro, attraverso la cronaca dell'ANSA: 10:42 - «La riunione della Direzione Dc è cominciata alle 10.30, sotto la presidenza del segretario Zaccagnini. È presente il presidente del Consiglio Andreotti». 12:32 - «Anche stamane polizia e carabinieri hanno compiuto accertamenti in quartieri della città. L'operazione, iniziata nelle prime ore della mattina, non ha avuto esito positivo». 14:25 - «L'on. Malagodi, del Pli, parlando a Novara, ha detto tra l'altro:»Quattro milioni di elettori il 14 maggio hanno in mano, con l'equilibrio interno dell'Italia, anche quello europeo e internazionale. Di tanto ci minaccia la crescente intimità tra Dc e Pci. Anche contro questo si deve votare«. 14:46 - »Nella sede della direzione del Pci la notizia del ritrovamento del cadavere in via Caetani, a poche decine di metri dalla sede del partito, è stata accolta con un senso di sgomento e silenzio da parte dei dirigenti comunisti presenti e cioè l'on. Berlinguer e del senatore Chiaromonte«. 14:55 - »Subito dopo l'annuncio diffuso dalla radio del ritrovamento del corpo di Aldo Moro una folla di giornalisti, fotografi e abitanti del quartiere si è raggruppata nella via del Forte Trionfale, dove sorge la palazzina in cui abita la famiglia dell'on. Aldo Moro. Reparti della Pubblica sicurezza hanno formato un cordone per impedire a chiunque di avvicinarsi a meno di un centinaio di metri dal cancello di casa Moro«. 15:17 - »Alle 14,15 è giunto a casa Moro Nicola Rana, capo della segreteria del presidente Dc che dal giorno del rapimento è stato particolarmente vicino alla famiglia Moro. Alle 14,55 è giunto il presidente del Senato Fanfani«. 15:34 - »Pochi minuti dopo le 14, non appena cioè i dispacci di agenzia hanno confermato il ritrovamento del cadavere dell'on. Moro, un clima di apprensione si è diffuso in palazzo Madama. Quasi tutti i senatori si trovavano nel ristorante dove la tragica notizia è stata portata da un redattore dell'ANSA«. 15:46 - »La radio Vaticana sta diffondendo in tutto il mondo 'la terrificante notizià del ritrovamento del corpo di Moro«. 15:53 - »Il Consiglio dei ministri è convocato per questa sera alle 19 a palazzo Chigi. L'annuncio è stato dato dal sottosegretario alla presidenza on.Evangelisti«. 15:59 - »Il presidente del Pri Ugo La Malfa ha dichiarato:'Moro è la prima eroica vittima di una guerra dichiarata a uno Stato che non si considera indebolito'«. 16:01 - »'Il barbaro assassinio - ha dichiarato il segretario del Psi Craxi - ci riempie l'animo di orrore. Il nostro pensiero va ad Aldo Moro vittima innocente di una crudeltà efferata, alla sua famiglia ed agli amici della Dc«'. 16:19 - »Il segretario del Pci on. Enrico Berlinguer ha fatto ai giornalisti la seguente dichiarazione:'Ho appreso con grande commozione la notizia del crudele assassinio di Aldo Moro, un grande dirigente democratico e caduto, trucidato da una organizzazione di criminali terroristi'«. 16:25 - »In questi giorni erano state date disposizioni affinchè davanti alle sedi del Governo, del Parlamento e dei partiti la vigilanza venisse rafforzata. Essi temevano infatti che provocatoriamente i terroristi potessero compiere il clamoroso gesto proprio nelle vicinanze di luoghi o edifici particolarmente significativi«. 16:31 - »All'arrivo del sindaco di Roma, Argan, davanti alla sede della Dc la folla - circa 4.000 persone - ha cominciato dapprima a rumoreggiare e poi, in coro, ha scandito slogan urlando a squarciagola 'Moro è qui con tutta la Dc' e poi ancora 'Curcio morte, morte, morte'«. 16:40 - »La segreteria della Federazione Cgil Cisl Uil, appresa la notizia del barbaro assassinio, ha proclamato per oggi, a partire dalle 16, uno sciopero generale di tutti i lavoratori, esclusi i servizi pubblici e l'informazione«. 16:45 - »L'avv. Spazzali non ha voluto esprimere giudizi, limitandosi a notare che si trattava di conclusione scontata, visto il rifiuto opposto a qualsiasi trattativa. 'C'è però il pericolo - ha concluso - che ora se la prendano con i detenuti. Voglio vederli per verificare che siano sani e salvi'«. 17:05 - »La signora Eleonora Moro si è recata poco prima delle 17 all'Istituto di medicina legale dove si è intrattenuta per pochi istanti. Era accompagnata dal figlio e da una delle figlie. Dopo aver visitato la salma del congiunto, la signora Moro ha fatto ritorno nella sua abitazione«. 17:53 - »La segreteria dell'on. Aldo Moro ha diffuso il seguente comunicato:'La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalla autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso; nessun lutto nazionale, nè funerali di Stato o medaglia alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storià«. 18;46 - »Il primo ad avere la notizia a piazza del Gesù è stato Umberto Cavina, il portavoce di Zaccagnini informato da una telefonata fattagli dalla Questura. Cavina si è subito recato nella sala dove era in corso la Direzione«. 18:58 - »Per l'uccisione di Aldo Moro, il presidente della Repubblica si è così rivolto al Paese:'Il dolore mi prende l'animo del profondo. Una commozione senza fine mi sconvolge'«. 19:29 - »Paolo sesto ha inviato al cardinal vicario di Roma Poletti questo telegramma:'Non abbiamo parole adeguate per esprimere la nostra profonda afflizione e il nostro sgomento per la barbara uccisione dell'on. Moro, avvenuta in dispregio di ogni appello umanitario'«.
07/05/2008 ANSA

MORO/30: LE TEORIE SUL 'TRASFERIMENTO' DI MORO/ MOLTE IPOTESI SULLA ZONA DEL GHETTO, VICINO VIA CAETANI

  Anche se tutti i brigatisti sono concordi nel sostenere che l'unica 'prigione' di Moro è stata in via Montalcini, molte ipotesi si sono fatte sull'esistenza di altre 'prigioni', prima e dopo via Montalcini. E d'altra parte non si può fare a meno di ricordare che i brigatisti hanno sostenuto all'unanimità anche una serie di cose poi smentite dai fatti, come l'inesistenza del 'quarto uomo' o come Gallinari killer di Moro. Le ipotesi di un trasferimento di Moro in una zona centrale sono autorizzate dai dubbi sui motivi 'simbolici' che possono aver spinto i brigatisti ad affrontare il rischio di portare il corpo di Moro in via Caetani, vicinissimo alle sedi del Pci e della Dc, con la possibilità di essere intercettati in zone molto più controllate della media. Un fatto che alimenta i sospetti di un Moro prigioniero in qualche palazzo vicino a via Caetani, dove fu lasciata la famosa R4 rossa.
PALAZZO ORSINI - Nel 1993, il settimanale «Il Sabato» ipotizza che Moro possa essere stato condotto dalle Br in un palazzo vicino al ghetto ebraico romano. Il periodico cita due fogli manoscritti di Mario Moretti, trovati nel covo di via Gradoli e che riconducono a palazzo Orsini, in via di Monte Savello. Un grande edificio con passo carrabile a pochissima distanza da via Caetani. Il palazzo era la residenza della nobildonna Valeria Rossi in Litta Modigliani ed era intestato alla Immobiliare Savellia (è passato poi di proprietà all'Ordine di Malta).
PECORELLI - Di Moro prigioniero nella zona del ghetto aveva scritto anche Mino Pecorelli, in un brano che diceva «il ministro di polizia sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero; dalle parti del ghetto... (ebraico)».
MORTATI - Di alcuni covi Br nella zona del ghetto parlò anche Elfino Mortati, brigatista toscano pentito. Ferdinando Imposimato, che ha indagato sulla cosa, ha detto: «quando andammo, insieme a Priore, nel ghetto per ritrovarlo fummo fotografati e scrissero sulle nostre indagini un articolo su 'La Nazione' a firma Guido Paglia. Considerai quest'episodio come una sorta di avvertimento, di intimidazione. La notizia di quelle nostre ricerche non sarebbe mai dovuta trapelare. Subito dopo, infatti, Mortati smise di collaborare, probabilmente spaventato da questa intimidazione».
I PALAZZI CAETANI - L'ipotesi del covo nel centro di Roma prende sempre più piede dopo che emerge il nome del musicista ucraino Igor Markevic come possibile 'grande vecchio'. Markevic infatti era stato sposato con Topazia Caetani. E la famiglia Caetani, nella via omonima possedeva palazzo Caetani, mentre, nella vicinissima piazza Lovatelli, c'è palazzo Caetani Lovatelli. Un palazzo, adiacente via Caetani e dotato di passo carrabile, che ha anche una particolarità, ricordata in un libro da Peter Tompkins, ufficiale dell'Oss, a Roma durante la Seconda guerra Mondiale. Tompkins ricorda che «nell'antico palazzo Lovatelli, proprio all'estremità del ghetto» gli venne trovato un rifugio sicuro. Si trattava di «una stanza segreta nascosta da un muro e chiusa da una botola che doveva divenire il mio nascondiglio». E ancora:«membri della Resistenza potevano andare e venire con relativa facilità da questo rifugio nel cuore di Roma».
VIA GRADOLI - Nel 2005 Paolo Guzzanti, presidente della commissione Mitrokhin, in un'intervista ricorda l'audizione di Prodi e dice: «Quando l'ho interrogato per chiedergli i motivi, in commissione, con me ha farfugliato sputacchiando. Ma poichè nessuno crede agli spiriti, alle sedute spiritiche o ai piattini che girano, sta di fatto che il professor Romano Prodi sapeva che Moro era prigioniero a via Gradoli». Un lapsus di Guzzanti, tradito dalla foga polemica nei confronti di Prodi? Perchè non risulta che Moro sia mai stato prigioniero a via Gradoli. Ma lo stesso lapsus era sfuggito in precedenza anche a Bettino Craxi.
07/05/2008 ANSA

MORO/30: UN GIALLO LA LETTERA DI DOSSETTI ALLE BR

  Un messaggio di Giuseppe Dossetti alle Brigate rosse che tenevano prigioniero Aldo Moro. Tra i misteri o anche soltanto le zone d'ombra del capitolo più clamoroso del terrorismo rosso in Italia, c'è anche il dubbio su quella lettera che più d'uno ha citato in passato e che sarebbe stata scritta dal monaco che tanto ha inciso sulla politica cattolica ma che mai sarebbe uscita dal convento perchè superata dal messaggio di Paolo VI alle Br. Luigi Pedrazzi, politologo, tra i fondatori del 'Mulinò, ex vicesindaco di Bologna ai tempi della Giunta di Walter Vitali (il primo non socialcomunista ad avere un incarico di governo della città), interpellato dall' Ansa, è convinto che quel testo non esista. Non perchè sia stato distrutto o sia andato perduto, ma perchè Dossetti non lo avrebbe mai scritto. «Credo che la voce sia nata per il colloquio telefonico che ebbe con lui il professor Carlo Forcella, molto amico di Aldo Moro ma vicino anche a Giuseppe Dossetti fin dal 1946. Forcella gli chiese di scrivere alle Brigate rosse una sorta di profilo politico di Moro, spiegando così ai suoi sequestratori, al di là del fatto umano e della crudeltà del gesto che stavano compiendo, quale fosse la portata del loro errore di strategia politica. Dossetti lo ascoltò probabilmente disse mezze parole di rassicurazione ma non mi risulta che poi scrisse quella lettera». In effetti la fonte della notizia è stato proprio, anni fa, Carlo Forcella, all'epoca vice Presidente della Accademia Aldo Moro. Nel 1999 Forcella disse che « quando Moro fu rapito, Dossetti tenne, per tre settimane, dopo la messa, un incontro con tutti gli amici per discutere del significato del terrorismo, del perchè era stato rapito proprio Moro. Salii da Dossetti anche a nome della famiglia per chiedergli aiuto, per sapere da lui. Era il 19 di aprile. Dossetti mi disse che era giusto fare quello che Moro chiedeva:'uno Satto deve essere capace di fare questo. Anche Giulio cesare quando fu aggredito dai pirati disse ai suoi generali di rinfoderare la spadà». Poi in un secondo momento li inseguì e li colpì. Dossetti, rivelo Forcella, disse che avrebbe scritto una lettera per affermare il suo pieno accordo con le richieste di Moro e suggerire alcune strade concrete per la liberazione. Forcella tornò da Dossetti il 21 aprile: sui giornali c'era la lettera di Paolo VI « agli uomini delle Br». « Quando incontrai Dossetti aveva sul tavolo, da una parte, la sua lettera, totalmente diversa, senza il tono aulico della missiva di Montini, molto più concreta. Dossetti mi disse:' E ora che facciamo? Come si fa a pubblicare questa lettera? Può sembrare che io corregga il Papa. Sono desolato ma credo che sarebbe una cosa grave. Dopo la destituzione di Lercaro ( il cardinale di Bologna, Ndr) ho già un rapporto non straordinario». Per queste ragioni la lettera non fu mai consegnata. Pedrazzi, da sempre annoverato fra i dossettiani (quando il monaco faceva ancora politica nella Dc si candidò al suo fianco nelle amministrative del 1956 che segnarono però la vittoria del comunista Giuseppe Dozza) ha anche una opinione personale: «Per quanto lo conoscevo, credo che Dossetti fosse più incline a pensare ad una soluzione tipo quella per il sequestro Dozier, ovvero un'azione di polizia che portasse alla liberazione o, se non si profilava questa possibilità, all'apertura di una vera e propria trattativa». Di un episodio legato a quei giorni Pedrazzi è però assolutamente certo: «Dossetti fece una veglia per Moro. Dopo una notte intera di preghiera, al mattino, provato dalla fatica, ebbe la notizia che il papa si era rivolto direttamente agli uomini delle Brigate rosse. Lo seppe con grande gioia, forse con sollievo per non aver preso iniziative e disse che a quel punto, essendosi espressa la massima autorità della Chiesa non servivano più altre voci». Pedrazzi, che ha anche la curiosità e lo spirito del giornalista (è stato editorialista del 'Giornò, lo è oggi per 'Il Domani di Bologna, a fine anni '70 fondò e diresse un quotidiano, 'il Fogliò, che aveva una guida cattolica ma una redazione molto più a sinistra e che anche per questo ebbe vita breve) ha pure fatto ricerche nella Piccola Famiglia dell'Annunziata, la comunità di monaci e monache che Dossetti, dopo essere stato vicesegretario della Dc e membro della Costituente, fondò dopo aver lasciato la vita politica. «Mi è stato assicurato che quella lettera non esiste e non è mai esistita». La comunità conserva gli scritti di Dossetti ma anche una stretta parente di Pedrazzi che è entrata da anni nella 'Piccola famiglia' ha assicurato che quel testo non c'è.
07/05/2008 ANSA

UNIVERSITÀ: BARI INTESTA ATENEO AD ALDO MORO

  Dopo le polemiche dei giorni scorsi tra favorevoli e contrari, il Senato accademico dell'Università di Bari ha deciso a maggioranza (con un solo voto contrario su 40) di intitolare ad Aldo Moro l'Ateneo barese che si chiamerà quindi: Università degli studi di Bari, Aldo Moro. La decisione è stata presa dopo quasi quattro ore di riunione nel corso della quale si è giunti ad una mediazione rispetto alla proposta iniziale del rettore, Corrado Petrocelli di chiamare l'Ateneo Università del Levante-Aldo Moro. Soddisfatto del risultato il rettore che ha parlato di «un dibattito ricco e appassionato. Questa intitolazione - per Petrocelli - rappresenta il recupero della nostra identità e contemporaneamente lo slancio verso il futuro del nostro ateneo». A favore dell'intestazione allo statista ucciso dalle Brigate Rosse 30 anni fa ha votato anche il preside della facoltà di Giurisprudenza Mario Giovanni, Garofalo che aveva espresso perplessità sulla intestazione a Moro perchè contrario ad intitolare l'ateneo ad una persona. «Queste perplessità sono state superate - ha sottolineato Petrocelli - perchè è stato riconosciuto che Moro è un personaggio particolare, un modello di studente e di docente che si è speso per questo ateneo». Nel corso della riunione è stato, tra l'altro, ricordato che nel 1975 ad Aldo Moro fu assegnato il sigillo d'oro dall'Università di Bari per meriti nei confronti dell' istituzione.
07/05/2008 ANSA

MORO/30: LA FIGLIA MARIA FIDA,C'È SENSO DI COLPA COLLETTIVO

  «Il nostro Paese deve rielaborare questo lutto, vissuto con un senso di colpa collettivo. Perchè c'è la sensazione diffusa che qualcosa si poteva fare per salvarlo, tutti potevamo fare qualcosa per evitare la sua morte. Il silenzio cui siamo costretti noi della famiglia è il segno di un senso di colpa sotteso». C'è anche questa riflessione nell'intervista a Maria Fida Moro, primogenita del leader ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio di trent'anni fa, pubblicata oggi dal Sir, l'agenzia dei settimanali cattolici promossa dalla Cei. «Molti - prosegue la testimonianza della figlia dello statista democristiano - mi raccontano nel dettaglio cosa facevano quel 16 marzo, come se cercassero da me l'assoluzione. Ma, la pace viene dalla verità. Mio padre credeva che la luce avrebbe vinto la battaglia finale. Anch'io». Si farà chiarezza, un giorno, sulle verità nascoste del caso Moro? «Non lo so. Non lo spero neppure - risponde Maria Fida - credo, però, che l'Italia deve poter affrontare il 'rimossò del 'caso Morò, se di 'casò vogliamo parlare. È un dovere di coscienza». Come scrisse a Carlo Azeglio Ciampi, presidente della repubblica nel 2004, Maria Fida Moro ricorda che «i brigatisti hanno casa, lavoro, visibilità, voce», mentre la famiglia Moro « ha perduto tutto». «Il dramma della nostra famiglia non è comprensibile all'esterno. Si delega ai responsabili della sua morte il potere del racconto. Noi siamo condannati al silenzio. E lo dico io, che sono, nella famiglia, quella che ha dato il perdono. Ma, è assurdo - prosegue - che gli storici di Moro siano loro, i brigatisti, i suoi carnefici, mentre chi avrebbe diritto di parlarne, chi lo conosceva meglio e lo amava, viene messo a tacere. E, ogni volta che si presenta l'opportunità istituzionale di ricordarlo degnamente, Aldo Moro viene sistematicamente ignorato, dimenticato, cancellato. Non so se è il frutto di una strategia o se è un caso. Comunque, non è giusto».
07/05/2008 ANSA

MORO/30: L'AVVICINAMENTO ALLA 'PRIGIONE DEL POPOLÒ/ ANSA COME SI È ARRIVATI, TARDI, A SCOPRIRE IL COVO DI VIA MONTALCINI

  di Stefano Fratini (ANSA) - È ormai «verità processuale» il fatto che Aldo Moro sia stato tenuto prigioniero, per tutti i 55 giorni del sequestro, nell' appartamento all'interno 1 di via Montalcini 8, nel quartiere Portuense, a Roma. Ecco come si è arrivati, dopo una serie di altre ipotesi, a via Montalcini:
IL FUMETTO - Un primo accenno alla prigione di Moro compare a giugno 1979 in un fumetto sul primo numero di «Metropoli», periodico di Autonomia operaia. Nel fumetto la tavola con l' interrogatorio di Moro ha una didascalia che parla della stanza interna di un garage del quartiere Prati. Il disegnatore Madaudo disse di aver ricalcato il disegno da «Grand Hotel». Savasta definì «fantasioso» il fumetto di Metropoli.
PECI - Dopo la versione disegnata, il primo a parlare della prigione dello statista Dc era stato il pentito Patrizio Peci, che racconta però di aver appreso che Moro fu tenuto nascosto nel «retrobottega di un negozio poco fuori Roma».
SAVASTA - La versione di Peci è smentita da Antonio Savasta. Catturato a gennaio 1982 alla fine del rapimento Dozier, Savasta comincia subito a collaborare e dice di aver saputo che Moro fu tenuto prigioniero in un appartamento di Anna Laura Braghetti.
VIA MONTALCINI - L'1 febbraio 1982, il ministro degli Interni Rognoni, alla Camera, annuncia l'individuazione del covo usato come prigione. All'inizio, l'attenzione si concentra su un' appartamento in via Laurentina 501, ma subito dopo le indagini si orientano su via Montalcini. In quell'appartamento, comprato nel giugno 1977 per 50 milioni circa, la Braghetti si era trasferita a dicembre 1977. Due anni dopo Morucci e la Faranda confermano che Moro ha trascorso tutta la sua prigionia nell' appartamento abitato dalla Braghetti e da Prospero Gallinari e frequentato anche da Mario Moretti. Di un quarto uomo parla solo il sen. Sergio Flamigni, additato da tutti come 'dietrologò.
LE SEGNALAZIONI IGNORATE - A luglio del 1980 il giudice Ferdinando Imposimato apprende che nell'estate 1978 l'Ucigos aveva svolto indagini sulla Braghetti e via Montalcini. Nel febbraio 1982, su 'Repubblica'«, Luca Villoresi scrive: »Sono passati pochi giorni dalla strage di via Fani quando alla polizia arriva una prima segnalazione, forse una voce generica, forse una soffiata precisa...ma all' interno 1 di via Montalcini 8 gli agenti non bussano«. Nel 1988 si viene a sapere che verso la metà di luglio 1978 l'avv. Mario Martignetti (che lo aveva saputo da una coppia di suoi parenti) aveva segnalato a Remo Gaspari che una R4 rossa come quella in cui le Br lasciarono il cadavere di Moro era stata vista in via Montalcini nel periodo del rapimento ed era scomparsa dopo la morte di Moro. Gaspari informa il ministro Rognoni che attiva le indagini, affidate all'Ucigos. La Braghetti viene pedinata fino alla metà di ottobre. Il 16 ottobre 1978 un appunto dell'Ucigos informa la magistratura che gli inquilini dell'interno 1 non destano sospetti. I pedinamenti e le richieste di informazioni sul suo posto di lavoro (di cui la Braghetti viene a sapere) spingono però la terrorista ad entrare in clandestinità e a lasciare (il 4 ottobre) l'appartamento, nel frattempo venduto. Uno degli inquilini avverte l'Ucigos del trasloco annotando anche la targa del camion, ma alla cosa non viene data importanza, visto che non c'era motivo per sospettare di quella donna.
L'ING. ALTOBELLI - Nel 1989, in un'intervista tv, Prospero Gallinari ammette di essere lui l' ing. Altobelli. La cosa è però falsa. Chi ha conosciuto Altobelli dice che non poteva essere nè Moretti, nè Gallinari e che invece assomigliava a Patrizio Peci. Solo nel 1993 si arriva al »quarto uomo«, Germano Maccari, che sembra essere il vero »ing. Altobelli« a cui erano intestate le utenze di luce e gas, come lui stesso ammette nel 1996, negando però di aver sparato a Moro e lasciando al solo Moretti la responsabilità dell' uccisione del politico democristiano. Stranamente l'individuazione di Maccari avviene lo stesso giorno in cui trapelano dulla stampa le dichiarazioni di Saverio Morabito, personaggio della 'ndrangheta diventato collaboratore di giustizia, il quale ha detto che Antonio Nirta, detto »Due nasi« per la sua confidenza con la doppietta, killer della mafia calabrese e (secondo Morabito) confidente del generale dei carabinieri Francesco Delfino, era stato »uno degli esecutori materiali del sequestro dell'on. Aldo Moro«.
LA SIGNORA LEONE - Nell' ottobre 1997, il »Giornale« pubblica una dichiarazione di Bettino Craxi che racconta che, durante il rapimento, Vittoria Leone, moglie dell' allora presidente della repubblica, ricevette una lettera con l' indicazione del covo di via Montalcini. La signora Leone spiega poi ai giornalisti di avre ricevuto »innumerevoli lettere con le più svariate indicazioni sul luogo della prigionia« che consegnava poi »agli uffici competenti del Quirinale« e di non poter ricordare se una parlasse di via Montalcini.
IL FRATELLO DI MORO - Nel suo libro »Storia di un delitto annunciato«, Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo, fa notare che i residui di un tramezzo sono stati trovati solo in un sopralluogo compiuto nel 1984 e non, precedentemente, nella visita di due funzionari di polizia in incognito nell'ottobre 1978, nè nella vita quotidiana dei nuovi acquirenti dell' appartamento. Inoltre Alfredo Carlo Moro nota la stranezza, di fronte alle dichiarazioni dei brigatisti che Altobelli-Maccari fu scelto proprio per dare ai condomini la sensazione della normale vita di una coppia borghese, della presenza di Gallinari (anche se non usciva) per tutta la durata del sequestro e soprattutto dell'andirivieni di Mario Moretti, che per di più era uno dei terroristi più ricercati e del quale la polizia aveva mostrato la foto.
06/05/2008 ANSA

MORO/30: 7 MAGGIO, TUTTO FERMO IN ATTESA DELL'EPILOGO

  7 maggio 1978, 53ø giorno di prigionia per Aldo Moro, ormai in attesa dell'esecuzione. È domenica. Le speranze sono ormai appese ad un filo sottilissimo e invisibile. «Tutto sia calmo», così cominciava la lettera di addio di Moro alla famiglia, ma non intendeva certo in questo modo. In attesa del tragico epilogo, il mondo politico sembra ormai più impegnato nella campagna per le elezioni amministrative del 14 maggio, che per gli ultimi estremi tentativi di salvare Moro. Le forze dell'ordine continuano in inutili operazioni di rastrellamenti di facciata, che naturalmente sono sempre «a vasto raggio». Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 11:28 - «In un commento dedicato al rapimento di Aldo Moro l'agenzia Tass denuncia oggi la presenza in Italia di 'gruppi terroristici che operano, anche secondo i giornali romani, per conto della Cia e di altri servizi segreti occidentali, che mirano a sviare l'attenzione dell'opinione pubblica dalla loro ingerenza negli affari italiani. Per questo motivo - prosegue la Tass - essi diffondono voci sulla presunta partecipazione dell'Urss alle attività delle Brigate rosse'». 11:30 - «Una battuta a vasto raggio è in corso fin dalle prime ore di stamane in tutta la zona nord di Roma, in particolare lungo la via Cassia, la via Flaminia e la via Salaria». 12:45 - «Giornalisti, fotografi e cineoperatori fin dalle prime ore del mattino, mentre pioveva a scroscio, si sono messi al limite stabilito ieri dalla magistratura, cioè a circa cento metri dall'ingresso della palazzina da dove alle 9,15 è uscita veloce un'automobile blu con a bordo la signora Moro. La vettura ha percorso soltanto 50 metri di via del Forte Trionfale e poi è entrata nel giardino dell'istituto delle suore Stimmatine dove c'è una chiesa. Lì la signora Eleonora ha ascoltato la messa. Subito dopo, quando l'automobile l'ha riportata a casa, sulla strada c'è stato un intasamento del traffico e i fotografi hanno potuto ritrarre la signora che vestiva un abito scuro e aveva la testa china come se pregasse. I giornalisti ed i fotografi hanno tentato poi di avvicinarsi all'ingresso dell'abitazione, ma sono stati respinti con energia dalla polizia. Molti hanno protestato facendo presente che dal punto di osservazione dove è loro consentito di restare è praticamente impossibile vedere e riconoscere a occhio nudo le persone che entrano ed escono». 18:54 - «Il segretario della Dc on. Zaccagnini si è intrattenuto fino alle 14 nel suo ufficio dove ha ricevuto alcuni collaboratori - tra cui il capo della segreteria politica on. Pisanu e l'on. Salvi - ed è stato messo al corrente delle ultime notizie. Nella giornata non ci sono state riunioni formali anche perchè molti degli esponenti democristiani sono fuori Roma impegnati nella campagna elettorale per le elezioni amministrative di domenica prossima. (...) Una riunione della delegazione democristiana si terrà molto probabilmente nella giornata di domani anche in vista della riunione della direzione del partito - confermata per martedì mattina - che dovrà convocare, si ritiene per la settimana successiva al 14 maggio, il Consiglio nazionale della Dc». 19:31 - «Il segretario del Psi, on. Craxi, conversando con un giornalista della radio francese, non ha voluto fare dichiarazioni. Craxi si è limitato a dire:'Speriamo di capire meglio cosa è successo e cosa può succedere, speriamo ancora che il barbaro assassinio, annunciato, non si consumi. In ogni caso i socialisti non possono associarsi al trionfalismo dei salvatori della Repubblica. La morte di Moro sarebbe una sconfitta della Repubblica e dei principi umani e civili che ne ispirano la Costituzione'». 20:00 - «Il segretario nazionale dell'Msi-Dn on. Giorgio Almirante, parlando in Campania, ha detto che 'non è possibile fronteggiare adeguatamente e battere l'attacco del terrorismo comunista mantenendo inalterato il quadro politico che ha consentito ai comunisti di Berlinguer di entrare, dopo 30 anni, nell'area del potere. Per tutto questo tempo il terrorismo comunista ha trovato il modo di svilupparsi, di prepararsi, di organizzarsi con evidenti complicità all'interno e all'esterno del nostro Paese. Adesso ne vediamo i frutti'». 23:49 - «Nella tarda serata è corsa la voce che la signora Moro, tra le 20 di ieri e le 16 di oggi, si sarebbe messa in contatto telefonico con le più alte cariche dello Stato. L'iniziativa sarebbe stata presa dopo l'ultima lettera che - si ha conferma - da ricevuto a firma del marito, contenente - a quanto si è appreso - il tragico commiato. In particolare la signora Moro si sarebbe rivolta al presidente della Repubblica, al presidente del Senato e al presidente del Consiglio».
05/05/2008 ANSA

MORO/30: 6 MAGGIO, SPUNTA LETTERA ADDIO MORO A FAMIGLIA/ NESSUNA CONFERMA DELLA LETTERA, CONSEGNATA IL GIORNO PRIMA

  6 maggio 1978, 52° giorno del rapimento Moro, il giorno dopo il comunicato del «gerundio», si attende ancora. La famiglia non conferma le voci di una lettera di Aldo Moro, che sarebbe stata ricevuta il 5 maggio. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 02:03 - «Un documento firmato da 26 operatori culturali 'di ispirazione socialista' in merito alla funzione degli intellettuali nell'attuale momento politico e in particolare riguardo alla vicenda Moro è stato reso noto dal sociologo milanese prof. Umberto Melotti. In sintesi il documento esprime un energico dissenso dalla linea della 'fermezzà, auspica una soluzione 'ragionevole di questa vicenda' e si oppone a una visione della funzione degli intellettuali come 'difensori delle patrie istituzioni e garanti del consenso al regime vigente'è». 10:45 - «I 'Comitati autonomi operai'ì hanno convocato per oggi pomeriggio alle 16,30 alla Casa dello studente un'assemblea del movimento per discutere sull'ultimo messaggio delle Brigate rosse. (...) Il comunicato dell'Autonomia ribadisce la condanna delle Br, affermando che 'come comunisti rivoluzionari neghiamo la prassi dei regimi reazionari, borghesi e revisionisti di tutto il mondo di emettere sentenze ed eseguire condanne in nome del popolo'». 10:55 - «La segreteria dell'on. Moro non ha confermato, ma neppure smentito, l'esistenza di un nuovo messaggio del presidente della Dc alla sua famiglia, che sarebbe arrivato ieri alla signora Eleonora Moro e che conterrebbe un addio. Sull'arrivo di un breve messaggio si erano diffuse ieri sera voci, raccolte stamani da qualche giornale». 12:47 - «È salito a 22 il numero delle persone fermate dalla polizia nel corso dell'ampia battuta cominciata all'alba a Roma e in alcuni centri della provincia». 12:49 - «L'incontro di Cossiga con Zaccagnini è durato circa un'ora e un quarto. Lasciando la sede di piazza del Gesù il ministro dell'Interno non ha fatto alcuna dichiarazione». 16:42 - «Il presidente dei senatori democristiani Bartolomei, parlando in provincia di Arezzo, dopo essersi soffermato sul tragico messaggio relativo alla sorte dell'on. Moro, ha rilevato 'lo spirito umanitario del recente atteggiamento del Psi' aggiungendo che 'la Dc si è sempre rivelata disponibile a recepire le riflessioni delle forze politiche di più antica e riconosciuta vocazione democratica'». 18:49 - «Il capogruppo comunista alla Camera, on. Alessandro Natta, parlando a Portici nell'ambito della campagna elettorale per le amministrative del 14 maggio, ha detto tra l'altro:'C'è un dovere per tutti in questo momento: di essere uniti, fermi, risoluti, nell'isolare e nel combattere a fondo il terrorismo. Queste bande hanno fallito l'obiettivo di piegare la Repubblica, di precipitare il pese in una crisi rovinosa, di rompere la solidarietà e l'intesa delle forze democratiche». 19:05 - «Guiso ha anche parlato del suo incontro con il vescovo di Ivrea, mons. Bettazzi. 'È stato lui a chiamarmi - ha detto - ed a proporsi per uno scambio. Io gli ho fatto notare che era un progetto irrealizzabile e che, se si muoveva in questa logica, gli conveniva piuttosto cercare di far valere la sua autorità per sbloccare l'immobilismo delle forze politiche'». 19:26 - «'Sono molti, oggi, coloro che hanno scoperto nella Dc il senso dello Stato; che riconoscono, d'improvviso, nella Dc un partito non destinato a scomparire. La verità è che l'atteggiamento da noi tenuto è coerente con tutta la storia della Dc, con l'insegnamento di tutti i suoi leaders'. Lo ha detto, in un discorso elettorale, il presidente dei deputati democratici cristianim on. Flaminio Piccoli». 20:56 - «Oreste Scalzone, leader dei 'Comitati comunisti rivoluzionari', ha proposto all'assemblea una mozione che è stata approvata e nella quale è detto tra l'altro:'i partiti di Stato stanno per coronare il loro disegno. Il cadavere di Moro come corpo mistico attorno al quale ricomporre il quadro poltico e la società civile, trovando nell'ondata emotiva il fondamento di una nuova legittimazione dello Stato. L'esecuzione metterebbe la Dc, il Pci, la maggioranza governativa nel suo insieme, al riparo da una resa dei conti con un personaggio interno al mondo delle istituzioni che inevitabilmente diverrebbe una contraddizione vivente'».
05/05/2008 ANSA

MORO/30: LA LETTERA DI ADDIO DI MORO ALLA FAMIGLIA

  Ecco il testo della lettera di Aldo Moro alla famiglia che sarebbe stata consegnata il 5 maggio: Tutto sia calmo. Le sole reazioni polemiche contro la D.C. Luca no al funerale. Mia dolcissima Noretta, dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sè e dell'incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l'indirizzo della mia vita. Ma ormai non si può cambiare. Resta solo di riconoscere che tu avevi ragione. Si può solo dire che forse saremmo stati in altro modo puniti, noi e i nostri piccoli. Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della D.C. con il suo assurdo ed incredibile comportamento. Essa va detto con fermezza così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso. È poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall'idea che il parlare mi danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare. E questo è tutto per il passato. Per il futuro c'è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi. Per carità, vivete in una unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni e cari amici, che ringrazierai tanto, per le vostre esigenze. Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienmi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto tanto Luca) Anna Mario il piccolo non nato Agnese Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo. La lettera di Moro si interrompe così, senza firma. Forse il suo seguito e la sua conclusione è in questo breve frammento, recapitato lo stesso giorno a casa Moro: Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l'ordine di esecuzione. Noretta dolcissima, sono nelle mani di Dio e tue. Prega per me, ricordami soavemente. Carezza i piccoli dolcissimi, tutti. Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio di amore a tutti. Aldo
05/05/2008 ANSA

MORO/30: LA STRANA STORIA DI VIGLIONE E DELLE DUE BR/ ANSA MITOMANIA, TRUFFA O DEPISTAGGIO CHE NASCONDE QUALCHE VERITÀ ?

  Stefano Fratini - Una delle storie più strane che ruotano intorno al caso Moro è quella legata a Ernesto Viglione. Una vicenda che potrebbe essere archiviata come follia di un mitomane o come tentativo di truffa e che invece, per i personaggi coinvolti e il risalto che ha avuto, nasconde forse, tra cose sicuramente false, qualche elemento di verità.
IL PERSONAGGIO - Viglione, giornalista di Radio Montecarlo, abitava proprio in via Fani. Era stato giornalista parlamentare, aveva scritto sul «Settimanale» ed aveva molti contatti con politici, soprattutto della destra Dc.
L'INTERVISTA CON MORO - Il 5 maggio, pochi giorni prima dell'uccisione di Aldo Moro, Viglione sarebbe entrato in contatto, tramite un intermediario, con un sedicente brigatista rosso che gli avrebbe proposto un'intervista con Moro nel 'carcere del popolo'. Della cosa viene informato anche Flaminio Piccoli. Il brigatista aveva un forte accento calabrese (Viglione era convinto che fosse Giustino De Vuono). L'incontro con Moro sarebbe stato deciso per lunedì 8 maggio, ma poi rinviato. Il 9 maggio veniva trovato il corpo di Aldo Moro.
LE TRATTATIVE - I contatti con l'intermediario continuarono. «Questi - scrive la commissione Moro - avrebbe dichiarato che i brigatisti non avevano alcuna intenzione di uccidere Moro, e che il presidente della DC era stato assassinato perchè vittima di una congiura ordita da uomini politici, con la complicità di carabinieri e agenti di PS. In sostanza tutti costoro si sarebbero serviti delle BR come copertura. Viglione informò a questo punto gli onorevoli Flaminio Piccoli e Oscar Luigi Scalfaro: entrambi gli suggerirono di parlare con il generale Dalla Chiesa. Dopo la notizia che l'onorevole Vittorio Cervone aveva sollecitato una inchiesta parlamentare, Viglione avrebbe ricevuto una telefonata dallo sconosciuto che affermava di voler collaborare con l'onorevole Cervone, anzi gli avrebbe fatto registrare un messaggio per lui, nel quale l'uomo ribadiva che l'uccisione di Moro era stata decisa da alcuni uomini politici e da una personalità del Vaticano. L'onorevole Cervone accettò allora di parlare con lo sconosciuto, e questi gli promise informazioni per fare arrestare i capi delle Brigate Rosse. Vennero avanzate da parte dello sconosciuto una serie di richieste di denaro per portare avanti l'azione. Viglione stesso chiese al generale Dalla Chiesa la somma di 2 milioni da passare al 'brigatista pentito', senza però ottenerla. Viglione consegnò a Frezza somme in franchi francesi e in lire italiane »ottenute dall'on. Egidio Carenini«. La somma consegnata da Carenini, deputato Dc il cui nome era nelle liste P2, era di circa 15 milioni di lire.
LA STORIA VIENE A GALLA - La storia emerge a febbraio 1979, con un articolo sull'Espresso, firmato da Gianluigi Melega (poi deputato radicale). La versione del contatto di Viglione era che il rapimento Moro era stato organizzato da un gruppo guidato da alti prelati ed esponenti politici. In via Fani, mascherati da brigatisti, c'erano due sottufficiali e un ufficiale dei carabinieri. Nel vertice delle Br ci sarebbe stato anche un importante magistrato. La strage della scorta era avvenuta perchè i 'carabinieri' temevano che Leonardi (il caposcorta di Moro) li riconoscesse. I brigatisti (o almeno una parte di loro) non avevano intenzione di uccidere Moro, e il presidente della DC era stato vittima di una congiura che si sarebbe servita delle Br come copertura.
FREZZA - Risultò poi che la fonte era Pasquale Frezza, uno strano personaggio con precedenti penali. Sembra però che, dopo la fine dei processi, Frezza abbia dichiarato di aver recitato una parte per coprire il vero brigatista.
PECORELLI - Accenni a strani 'carabinieri' tra virgolette compaiono anche in articoli di Mino Pecorelli su 'OP'. Moro, scrive Pecorelli, »temeva di rimanere ferito in un conflitto a fuoco tra i 'carabinieri' e i suoi carcerieri« e ancora:»i 'carabinieri' (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciar andare via la macchina rossa«.
I DUBBI DI DALLA CHIESA - Il gen. Dalla Chiesa si interessò alla vicenda perchè, come ha raccontato una volta il gen. Nicolò Bozzo, uno dei suoi principali collaboratori, sospettava dell'esistenza di »una struttura segreta paramilitare, con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro interno«. Bozzo aveva spiegato che Dalla Chiesa »era convinto che questa struttura poteva avere avuto origine sin dal periodo della resistenza, attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza«. »In particolare - aveva detto Bozzo - il generale mi segnalò l'organizzazione Franchi«, una organizzazione di partigiani bianchi legati ai servizi segreti americani e inglesi, della quale avevano fatto parte Edgardo Sogno e Adolfo Beria D'Argentine. Dalla Chiesa era convinto che le informazioni date a Viglione fossero un depistaggio »ma si interrogava - ha detto ancora Bozzo - sulla funzione di questa operazione di depistaggio e se essa potesse essere ricondotta agli organismi di cui ho parlato«.
I PROCESSI - La vicenda Viglione si conclude poi con una prima sentenza che condanna il giornalista a tre anni e sei mesi per truffa ai danni di Carenini e calunnia nei confronti dell'Arma dei carabinieri (un anno e sei mesi per truffa a Frezza, assolto invece dall'accusa di calunnia). In appello la condanna di Frezza viene confermata, ma Viglione viene assolto da entrambe le accuse.
L'ATTENTATO ALL'AVVOCATO - Il 19 giugno 1981, prima della sentenza di primo grado, l'avv. Antonio De Vita, difensore di Frezza (ma che era stato anche difensore d'ufficio di Patrizio Peci) viene ferito da un commando delle Brigate rosse. De Vita, ferito leggermente, reagisce e riesce a ferire Natalia Ligas.
05/05/2008 ANSA

MORO/30: GLI AMBIGUI 'MESSAGGI' DI MINO PECORELLI

  Il caso Moro ha curiosi legami con la vita e la morte di Mino Pecorelli, giornalista 'scomodo', iscritto alla P2 e poi uscito dalla loggia. Quasi in contemporanea con la strage di via Fani, a marzo 1978, l'agenzia «Op» da lui diretta si trasforma in settimanale. Quasi un anno esatto dopo, il 20 marzo 1979, una persona rimasta ufficialmente sconosciuta uccide il giornalista che aveva sempre dimostrato di «sapere» qualcosa di più sul rapimento e l'uccisione del presidente Dc. Nel numero di «Op» pubblicato pochi giorni prima della propria uccisione (e curiosamente uscito proprio con la data della morte, 20 marzo 1979) Pecorelli, in un articolo intitolato «Aldo Moro un anno dopo», sembrava lanciare messaggi leggibili da poche persone. Nel capitolo intitolato «Chi è stato interrogato nel 'palazzo'» scriveva:«Il dopo Moro è costellato di morti e di attentati che soltanto per caso o per l'imperizia degli operatori non hanno provocato altri morti (in via Fani agirono specialisti, altrove la manovalanza del terrorismo) e la catena ha rivelato in ogni suo anello l'esistenza di connivenze all'interno della struttura dello Stato, nel cuore dello Stato». Parole e allusioni che forse gli costano la vita. Forse per toglierlo di mezzo entrano di nuovo in azione gli «specialisti». Ma sono molti gli articoli in cui, con il suo linguaggio sempre sul filo dell'allusione e del messaggio cifrato, parlava di «segreti» legati al caso Moro. Eccone alcuni: «Dice: ma il ministro non ne sapeva niente, la Digos non ha scoperto nulla. I servizi poi... Si ribatte: il ministro di polizia sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero; dalle parti del ghetto... (ebraico). Dice: il corpo era ancora caldo... perchè un generale dei Carabinieri era andato a riferirglielo di persona nella massima segretezza. Dice: perchè non ha fatto nulla? Risponde: il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in alto, magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso?». «Aldo Moro che pensava di essere liberato dalle Brigate Rosse, e che temeva di rimanere ferito in un conflitto a fuoco tra i 'carabinieri' e i suoi carcerieri, come ha pubblicato Panorama in un articolo non firmato, notizia che avrebbe attinto dai documenti sequestrati nel covo del brigatista (?) Alunni, notizia che viceversa nel memoriale diffuso dal Ministero degli Interni non risulta. Ma torneremo a parlare di questo argomento, del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all'operazione, del prete contattato dalle Brigate Rosse, della intempestiva lettera di Paolo, del passo carrabile al centro di Roma, delle trattative intercorse, degli sciacalli che hanno giocato al rialzo». «Perchè Cossiga era convinto, crediamo (?), che Moro sarebbe stato liberato, e forse la mattina che il presidente è stato ucciso era insieme ad altri notabili Dc a piazza del Gesù in attesa che arrivasse la comunicazione che Moro era libero. Moro invece è stato ucciso. In macchina. A questo punto vogliamo fare anche noi un pò di fantapolitica. Le trattative con le Brigate Rosse ci sarebbero state. Come per i fedayn. Qualcuno però non ha mantenuto i patti. Moro, sempre secondo le trattative, doveva uscire vivo dal covo (al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario?), i 'carabinieri' (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciar andare via la macchina rossa. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, una cifra inaccettabile perchè si voleva comunque l'anticomunista Moro morto, e le Br avrebbero ucciso il Presidente della Democrazia Cristiana in macchina, al centro di Roma, con tutti i rischi che una simile operazione comporta. Ma di questo non parleremo, perchè è una teoria cervellotica campata in aria. Non diremo che il legionario si chiama 'De' e il macellaio Maurizio». «Dietro ci sono i ruderi del teatro di Balbo, il terzo anfiteatro di Roma; ho letto in un libro che a quel tempo gli schiavi fuggiaschi e i prigionieri vi venivano condotti perchè si massacrassero tra di loro. Chissà cosa c'era nel destino di Moro perchè la sua morte venisse scoperta proprio contro quel muro? Il sangue di allora e il sangue di oggi». «l'agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro, rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L'obiettivo primario è senz'altro quello di allontanare il Partito comunista dall'area del potere nel momento in cui si accinge all'ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del Paese. » Un fatto che si vuole che ciò non accada. Perchè è comune interesse delle due superpotenze mondiali«. »I rapitori di Aldo Moro non hanno nulla a che spartire con le Brigate Rosse comunemente note. Curcio e compagni non hanno nulla a che fare con il grande fatto politico-tecnicistico del sequestro Moro. La richiesta di uno scambio di prigionieri politici, avanzata dai custodi del presidente democristiano, rappresenta un espediente per tener calmi i brigatisti di Torino e per scongiurare le loro tempestive confessioni, dichiarazioni sulle trame che si stanno tessendo sopra le loro teste«. »Accanto alle schede segnaletiche di alcuni «nemici del popolò da sparare al più presto, c'erano: la ricostruzione del sequestro di Moro, secondo il punto di vista della Direzione Strategica dei brigatisti; considerazioni autocritiche sull'operazione militare di via Fani e sulla gestione degli sviluppi; il memoriale scritto da Moro durante i 54 giorni di prigionia; gli schemi di lettere che Moro non fece in tempo a scrivere; i testi di 6 lettere complete, anch'esse non inviate al destinatario; alcuni nastri magnetici con la viva voce del presidente Moro».
04/05/2008 ANSA

MORO/30: 5 MAGGIO, ARRIVA IL COMUNICATO NUMERO NOVE/ IL GERUNDIO 'ESEGUENDO LA SENTENZA' LASCIA ANCORA UNO SPAZIO ?

  5 maggio 1978, dopo 51 giorni dal rapimento di Moro le Brigate rosse si fanno di nuovo vive con il loro comunicato numero 9, passato alla storia per il gerundio della frase «concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato». A quel gerundio sono appigliate le poche residue speranze di salvare Moro. Le Br dicono praticamente che prendono atto che Dc e governo non hanno risposto alla richiesta di trattativa e che la disponibilità del Psi è «solo apparenza». In un post-scriptum, le Br annunciano anche che «le risultanze dell'interrogatorio» a Moro «verrà fornito al Movimento Rivoluzionario e alle O.C.C. attraverso gli strumenti di propaganda clandestini», cosa che non è mai accaduta e che sembra comunque contraddire, almeno parzialmente, le precedenti promesse che « tutto verrà reso noto al popolo e al movimento rivoluzionario». Il 'popolo' scompare, resta solo il 'movimento rivoluzionario'. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 11:47 - «Il dibattito alla Camera sul rapimento dell'on. Moro e l'assassinio della sua scorta si terrà giovedì 18 maggio. La data è stata fissata dal governo e l'ha resa nota stamani all'assemblea di Montecitorio il ministro dell'interno Cossiga». 15:57 - «Con una telefonata al 'Secolo XIX' è stato fatto trovare il 'comunicato numero 9' a firma Brigate rosse, che termina con questa frase:'Concludiamo la battaglia iniziata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato'». Il comunicato poi viene fatto trovare, come le altre volte, a Roma, Milano e Torino. 18:09 - «L'on. Pannella, commentando a Montecitorio con i giornalisti il contenuto dell'ultimo comunicato delle Br ha detto:'Fino all'ultimo momento ci auguriamo che si tratti di un falso. Altrimenti - l'abbiamo già detto - riteniamo responsabili politicamente e personalmente quanti hanno sequestrato al Parlamento il diritto-dovere di esercitare i poteri di indirizzo e di controllo'». 18:30 - «Nella sede della Dc in piazza del Gesù quando è giunta la notizia del nuovo comunicato delle Br c'erano soltanto il sen. Andreatta e il portavoce di Zaccagnini. È stato quest'ultimo ad avvertire il segretario democristiano». 18:48 - «'Tutta l'attenzione è concentrata sul gerundio': questo è l'unico commento che è stato fatto finora a piazza del Gesù. A farlo è stato il direttore del 'Popolo' Belci. 19:33 - »L'on. Piccoli ha fatto ai giornalisti la seguente dichiarazione:'Come prima osservazione dico che questo documento non ci appare completamente conclusivo. È inutile per il resto che io vi dica che il nostro pensiero va subito in questo momento alla famiglia Moro che è sottoposta d uno strazio indicibile'«. 20:11 - »'Che la mano di chi vuole uccidere Aldo Moro si fermi nell'istante supremo. Che regole che non sono le nostre la trattengano. Questa è la speranza di tutti noi: una preghiera sommessa del cuore di fronte a un misfatto orribile che la ragione sembra impotente ad impedire' così conclude l'editoriale dell'Avanti, attribuito al segretario del partito Craxi«. 20:16 - »Il repubblicano Mammì, presidente della commissione Interni della Camera, ha detto:'L'ennesimo documento Br dimostra che pretendere di poter intrattenere trattative o rapporti con dei criminali in preda a follia pseudorivoluzionaria è illusorio, sbagliato, dannoso. Bisogna mobilitare - ha aggiunto Mammì - tutte le energie per stanare e sgominare questi drogati della violenza'«. 20:45 - »L'on. Gava ha detto:' nel comunicato delle Br non ci sono elementi sufficienti per farlo ritenere conclusivo: quindi noi siamo in un clima di comprensibile angoscia, ma siamo ancora fiduciosi«. 20:52 - »'Sostengono di essere dei combattenti e di credere nella guerra contro lo Stato, ma i prigionieri di guerra non si uccidono. Chi lo fa è un criminale di guerra'. Lo ha dichiarato il segretario del Psi Craxi in un'intervista alla 'Gazzetta del popolo'. Parlando del carattere dell'iniziativa socialista, Craxi ha respinto la tesi che il Psi nelle ultime ore abbia fatto marcia indietro. 'Non solo non abbiamo fatto marcia indietro, ma è anzi la Dc che ha fatto un passo in avanti, formulando i termini di una proposta di massima che consiste nella promessa di atti di clemenza e generosità dello Stato a fronte di atti positivi delle Br, primo fra tutti quello della liberazione di Moro'«. 20:59 - »«Il sen. Fanfani si è intrattenuto con l'on. Zaccagnini per 50 minuti. Lasciando la sede di piazza del Gesù, Fanfani non ha fatto dichiarazioni limitandosi a dire:'ho già dichiarato quel che dovevo a casa dell'on. Moro. Non devo aggiungere altro'». 21:58 - «Il quotidiano 'Lotta Continua' di domani in un fondo dedicato alla vicenda dell'on. Moro scrive:» (...) Abbiamo disprezzo per l«efficienzà di cui le Br hanno fatto la loro unica ideologia, la loro unica proposta, e che è parte del sistema che vogliamo distruggere. Una 'efficienza' che non sa portare ad altro esito, che non sia quello di sparare alla testa di un uomo che da 52 giorni è nelle loro mani'». 23:43 - «Secondo quanto si è appreso, nella riunione della direzione della Dc, già prevista per martedì prossimo, sarà fissata probabilmente la data di convocazione del Consiglio nazionale».
02/05/2008 ANSA

MORO/30: 3 MAGGIO, SI PRECISA LA PROPOSTA SOCIALISTA/ ANSA PER MACALUSO, DIETRO LE BR C'È L'INTERESSE DI 'QUALCUNO'

  3 maggio 1978, dalla strage di via Fani sono passati ormai 7 settimane. Le Brigate rosse continuano a tacere, aspettando un 'segnalè dal mondo politico. I partiti però continuano a muoversi con i tempi della politica, troppo lenti per una situazione simile. La proposta socialista si precisa sempre di più, ma le reazioni continuano ad essere incerte e contradditorie. Macaluso (Pci), su Rinascita, ipotizza che dietro le Br ci sia qualcuno 'interessatò. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:46 - «Il segretario della Dc on. Zaccagnini si è incontrato stamane nella sede democristiana di piazza del Gesù con il segretario e il presidente di Democrazia Nazionale, on. De Marzio e on. Covelli». 12:50 - «La portata, la natura e la finalità della iniziativa socialista per la liberazione dell'on.Moro sono state illustrate dal segretario del Psi in una intervista a 'Epocà. 'La portata - ha detto Craxi - una iniziativa autonoma dello Stato, senza trattative con i terroristi e senza riconoscimenti di sorta, che abbia un fondamento umanitario e che si muova nell'ambito delle leggi e dei poteri costituzionali. La natura: un atto di clemenza, consentito dalla legge che non potrebbe in ogni caso riguardare chi si fosse macchiato direttamente o indirettamente di un delitto di sangue. La finalità: una finalità umanitaria diretta a indurre i rapitori dell'on. Moro a liberarlo». 13:29 - «'Rude Pravo', organo del Pc cecoslovacco, smentisce nuovamente oggi le affermazioni di certi giornali occidentali sull'aiuto che la Cecoslovacchia darebbe alle Brigate rosse. (...) L'organo del Pc cecoslovacco invita quindi il governo americano a cercare i colpevoli 'tra coloro i cui obiettivi politici possono essere favoriti da azioni quali il rapimento di Morò e mette in causa la Cia». 14:55 - «Nell'imminenza del dibattito parlamentare sulla vicenda Moro, martedì mattina della prossima settimana si riunirà la direzione della Dc. Lo ha detto ai giornalisti il presidente dei deputati democristiani Piccoli lasciando la sede del partito al termine della riunione della delegazione». 18:43 - «L'invito al Governo, rivolto dalla Dc, di approfondire il contenuto della soluzione umanitaria adombrata dal Psi avrà un seguito in una riunione del Comitato interministeriale per la sicurezza, che avrà luogo nei prossimi giorni. Lo afferma un comunicato della presidenza del Consiglio». 19:17 - «Nell'editoriale del settimanale Rinascita, con il titolo 'Una sfida decisiva', il sen. Emanuele Macaluso, della direzione del Pci, scrive che le forze eversive intendono portare avanti 'con determinazione implacabile' l'obiettivo che si sono prefisso e cioè di aprire all'interno della maggioranza, oltre che della Dc, non solo polemiche ma anche rotture che mettano a repentaglio gli attuali equilibri politici così faticosamente raggiunti. (...) 'Siamo convinti che molte forze nazionali e internazionali sono interessate a incoraggiare e, in un certo senso, anche a orientare l'attività criminale dei terroristì. Non è difficile fare un elenco di uomini potenti, da sempre intoccabili, che hanno manovrato le leve del potere, che oggi, imputati o no, circolano in Italia e all'estero e che certamente 'non si sono rassegnati al ruolo di pensionati e che inseguono pervicacemente una rivincita. Sono tutti personaggi - prosegue Macaluso - che avendo avuto per lunghi anni le mani in pasta nei gangli vitali dello Stato e assommando una quantità grande di poteri in tutti i campi, oggi possono utilizzare e muovere ancora uomini e cose da mettere al servizio dei disegni eversivi o comunque tendenti a far tornare indietro tutta la situazione». 19:27 - «Nell'ufficio del magistrato, Renzo Rossellini è rimasto per quasi tre ore ed ha dovuto rispondere a numerose contestazione. Secondo quanto si è appreso, il responsabile dell'emittente radiofonica 'Radio Città Futura' ha escluso che con le trasmissioni mandate in onda sia stata fatta opera di fiancheggiamento delle Brigate rosse, come si sostiene in alcuni rapporti della Digos». 20:29 - «Nicola Rana, Corrado Guerzoni e Sereno Freato, che sono fra i più stretti collaboratori dell'on. Moro, sono stati convocati in veste di testimoni dal dott. Guasco, sostituto procuratore generale che conduce da ieri l'inchiesta sulla strage di via Fani e sul rapimento dello statista. (...) Con ogni probabilità dovranno chiarire come sono giunte loro le lettere di Aldo Moro». 21:02 - «Craxi chiarisce (...) 'poi è venuta la lettera di Moro e noi ci siamo sforzati di interpretarne un passo che apre uno spiraglio. Moro fa esplicitamente riferimento al fatto che a fronte di una vita innocente 'altra personà vada dal carcere in esilio. È qui che bisogna scavare, esplorare, cercare in tutti i modi una soluzionè». 21:26 - «'Non vediamo - dichiara il quotidiano del Pci - come la via proposta dal compagno Craxi sia praticabile, se davvero si vuole operare nell'ambito delle leggi e non mascherare con etichette umanitarie una trattativa con gli eversori'». 23:37 - «Il ministro della Giustizia della Repubblica federale tedesca, Hans-Jochen Vogel, ha rivolto oggi un appello al governo italiano perchè non ceda alla richieste delle Brigate rosse nell'ambito del rapimento dell'on. Aldo Moro. Nel corso di una riunione del partito socialdemocratico, Vogel ha dichiarato che 'se un Paese europeo cedesse ora ai ricatti dei terroristi accadrebbe una catastrofe pari a quella del crollo di una diga'».
30/04/2008 ANSA

MORO/30: 1 MAGGIO, GIORNATA DI ATTESA/ ANSA VOCI DI UNA TELEFONATA DELLE BR ALLA FAMIGLIA MORO

  1 maggio 1978, 47° giorno dall'inizio del rapimento Moro. La Festa dei lavoratori trascorre senza novità di rilievo, tra voci e incontri. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 1:35 - «Nella tarda notte si è sparsa la voce di un possibile contatto telefonico che ci sarebbe stato nel pomeriggio di ieri tra una persona molto vicina all'on. Moro e le Brigate rosse. Nessuna conferma ha avuto questa voce, secondo la quale sarebbe stato posto un ultimatum preciso, in attesa di una risposta chiara alle richieste avanzate dalle Brigate rosse». 1:53 - «Il quotidiano 'Il Tempo' afferma che le Brigate rosse hanno dato un ultimatum:'La Dc ha poche ore per assumere in proprio la trattativa e dichiararlo con un apposito comunicato. Altrimenti la sentenza sarà eseguita'. Il quotidiano romano afferma inoltre che l'ultimatum è stato fatto da una 'portavoce' delle Brigate rosse; la donna avrebbe telefonato, da una cabina situata nella zona della stazione Termini, al figlio di Moro, Giovanni, nelle prime ore del pomeriggio di ieri. »Sempre secondo 'Il Tempo', la breve telefonata è stata giudicata autentica dai familiari di Moro sia per il contenuto sia per le modalità«. 17:37 - »Zaccagnini ha avuto in mattinata un lungo incontro con il segretario del Psi Craxi«. 17:38 - »Il presidente del Consiglio Andreotti ha avuto stamani a palazzo Chigi un incontro con il segretario del Pci Berlinguer. L'incontro è durato 45 minuti«. 18:12 - »Il segretario del Partito socialista Bettino Craxi ha avuto un colloquio con il dottor Sereno Freato, uno dei più stretti collaboratori dell'on. Aldo Moro. L'incontro è durato più di un'ora. (...) Com'è noto il dottor Freato è una delle persone più vicine alla famiglia Moro«. 18:29 - »Risulta confermato che nel pomeriggio di ieri, verso le 16,30, in casa Moro è giunta una telefonata delle Brigate rosse, che è stata ricevuta da un familiare (non è stata invece confermata la voce circolata ieri secondo cui la telefonata sarebbe stata ricevuta dal figlio Giovanni). L'anonimo interlocutore, la cui qualità di brigatista non è apparsa dubbia, ha affermato che se entro tre ore da quel momento non fosse accaduto qualcosa di 'esterno', le Brigate rosse avrebbero dovuto 'dar corso all'esecuzione'. L'appello alla Dc diramato dalla famiglia Moro ieri alle 19,30 potrebbe essere dunque il fatto 'esterno' preteso dai brigatisti«. 19:06 - »Il finanziere e parlamentare israeliano Flatto Sharon ha offerto oggi alle Brigate rosse la somma di dieci milioni di dollari per salvare la vita di Aldo Moro, raddoppiando così l'ammontare messo a disposizione la settimana scorsa«. 18:59 - »È cominciata alle 18,30 nella sede di piazza del Gesù la riunione della delegazione della Dc, presente il presidente del Consiglio Andreotti. La riunione era stata convocata ieri per le 18 per fare il punto della situazione in merito alla vicenda Moro e anche in vista della convocazione della Direzione«. 19:20 - »Prima della riunione della delegazione Dc si è svolto, nella sede del gruppo Dc della Camera, un incontro tra l'on. Zaccagnini e l'on. Berlinguer. Assieme a Zaccagnini erano il capogruppo Dc alla Camera Piccoli e il vicesegretario del partito Galloni; con Berlinguer era il sen. Chiaromonte. L'incontro è durato oltre un'ora«. 20:20 - »La riunione della delegazione Dc con Andreotti è finita alle 20. Al termine l'on. Bodrato ha confermato ai giornalisti che il segretario Dc Zaccagnini ha parlato oggi con il segretario del Psi Craxi e quello del Pci Berlinguer. Ha aggiunto che domani Zaccagnini si incontrerà con il segretario del Pri Biasini e quello del Psdi Romita. Dopo di che - ha ancora detto Bodrato - si deciderà la data di convocazione della direzione del partito«
30/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: COSSIGA, CREDO CHE DURANTE IL RAPIMENTO INCONTRÒ IL SUO CONFESSORE = A 'PANORAMA', DON MENNINI CI SCAPPÒ

  Nel caso Moro «centrale è il ruolo del Vaticano». Lo afferma il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, all'epoca ministro dell'Interno, che ha visto in anteprima con «Panorama» «Aldo Moro. Il presidente» ed i cui commenti sulla fiction (in onda su Canale 5 il 9 e 11 maggio) e particolari inediti sulla vicenda sono riportati sul numero del settimanale in edicola da domani. «Ma anche intorno a questo passaggio cruciale bisogna aggiungere un nuovo pezzo di verità -dice Cossiga- ho sempre creduto che don Antonello Mennini, allora suo confessore, attualmente Nunzio Apostolico in Russia, abbia incontrato Moro prigioniero delle Br per raccogliere la sua confessione prima dell'esecuzione dopo la condanna a morte.» «Come ministro dell'Interno allora mi sentii giocato. Mennini ci scappò. Seguendolo avremmo potuto trovare Moro. Ma ancora oggi il Vaticano è riuscito a fare in modo che Mennini non potesse essere interrogato mai da Polizia e Carabinieri», aggiunge Cossiga tornando poi sul tema del fronte della fermezza per affermare che «durante i 55 giorni (del rapimento, ndr) siamo stati a un passo dalla rottura con il Pci». «La politica della fermezza voluta dal governo di unità nazionale concedeva alla famiglia Moro la piena libertà di trattareper la liberazione, ma mai direttamente con le Br -ricorda Cossiga- Attraverso la Caritas, La Croce Rossa, Amnesty International oppure il Vaticano, l'Onu... Ma a un certo punto venne da me Enrico Berlinguer, insieme a Ugo Pecchioli, il suo ministro degli interni, per dirmi: 'Adesso basta, abbiamo detto che non si tratta e non si tratta'».
«In confidenza, poi, Pecchioli si preoccupò di informarmi che che se si fosse trattato di pagare molti soldi sarebbe stato meglio non dirlo prima, così il Pci avrebbe potuto protestare senza però arrivare alla rottura politica. Tutto questo nel film non c'è». Prosegue Cossiga che da poi il proprio giudizio sugli interpreti della fiction di Canale 5. Guardando lo sceneggiato televisivo Cossiga è rimasto colpito soprattutto dall'interpretazione che Michele Placido fa dello statista ucciso dalle Br: «Placido fissa per sempre nell'immaginario televisivo un Moro indelebile», commenta il presidente emerito della Repubblica, aggiungendo «ma devo dire che il più verosimile di tutti mi è sembrato Benigno Zaccagnini. Uguale!».
30/04/2008 ANSA

MORO/30: LA TELEFONATA DELLE BRIGATE ROSSE A CASA MORO

  Il 30 aprile 1978 la famiglia Moro, in particolare una delle figlie, riceve una telefonata dal capo delle Brigate rosse, Mario Moretti, che chiamava da una cabina telefonica vicino alla stazione Termini. Moretti dice di aver fatto la telefonata solo per scrupolo, perchè Aldo Moro insisteva. Il succo del suo messaggio è che è necessaria una mossa della Dc e un «intervento diretto, immediato e chiarificatore» di Zaccagnini. Ecco il testo della telefonata: «Senta, io sono uno di quelli che ha qualcosa a che fare con suo padre. Devo farle un'ultima comunicazione. Noi facciamo questa telefonata per puro scrupolo, perchè suo padre insiste nel dire che siete stati un pò ingannati e probabilmente state ragionando su un equivoco. Finora avete fatto tutte cose che non servono assolutamente a niente. Noi crediamo invece che ormai i giochi siano fatti e abbiamo già preso una decisione. Nelle prossime ore non potremo far altro che eseguire ciò che abbiamo detto nel comunicato n. 8. Quindi crediamo solo questo, che sia possibile un intervento di Zaccagnini, immediato, e chiarificatore in questo senso; se ciò non avviene, rendetevi conto che noi non potremo far altro che questo. Mi capisce? Mi ha capito esattamente?» «Sì, l'ho capita benissimo» «Ecco, e quindi è possibile solo questo; lo abbiamo fatto semplicemente per scrupolo, nel senso che, sa, una condanna a morte non è una cosa che si possa prendere così alla leggera neanche da parte nostra. Noi siamo disposti a sopportare le responsabilità che ci competono e vorremo appunto... siccome la gente crede che non siete intervenuti direttamente perchè mal consigliati... » «Ma noi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto fare, che ci lasciano fare, perchè ci tengono proprio prigionieri...» «No, il problema è politico, quindi a questo punto deve intervenire la Democrazia cristiana. Abbiamo insistito moltissimo su questo, perchè è l'unica maniera per arrivare eventualmente a una trattativa. Se questo non avviene, mi ascolti... guardi, non posso discutere, non sono autorizzato a farlo, devo semplicemente farle questa comunicazione. Solo un intervento diretto, immediato e chiarificatore, preciso, di Zaccagnini, può modificare la situazione; noi abbiamo già preso la decisione, nelle prossime ore accadrà l'inevitabile, non possiamo fare altrimenti. Non ho nient'altro da dirle».
30/04/2008 ANSA

MORO/30: 2 MAGGIO, ANCORA INCONTRI, MA LA DC NON DECIDE

  2 maggio 1978, Aldo Moro è da 48 giorni nelle mani dei suoi rapitori. Zaccagnini continua gli incontri, ma la Dc non sembra ancora pronta a prendere decisioni che sembrano sempre più urgenti. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 11:01 - «Il presidente del Consiglio, on. Andreotti, si è incontrato stamani a palazzo Chigi con il segretario del Psi, on. Craxi, col quale ha avuto un colloquio di circa un'ora». 11:44 - «Sull'incontro tra il presidente del Consiglio e l'on. Craxi, l'ufficio stampa del Psi ha diffuso il seguente comunicato:'(...). Nel corso del colloquio il segretario socialista ha confermato l'appoggio del Psi al Governo ed ha ribadito la convinzione che sia necessaria una iniziativa autonoma dello Stato, nell'ambito delle leggi e dei poteri costituzionali, volta a conseguire il fine umanitario sul quale concordano tutte le principali forze politiche'». 12:55 - «Il segretario della Dc, Zaccagnini, ha avuto stamani un colloquio telefonico con il segretario del Psdi, Romita, che si trova fuori Roma». 12:57 - «I carabinieri e la guardia di finanza hanno fermato stamani all'Eur, nel corso di un'operazione diretta dal dott. Luciano Infelisi, Libero Maesano, sospettato di appartenere alla colonna romana delle Brigate rosse e denunciato nei giorni scorsi dalla Digos. Maesano risulta essere legato a Valerio Morucci, uno dei brigatisti colpiti nei giorni scorsi dall'ordine di cattura emesso dalla Procura della Repubblica nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento di Moro». 13:03 - «Dopo l'incontro con il presidente del Consiglio on. Andreotti, Craxi si è incontrato, nella sede del gruppo parlamentare socialista a Montecitorio, con il segretario del Pci, on. Berlinguer, che era accompagnato dal capogruppo dei senatori comunisti, Perna. (...) Il sen. Perna ha chiarito la posizione comunista, già espressa nell'intervista al Gr1, dicendo:'Non ci rifiutiamo di appoggiare qualunque tentativo umanitario che sia rispettoso della sovranità dello Stato, dei principii del regime democratico e delle leggi». 14:01 - «Il più stretto riserbo sugli ultimi sviluppi della vicenda Moro e in particolare sulle presunte lettere che il presidente della Dc avrebbe inviato al Papa viene mantenuto dalle fonti responsabili della Santa Sede». 18:04 - «Il sostituto procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano, dott. Mario Daniele, ha proposto oggi, a titolo personale, che siano condonate le pene detentive fino a un massimo di due anni, in cambio della liberazione di Aldo Moro e dell'impegno delle Brigate rosse a rispettare la pace sociale per almeno sei mesi. 'In tal modo - ha detto il magistrato - il governo non tratterebbe e se i terroristi rifiutassero l'accoglimento di questa proposta si troverebbero ostili tutti gli altri detenutì». 20:42 - «Lo stesso Aldo Moro, nella sua ultima lettera, ha dato le migliori indicazioni per salvargli la vita. Lo ha detto l'avv. Giannino Guiso, legale di alcuni brigatisti in una intervista concessa a Umberto Giovine e pubblicata domani sul 'Lavorò di Genova. Secondo Guiso (il quale si riferisce all'ultima lettera di Moro fatta arrivare al Messaggero) l'oggetto della trattativa, secondo il messaggio di Moro, si può interpretare tenendo presenti due punti: 1) che l'oggetto della trattativa deve essere la liberazione di prigionieri in cambio di un altro prigioniero; 2) (questo è il punto mobile della trattativa ed è aperto) A mio avviso chi è interessato a trattare può proporre quali e quanti detenuti liberare. Il numero perciò potrebbe anche non essere decisivo. Moro non accenna invece a soluzioni alternative, per esempio a modifiche dell'attuale regime carcerario. (...) A questo punto - secondo il legale - non si tratta 'di impedire il successo delle Brigate rosse come alcuni strumentalmente vanno dicendo. Il problema pressante è invece di salvare il salvabile, pagando il minimo scotto. Questo salvabile è la vita di un uomo'». 23:07 - «Una delle armi trovate e sequestrate nel covo di via Gradoli, una pistola Beretta cal. 7,65, risulta essere stata acquistata da Giuseppe Lite, di 29 anni, di Scafati. Lite, come è risultato, l'avrebbe poi venduta a Pompei a tale Errico Schettini, di 26 anni, comunicando il fatto ai carabinieri. Schettini è stato soldato a Roma ed è ora da un mese in carcere a Salerno per un tentativo di estorsione, I carabinieri hanno interrogato lo Schettini: avrebbe dichiarato di essersi disfatto della pistola prima di essere arrestato gettandola da un'autovettura in corsa a Torre del Greco». 23:40 - «È tuttora in corso, nella sede della Dc di piazza del Gesù, la riunione della delegazione democristiana con quella socialista. Zaccagnini e Craxi, insieme agli altri esponenti dei due partiti, stanno discutendo da circa quattro ore (la riunione ha avuto inizio alle 19,40). Non si prevede quanto possano ancora durare i colloqui».
30/04/2008 ANSA

MORO/30: COSSIGA, MENNINI DOPO 'CONDANNA' A MORTE LO CONFESSÒ

  Dopo la 'condanna' e prima dell'uccisione, l'allora Don Antonello Mennini entrò nella cella in cui le Br rinchiudevano Aldo Moro. A collocare cronologicamente la vicenda, su cui è già tornato più volte, è Francesco Cossiga che ha visto in anteprima, con «Panorama» (la cronaca sul numero in edicola domani, primo maggio), Aldo Moro, Il presidente, che andrà in onda su Canale 5 il 9 e l'11 di questo mese.«Centrale è il ruolo del Vaticano» ricorda Cossiga. «Ma anche intorno a questo passaggio cruciale bisogna aggiungere un nuovo pezzo di verità: ho sempre creduto che don Antonello, allora suo confessore attualmente nunzio apostolico in Russia, abbia incontrato Moro prigioniero delle Br per raccogliere la sua confessione prima dell'esecuzione dopo la condanna a morte. Come ministro dell'Interno allora mi sentii giocato. Mennini ci scappò. Seguendolo avremmo potuto trovare Moro. Ma ancora oggi il Vaticano è riuscito a fare in modo che Mennini non potesse essere interrogato mai da polizia e carabinieri». Nell'intervista a Panorama, Cossiga svela anche un'altra verità, questa volta politica: «Durante i 5 giorni siamo stati a un passo dalla rottura con il Pci. La politica della fermezza voluta dal governo di unità nazionale concedeva alla famiglia di Moro la piena libertà di trattare per la liberazione, ma mai direttamente con le Br. Attraverso la Caritas, la Croce rossa, Amnesty international oppure il Vaticano, l'Onu... Ma un certo punto venne da me Enrico Berlinguer, insieme a Ugo Pecchioli, il suo ministro degli Interni, per dirmi: 'Adesso basta, abbiamo detto che non si tratta e non si tratta'. In confidenza, poi, Pecchioli si preoccupò di informarmi che se si fosse trattato di pagare molti soldi sarebbe stato meglio non dirlo prima, così il Pci avrebbe potuto protestare senza però arrivare alla rottura politica. Tutto questo nel film non c'è». Guardando lo sceneggiato televisivo, il presidente emerito della Repubblica è rimasto colpito soprattutto dall'interpretazione che Michele Placido fa dello statista ucciso dalle Br. «Placido fissa per sempre nell'immaginario televisivo un Moro indelebile» commenta. «Ma devo dire che il più verosimile di tutti mi è sembrato Benigno Zaccagnini. Uguale!»
29/04/2008 ANSA

MORO/30: 30 APRILE, LA GIORNATA DELLE LETTERE/ ANSA CONSEGNATE IL GIORNO PRIMA, ESCONO FUORI UN PÒ ALLA VOLTA

  30 aprile 1978, 46° giorno del rapimento Moro. È il giorno delle lettere. I postini delle Br hanno quasi sicuramente fatto ricevere alla famiglia Moro, nel pomeriggio del 29 aprile, le lettere del loro ostaggio per il presidente Leone, i presidenti di Senato e Camera (Fanfani e Ingrao), il presidente del Consiglio Andreotti, Craxi, Piccoli, Misasi, Pennacchini, Dell'Andro e a Tullio Ancora (che era stato spesso intermediario tra Moro e il Pci). Il pacco di lettere è stato probabilmente smistato poi ai destinatari da parte dei collaboratori di Moro. Circola anche la voce di una telefonata delle Br alla famiglia del presidente Dc. Comunque la famiglia Moro interviene nella vicenda con un pressante appello rivolto alla Dc. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:45 - «Si è appreso che il presidente del Consiglio nazionale della Dc, Aldo Moro, ha scritto due lettere al presidente del Senato Amintore Fanfani e al presidente della Camera Pietro Ingrao. Le lettere sono state fatte recapitare a Fanfani e Ingrao nel tardo pomeriggio di ieri. Sul loro contenuto non sono trapelate indiscrezioni». 13:28 - «Una lettera dell'on. Aldo Moro è giunta al segretario del Psi on. Bettino Craxi nella giornata di ieri. (...) Nella lettera Moro ringrazia Craxi, e per esso il Partito socialista, delle iniziative che sta prendendo, ma nello stesso tempo invita ad agire con sollecitudine. Anche la lettera a Craxi - come quelle dirette a Fanfani e Ingrao - è stata fatta recapitare nel tardo pomeriggio di ieri in circostanze che ancora non sono state precisate». 14:01 - «Una lettera dell'on. Aldo Moro è giunta anche al presidente della Repubblica, Leone». 14:17 - «Il segretario generale del Psi, che si trova a Madrid (...) ha confermato all'ANSA di aver ricevuto una lettera autografa di Moro. Craxi non ha voluto rivelare per ora il contenuto della lettera». 17:06 - «Una lettera dell'on. Moro è stata indirizzata anche al deputato democristiano Riccardo Misasi, presidente della commissione giustizia della Camera. (...) L'on. Misasi ha anche detto di aver ricevuto ieri sera la lettera e di averla subito data al ministro dell'Interno. (...) Rispondendo ad un'altra domanda, l'on. Misasi ha detto di ritenere che sia stata la famiglia Moro a fargli recapitare la lettera». 19:46 - «La famiglia Moro ha diffuso stasera il seguente documento:'La famiglia di Aldo Moro, dopo tanti giorni di attesa angosciosa, rivolge un pressante appello alla Dc affinchè essa assuma con coraggio le proprie responsabilità per la liberazione del suo presidente. La famiglia ritiene che l'atteggiamento della Dc sia del tutto insufficiente a salvare la vita di Aldo Moro. Sappia la delegazione democristiana, sappiano gli onorevoli Zaccagnini, Piccoli, Bartolomei, Galloni e Gaspari che con il loro comportamento di immobilità e di rifiuto di ogni iniziativa proveniente da diverse parti ratificano la condanna a morte di Aldo Moro. Se questi cinque uomini non vogliono assumersi la responsabilità di dichiararsi disponibili alla trattativa, convochino almeno il Consiglio nazionale della Dc, come formalmente richiesto dal suo presidente». 23:24 - «La voce di una seconda presunta lettera di Moro al Papa, diffusa stasera da una fonte estera e riferita peraltro a circostanze e tempi imprecisati, non trova alcun riscontro di fatto in Vaticano».
28/04/2008 ANSA

MORO/30: DA PAVIA COPIA 'REPUBBLICA' IN MANO A PRESIDENTE DC A PAVIA UN COVO SCOPERTO COME VIA GRADOLI, PER PERDITA D'ACQUA

  È uno dei tanti aspetti irrisolti del caso Moro. La copia del quotidiano romano che Moro aveva in mano nella seconda foto che gli scattarono le Br, quella che serviva a smentire l'ipotesi della morte del presidente della Dc annunciata dal falso comunicato del lago della Duchessa del 18 di aprile, proveniva da uno degli abbonati della provincia di Pavia. Una questione curiosa, mai approfondita del tutto. Come fece quella copia del quotidiano a finire in mano a Moro che era rinchiuso nella «prigione del popolo» in via Montalcini, a Roma? Sereno Freato, segretario particolare di Moro, ha raccontato che qualche giorno dopo il 18 di aprile lo chiamò Carlo Caracciolo de 'La Repubblica' e gli disse che in base ad una indagine della redazione milanese era stata individuata la copia del giornale che Moro aveva in mano nella ormai storica e lugubre foto. Si era riusciti a stringere il cerchio e a risalire al luogo in cui era stata venduta quella copia. «Si trattava di un giornale venduto in abbonamento: una delle 5.400 copie vendute in abbonamento a Pavia. Si sarebbe potuto aprire un grande squarcio sul sequestro, non se ne fece nulla», ha spiegato Freato. La questione è stata confermata da Giuseppe Sangiorgi che all'epoca era un cronista del quotidiano della Dc 'Il Popolo'. «Quando le Br diffusero la fotografia di Moro, abbiamo saputo che si trattava di un'edizione che aveva alcune righe di sommario; alcuni di noi si accorsero che la parola finale di una di queste righe non coincideva con l'edizione romana del quotidiano. Allora fu fatta un'indagine abbastanza nascosta, grazie anche alla redazione di La Repubblica per capire quale edizione fosse quella giusta, in quale parte d'Italia fosse andata quell'edizione, per poter aiutare la polizia nelle sue indagini ad individuare l'eventuale covo dei brigatisti, e quindi la prigione di Moro». La cosa però si perse per strada e di quella copia de La repubblica in mano a Moro nessuno ha più parlato nei cinque processi che si sono svolti. Pavia compare altre volte, nelle cronache del terrorismo. Il capo delle Brigate rosse del dopo-Curcio, Mario Moretti, leader del rapimento Moro, fu arrestato a Milano, ma le prime notizie diffuse parlavano di un arresto avvenuto tra Pavia e Milano. Inoltre a Pavia c'era un covo di terroristi, scoperto nel 1975 grazie ad una infiltrazione di acqua che costrinse gli inquilini del piano di sotto a chiamare i pompieri. Proprio come in via Gradoli. In quel caso, al contrario di quello che successe a via Gradoli, le forze dell'ordine si appostarono e riuscirono a catturare uno dei terroristi, Fabrizio Pelli, al suo ritorno a casa. Anche in quel caso però sfuggì alla cattura il pesce più grosso, che secondo alcune fonti era proprio Mario Moretti, secondo altre Corrado Alunni.
28/04/2008 ANSA

MORO/30: 29 APRILE, DRAMMATICA LETTERA DI MORO ALLA DC/ DISPERATO, MA LUCIDO, SI AGGRAPPA ALLA INIZIATIVA DI CRAXI

  29 aprile 1978, 45° giorno del rapimento Moro. Una lunga lettera di Moro alla Dc è consegnata al giornalista Fabio Isman, del Messaggero. La lettera, scritta probabilmente il 26 aprile (c'è un accenno alla lettera della famiglia pubblicata sul Giorno il giorno prima) è una durissima accusa alla Dc, che «avalla sostanzialmente la mia condanna a morte». Moro chiede di riunire il Consiglio nazionale del partito, delegando (non si è mai capito perchè) Misasi a presiederlo. Il presidente della Dc si appiglia anche alla speranza della posizione socialista:«Guai, caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse». La frase «questa posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle Brigate rosse (ed è prevedibile che ce ne siano)» dà l'impressione che Moro pensi di non essere il solo ostaggio delle Br. Nella parte finale della lettera Moro ripete di non volere intorno a sè, in caso di una sua morte, gli uomini del potere e aggiunge:«Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. ma nessun responsabile si nasconda dietro l'adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto». Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 01:58 - «Improvvisa visita di Corrado Guerzoni e Nicola Rana, questa notte, a casa della famiglia dell'on. Aldo Moro. (...) A proposito delle voci diffusesi in serata a Roma su altre recenti lettere che l'on. Moro avrebbe inviato alla famiglia - si è parlato in particolare di due bigliettini indirizzati alle due figlie Anna e Maria Fida - il dott. Guerzoni ha detto di 'non saperne assolutamente nulla'». 09:39 - «La notizia, diffusa dai giornali radio del mattino, di un altro presunto messaggio dell'on. Aldo Moro ha fatto ripetere la ormai abituale e preoccupata attesa della gente davanti alla sede della Dc in piazza del Gesù». 09:43 - Fabio Isman, giornalista del Messaggero, riceve una lettera di Moro alla Democrazia Cristiana. Isman sostiene di averla trovata nella sua auto. «Il giornalista Isman ha informato direttamente il magistrato del ritrovamento della lettera di Aldo Moro». 13:43 - L'inchiesta sul rapimento di Aldo Moro e l'uccisione della sua scorta passa alla Procura Generale della Repubblica. «'La necessità di consegnare gli atti alla Procura generale - ha detto il dott. De Matteo - si è fatta più urgente col passare dei giorni, quando ci siamo resi conto che le indagini erano destinate ad allargarsi oltre il circondario del Tribunale di Roma e addirittura fuori del distretto della Corte d'appello'». 13:57 - «Il procuratore della Repubblica, a proposito dell'ultima lettera dell'on. Moro, ha detto di aver interrogato la notte scorsa il giornalista Fabio Isman del Messaggero il quale, con una telefonata anonima, era stato informato che nella sua auto era stata lasciata una lettera autografa di Aldo Moro. De Matteo ha rimarcato che in questa occasione i brigatisti rossi non hanno seguito il consueto sistema, lasciando il messaggio in una cabina telefonica o in un cestino di rifiuti. Inoltre stavolta la lettera, di ben dieci pagine, non era rinchiusa nella solita busta gialla, ma i vari fogli, senza alcuna custodia, erano stati gettati attraverso un finestrino nell'auto del giornalista». 16:55 - «L'organizzazione terroristica, secondo il convincimento degli investigatori, potrebbe costituire il braccio armato di gruppi meno esposti ed inoltre avrebbe agganci con organizzazioni straniere, come l'ala più oltanzista del movimento palestinese». 19:43 - «'Quando le Brigate rosse hanno avanzato una richiesta assurda e inaccettabile, abbiamo subito convenuto che uno Stato che si fosse piegato avrebbe perso ogni credibilità e forse anche legittimita'. Questa considerazione tuttavia non escluse l'assunzione di iniziative volte a salvare il presidente della Dc. L'alternativa a questo è la sua morte certa. Tali iniziative sono imposte da principi ancor più alti e solenni di quelli che hanno vietato di accedere alla proposta avanzata dalle Brigate rossè. Lo afferma il segretario del Psi in un'intervista al 'Giorno' .
27/04/2008 ANSA

MORO/30: 28 APRILE, ACCUSE USA ALLA CECOSLOVACCHIA/ IL 'GIORNALE NUOVO' PUBBLICA UN'INTERVISTA AL BR FERITO PIANCONE

  28 aprile 1978, sono ormai 44 i giorni passati dalla strage di via Fani. È una giornata senza novità. Dagli Usa partono insinuazioni sul possibile coinvolgimento della Cecoslovacchia. Polemiche per un'intervista a Cristoforo Piancone, il brigatista ferito ricoverato a Torino, che parla dei piani e dell'organizzazione interna delle Br. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 13:33 - «La Questura di Torino ha smentito stamani che possa essere stata fatta un'intervista esclusiva a Cristoforo Piancone, il brigatista rosso ricoverato in ospedale e piantonato 24 ore su 24 nell'ospedale Molinette. (...) Nell'intervista fatta da Franco Capone, collaboratore da Alessandria del 'Giornale nuovo' (le dichiarazioni di Piancone sono comparse sul quotidiano milanese e sul 'Tempo' di Roma) il brigatista avrebbe fatto clamorose dichiarazioni circa le intenzioni delle Brigate rosse e la loro struttura interna». 14:20 - «Nell'intervista si afferma tra l'altro che 'il giorno successivo al rapimento dell'on. Moro doveva scattare un piano eversivo di portata tale da mettere in ginocchio il paese, ma le 'menti politiche' che guidano le Br non hanno giudicato opportuno il momento e hanno impartito il 'contrordine compagni'». 14:32 - «Nella mattinata lo stesso giornalista Franco Capone ha fatto capire in un'intervista al Gr1 di non aver parlato direttamente con il brigatista, ma ha messo in rilievo che 'dove Piancone è ricoverato lavorano duemila persone'». 19:22 - «'Tutti sono d'accordo che non bisogna cedere alle Brigate rosse, ma tutti anche vogliono salvare Moro. Perciò è necessario trovare un contatto e una strada umanitaria che però sia praticabile'. Lo ha affermato Giancarlo Quaranta, uno dei fondatori del movimento 'febbraio 74' che oggi ha fatto visita per oltre due ore alla signora Moro». 19:56 - «Il New York Times riferisce oggi che il governo americano, su richiesta del governo italiano, sta collaborando ad un'indagine mirante a stabilire se vi siano connessioni tra le Brigate rosse ed organizzazioni dei paesi dell'alleanza di Varsavia, in particolare cecoslovacche». 20:30 - «Secondo fonti del Congresso citate dal New York Times, Renato Curcio, il leader storico delle Brigate rosse, sarebbe stato addestrato a Karlovy Vary».
26/04/2008 ANSA

MORO/30: 27 APRILE, PRO E CONTRO LA LINEA SOCIALISTA

  27 aprile 1978, 43° giorno dall'inizio del rapimento Moro. Si discute della proposta socialista di una iniziativa 'autonoma' (non formalizzata, ma che sembra ruotare intorno alla liberazione 'umanitaria' di tre terroristi malati). Quasi tutte negative le reazioni da parte del fronte della 'fermezza'. Qualcuno ipotizza invece che Fanfani stia cercando di differenziare la sua posizione. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 2:14 - «'Molte le voci sul contenuto delle proposte o dei consigli dati dal segretario del Psi. Si è parlato - scrive l'Unità - di due proposte socialiste, che Signorile sarebbe stato incaricato di illustrare in un'intervista a un giornale. La contropartita da offrire alle Br dovrebbe consistere nella concessione della grazia a tre terroristi detenuti (una donna e due uomini), per i quali potrebbero essere invocate circostanze umanitarie, e della modifica delle misure di vigilanza all'esterno delle carcere definite di 'massima segretezza'». 14:01 - «Bonn - Secondo il ministro federale degli Interni Wernwr Maihofer non vi è 'nessuna prova della partecipazione di terroristi tedeschi al rapimento di Moo'». 13:39 - «'Lotta Continua è un'organizzazione estremistica molto equivoca, dalla doppia anima, perchè da un lato critica i violenti, cerca di dissociarsi, sempre però ponendo i terroristi nell'ambito del 'mondo rivoluzionario'; dall'altra ha anche in sè quelli che parteggiano in modo esplicito, con i violenti. Da un lato firmano appelli per la vita a Moro, ma è palese in questa loro iniziativa un intendimento eversivo'. Lo ha affermato, in un'intervista a Epoca, il sen. Ugo Pecchioli, responsabile della sezione per i problemi dello Stato della Direzione del Pci». 15:40 - «In relazione alle notizie di presunti collegamenti tra Brigate rosse e forze della resistenza palestinese, l'ufficio dell'Olp in Italia in un comunicato afferma che 'l'organizzazione per la liberazione della Palestina ha sempre condannato il terrorismo da qualsiasi parte provenga'. 'È scorretto - continua il comunicato identificare il popolo palestinese con piccole frange terroristiche, così come lo sarebbe identificare tutto il popolo italiano con le Br»'. 17:09 - «'Alla linea scelta dal Psi non c'è che da rispondere assai brevemente, con l'osservazione che essa rappresenta il più deplorevole cedimento alle Brigate rosse. La risposta al Psi non può dunque che essere un secco no'. Lo afferma 'La Voce Repubblicana' di domani, in un editoriale ispirato dalla presidenza e dalla segreteria del Pri». 19:28 - «Trentuno intellettuali hanno sottoscritto il seguente manifesto per la difesa dello Stato democratico:'Nel grave momento che il Paese attraversa si registrano con allarme prese di posizione di uomini politici, di intellettuali, di professionisti, che rivelano una inammissibile incertezza su questioni vitali per la sopravvivenza e l'avvenire della democrazia italiana. (...) Solo uno Stato che non venga meno ai suoi principi e ai suoi liberi ordinamenti è in condizione di assicurare in modo efficace le basi prime della convivenza civile e sociale, contro gli spettri della guerra civile che è evocata dai terroristi e che viene di fatto avallata da ogni irresponsabile cedimento'». Il manifesto è firmato, tra gli altri, da Girelamo Arnaldi, Umberto Cerroni, Lucio Colletti, Vezio Crisafulli, Renzo De Felice, Giuseppe Galasso, Luigi Nono, Rosario Romeo, Fabio Roversi Monaco, Leo Valiani, Rosario Villari, Franco Venturi. 20:39 - «L'Avanti di domani pubblica un articolo di risposta alla Voce Repubblicana nel quale è scritto che il Pri 'si è distinto per due proposte: la reintroduzione della pena di morte nell'ordinamento italiano e un rifiuto dell'appello umanitario del segretario dell'Onu Waldheim che, per inciviltà, ha precedenti solo nei comportamenti del Cile di Pinochet, della Cecoslovacchia di Husak e dell'Uganda di Amin Dada. Incapace di distinguere tra trattativa e cedimento - continua l'articolo dell'Avanti - tra fermezza e stare fermi, il Pri non sa o non vuole suggerire nulla che nell'ambito delle leggi possa trattenere la mano degli assassini'». 20:40 - «Le illazioni secondo le quali il presidente del Senato Fanfani avrebbe oggi esaminato col segretario politico della Dc Zaccagnini le proposte per la liberazione dell'on. Moro attribuite all'on. Craxi non trovano conferma negli ambienti vicini al presidente Fanfani». 21:12 - «Per l'Unità è difficile, allo stato attuale, esprimere un 'preciso apprezzamento sulle proposte socialiste di cui si è molto parlato perchè in realtà non siamo a conoscenza di proposte esattamente definite e motivate. La prima esigenza che poniamo è dunque di uscire dal vago perchè l'indeterminatezza consente e incoraggia strumentalizzazioni e forzature e, dunque, può recare solo danno'». 21:35 - «'Chi ha detto che io chiedo la grazia per tre terroristi? È Falso. Io non ho fatto nessuna proposta specifica. La linea della direzione, decisa all'unanimità, è chiara: no al cedimento al ricatto dei terroristi e no al rifiuto pregiudiziale di ogni iniziativa per salvare Moro'. Lo afferma il segretario del Psi, on. Bettino Craxi, in una intervista alla Repubblica di domani».
25/04/2008 ANSA

MORO/30: 26 APRILE, FERITO A ROMA GIROLAMO MECHELLI/ IL PSI CONTINUA SULLA LINEA DEL GESTO 'UMANITARIO'

  26 aprile 1978, sono ormai sei settimane dal rapimento di Moro e dalla strage di via Fani. A Roma, le Br tornano in azione con il ferimento di Girolamo Mechelli, Dc ed ex presidente della giunta regionale del Lazio. Due mesi prima Mechelli era stato assolto dall'accusa di presunte infiltrazioni mafiose nella Regione Lazio. Il nome di Mechelli era (secondo un articolo pubblicato dal Corriere della sera l'8 maggio, smentito però dalla Digos) in una lista trovata in via Gradoli e mai resa nota. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 8:50 - «Un attentato è stato compiuto poco dopo le 8,30 in circonvallazione Nomentana 180. Secondo le prime notizie giunte sarebbe stato ferito da alcuni colpi di pistola un ex presidente della Regione Lazio». 8:59 - «Il ferito è l'ex presidente della giunta della Regione Lazio, Girolamo Mechelli della Dc». 11:35 - «'La vita dell'uomo è sacra!'. Lo ha detto Paolo sesto, ricordando in udienza generale Aldo Moro e affermando:'Noi ci auguriamo, nel nome di Dio, che l'epilogo di questo dramma sia. nell'interesse degli stessi aggressori, pacifico e tranquillizzante'». 11:52 - «Gli investigatori, come è stato riaffermato stamane dal dott. Luciano Infelisi, sono convinti di aver identificato senza alcuna ombra di dubbio in Prospero Gallinari, Corrado Alunni, Enrico Bianco, Patrizio Peci, Susanna Ronconi, Oriana Marchionni, Franco Pinna, Valerio Morucci e Adriana Faranda alcuni dei responsabili dell'esecuzione materiale dell'eccidio di via Fani e alcuni degli organizzatori dell'agguato. Le prove a sostegno di queste responsabilità, secondo il magistrato, sono gravissime e consistono nel riconoscimento oculare da parte di testimoni, in alcune impronte, in documenti». 12:25 - «Poco prima delle 10 al centralino del Messaggero è giunta una telefonata con la quale uno sconosciuto con la voce maschile ha dettato questo messaggio:'Abbiamo colpito Girolamo Mechelli, democristiano, servo delle multinazionali. Brigate rosse'. Lo sconosciuto ha quindi interrotto la comunicazione». 14:51 - «Il Cairo - Le Brigate rosse e altre organizzazioni terroristiche internazionali si erano messe in contatto con la rete palestinese di sabotatori, scoperta in questi giorni in Egitto, offrendo assistenza e cooperazione». (...) «Per quel che concerne i tre cittadini svizzeri arrestati (...) il principale imputato è uno studente, Sergio Mantovani, che sarebbe stato l'agente di collegamento fra le brigate rosse e il gruppo terroristico scoperto in Egitto. (...) L'inchiesta ha permesso di appurare che un altro svizzero, certo Giorgio Bellini - anche lui del Ticino - era giunto nelle scorse settimane al Cairo per prendere contatto con i palestinesi a nome di un'altra organizzazione terroristica cui è affiliato e che ha la sua centrale in Svizzera». 15:46 - «'Ho l'impressione - ha detto l'avv. Spazzali - che a questo punto siamo arrivati al muro. Non c'è più spazio per le trattative. Le brigate rosse nei loro comunicati parlano molto chiaro; è sbagliato valutare il loro linguaggio con un metro da segreteria dei partiti'». 21:01 - «'Siamo tutti d'accordo - afferma il vicesegretario del Psi, on. Signorile, in un'intervista alla Repubblica che sarà pubblicata domani - lo Stato non tratta, non deve trattare. Ma il Governo sì, il governo è un momento esecutivo, deve fare il suo dovere'. (...) Sull'accusa mossa al Psi di volere, con questo atteggiamento, allontanare la Dc dal Pci, Signorile sostiene:'Chi pensa questo resterà ancora una volta deluso'».
24/04/2008 ANSA

MORO/30: 25 APRILE, LETTERA DELLA FAMIGLIA SUL 'GIORNO'/ EMESSI 9 ORDINI DI CATTURA, CRAXI PER INIZIATIVA UMANITARIA

  25 aprile 1978, festa della Liberazione e 41° giorno di prigionia per Moro ostaggio delle Br. Il giudice Antonino Infelisi emette nove ordini di cattura, un pò a casaccio. Il quotidiano 'Il Giorno' annuncia la pubblicazione di una lettera della famiglia per Aldo Moro. Il segretario socialista Betino Craxi dice che trattare non è possibile, mentre lo è una iniziativa 'umanitaria' e 'autonoma'. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 11:56 - «Nella sede della Dc, dieci minuti dopo Zaccagnini è giunto Gaspari, il quale, a proposito delle conclusioni di ieri sera del comitato interministeriale per la sicurezza, ha detto ai giornalisti:'Il comunicato finale che ha chiuso la riunione mi pare sia nella linea che è stata seguita dalle forze politiche. Il Governo in sostanza ha ribadito posizioni che erano già note sull'impossibilità di uno scambio di prigionieri, come li chiamano le Br, per noi detenuti. È evidente che non ci fosse la possibilità di concretizzazione. D'altra parte - ha proseguito Gaspari - questa posizione della Democrazia cristiana è soprattutto la posizione di tutte le forze politiche italiane perchè, mi pare, nel Parlamento non ci sia nessuno che abbia proposto di lasciar liberi dei detenuti, tenendo conto che il nostro è uno Stato di diritto nel quale non sono possibili cose che le leggi non prevedono'». 12:41 - «Il giornale conservatore 'Die Welt' riferisce che in gennaio il Bundeskriminalamt (Bka - la centrale della polizia criminale tedesca) sospettava un prossimo attentato in Italia in seguito alla decifrazione di messaggi provenienti da tre elementi del terrorismo tedesco (tra i quali Gabriele Kroecher Tiedemann). Nei messaggi si indicava un 'Alter Mann' (vecchio uomo) e si nominavano tre città italiane: Roma, Firenze e Milano. Oggi si ritiene probabile che Alter Mann intendesse riferirsi ad Aldo Moro: si rileva infatti che le iniziali delle parole sono le stesse (A M)». 13:39 - «Aldo Moro 'non è presente nelle lettere dirette a Zaccagnini, pubblicate come sue: esse costituiscono un tentativo di distruggere la fisionomia di Moro, tentativo colpevole quanto la minaccia di uccidere'. Questo sostengono in un documento diffuso stamani un gruppo di amici di vecchia data dello statista Dc». Tra i firmatari il card: Pellegrino, Gabriele De Rosa, Pietro Scoppola, Ermanno Gorrieri, Paolo Prodi. 16:50 - «Il segretario nazionale del Psi, on. Bettino Craxi, in un articolo di fondo dal titolo 'Speranza, iniziativa, fermezza' che sarà pubblicato domani dall'Avanti, afferma che la richiesta delle Br 'è assurda ed irrealistica, urta contro invalicabili limiti di principio ed è obiettivamente impraticabile'. Craxi però conclude affermando che 'Lo Stato può valutare se esiste la possibilità di una iniziativa autonoma che sia fondata su ragioni umanitarie e che si muova nell'ambito delle leggi'». 18:30 - «Il segretario generale dell'Onu Kurt Waldheim ha formulato oggi un ulteriore appello perchè la vita dell'on. Aldo Moro sia risparmiata e perchè lo statista italiano venga immediatamente liberato». 20:56 - «Il 'Washington post' pubblica estratti del 'Manuale del brigatista' trovato giorni fa a Roma nell'appartamento di via Gradoli». 21:29 - «Nove ordini di cattura sono stati firmati oggi dal sostituto procuratore della Repubblica Luciano Infelisi, che conduce le indagini sul rapimento dell'on. Moro e sull'eccidio avvenuto in via Fani il 16 marzo scorso. Le persone colpite dal provvedimento sono: Prospero Gallinari, Corrado Alunni, Enrico Bianco, Patrizio Peci, Susanna Ronconi, Oriana Marchionni, Franco Pinna, Valerio Morucci e Adriana Faranda, A tutti il dott. Infelisi contesta le accuse di concorso in omicidio plurimo, sequestro di persona e partecipazione a banda armata. I primi sei sono da tempo ritenuti militanti delle Brigate rosse; Pinna, Morucci e la Faranda invece sono estranei alle Br, un tempo appartenevano a Potere Operaio, di recente sarebbero entrati nell'orbita dell'Autonomia Operaia». In realtà Morucci e la Faranda non erano poi così estranei alle Br, mentre Alunni, Bianco, Marchionni e Pinna hanno fatto parte di Prima Linea, come anche la Ronconi, la quale però aveva militato anche nelle Brigate rosse. 23:36 - «'Il Giorno' di Milano di domani pubblica una lettera indirizzata in data di oggi 25 aprile dalla famiglia ad Aldo Moro. Ecco il testo:'Caro papà, sentiamo il bisogno, dopo tanti giorni, di farti giungere, con queste poche righe, un segno del nostro affetto. Il pensiero di ogni momento ti è dedicato con un amore nuovo, di giorno in giorno più consapevole di ciò che tu sei e sei stato per noi, e non soltanto per noi. Tocchiamo con mano l'affetto che hanno per te le più differenti persone: dai tuoi collaboratori e amici ai bimbi, alla gente che ogni giorno ci scrive cose care per te. In questa tragedia abbiamo scoperto, ognuno a suo modo, che ci hai regalato insospettate risorse di forza morale e di amore.. E proprio per questo, pur nella nostra grande debolezza, siamo oggi immensamente forti ed uniti. Coltiviamo, con la preghiera e con le opere, la speranza di riaverti con noi e di riabbracciarti. Anna sta bene e con particolare amore ti pensa ricordando ogni cosa bella da te ricevuto: Ti amiamo profondamente. La tua famiglia'».
23/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: DAGLI INFILTRATI ALLE ALLEANZE, DOSSIER FOREIGN OFFICE/ADNKRONOS = DESECRETATO MEMORANDUM SUL TERRORISMO IN ITALIA

  Circa cinquecento elementi di spicco, dei quali una ventina con un altissimo livello di preparazione militare per compiere attentati e omicidi, migliaia di «simpatizzanti passivi» ma in grado di passare velocemente alla clandestinità grazie ai supporter nelle fabbriche nel Nord. Un esercito complessivo di 1.500 uomini a capo dei quali si collocavano alcuni «intellettuali», come tradizione fin dai tempi del meeting tra giovani cattolici radicali e marxisti convocato a Chiavari da Renato Curcio nel 1969. Queste le Brigate Rosse, secondo il Dipartimento Analisi del Foreign Office britannico che, un mese dopo l'assassinio di Aldo Moro, in un rapporto del giugno 1978 appena desecretato dai National Archives di Kew, elaborava un documento molto informato dell'organizzazione terroristica. Primo ministro del governo britannico in quel periodo era il laburista James Callaghan, ministro degli Esteri David Owen, e ambasciatore a Roma Sir Alan Campbell (molto legato a Francesco Cossiga, e uno dei pochi politici italiani con i quali aveva stretto amicizia). Soffermandosi sulla vicenda del sequestro e dell'omicidio del presidente della Democrazia Cristiana, il Foreign Office riconosce alle Brigate Rosse di aver acquisito un elevato grado di preparazione, che le rende in grado di «diffondere i propri comunicati simultaneamente in diverse città mentre sono in corso, da parte delle forze dell'ordine, le ricerche dello statista». Citando un rapporto segreto della nostra intelligence, il Foreign and Commonwealth Office suggerisce inoltre che molto probabilmente i terroristi avevano «uomini infiltrati nei ranghi della polizia».
I militanti delle Brigate Rosse, evidenzia l'Fco britannico, hanno rapporti con elementi di spicco della criminalità nelle carceri, «tanto che -si sottolinea- nella lista dei tredici prigionieri da liberare in cambio della vita di Aldo Moro vi è anche un noto criminale con »inclinazioni politiche«. La lista dei prigionieri da liberare, come scambio con l'ostaggio,viene diffusa il 24 aprile 1978, e si apre con Sante Notarnicola, uno dei primi componenti di nuclei di lotta armata e si conclude con Cristoforo Piancone, accusato dell'omicidio dell'agente di custodia Cotugno, a Torino. Il memorandum del Foreign and Commonwealth Office del giugno 1978 si intitola »Italy: Red Brigades - Brigate Rosse«, e viene elaborato all'esito del sequestro di Aldo Moro, conclusosi con il suo omicidio il 9 maggio. Il documento è composto di una introduzione e cinque paragrafi così intitolati: Membri di appartenenza, Obiettivi e ideologia, Attività, Altri gruppi violenti, Collegamenti internazionali. Il memorandum, così come viene indicato dalle autorità britanniche, è un »paper« che venne predisposto per briefing di carattere generale e non costituisce o riporta la posizione del governo. Nella parte introduttiva, viene ricordato come le Brigate Rosse vennero fondate nei tumulti del 1968 da giovani con diversi »background (spesso intellettuali) i quali cercavano una soluzione radicale ai problemi italiani, ma anche insoddisfatti del Partito comunista italiano e, in alcuni casi, in reazione contro il cattolicesimo«.

I LEGAMI INTERNAZIONALI DEL PARTITO ARMATO
Nella parte riguardante i membri, gli analisti del Foreign Office illustrano come sono strutturate le Brigate Rosse sul territorio, attraverso «colonne» dispiegate soprattutto nelle principali città del Nord (Milano, Torino, Genova), al Centro (Roma) e al Sud (Napoli). Le «colonne» sono a loro volta organizzate in «cellule» composte di pochi membri ciascuna e con minimi contatti tra le cellule stesse. Per quanto concerne obiettivi e ideologia, il «paper» sottolinea come le Brigate Rosse mirino alla distruzione del «presente Stato italiano da loro visto come reazionario, borghese e fascista». Ricordando che nel primo comunicato divulgato dopo il rapimento Moro, le Br dichiarano di aver intrapreso la battaglia per colpire «al cuore dello Stato». Ma, si evidenzia, «Curcio al »Chiavari meeting« nel 1969 affermò che la Cina, piuttosto che Cuba, dovrebbe costituire l'esempio e che »non è possibile creare una nuova società in un soli due anni di lavoro, ma attraverso una battaglia di 40 anni«. Il Foreign Office si sofferma inoltre sui legami interni e internazionali delle Br. Ad esempio quelli con 'Prima Lineà, costituitasi nel 1974 e composta da »elementi di estrema sinistra, studenti, criminali e fuoriusciti da 'Lotta Continuà. Sottolineando come il livello dello scontro si alza irrimediabilmente dopo l'omicidio di uno dei leader dei Nuclei Armati Proletari, Antonio Lo Muscio.

I RAPPORTI CON LA RAF TEDESCA E CON I NAPAP IN FRANCIA
«Pur negando ogni connessione con le Brigate Rosse, Prima Linea -sottolinea il Memorandum- appare fortemente influenzata dagli estremisti della Germania occidentale», e citando il ritrovamento di documenti di propaganda della lotta armata in un covo di Milano nell' aprile 1978, l'Fco si sofferma sulla necessità, rivendicata dalla Brigate Rosse, «di una maggiore collaborazione a livello internazionale con altri gruppi» oltre quella già avviata con la Raf tedesca e i Nuclei armati per l'autonomia (Napap) attivi in Francia. In proposito, viene citata nel rapporto del Ministero degli Esteri britannico la circostanza secondo cui Renato Curcio, al momento del suo primo arresto avvenuto l'8 settembre 1974 a Pinerolo, e con lui venne catturato anche Alberto Franceschini, aveva il visto della Cecoslovacchia sui due passaporti, uno falso e uno vero. «Gli addestramenti -si legge- potrebbero avere luogo in un campo vicino Karlovy Vary in Cecoslovacchia». «Il documento del Foreign Office è la conferma che già nel '78, a ridosso del sequestro Moro, nei rapporti diplomatici tra Roma e Londra vi era la conferma del dato rigardante i collegamenti esistenti tra le Brigate Rosse e le omologhe organizzazioni operanti in Francia e soprattutto in Germania», afferma Gian Paolo Pelizzaro, giornalista e ricercatore che sui legami internazionali delle formazioni terroristiche ha svolto numerose ricerche anche negli archivi britannici. «Resta oggi ancora un mistero -aggiunge- chi fosse il 'ministro degli Esterì delle Br, anche perchè è poco credibile che il compito di intrattenere i rapporti a livello internazionale potesse essere svolto soltanto da Mario Moretti.Rimane uno dei grandi misteri della storia delle Br -aggiunge il ricercatore- questo personaggio di alto livello che curava i contatti con le varie organizzazioni e apparati esteri, tra i quali vi erano senza meno anche i gruppi del terrorismo arabo-palestinese. Tra le altre, l'Fplp, che componeva l'Olp e aveva stretto alleanze con i vertici della Raf, del 'Movimento 2 giugnò e dellèCellule rivoluzionariè.
23/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: IL REGISTA TAVARELLI, MASSIMO RISPETTO PER PARENTI VITTIME = «MI SCUSERÒ CON LORO PER EQUIVOCO SU PRESENTAZIONE 'ALDO MORO, IL PRESIDENTE'

  Il regista Gianluca Maria Tavarelli si dice «emozionato» per l'incontro con il presidente della Repubblica e «dispiaciutissimo» per il rifiuto dei familiari di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta uccisi in via Fani a partecipare alla presentazione ufficiale, oggi a Roma alla Fondazione Camera dei Deputati, del suo «Aldo Moro, il presidente», per il fatto che sia stata organizzata in una dimensione pubblica, 'pubblicitaria'. Ai familiari Tavarelli annuncia che telefonerà per «scusarsi personalmente ed a nome del produttore». «Sono dispiaciutissimo di questa cosa che è avvenuta -racconta il regista dopo l'udienza al Quirinale- sono una persona seria, ho lavorato con il massimo rispetto per i familiari delle vittime, come nel film su Borsellino ('Paolo Borsellino', ndr). Questo è il primo film in cui i loro cari, i cinque uomini della scorta morti con Moro, hanno un carattere, sono persone e non comparse. Ho voluto far si che la gente capisse che erano esseri umani con sogni, famiglie, pensieri». «Sono convinto che i familiari degli agenti, quando vedranno il film saranno contenti e riconosceranno il rispetto e l'amore che ci ha guidato nel raccontare dei loro congiunti -prosegue Tavarelli- e sono convinto che anche la famiglia Moro si renderà conto del nostro affetto e del nostro dolore nel narrare la vicenda. Chiamerò tutti i familiari e gli chiederò scusa personalmente, per questo 'qui pro quò. Hanno ragione, anche se sarebbe stato scandaloso non invitarli a questa proiezione, mi scuserò con loro a titolo personale ed a nome del produttore». Quanto all'udienza al Quirinale, Tavarelli racconta che «con Napolitano è andata benissimo, è stata un'occasione molto emozionante e toccante, gli abbiamo dato il dvd del film e spero che l'apprezzerà come ha apprezzato 'Paolo Borsellino'».
23/04/2008 ANSA

MORO/30: 23 APRILE, TUTTO TACE, SI ASPETTA/ PARLA INVECE PIECZENIK, L«'AMICO AMERICANO»

  23 aprile 1978, domenica, 39° giorno del caso Moro. L'ultimatum è scaduto alle 15 del giorno precedente, ma ancora nessuna notizia di Moro nè dei suoi rapitori. Parla per la prima volta il misterioso 'consulente' venuto appositamente dagli Usa. Guiso smentisce la sua opera di mediazione. Voci di una lettera di Moro al Papa che sarebbe stata consegnata il 21. Questa è la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:10 - «Il Papa ha aperto la sua allocuzione delle 12 ai fedeli in piazza San Pietro con il nome di Aldo Moro. Ha detto che per la sua sorte 'abbiamo trepidato ieri e trepidiamo ancora, sempre aspettando e pregando che sia risparmiata la consumazione del criminale annunciato misfatto. Intanto, aspettiamo, speriamo e preghiamo'». 17:18 - «In un'intervista pubblicata oggi dal New York Times Steve Pieczenik, segretario di Stato aggiunto americano per le questioni di organizzazione, afferma che l'atteggiamento del Governo italiano nella vicenda di Aldo Moro è stato 'esemplare' e che il rapimento di Moro era diretto non soltanto contro la Democrazia Cristiana ma mirava anche alla distruzione dello stesso Stato italiano. (...) 'Era importante - aggiunge - dimostrare che Moro non è indispensabile al funzionamento dello Stato-nazione, anche se è un membro estremamente importante del sistema'». 13:05 - «Il prof. Nicola Rana, capo della segreteria dell'on. Moro, ha escluso stamane che vi sia stato nei giorni scorsi un incontro tra l'avv. Guiso, legale dei brigatisti rossi processati a Torino, e la signora Eleonora Moro e che la famiglia del presidente del Consiglio nazionale della Dc abbia dato incarico agli avvocati Giuliano Vassalli e Guido Gatti di condurre le trattative con le Brigate rosse'». In seguito arriveranno le smentite di Guiso, Vassalli e Gatti. 13:49 - «Funzionari della Digos hanno confermato una notizia apparsa stamani su un giornale del mattino secondo la quale nel covo di via Gradoli è stata trovata, oltre al numeroso materiale, anche una piantina di un carcere in costruzione che i brigatisti avevano evidentemente intenzione di far saltare». 15:00 - Con un discorso del segretario del Pci, on Enrico Berlinguer, che si dichiara contrario a ogni trattativa con le Brigate rosse per la liberazione di Aldo Moro, si conclude al Palazzo dei congressi il ventunesimo congresso nazionale della Federazione giovanile comunista italiana. Massimo D'Alema è confermato segretario nazionale. 17:50 - «L'on. Craxi ha così concluso:'Oggi non c'è un Dio crudele che ci chiede un sacrificio umano. Non abbiamo perso la fiducia nella ragione anche se, sin dall'inizio di questa terribile vicenda, abbiamo temuto il peggio e le conseguenze del peggio. La Dc ha assunto una iniziativa che appoggiamo e che appoggeremo nei suoi sviluppi se questi saranno resi possibili. Non possiamo rassegnarci all'idea che, nell'alternativa tra umanità e barbarie, debba essere quest'ultima, ancora una volta, a prevalere'». 18:04 - «In una sua corrispondenza da Roma a firma Philp Jacobson il Sunday Times formula oggi l'ipotesi che dopo sei settimane di raffinati interrogatori, di isolamento e di eccezionali pressioni da parte dei suoi rapitori, l'on. Aldo Moro possa essere stato indotto a rivelare segreti tali da danneggiare la Dc, lo Stato italiano e l'Alleanza Atlantica. 18:33 - »L'avvocato sardo Giannino Guiso ha smentito oggi le notizie apparse su alcuni quotidiani di suoi contatti con il vescovo di Ivrea (Torino), monsignor Bettazzi per un eventuale inserimento di quest'ultimo in caso di trattative con le Brigate rosse«. Più tardi smentirà anche Bettazzi. 19:56 - »Le fonti vaticane. fino a questo momento, non hanno dato nè conferma nè smentita della voce, pubblicata da un quotidiano torinese, secondo la quale una lettera di Moro a Paolo VI, inviata dalla 'prigione del popolo', sarebbe stata recapitata in Vaticano nella notte tra venerdì e sabato scorso da un 'amico' dello statista e consegnata ad uno dei più stretti collaboratori del Pontefice«. 21:59 - »Vincenzo Borghi alias 'signor Rossi' ? Questa ipotesi è seguita dai funzionari della Digos che stanno cercando di trarre dalla documentazione trovata nel covo di via Gradoli qualche indicazione che li porti sulle tracce della colonna romana delle Brigate rosse. Sul 'signor Rossi' furono svolte indagini senza frutto un anno e mezzo fa. Per alcuni mesi il sedicente signor Rossi girò per le armerie romane acquistando pistole automatiche e rivoltelle delle migliori qualità. Per fare gli acquisti esibì sempre un regolare porto d'armi sul quale erano indicati nome cognome e indirizzo risultati poi falsi. Il cognome era appunto Rossi«. 22:56 - »La polizia tedesco occidentale è praticamente certa che membri della Raf, successori della banda Baader-Meinhof, erano al corrente ed hanno forse avuto un ruolo nel rapimento di Aldo Moro. Lo afferma nel suo ultimo numero il settimanale americano Newsweek. Secondo la rivista, messaggi in codice trovati su Gabriele Korcher-Tiedemann, arrestata nel dicembre scorso in Svizzera, facevano riferimento al progetto di rapire Moro. Il codice dei messaggi - precisa la rivista - è stato decifrato da un calcolatore di Wiesbaden soltanto due settimane dopo il rapimento di Moro«.
23/04/2008 ANSA

MORO/30: TAVARELLI,SCUSATO CON FAMILIARI PER ANTEPRIMA OGGI

  «Una polemica mossa dal dolore e per questo perfettamente comprensibile», dice il regista della fiction su Aldo Moro, Gianluca Maria Tavarelli appena tornato dal Quirinale dove con i vertici Mediaset, il produttore Pietro Valsecchi e il cast della miniserie ha portato i dvd del film al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tavarelli, leggendo stamattina su La Repubblica della protesta di alcuni familiari di Moro e della scorta uccisa in Via Fani 30 anni fa, oggi per l'anteprima alla Fondazione Camera dei Deputati, è rimasto «dispiaciutissimo» e ha subito cominciato «un giro di telefonate ai familiari per scusarmi, mostrare la mia perfetta buona fede per un film serissimo, rispettoso di Moro e dei cinque ragazzi morti con lui, pieno di affetto e amore per queste persone». La fiction su Aldo Moro, che andrà in onda su Canale 5 il 5 e 6 maggio in prossimità del giorno in cui fu trovato senza vita il corpo dello statista dc sequestrato dalle Brigate Rosse, «è un omaggio a loro. Alcuni, come Maria Fida Moro, hanno letto e approvato le sceneggiature. Ma la polemica è comprensibile: avevano chiesto una visione privata e hanno ricevuto l'invito per un'anteprima alla Fondazione Camera, si sono sentiti strumentalizzati. La visione privata, prevista circa un mese fa, non si è potuta fare perchè abbiamo avuto problemi con la pellicola. I dvd dati oggi al Quirinale sono i primi che abbiamo avuto a disposizione e anche l'anteprima di oggi si farà con un betacam digitale. Pensavo di contattare in settimana i familiari di Moro e della scorta per vedere il film con loro come avevano richiesto. L'ho fatto purtroppo stamattina, mi sono scusato personalmente, hanno perfettamente ragione se si sono sentiti strumentalizzati ma hanno capito la mia perfetta buona fede. Sono bastate due parole per capirci, e soprattutto capire il loro nervo scoperto e il grande dolore che hanno ancora dentro».
23/04/2008 ANSA

MORO/30: FICTION CANALE 5, DUELLO DEMOCRAZIA-TERRORISMO/ANSA V. 'MORO/30: TAVARELLI, SCUSATO CON FAMILIARI…

  Alessandra Magliaro - «Non si tratta più di lotta tra i partiti ma tra democrazia e terroristi», dice Aldo Moro all'autista Oreste Leonardi che lo sta portando a casa dopo aver accettato l'incarico per formare il governo e risolvere la crisi istituzionale. Da quel momento per le Br diventa l'obiettivo, il simbolo da abbattere. Si gioca tutta in questo confronto, scontro, la storia di 'Aldo Moro Il Presidentè, la miniserie che il 5 e 6 maggio su Canale 5 ricorderà al pubblico televisivo cosa accadde 30 anni fa allo statista democristiano del compromesso storico e ai cinque sfortunati uomini della sua scorta trucidati in Via Fani. La fiction, diretta da Gianluca Maria Tavarelli, lo stesso che con molte lodi della critica e grande apprezzamento di pubblico aveva offerto in tv un ritratto intenso, commovente e puntuale di Paolo Borsellino vittima della mafia, viene presentata oggi pomeriggio a Palazzo Marini, sede della Fondazione della Camera dei Deputati presieduta da Pier Ferdinando Casini. Stamattina il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva ricevuto al Quirinale il vertice Mediaset con il Presidente Fedele Confalonieri, con il cast artistico con Michele Placido, con il produttore Pietro Valsecchi, il regista Gianluca Maria Tavarelli. Proprio l'anteprima ad inviti, con molti politici che hanno assicurato la propria presenza, ha creato proteste da parte dei familiari di Moro e della scorta che avevano chiesto una visione privata e nessun coinvolgimento mediatico. Tavarelli, forte di un cast che comprende Marco Foschi (Mario Moretti), Libero De Rienzo (Valerio Morucci), Donatella Finocchiaro (Adriana Faranda), Massimo De Rossi (Giulio Andreotti), Giulia Michelini (Anna Laura Braghetti), Ninni Bruschetta (Oreste Leonardi), Gianluca Morini (Germano Maccari), Stefano Scandaletti (Prospero Gallinari), Diego Verdegiglio (Francesco Cossiga) e molti altri, ricostruisce come un duello la storia: il mondo dei brigatisti da una parte, quello di Moro e della legalità dall'altra. All'inizio, i filmati d'epoca dell'escalation terroristica si alternano con le immagini della fiction di Canale 5 quasi ad accompagnare, senza soluzione di continuità, il pubblico nel clima tragico degli anni di piombo. Tavarelli ricostruisce il mondo Br come un universo variegato, con terroriste con il dubbio (la Braghetti dice: «siamo sicuri che il mondo stia aspettando il comunismo?» e «vale la pena tutto questo?») e terroristi che non possono dire di no (Maccari reclutato all'università da Morucci: «vuoi continuare a bucare le gomme ai fascisti di notte o fare qualcosa di più serio?»). E parallelamente il mondo pubblico e privato di Moro, il rapporto con i figli, i giochi sereni con il nipotino Luca ma anche le beghe politiche, la destra Dc che lo cerca per non soccombere definitivamente dopo che alle ultime elezioni i comunisti sono avanzati, le lezioni all'università. La prima puntata si chiude con la strage di Via Fani, la seconda è tutta sul sequestro e la trattativa, sui punti su cui una parte del mondo politico ancora dibatte.
23/04/2008 ANSA

MORO/30: 24 APRILE, ARRIVA IL COMUNICATO N. 8/ MORO È ANCORA VIVO, CHIESTA LA LIBERAZIONE DI 13 BR

  24 aprile 1978, 40° giorno del caso Moro. Dopo quasi 48 ore passate nell'angoscia per l'ultimatum scaduto, arriva il comunicato numero 8 con la notizia che Moro è ancora vivo. I terroristi chiedono la liberazione di tredici compagni in carcere e avvertono di non sperare in una soluzione tipo Sossi (liberato senza niente in cambio). Nel tardo pomeriggio arriva anche una lettera di Moro a Zaccagnini.In essa Moro scrive che non accetta «l'iniqua ed ingrata sentenza della Dc» e aggiunge «non creda la Dc di avere chiuso il suo problema, liquidando Moro. Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa». Ma la parte più drammatica è la frase «chiedo che ai miei funerali non partecipino nè Autorità dello Stato nè uomini di partito». Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:25 - «Alla redazione milanese della Repubblica è stato fatto pervenire il 'volantino n. 8' delle Brigate rosse relativo alla vicenda Moro». Lo stesso comunicato sarà fatto trovare, come al solito, anche a Roma, Torino e Genova. 12:30 - «Nel messaggio vengono fatti i nomi di 13 prigionieri comunisti da liberare. Nel messaggio non viene rinnovato alcun ultimatum». 12:34 - «Nel volantino si chiede che vengano liberati Sante Notarnicola, Mario Rossi, Giuseppe Battaglia, Augusto Viel, Domenico Delli Veneri, Pasquale Abatangelo, Giorgio Panizzari, Maurizio Ferrari, Alberto Franceschni, Renato Curcio, Roberto Ognibene, Paola Besuschio e Cristoforo Piancone». 16:25 - «Non esiste alcun indizio concreto della partecipazione di terroristi tedeschi al rapimento di Aldo Moro, ha dichiarato oggi la procura generale della Repubblica federale tedesca a Karlsruhe. Il portavoce della procura, Hans Piesker, ha inteso così smentire le affermazioni contenute in un articolo del settimanale americano Newsweek». 16:39 - «'Sia chiaro fin d'ora - ha aggiunto Pannella - che riterremo responsabili politicamente e personalmente della morte di Moro quanti hanno colto questa occasione per abusi costituzionali e politici, per imporre alle istituzioni la sospensione del loto funzionamento democratico, e la loro mobilitazione per varare legislazioni d'eccezione attraverso procedure d'eccezione'». 17:42 - «'Riteniamo che sarebbe un gesto irresponsabile ed omicida il dichiarare chiusa con il comunicato numero 8 delle Br la possibilità di trattative per la salvezza della vita di Aldo Moro'. Lo afferma un comunicato della redazione del giornale »Lotta continua«. 17:48 - »Alla richiesta delle Brigate rosse 'si deve rispondere senza esitare che essa è impossibile e pertanto inaccettabile'. Lo afferma «L'Avanti di domani nell'editoriale del suo direttore Vittorelli». 18:11 - «Il giornale 'Vita Sera' ha reso noto di aver ricevuto una lettera autografa, attribuibile all'on. Moro, di sette cartelle».
22/04/2008 ANSA

MORO/30: AGNESE, SERVE VERITÀ STORICA PIÙ CHE GIUDIZIARIA

  «Abbiamo bisogno di una verità storica più che di una verità giudiziaria. Restano ancora molti punti da chiarire su quei 55 giorni, dal sequestro a quello della morte di mio padre». Lo ha detto Agnese, figlia dello statista Aldo Moro, parlando a Cosenza a margine di un incontro promosso dalla Provincia per ricordare la figura del padre in occasione dei trenta anni dalla morte. «Credo - ha aggiunto - che i brigatisti e tutti coloro i quali hanno avuto qualche parte in quelle vicende politiche dovrebbero dire la verità. È necessaria una riflessione storica su quello che è accaduto e che ha segnato tutti gli italiani. Ad oggi ci sono persone che non sanno ancora chi ha ucciso i propri cari». «Avrei voluto - ha sostenuto Agnese Moro - che il sacrificio di mio padre non fosse mai avvenuto, ma credo che il modo in cui è avvenuto evidenzia che è servito a qualcosa. L'eredità che lui ha lasciato è legata all'impegno personale in tutto quello che ha fatto e nel costante richiamo all'impegno».
21/04/2008 ANSA

MORO/30: 22 APRILE; PAOLO VI AGLI UOMINI DELLE BR/ ANSA IL PRESIDENTE DEL CESIS, NAPOLETANO, SOSTITUITO CON PELOSI

  22 aprile 1978, 38ø giorno del caso Moro. Mentre papa Paolo Sesto si rivolge, con una lettera, agli «uomini delle Brigate rosse», pregandoli «in ginocchio» di liberare Moro «semplicemente, senza condizioni», alle 15 scade senza notizie l'ultimatum lanciato dai terroristi. La frase 'senza condizioni' nella lettera del Papa sembra sconfessare le ipotesi di trattative e getterà Moro nello sconforto. Secondo alcune ricostruzioni, il Papa avrebbe inserito quella frase su pressione di qualcuno. Il Psi invece si spinge sempre più aventi sulla sua posizione, ormai apertamente favorevole a sondare tutte le possibilità di liberare Moro attraverso uno 'scambio' praticabile da un punto di vista 'legale'. L'ipotesi che si farà avanti è quella della liberazione 'umanitaria' di qualche terrorista con gravi problemi di salute. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 07:34 - «Il quotidiano 'La Repubblica'à informa stamani che ieri sera è giunta alla sua redazione 'un plico contenente il testo autografo dell'ultima lettera di Moro a Zaccagnini'». 10:41 - «Un appello di Paolo sesto per la liberazione di Aldo Moro è stato comunicato ai giornalisti dal suo portavoce, padre Romeo Panciroli». 10:48 - «Si tratta di un appello autografo, dato ai giornalisti alle 10,38 da padre Panciroli. 'Io scrivo a voi, uomini delle Brigate rosse: restituite alla libertà, alla famiglia, alla vita civile l'on. Aldo Moro'». 10:51 - «La lettera, scritta completamente di propria mano da Paolo sesto, su fogli di carta recanti nell'intestazione lo stemma pontificio così prosegue: (...) 'Ed è in questo supremo di Cristo che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l'on. Aldo Moro, semplicemente senza condizionì». 11:44 - «Nel corso della riunione dei segretari regionali socialisti, il segretario del Psi, on. Bettino Craxi, ha letto la lettera di Paolo sesto e ha sottolineato 'l'analogia che in questa drammatica circostanza è emersa tra la posizione del Psi, ispirata agli ideali umani e civili del socialismo, e l'orientamento che ha ispirato con atti successivi l'intervento del magistero della Chiesa e ha detto che in queste ore si consuma una scelta tra umanit… e barbarie'». 12:15 - Con un comunicato, la presidenza del Consiglio dei ministri conferma titolare della prefettura di Roma il prefetto Gaetano Napoletano, che era segretario generale del Cesis, il nuovo organismo di coordinamento dei servizi segreti. Si tratta, praticamente, di una destituzione. Napoletano era l'unico, tra i vertici dei servizi segreti, non iscritto alla loggia massonica P2. Sarà sostituito da Walter Pelosi, iscritto alla P2. 12:34 - «La on. Magnani Noya, deputata del Psi, avvocata d'ufficio delle Brigate rosse nel processo di Torino, ha dichiarato:'L'insinuazione che il Psi stia trattando con le Brigate rosse è semplicemente ridicola. Se nell'ambito delle nostre relazioni professionali, in contatto con gli altri avvocati difensori e nel rispetto delle regole dell'etica professionale, emergono elementi utili ai fini di cause buone e giuste, questi non vengono da noi ignoratì». 12:58 - «'Noi non vogliamo cedere alle Brigate rosse' ha dichiarato alla radio francese l'on. Giancarlo Pajetta. 'Credo - ha aggiunto - che noi non vogliamo neanche cedere a coloro che potrebbero cedere'. 'Se la Democrazia Cristiana decidesse di negoziare, è evidente che ciò ci porrebbe un problema' ha aggiunto». 20:17 - «»L'avvocato milanese Sergio Spazzali ha detto di essere pessimista sulla intera vicenda. 'Bisognava - ha affermato ancora - che la Dc si dichiarasse disposta a prendere in esame una trattativa; invece ha preferito usare una formula che in pratica significa: fateci sapere quello che volete'. Secondo Spazzali, questo comportamento 'è un modo farisaico di dire no. È un no mascherato malissimo'«.
21/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: LA FIGLIA MARIA FIDA, HO SBAGLIATO A CHIEDERE RIAPERTURA INDAGINI = 'PURTROPPO NON POSSO TORNARE INDIETRO, SONO IMPRIGIONATA TRA LA BUONA FEDE DI POCHI E LA MALA FEDE DI MOLTI'

  «Sono costretta a ribadire ancora una volta che il mio legale dal marzo del 2005 non è l'avv. Nino Marazzita, ma l'avvocato Giuseppe Caccese. Quanto poi alla richiesta di ripertura delle indagini sul caso Moro, la figura di riferimento è il senatore Ferdinando Imposimato, che è anche l'autore della ricerca dei documenti che tale richiesta hanno determinato. In ogni caso con rammarico devo concludere che ho fatto male a richiedere la suddetta riapertura perchè mi trovo imprigionata tra l'incudine e il martello, dalla buona fede di pochi e dalla mala fede di molti». Lo dichiara all'ADNKRONOS Maria Fida Moro, la figlia maggiore di Aldo Moro. «Purtroppo - è l'amaro sfogo della figlia maggiore dello statista ucciso dalla Br - non posso tornare indietro, ma dichiaro di volermi estraniare totalmente dalla sorte delle stesse indagini, sempre più convinta che l'unica verità della quale desidero occuparmi è quella umana ed amorevole di mio padre Aldo Moro al quale, oltre che il diritto alla vita, è stato negato perfino il diritto alla integrità della memoria».
21/04/2008 ANSA

MORO/30: 21 APRILE; GUISO, MORO È L'INTERLOCUTORE/ LA FAMIGLIA: SALVATELO. LETTERA DI MORO A ZACCAGNINI

  21 aprile 1978, il 37° giorno del caso Moro passa tra appelli, discussioni e prese di posizione sul tema di trattare o non trattare, mentre l'ultimatum dei brigatisti scade alle 15 del 22 aprile. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'Ansa: 02:12 - «Una nuova lettera autografa dell'on. Moro è pervenuta ieri all'on.Zaccagnini ed è stata consegnata dal segretario della Dc alle autorità competenti. La lettera - è stato dichiarato dagli ambienti della segreteria democristiana - è pertanto coperta dal segreto istruttorio». 11:11 - «La segreteria dell'on. Aldo Moro ha diffuso il seguente comunicato ufficiale:'La famiglia e gli amici rinnovano la ferma richiesta che venga salvata la vita di Aldo Moro rivolta ieri dalla signora Eleonora Moro alla Democrazia Cristiana ed al Governo. Essi chiedono che la Dc, assumendo un atteggiamento realistico, dichiari la propria disponibilità ad accertare quali siano in concreto le condizioni per il rilascio del suo presidente». 14:24 - «'Moro è l'interlocutore naturale per la Dc nelle trattative con le Brigate rosse', Con questa dichiarazione fatta al termine della venticinquesima udienza del processo a Curcio e compagni, l'avv. Giannino Guiso, difensore di fiducia del presunto capo storico dell'organizzazione in altri procedimenti, ha spiegato ai giornalisti qual è il suo pensiero. (...) 'Il rifiuto di una trattativa - ha aggiunto Guiso - non tiene conto della realtà. Se si dà una risposta negativa si dà un avallo all'esecuzione di Moro'». 16:18 - «Un altro particolare sarebbe emerso dall'esame dei documenti trovati nel covo: vi sarebbero appunti nei quali verrebbero indicati i nomi di persone che avevano testimoniato sull'imboscata di via Fani: Si tratterebbe di persone che avevano chiesto alla polizia di non rendere noti i loro nomi, che di conseguenza non erano mai stati pubblicati sui giornali». 16:53 - «De Martino afferma tra l'altro che 'il valore della vita umana non può mai essere estraneo a una morale socialista. La ricerca di una mediazione non implica assolutamente di cedere alla richiesta di uno scambio: vuol dire semplicemente ricerca di una via di uscita, un tentativo umanitario e niente altro'». 19:13 - «L'avvocato Prisco, presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, , ha dato un'interpretazione giuridica sulla proposta avanzata dalle Brigate rosse di uno scambio di alcuni militanti della loro organizzazione per la vita dell'on. Moro. 'Il Codice di procedura penale - ha osservato Prisco - dispone con l'art. 355 che 'in nessun caso possono essere concessi salvacondotti a testimoni e altre persone'. Tra le persone rientrano sicuramente gli imputatì». 19:20 - «L'ufficio stampa della Questura di Roma ha smentito le notizie secondo le quali nel covo di via Gradoli sarebbero stati trovati nomi di persone che avevano testimoniato sull'imboscata di via Fani». 22:03 - «La riunione dei principali esponenti della Dc con Zaccagnini e Andreotti si è conclusa alle 21,45. Al termine, il capo della segreteria politica di Zaccagnini, on. Pisanu, ha letto ai giornalisti il seguente comunicato:'La Dc riafferma la propria indefettibile fedeltà allo Stato democratico, alle sue istituzioni e alle sue leggi, in operante solidarietà con i partiti costituzionali; ritiene che la disponibilità manifestata dalla Caritas internazionale, anche in relazione all'odierno appello della famiglia dell'on. Moro, corrisponda alla necessità di individuare possibili vie per indurre i rapitori dell'on. Moro a restituirlo in libertà»'
21/04/2008 ANSA

MORO/30: LA LETTERA DI PAPA PAOLO VI ALLE BR/ SCHEDA DI DOCUMENTAZIONE

  Ecco il testo della lettera di papa Paolo VI alle Brigate rosse (22 aprile 1978): Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d'avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, nè sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo. Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d'un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, nè tormentato da superfluo dolore. Già troppe vittime dobbiamo piangere e deprecare per la morte di persone impegnate nel compimento d'un proprio dovere. Tutti noi dobbiamo avere timore dell'odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa. Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova.
19/04/2008 ANSA

MORO/30: 20 APRILE, ARRIVA IL VERO COMUNICATO NUMERO 7/ FOTO DI MORO CON GIORNALE DEL 19 APRILE, ULTIMATUM DI 48 ORE

  20 aprile 1978, sono già 36 i giorni passati dal rapimento di Aldo Moro. La novità è che le Brigate rosse si fanno di nuovo vive con il vero comunicato numero 7, smentendo la paternità di quello, falso, del 18 aprile. Allegata al comunicato una nuova foto di Moro, con in mano una copia di un quotidiano del 19 aprile. Le Br danno un ultimatum di 48 ore per la «liberazione dei prigionieri comunisti». Tramite don Antonello Mennini, le Br recapitano anche due lettere (una al Papa e una al segretario Dc Zaccagnini) e, forse, una alla moglie. Quella al Papa non viene resa nota. Di quella a Zaccagnini si apprende nella notte, ma senza conoscerne i contenuti. La posizione socialista si differenzia sempre di più. Ucciso a Milano un maresciallo degli agenti di custodia. Ecco la cronaca del giorno attraverso le notizie dell'ANSA: 10:44 - «Il maresciallo Francesco Di Cataldo, del corpo degli agenti di custodia, è stato colpito in mezzo alla strada al margine delle striscie pedonali, mentre attraversava via Ponte nuovo all'angolo con via Caroli, dopo essere uscito, poco dopo le 7, dal portone del numero 48». 12:42 - «Un messaggio delle Brigate rosse, che porta il numero sette, è stato fatto trovare a un redattore dell'ANSA a Torino dopo una telefonata. Nel messaggio è detto che il rilascio dell'on. Moro può essere preso in considerazione solo in relazione alla liberazione di prigionieri comunisti. Secondo il messaggio il Governo ha 48 ore di tempo per decidere. Sono in corso accertamenti sull'autenticità del comunicato». 12:50 - «Il volantino firmato 'Comunicato numero 7' e datato 20/4/78 definisce 'falso e provocatorio il comunicato del 18 aprile attribuito alla nostra organizzazione». 14:23 - «L'avv. Guiso - difensore di fiducia di Renato Curcio non nel processo torinese, ma in numerose altre occasioni - ha detto:'È chiaro che il tempo perso finora sarà pagato caro. Se trattavano prima non si sarebbe arrivati all'ultimatum. Non ritengo che sia necessario un mediatore: le Brigate rosse hanno in mano Moro; è con lui che possono trattare. Non sono necessari altri'. (...) Ancora ieri Guiso aveva chiaramente detto che il comunicato in cui era stata annunciata l'uccisione di Moro era un falso (se ne accorgerebbe anche un bambino, aveva precisato) e si era anche chiesto chi ci fosse dietro a questo comunicato e al modo in cui veniva gestito. Aveva poi ribadito di essere disposto a fare da mediatore se questo risultasse necessario per salvare la vita di Moro». 15:10 - «Le valutazioni espresse dal segretario del Psi possono essere così riassunte:'Il susseguirsi confuso di messaggi determina la più grande incertezza. Occorre che i rapitori dell'on. Moro assumano una iniziativa che consenta di chiarire in modo certo lo stato reale della situazione. Essi dovrebbero consentire all'on. Moro di riprendere il filo del ragionamento centrale che egli aveva iniziato a svolgere nelle sue precedenti lettere. (...) Sulla base di questi elementi deve potersi compiere una analisi ed una valutazione approfondita delle vie di soluzione possibili». 15:16 - «Dai documenti trovati nel covo di via Gradoli risulta che i terroristi che agirono in via Fani acquistarono tutte le armi in negozi. (...) Infine è opinione degli investigatori che l'uomo che abitava in via Gradoli sotto il falso cognome di Borghi avesse anche le funzioni di postino e questo sarebbe il motivo per il quale, a differenza delle precedenti diffusioni di messaggi delle Brigate rosse, oggi il comunicato numero 7 non è stato fatto trovare a Roma». 15:29 - «Una foto dell'on. Aldo Moro è stata fatta trovare ad un redattore del Messaggero di Roma dopo una telefonata anonima. nella foto, l'on. Moro è ritratto con in mano una copia del quotidiano 'La Repubblica' in cui è visibile la data di ieri. La foto è stata fatta trovare poco prima delle 15». 16:00 - «Alla foto era allegata una copia del comunicato numero 7 delle Br fatto trovare a Genova, Torino e Milano». 16:07 - «La notizia dell'arrivo della fotografia che mostra l'on. Moro con in mano la 'Repubblica' di ieri è stata data al gruppo che coordina le indagini e le ricerche nella zona della valle del salto da un redattore dell'Ansa». 17:29 - «È contenuta in otto righe e mezzo, con alcune scritte in caratteri maiuscoli e alcune in carattere minuscolo sottolineate, la parte più importante del comunicato numero 7 diffuso oggi nelle solite quattro città (Roma, Torino, Milano, Genova). Sono in carattere maiuscolo le parole 'liberazione dei prigionieri comunisti' contenute alla fine dlla frase che pone le condizioni per 'il rilascio del prigioniero Aldo Moro'. Poi, proseguendo, nella frase successiva, sono sottolineate le parole 'chiara e definitiva' (riferite alla risposta della Dc). Ancora nella frase successiva, dove si pone l'ultimatum alla Dc e al Governo, sono sottolineate le parole '48 ore di tempo per farlo, a partire dalle ore 15 del 20 aprile'». 18:12 - «Poco dopo le 17 sono cominciati a rientrare al campo base le centinaia di uomini che per tutta la giornata hanno battuto le pendici del massiccio della Duchessa». 19:27 - «Nel pomeriggio Curcio ed alcuni altri imputati si sono incontrati con l'avvocato Guiso. Un colloquio di una ventina di minuti durante il quale Guiso li ha informati dettagliatamente sul contenuto del volantino ormai pubblicato integralmente anche sui giornali del pomeriggio. Al termine, Guiso non ha ritenuto opportuno fare dichiarazioni sulle reazioni dei brigatisti». 19:37 - «Tra i documenti trovati nel covo di via Gradoli ce ne sono anche alcuni che dimostrerebbero che i brigatisti rossi sarebbero venuti in possesso di notizie riservate contenute in rapporti fatti dagli investigatori nel corso delle indagini sui terroristi».
18/04/2008 ADNKronos

CASO MORO, IN UN 'DIZIONARIO' 30 ANNI DI MISTERI = MONDADORI PUBBLICA 'ALDO MORO, UN DIZIONARIO ITALIANO' DI STEFANO GRASSI

  Il caso Moro: una tragedia italiana, ma anche un ingarbugliato enigma della storia recente di questo paese. A trent'anni di distanza dal rapimento e dalla morte dello statista democristiano, «Aldo Moro. Un dizionario italiano» di Stefano Grassi (Mondadori, pagg. 808, 20 euro), offre un'inedita e appassionante lettura per voci e rimandi del caso che si aprì il 16 marzo del 1978 con la strage di via Fani. Il corposo volume di Grassi, una sorta di ipertesto cartaceo, parte dall'idea che per orientarsi in quella nebulosa, in quel 'buco nero' del nostro passato recente, possa essere utile una narrazione che segua l'ordine non del racconto, ma dell'elenco; un inventario, spiega l'autore, che nella frammentazione per singole voci scopra la testimonianza e il dettaglio come chiavi di accesso al mistero.Se, infatti, la peculiarità del caso Moro risiede nell'enorme numero di soggetti che in un modo o nell'altro vi entrano, ciascuno portando con sè una verità propria e diversa da tutte le altre, la forma 'elementarè del dizionario, «luogo eletto di una non-verità, in quanto sempre aperto all'improvvisa e altrettanto obiettiva smentita, all'evolversi del discorso», può offrire un'altra verità possibile, meno contestabile di altre. Dalla 'A di Abatangelo, Pasquale, uno dei 13 prigionieri politici di cui le Br chiedono la liberazione, alla 'Z' di Zweiter, Abd al-Wael, l'intellettuale palestinese, rappresentante di Al Fatah in Italia, assassinato dal Mossad a Roma nel 1972 e il cui omicidio, secondo il giornalista Mario Scialoja, sarebbe stato citato da Moro nelle pagine mancanti del memoriale, passando per le voci più disparate, come 'black out telefonico', 'fuga' e 'tunnel segreto', «Aldo Moro. Un dizionario italiano» è in realtà un puzzle, «un'opera collettiva», sottolinea Grassi, «fatta di indizi e testimonianze, ritagli di giornale e frammenti dispersi nella rete, atti giudiziari, resoconti parlamentari e interventi politici, voci e teorie più o meno fondate, leggende metropolitane, indiscrezioni incontrollabili».
Tra le centinaia di voci del 'dizionario', ce n'è una intitolata 'Auto rubate', in cui Grassi ricostruisce fin nel minimo dettaglio, attraverso testimonianze e documenti, la storia di tutte le vetture coinvolte nel caso Moro. Nella voce 'Album di famiglia', arricchita anche da un'appendice 'Documenti', invece Grassi racconta: «Fino ai giorni del rapimento Moro la sinistra ufficiale, non accettando l'appartenenza delle Brigate rosse alla sua stessa matrice culturale, accentua propagandisticamente l'idea di un carattere provocatorio del gruppo, che fingerebbe di essere rosso ma perseguirebbe in realtà interessi antipopolari e antioperai. Il 28 marzo 1978 sul quotidiano 'il manifesto' esce un corsivo di Rossana Rossanda, storica fondatrice del giornale dei dissidenti del Pci, intitolato 'L'album di famiglia', che ammette la provenienza delle Br dalla medesima famiglia del comunismo italiano facendo notare come il linguaggio utilizzato dal gruppo armato, oltre a essere più complesso che in passato, si connoti di termini ed elementi provenienti dalla cultura comunista. L'osservazione della Rossanda suscita violente polemiche nel mondo politico e una dura risposta sull»Unità«, quotidiano del Pci, a firma di Emanuele Macaluso». Nella voce 'Ghetto', Grassi racconta in quanti e quali diversi modi entra nella vicenda Moro l'area del centro storico di Roma storicamente abitata dagli ebrei della Capitale. Rimanda a 'Ghettò, anche un'altra voce, 'Veggentì: «Più volte la pubblicistica - scrive Grassi - ha fatto riferimento a una base o prigione nella zona romana del Ghetto: questa, secondo il veggente olandese Gerard Croiset, appositamente consultato dall'agente dell'Ucigos, Augusto Belisario, avrebbe avuto due leoni sul portone. Si è ipotizzato, allora, palazzo Orsini, sede dell'Immobiliare Savellia di piazza di Monte Savello, che presenta le caratteristiche descritte. Anche palazzo Caetani, nel cortile interno, a cui si accede mediante un passo carrabile, ha due grandi leoni su un bassorilievo, intenti ad azzannare due cavalli». Non poteva mancare la voce 'Grande Vecchiò. «Dietro le campagne del terrorismo c'è una mente che dirige le operazioni. Questa idea si fa strada fin dai primi giorni del sequestro Moro - racconta Grassi - L'espressione 'the big old man' viene coniata proprio durante il rapimento da Steve Pieczenik, l'esperto americano che con le sue teorie convincerà Cossiga. Egli sostiene che il terrorismo è autoctono, e che occorre cercare l'anello di congiunzione tra il mondo terrorista e l'esterno: il capo occulto, onnipotente e italiano delle Br. Un'ipotesi simile è anche alla base del cosiddetto 'teorema Calogero' (...). Nell'aprile 1980, il giornalista della 'Repubblica' Guido Passalacqua scrive che qualcuno, dall'alto - una, due, tre persone - decide le campagne del terrorismo. Qualcuno che conta molto di più della direzione strategica delle Br».
Secondo Passalacqua, scrive Grassi, «gambizzato meno di un mese dopo, l'unico collegamento con gli operativi sarebbe costituito da Mario Moretti. Nello stesso mese esce su 'Metropoli', periodico dell'Autonomia, diretto da Piperno e Pace, un articolo sul caso Moro e le vicende a esso collegate, carico di messaggi esoterici, intitolato L'Oroscopone. Qui, una certa Maga Ester, leggendo le carte, parla di un russo, un 'gran signorè, che appartiene alle 'carte vecchiè, e che alla fine si rivelerà il 'gran nemicò dell'organizzazione terroristica (...). L'identikit del 'grande capo' Br, disegnato dall'articolo, giocato sull'immaginaria seduta di una cartomante che cerca di capire quale sarà il destino dei capi dell'Autonomia, finiti in carcere, richiama per alcuni aspetti quello del direttore di orchestra Igor Markevitch, su cui la procura romana indaga nell'ambito dell'inchiesta Moro-sexies (...)». Nella voce 'Tunnel segreto', Grassi osserva che «tra le varie leggende metropolitane della capitale, legate al caso Moro, c'è anche quella secondo la quale esisterebbe un tunnel segreto, che collegherebbe i principali palazzi della politica romana: dal Quirinale a palazzo Chigi, dalla Camera ad alcuni ministeri, ospedali, e anche Forte Braschi e Forte Boccea. Di questa misteriosa galleria si parla anche nei giorni del sequestro Moro. In particolare, nel punto in cui la strada sotterranea s'intersecherebbe con la via Cassia, verso le 10 del mattino del 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro, gli uomini di una gazzella dei carabinieri vedono uscire trafelati quattro individui, intenti a sostenerne un quinto. Tutti quanti indossano divise dell'aeronautica militare». «Il rapporto dell'equipaggio della gazzella riappare, insieme al famoso piano Paters - prosegue la voce - tra le carte dell'ex Ufficio affari riservati del Viminale. Il 30 ottobre 1997 il vicepresidente della Camera, Alfredo Biondi, invia una lettera al presidente del Consiglio e ai ministri dell'Interno e della Difesa per chiedere chiarimenti sul tunnel segreto. Biondi, responsabile della sicurezza interna a Montecitorio, si rivolge al governo quando il problema del presunto tunnel viene posto in aula da Marco Zacchera di An, il quale, citando articoli comparsi sulla 'Nazione' e sul 'Giorno', afferma che la galleria illuminata, con una strada a due corsie, potrebbe essere stata utilizzata anche nella vicenda Moro». «Il tunnel, secondo i giornali, era stato scoperto accidentalmente un mese prima del sequestro da alcuni operai, che sarebbero stati, per questo, minacciati da uomini armati».
18/04/2008 ANSA

MORO/30: 19 APRILE, CONTINUA LA RICERCA ALLA DUCHESSA/ POCHE LE NOTIZIE SUL MATERIALE TROVATO IN VIA GRADOLI

  19 aprile 1978, trentacinquesimo giorno dalla strage di via Fani. Continuano le ricerche 'impossibili' del corpo di Moro nel lago della Duchessa ghiacciato da mesi. Passano invece del tutto in secondo piano le notizie sul covo di via Gradoli. Forse era questo l'effetto che si voleva ottenere con il falso comunicato. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 8:49 - «Alle sei di stamani sono riprese le ricerche nella zona dei monti della Duchessa dove si trova il lago omonimo citato nel volantino attribuito alle Brigate rosse». 9:55 - «Squadre di sciatori dei carabinieri e della guardia di finanza sono sulle rive del lago della Duchessa alla ricerca di eventuali tracce che avvalorino l'ipotesi del possibile ritrovamento del corpo dell'on. Moro nelle acque del lago. Sulla superficie i vigili del fuoco dell'Aquila, i quali, dopo aver compiuto alcune perforazioni nella crosta di ghiaccio, faranno immergere i sommozzatori. Sull'esito di tali e tante ricerche gli inquirenti nutrono forti dubbi. Il sostituto procuratore della Repubblica di Rieti, Canzio, ha dichiarato che le ricerche saranno continuate fino a che non ci sarà una valida ragione per sospenderle». 11:26 - «È stato reso noto dagli ambienti della Questura che la donna bionda, giovane e piacente notata ieri nei pressi di via Gradoli su una moto di grossa cilindrata è stata rintracciata: è stato accertato che si tratta di una persona abitante nella zona e che è risultata essere completamente estranea ai brigatisti». 12:00 - «Sono terminate le prime perizie fatte dalla polizia e da un gruppo di esperti sul comunicato numero 7 delle Brigate rosse. Sul loro esito viene conservato il massimo riserbo. Si è appreso, tuttavia, che allo stato attuale sarà molto difficile poter accertare senza ombra di dubbio l'autenticità del comunicato». 12:30 - «I sommozzatori si apprestano a scendere nel lago della Duchessa il cui strato di ghiaccio è stato fatto saltare con microcariche di tritolo da due squadre di artificieri». 12:54 - «Verso le 12,20 una prima squadra di tre sommozzatori dei vigili del fuoco è ritornata in elicottero al campo base. »Lassù è tutto ghiaccio tritato - hanno detto i vigili - non siamo riusciti a trovare l'acqua nei punti dove ci siamo infilati nelle buche aperte con l'esplosivo. La profondità massima del lago dovrebbe essere intorno a un metro e mezzo«. 13:36 - »È stato stabilito senza alcuna ombra di dubbio che il lago è ricoperto da uno strato di neve abbastanza fresca di circa 25-30 centimetri. Questa neve, secondo gli esperti, risale a quattro o cinque giorni fa. È stato stabilito in maniera altrettanto inequivocabile che lo strato di ghiaccio risale senz'altro a dicembre o gennaio: da qui la conclusione che il corpo di Moro se effettivamente si trova nel lago non può che essere tra il ghiaccio e la neve«. 13:49 - »Una telefonata anonima è stata fatta alle 12,35 alla cronaca del 'Messaggero' per annunciare che era stata lasciata una busta, ma sul posto indicato non è stato trovato nulla.(...) 'Siamo le Brigate rosse - ha detto lo sconosciuto - siete degli stronzi perchè ieri non avete trovato il secondo messaggio'«. 14:14 - »È stato fatto notare che le condizioni di innevamento delle ultime settimane sono state tali da far escludere che sia stato possibile salire in quota con un pesante fardello, in zone in cui in questa stagione non vanno neanche le persone del luogo, che pure conoscono l'insieme della montagna«. 15:52 - »Se non si troverà una copia ciclostilata del comunicato numero 7 delle Brigate rosse sarà difficile avere la prova definitiva della sua autenticità, messa in dubbio da alcune caretteristiche anomale: un 'dattilografo' (e un disegnatore) che non è quello di sempre; la diffusione avvenuta soltanto a Roma; l'anticipo notevole dell'orario«. 19:40 - »'Le ricerche fatte oggi sul lago - ha detto il sostituto procuratore della Repubblica di Rieti Giovanni Canzio - hanno avuto esito negativo anche se, per scrupolo professionale, d'accordo con i vigili del fuoco di Rieti e dell'Aquila si farà domani un'operazione antivalanghe con i mezzi tecnici idonei e con l'impiego di 30-40 uominì«. 20:26 - »Un ordigno esplosivo è stato lanciato poco prima delle 20 contro la caserma dei carabinieri di via Salaria, sede dell'ottavo battaglione dei carabinieri, alla altezza della zona di Forte Antenne. Militi avrebbero reagito sparando una raffica di mitra«. 21:15 - »L'attentato contro la caserma dei carabinieri è stato rivendicato con una telefonata anonima alla cronaca del quotidiano romano 'Il Messaggero'. Un uomo ha detto:'Qui Brigate rosse. Abbiamo attaccato la caserma dei carabinieri di Monte Antenne con bombe a mano e armi automatiche'«. 22:10 - »Sono completamente estranee ad ogni responsabilità le persone ritratte nelle fotografie delle sei carte di identità trovate nell'appartamento di via Gradoli: lo hanno fatto sapere i funzionari di polizia i quali, tuttavia, non hanno precisato in che modo i terroristi ne erano venuti in possesso. Da indiscrezioni, sembra che le sei carte di identità non ancora compilate nella descrizione di tutti i particolari facevano parte di uno stock di documenti rubati alcuni mesi fa alla quindicesima circoscrizione di via Portuense. Una parte delle carte di identità rubate fu trovata ad Ostia«
17/04/2008 ANSA

MORO/30: TONI CHICHIARELLI, UNO STRANO FALSARIO/ L'UOMO DEI MESSAGGI MISTERIOSI, AUTORE DEL FALSO COMUNICATO

  (di Stefano Fratini) La versione ufficiale sul caso Moro, ormai dominante, vuole che tutto sia ormai chiaro e che i presunti 'misteri' non siano altro che fantasie di 'dietrologi'. Uno dei personaggi chiave di questa 'fantasie' si chiama Antonio Chichiarelli, detto 'Toni'. IL PERSONAGGIO - Chichiarelli è stato ucciso sotto casa il 27 settembre 1984 da qualcuno che non è mai stato trovato. Nel 1990 l'inchiesta sull'omicidio è stata archiviata senza colpevoli. Toni era un falsario (molto abile, anche nei falsi d'arte) e rapinatore romano legato alla banda della Magliana. Secondo i racconti di alcuni personaggi a lui vicini, sarebbe stato lui l'autore del falso comunicato numero 7. Chichiarelli sarebbe anche l'autore di un altro stranissimo comunicato, scritto in codice, fatto trovare pochi giorni dopo l'uccisione di Moro e firmato Brigate rosse-cellula Roma sud. IL BORSELLO SMARRITO - Il 14 aprile 1979, poche settimane dopo l'uccisione di Pecorelli, è sempre Chichiarelli che fa trovare un borsello contenente oggetti legati alla vicenda Moro. Il borsello, apparentemente smarrito su un taxi, viene consegnato al colonnello Antonio Cornacchia, comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma (e iscritto alla P2), grazie a due giovani americani. Al suo interno ci sono una pistola Beretta calibro 9 con matricola limata; un caricatore; undici pallottole 7,65 e una di calibro maggiore; una testina rotante Ibm di corpo 12; un mazzo di nove chiavi; due cubi flash; un pacchetto di fazzoletti di carta marca Paloma; una cartina autostradale della zona comprendente il lago della Duchessa; una bustina con tre pillole bianche; alcuni fogli dell'elenco telefonico di Roma con i numeri dei centralini dei ministeri; un falso volantino brigatista; un pezzo del biglietto del traghetto Messina-Villa San Giovanni; quattro fotocopie di schede dattiloscritte stese in un linguaggio simile a quello della polizia, una delle quali riguardante l'omicidio di Pecorelli (con annotazioni riguardo materiale recuperato e alcune cifre relative a parti mancanti). Le schede risultano scritte con la stessa testina Ibm usata per il falso comunicato numero 7. Alcune allusioni non sono di facile comprensione, ma altre sono chiare: i dodici proiettili, sparati da due armi diverse, con i quali Moro è stato ucciso; la testina rotante con cui sono stati scritti i comunicati; i nove comunicati emessi delle Br; le due fotografie di Moro scattate dai brigatisti; il comunicato del lago della Duchessa; i medicinali di Moro; i fazzoletti di carta con cui sono state tamponate le ferite dopo l'esecuzione. La scheda su Pecorelli allude alla connessione dell'uccisione del giornalista con il caso Moro e a documenti scomparsi. LA MAXI-RAPINA - Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1984, Chichiarelli compie una rapina da 35 miliardi di lire alla Brink's Securmark, considerata dagli inquirenti come una sorta di ricompensa per il presunto ruolo di intermediazione svolto dalla banda nella vicenda Moro. Prima di andarsene, i banditi scattano alcune foto Polaroid a un vigilante con al collo un cartone su cui hanno disegnato la stella 5 punte. Sul posto lasciano una granata Energa (del tipo usato durante l'agguato mortale al colonnello Varisco), sette chiavi, sette piccole catene e sette proiettili calibro 7,62 Nato. Due giorni dopo, una telefonata al quotidiano Il Messaggero annuncia che in un cestino in Piazza Gioacchino Belli (lo stesso posto del falso comunicato numero 7) c'è una rivendicazione. Ci sono anche ricevute della Brink's, tre proiettili calibro 7,62 Nato, due pezzi di foto Polaroid a colori con uno striscione delle BR con la stella a 5 punte, gli originali delle schede (tra cui quella su Pecorelli) lasciate in fotocopia nel borsello. Nel comunicato di rivendicazione è scritto tra l'altro che «i vari arresti indiscriminati, la 'scoperta' di covi (Via Ferentano) non sono altro che sottili messinscene per creare allarmismi». strano il riferimento alla scoperta del covo, la cui notizia era stata data dalle agenzie la sera del 23 marzo. In Via Ferentano c'erano, oltre ad armi, esplosivi e tutto il resto del corredo brigatista, ben 1.479 schede su esponenti del mondo politico, imprenditoriale, militare. LE RIVELAZIONI - Nel giugno 1988 un settimanale pubblica le dichiarazioni di un amico di Chichiarelli che dichiara di aver visto nelle mani di Chichiarelli una Polaroid con la quale il falsario gli disse di aver fotografato Aldo Moro durante la sua prigionia, aggiungendo di aver conservato un paio di fotografie. «Toni mi ha detto - dice ancora il personaggio nell'intervista - che è stato militante delle Br e che in quella organizzazione ha svolto un ruolo importante».
17/04/2008 ANSA

MORO/30: VIA GRADOLI, SCOPERTA DI UN COVO ANNUNCIATO/ ANSA LA BASE DELLE BR ROMANE SEGNALATA ANCHE DALLO SPIRITO DI LA PIRA

  (di Stefano Fratini) La scoperta del covo di via Gradoli è il primo successo degli investigatori dall'inizio del caso Moro, o meglio, lo sarebbe se quella giornata del 18 aprile non celasse ancora molti, troppi, misteri irrisolti: VIA GRADOLI - È una stradina stretta sulla Cassia. Il covo era stato preso in affitto alla fine del 1975 da Mario Moretti, che si qualifica come ing. Mario Borghi. I primi inquilini Br di via Gradoli sono Lauro Azzolini e Carla Brioschi, poi Valerio Morucci e Adriana Faranda, Infine Mario Moretti e Barbara Balzerani. Lo strano è che decine di appartamenti di quel palazzo erano intestati a società vicine al Sisde. Inoltre, più o meno di fronte, abitava un sottufficiale del Sismi, coetaneo e compaesano di Moretti. LA PERDITA D'ACQUA - La scoperta dell'appartamentino dove abitavano Mario Moretti (la 'primula rossa' delle Br) e Barbara Balzerani avviene per caso, per una perdita d'acqua. L'inquilina dell'appartamento del piano di sotto chiama l'amministratore che fa intervenire l'idraulico e, visto che questi non riesce ad entrare nell'appartamento dov'era la perdita, i pompieri. I vigili del fuoco si accorgono immediatamente che si tratta di una base di terroristi e chiamano la polizia. Si accorgono anche che la perdita d'acqua non è casuale ma provocata dalla doccia lasciata aperta e direzionata, perchè appoggiata su una scopa all'interno della vasca, verso il muro. IL MANUALE DEL PERFETTO BRIGATISTA - Il 'covo' è pieno di tutte le cose che ci si aspetta di trovare in un covo di terroristi: armi, documenti falsi e materiale per falsificarli, divise varie, documenti, ricetrasmittenti e molto altro. Tutto lasciato nel più completo disordine, contro ogni regola di comportamento di qualsiasi 'manuale del bravo terrorista', che consiglia un ordine perfetto per resistere a perquisizioni superficiali. IL MANUALE DEL PERFETTO INVESTIGATORE - Anche gli investigatori violano pesantemente la regola che consiglia, una volta scoperto un covo, di appostarsi e attendere in silenzio il ritorno degli abitanti. Invece arrivano auto, moto, sirene e la scoperta viene strombazzata ai media (la Balzerani dirà di aver saputo dal Tg la notizia che il suo rifugio era stato scoperto). LA PRIMA PERQUISIZIONE - Due giorni dopo la strage di via Fani la polizia era arrivata a perquisire il palazzo ma, trovata la porta chiusa, se ne era andata, nonostante una ragazza egiziana che abitava lì, amica del commissario Elio Coppa (iscritto alla P2) avesse detto di aver sentito rumori sospetti (trasmissioni radio in alfabeto Morse) provenire dall'interno 11. LA SEDUTA SPIRITICA - Il 2 aprile, in una casa di campagna vicino Bologna, un gruppetto di professori universitari tra cui Romano Prodi, Mario Baldassarri e il padrone di casa Alberto Clò pensa bene di fare una seduta spiritica, evocando lo spirito di La Pira per chiedergli dove si trova Moro. Il bello è che La Pira risponde indicando, tra l'altro, la parola Gradoli. Prodi segnala la cosa. Ufficialmente sarà perquisito il paese di Gradoli (cosa che non risulta). Quando la moglie di Moro chiede a Cossiga se non potesse trattarsi di via Gradoli, il ministro dell'interno risponde che sullo stradario di Roma non esisteva una via Gradoli. Strano anche che la famiglia Moro non abbia chiesto a Prodi la vera fonte dell'informazione (o se lo ha fatto, non lo ha mai detto e non ha mai detto la risposta). I CALABRESI - Al processo Pecorelli, l'ex parlamentare Dc calabrese Benito Cazora dice che una settimana dopo via Fani un certo 'Rocco', calabrese anche lui, gli accennò ad un covo delle Br a via Gradoli e di averne informato il questore di Roma. LA BRUNA - Antonio La Bruna, ex ufficiale del Sid e anche lui iscritto alla P2, ha affermato che, prima della scoperta della base delle Br, l'ing. Puccinelli, presidente della International Opus Christi, sua occasionale fonte informativa, gli aveva segnalato che a via Gradoli c'era «qualcosa su cui vale la pena di indagare». VARISCO - Nel 1995, l'avvocato Rocco Mangia rivela di aver parlato dei suoi sospetti su via Gradoli ad Antonio Varisco, ufficiale dei carabinieri, riferendo le impressioni di un'amica che frequentava la palazzina. LA CARTOLINA MISTERIOSA - Il 22 aprile qualcuno spedisce da Fidenza (Parma) una cartolina indirizzata a Vincenzo Borghi, via Gradoli 96. In realtà lo pseudonimo di Mario Moretti è Mario Borghi, ma il nome sbagliato Vincenzo compare nel rapporto del colonnello dei carabinieri Antonio Cornacchia (iscritto alla P2) sulla scoperta del covo, e in una nota pubblicata da Pecorelli su «Op». La cartolina riproduce alcune immagini di Piacenza e una cartina stradale dei dintorni, nella quale qualcuno ha segnato con una crocetta la località di Cortemaggiore. Sulla cartolina, recapitata il 29 aprile, è scritto: «Saluti B.R.». IL COMUNICATO FALSO, IN CONTEMPORANEA - Lo stesso giorno (e praticamente la stessa ora) della scoperta di via Gradoli, in un cestino di piazza Belli viene trovato il falso comunicato numero 7 che annunciava che Moro era stato ucciso, anzi 'suicidato' e che il suo corpo si trovava nel lago della Duchessa, un posto sperduto tra le montagna al confine tra le province di Rieti e L'Aquila. Un comunicato visibilmente falso per molti motivi: era stato lasciato solo a Roma e non anche a Milano, Torino e Genova; era fotocopiato e non ciclostilato; era breve invece che lungo; era ironico invece che serissimo; era inattendibile anche perchè la zona del lago della Duchessa era ricoperta di neve e inaccessibile da dicembre, il lago era ghiacciato da mesi, i fuoristrada non riescono ad arrivarvi e gli elicotteri non possono atterrare. Per immergersi, i sommozzatori dovranno aprirsi un varco con le cariche esplosive. Nonostante questo (e altro) Vicinale e magistrati non esitano a dichiarare autentico il comunicato. Quale rapporto ci sia stato tra scoperta del covo e falso comunicato nessuno l'ha mai chiarito.
17/04/2008 ANSA

MORO/30: IL FALSO COMUNICATO NUMERO SETTE/ ANSA (SCHEDA DI DOCUMENTAZIONE)

  Questo è il testo del falso comunicato numero 7 delle Brigate rosse, trovato il 18 aprile 1978: IL PROCESSO AD ALDO MORO Oggi 18 aprile 1978, si conclude il periodo «dittatoriale» della DC che per ben trent'anni ha tristemente dominato con la logica del sopruso. In concomitanza con questa data comunichiamo l'avvenuta esecuzione del presidente della DC Aldo Moro, mediante «suicidio». Consentiamo il recupero della salma, fornendo l'esatto luogo ove egli giace. La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi (ecco perchè‚ si dichiarava impantanato) del lago Duchessa, alt. mt. 1800 circa località Cartore (RI) zona confinante tra Abruzzo e Lazio. È soltanto l'inizio di una lunga serie di «suicidi»: il «suicidio non deve essere soltanto una »prerogativa« del gruppo Baader Meinhof. Inizino a tremare per le loro malefatte i vari Cossiga, Andreotti, Taviani e tutti coloro i quali sostengono il regime. P.S. - Rammentiamo ai vari Sossi, Barbaro, Corsi, ecc. che sono sempre sottoposti a libertà »vigilata«. 18/4/1978 Per il Comunismo Brigate Rosse
17/04/2008 ANSA

MORO/30: 18 APRILE, VIA GRADOLI E LAGO DELLA DUCHESSA/ IL COVO SCOPERTO PER UNA PERDITA D'ACQUA, IL LAGO GHIACCIATO

  18 aprile 1978, trentaquattresino giorno del rapimento Moro, è la giornata dei colpi di scena. La scoperta del covo di via Gradoli avviene in contemporanea con il ritrovamento di un sedicente comunicato numero 7 delle Brigate rosse, falso in modo evidentissimo, ma stranamente accreditato cone 'autentico' da Viminale e inquirenti. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 10:52 - «Un 'covo' è stato trovato stamane in un appartamento di via Gradoli 94, una strada che si trova all'altezza del km. 10,500 della via Cassia. All'interno, secondo le prime notizie giunte, sarebbero stati trovati manoscritti, riferentisi al rapimento dell'on. Moro, e alcuni passamontagna». Questa prima notizia contiene un errore. Il numero civico è 96 e non 94. 10:59 - «L'intervento di polizia e carabinieri in via Gradoli è stato chiesto dai vigili del fuoco, chiamati a loro volta per un intervento in un appartamento all'interno sette dello stabile di via Gradoli. In questo appartamento, secondo quanto si è appreso fino a questo momento, era avvenuto un allagamento». 11:12 - «La sala operativa della Questura ha diramate le ricerche di una moto Honda rossa, sulla quale si troverebbe una donna bionda, vista allontanarsi da via Gradoli». 11:31 - «Fino alle 7,30 di questa mattina l'appartamento di via Gradoli trasformato in covo era sicuramente occupato da qualcuno: è questa la circostanza di maggior rilievo emersa dopo la testimonianza di una signora che abita nello stesso palazzo e che è stata intervistata da un redattore dell'ANSA. La signora è stata svegliata stamani dal rumore di passi 'frettolosi' che provenivano dall'appartamento sovrastante e non ha dato peso eccessivo alla cosa. Qualche minuto dopo si è accorta che sul soffitto del bagno si allargava una macchia d'acqua. Allarmata la donna ha allora telefonato ai vigili del fuoco. Questi ultimi, giunti sul posto, hanno sfondato la porta dell'appartamento n. 11 e si sono resi conto di trovarsi davanti ad un covo dei brigatisti». 12:15 - «I vigili accorsi, hanno sfondato la porta e hanno constatato che l'acqua usciva dall'impianto della doccia ed aveva invaso tutto il bagno. La doccia, evidentemente, era stata lasciata aperta da qualcuno che si era allontanato in fretta». 12:20 - «A seguito di una segnalazione telefonica a un quotidiano della Capitale è stato rinvenuto un volantino dal seguente contenuto». Il 'comunicato numero 7', falso, annunciava «l'avvenuta esecuzione del presidente della Dc Aldo Moro mediante suicidio» aggiungendo che il suo corpo era immerso «nei fondali limacciosi» del lago della Duchessa. «Per compiere i conseguenti accertamenti - scriveva l'ANSA - reparti delle forze dell'ordine stanno confluendo nella indicata località insieme a sommozzatori dei vigili del fuoco. Sul luogo si sono recati immediatamente il procuratore capo della Repubblica di Roma, De Matteo, accompagnato dal vicecapo della polizia Santillo». 12:59 - «Da un primo, superficiale esame del comunicato sembra molto probabile che la macchina per scrivere usata sia la stessa dei messaggi precedenti». 13:00 - «Non risulta che finora copie del presunto comunicato numero 7 delle Brigate rosse siano state fatte recapitare a Torino, Genova e Milano, come era avvenuto per gli altri comunicati». 14:52 - «La zona del lago della Duchessa è ormai da alcune ore perlustrata minuziosamente da elicotteri della polizia e dei carabinieri. A bordo di uno degli elicotteri si trovano i magistrati accorsi sul posto. La zona è ricoperta da uno spesso manto di neve che rende praticamente impossibile ai velivoli di atterrarvi, anche perchè, dicono gli agenti di polizia e i carabinieri, sotto il manto di neve c'è fanghiglia». 14:53 - «Ciò che si può per il momento evincere dalle frasi degli investigatori è che è praticamente impossibile per chiunque trasportare senza l'ausilio di elicotteri un corpo in questa zona del lago della Duchessa». 15:15 - «Una inquilina dello stabile ha riferito che circa venti giorni fa agenti del commissariato Flaminio nuovo, competente per zona, fecero una perquisizione nella palazzina che comprende l'appartamento all'interno 11: la donna non sa se furono perquisiti tutti gli appartamenti». 16:49 - «La superficie del lago della Duchessa è completamente ghiacciata, le sponde e le pendici delle montagne intorno sono coperte da un alto strato di neve. Il ghiaccio è compatto e sulla neve non sono state trovate impronte. I vigili del fuoco si sono immersi nelle acque gelate del vicino laghetto di Cerasolo, la cui superficie non era completamente ghiacciata, hanno ispezionato i fondali e non hanno trovato alcun corpo». 17:40 - «A proposito del 'comunicato numero 7', il procuratore De Matteo ha detto di ritenere che sia autentico 'anche se - ha aggiunto - non ho potuto esaminarlo attentamente'». 19:16 - «Due perizie per accertare l'autenticità del comunicato numero 7 sono state disposte dalla polizia e dal tribunale. Il lavoro dei periti si presenta però molto difficile. Il volantino fatto trovare nel cestino dei rifiuti di piazza Gioacchino Belli non è un originale da ciclostile bensì una fotocopia». 20:29 - «Un appello per la difesa della vita di Aldo Moro è stato sottoscritto da un gruppo di intellettuali, uomini politici, esponenti della gerarchia ecclesistica». Tra i firmatari David Maria Turoldo, Raniero La Valle, Adriano Ossicini, Carlo Bo, Dario Fo, Mario Agnes, Marco Pannella. 21:07 - «Verso le 20,30 è cominciata una battuta in una zona a tre chilometri dalla valle del Salto tra l'autostrada dell'Aquila e la strada Ciccolana. Polizia e carabinieri, in seguito ad una segnalazione, si sono receti verso una cava di ghiaia che confina con un pantano».
16/04/2008 ANSA

MORO/30: 17 APRILE, INTERVENTO ONU, AMNESTY E CARITAS/ SI MOLTIPLICANO LE DISPONIBILITÀ A INIZIATIVE UMANITARIE

  17 aprile 1978, 33° giorno del rapimento Moro. Amnesty international si dice disponibile a fare qualcosa. Lo stesso per Caritas internationalis che dice però di non essere stato ancora interpellato. Anche il segretario generale dell'Onu Kurt Waldheim lancia un appello per la liberazione dell' on Aldo Moro. Il Pci ribadisce la linea della fermezza. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 14:15 - Dopo la riunione del Comitato centrale del Pci, Bufalini riferisce che contro le Brigate rosse «Ci vuole fermezza assoluta. Se si subisse il ricatto - e in caso di tale livello e portata! - si aprirebbe la via al disfacimento dello Stato; o comunque ad una situazione riconosciuta di scontro militare che esigerebbe conseguenti, gravissime misure». 14:26 - «Si è appreso oggi che alcuni movimenti nei pressi dello studio dell'on. Moro in via Savoia 88 furono segnalati dalla polizia alla magistratura verso i primi di marzo. Subito dopo la strage di via Fani e il rapimento del presidente della Dc circolò la voce che la possibilità di azioni criminali verso l'on. Moro era stata ventilata alla Procura della Repubblica. Seguì una smentita». 16:11 - «'Non spargete altro sangue, non uccidete più'. Questo appello ai rapitori dell'on. Moro viene rivolto oggi dall'Osservatore Romano in un breve corsivo non firmato». 17:33 - «Il presidente del Senato Fanfani ha aperto oggi i lavori dell'Assemblea con un discorso sull'ultimo messaggio delle Brigate rosse. 'Il susseguirsi di penosi avvenimenti - ha detto ai senatori, i quali lo hanno ascoltato in piedi - spesso rende difficile resistere ad un impulso dell'animo: quello di esprimere amarezza allorchè, per insorte difficoltà, sembrano aver avuto insufficienti accoglimenti le sollecitazioni dirette a far prendere appropriate, tempestive, democratiche decisioni per prevenire temuti avvenimenti». 18:08 - «Il ministro della Sanità signora Tina Anselmi alle 17,10 è giunta in casa della famiglia Moro scortata dagli agenti di servizio: Questa è la quarta volta, dopo le tre visite fatte ieri, che la signora Anselmi si reca nell'abitazione del presidente della Dc». 18:31 - «La 'Caritas internationalis' ha reso noto che il presidente mons. Giorgio Hussler ha fatto oggi pomeriggio a Friburgo (Germ. Occ.) la seguente dichiarazione in merito alla drammatica vicenda che coinvolge l'on. Moro:'Abbiamo appreso che alcuni giornali italiani hanno ipotizzato l'intervento della 'Caritas internationalis' per salvare la vita dell'on. Moro, ma almeno sinora, tale intervento non è stato sollecitato. Qualora fossimo interpellati in questo senso - ha continuato - saremmo disponibili ad operare nell'ambito e con i metodi umanitari che ci sono propri e con cui ci adoperiamo, in oltre 100 Paesi, per favorire le persone che si trovano nel bisogno». 18:45 - «Il presidente del Consiglio on. Andreotti ha ricevuto stasera a palazzo Chigi l'ambasciatore degli Stati Uniti Gardner il quale gli ha consegnato un messaggio del presidente Carter. Il messaggio afferma:'Signor presidente, le scrivo in un momento che so particolarmente difficile per lei e per il popolo italiano. Noi tutti negli Stati Uniti siamo profondamente costernati per l'insensato rapimento dell'on. Moro, un grande statista ed un leader nazionale. Le mie preghiere e quelle del popolo americano son con lei - aggiunge Carter - e con tutti gli italiani in questi giorni di speranza per una sollecita restituzione dell'on. Moro ai suoi cari». 19:12 - «La Digos genovese sta svolgendo indagini su uno strano annuncio apparso sul 'Secolo XIX' di ieri. Il testo, pubblicato nella rubrica 'prestiti finanziamenti operazioni commercialì dice 'aaa 333 assoluto riserbo 300 trattabili - scrivere casella 3031 b'. L'annuncio è la risposta ad un volantino fatto giungere venerdì scorso al 'Secolo XIX' da una persona che ha detto di essere delle Brigate rosse. Si trattava di una paginetta scritta a mano e indirizzata al ministro dell'Interno Cossiga nel quale l'anonimo autore dello scritto diceva di voler uscire dalle Br e di essere disposto - in cambio di una somma imprecisata - a svelare il nascondiglio deve è tenuto prigioniero Moro, oltre ai nomi e agli indirizzi dei brigatisti. Poi proponeva l'avviso sul giornale nel caso la sua offerta fosse stata accettata. Il 'messaggiò è stato subito considerato opera di un mitomane ma l'apparizione dell'annuncio sul giornale ha fatto scattare le indagini. (...) Non si esclude però che l'annuncio sia opera della stessa persona che ha inviato la lettera a Cossiga». 19:18 - «L'ufficio stampa della Dc ha diffuso il seguente comunicato:'La segreteria della Dc sottolinea come un atto altamente positivo l'iniziativa di 'Amnesty international'. Essa risponde all'auspicio espresso nei giorni scorsi dal partito ed è stata assunta in concordanza, come precisa la stessa organizzazione, con i familiari del presidente Moro». 19:58 - «Le ripetute visite di ieri sera e ancora di oggi alla famiglia dell'on. Moro da parte del ministro Anselmi, che in questa fase terrebbe i contatti per conto della Democrazia Cristiana, sono state messe in relazione con le iniziative che si sono sviluppate nelle ultime ore dopo l'appello di carattere umanitario della Dc». 21:38 - Dalla Dc è stato precisato che l'on. Tina Anselmi ha avuto in questi giorni contatti con la signora Eleonora Moro in quanto amica di famiglia«. 22:23 - »Il ministro della Sanità, Tina Anselmi, questa sera alle 21,35 è tornata nella casa della famiglia Moro. Il ministro si è trattenuta nell'appartamento di via Forte Trionfale fino a pochi minuti prima delle 22«.
15/04/2008 ANSA

MORO/30: 16 APRILE, TRATTARE O NON TRATTARE ?/ CRAXI A CASA MORO, FALSI ANNUNCI DI RITROVAMENTO DI MORO

  16 aprile 1978, domenica, 32ø giorno dalla strage di via Fani. Il giorno dopo il comunicato delle Br che annuncia la condanna a morte di Moro, drammatizzando una vicenda già drammatica, si intrecciano le discussioni sul modo di affrontare la situazione. La Dc praticamente afferma che non può fare nulla, ma auspica che qualcuno può fare qualcosa per salvare Moro. Arrivano anche diverse telefonate di sciacalli o mitomani che annunciano il ritrovamento del corpo di Moro. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 00:26 - «Una battuta a largo raggio è stata fatta stasera, sotto una fitta pioggia, nella vasta zona compresa tra Casilina, l'Autostrada del Sole e l'Appia a 174 chilometri da Roma. L'intervento della polizia e dei carabinieri, rimasto per il momento senza esito - è stato provocato da una telefonata anonima pervenuta alla redazione centrale dell'ANSA poco dopo le 22. Uno sconosciuto, dopo aver chiesto di parlare con un redattore di turno, ha dichiarato che al 174/mo chilometro della Roma-Napoli sarebbe stato trovata una 'bellissima sorpresa'. Eda alla richiesta di ulteriori chiarimenti ha aggiunto, prima di interrompere la comunicazione:'Moro'». 12:32 - «Il presidente della Repubblica Leone, indirizzandosi alla signora Eleonora Moro, si è così espresso:'In questo drammatico momento in cui le parole servono a ben poco, sento tuttavia il dovere di esprimere a lei e ai suoi la profonda commozione di tutti gli italiani per la tremenda minaccia che incombe su Aldo Moro. Dovranno pure i suoi sequestratori sentire il peso della severa condanna dell'intero Paese e dell' isolamento che si chiude su di loro». 14:45 - «La riunione nella sede della Dc è terminata poco prima delle 13,30. Il vicesegretario del partito on. Galloni è sceso al primo piano, dove erano in attesa numerosi giornalisti e fotografi, e ha fatto questa dichiarazione:'La linea della delegazione è quella di conferma delle ultime decisioni del partito. In quella direzione, confermando la volontà di rimanere fedeli a quelle che sono le linee fondamentali del nostro ordinamento democratico, abbiamo però aggiunto che non lasceremo nulla di intentato per salvare la vita di Moro». 16:32 - «Si è appreso che il segretario socialista Bettino Craxi si è incontrato con la signora Moro. Il segretario del Psi ha rinnovato alla signora Moro i sentimenti di solidarietà dei socialisti italiani ed ha confermato che il Psi assicura ed assicurerà il suo appoggio ad ogni iniziativa utile ai fini della liberazione di Moro, obiettivo che deve essere considerato come uno dei doveri fondamentali dello Stato». 10:12 - «Si è avuta conferma che nel 1977 e nei primi mesi del 1978 l'on. Moro adottò delle precauzioni per impedire che persone estranee entrassero nel suo studio, in via Savoia 88. Dalla polizia non è stato precisato se le misure vennero prese dopo un furto o un tentativo di furto. Si sa che un giovane fu visto una notte entrare nel giardino dello studio. In un'altra occasione alcuni ladri entrarono nello stesso giardino che confina con la strada e andarono a rubare in un appartamento del secondo piano. L'on. Moro fece mettere vetri blindati e persiane corazzate alle finestre. Nel giardino dello stabile fu messa una lampadina. Il 27 febbraio, in una riunione di condomini, uno degli abitanti di via Savoia 88 protestò perch‚ i cavi telefonici che passavano nei sotterranei dell'edificio erano stati sostituiti. L'amministratore dello stabile Guglielmo Martone disse di non essere al corrente di quei lavori. La portiera dichiarò che una squadra di operai della Sip era entrata nei sotterranei ed aveva sostituito alcuni cavi». 21:32 - «L'on. Tina Anselmi, ministro della Sanità, si è recata stasera due volte a far visita alla signora Eleonora Moro. La prima volta l'on. Anselmi si è trattenuta per dieci minuti, dalle 20 alle 20,10. Successivamente è ritornata alle 20,40 ed è andata via dopo venti minuti. Il ministro non ha voluto fare dichiarazioni». 23:29 - «Successivamente, a distanza di circa un'ora, l'on. Anselmi è tornata ancora per la terza volta dalla signora Eleonora Moro e si è intrattenuta per circa 10 minuti».
13/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: BRUTTI, DOPO FINE SEGRETO STATO CAPIREMO PERCHÈ NON FU SALVATO

  «Le istituzioni democratiche hanno il dovere di non tenere nascosto nulla di quei giorni. Un esame a tappeto dei documenti può forse svelare qualcosa e ci aiuterà a comprendere perchè lo Stato non fu capace di salvare Moro. Italo Calvino scrive dopo l'omicidio: 'Mi sono chiesto se da una storia tanto fosca possa mai nascere qualche conseguenza positiva. Credo che dal male non venga altro che male. I mali italiani accumulati hanno portato alla mostruosità del delitto Morò. Ebbene, tra questi giocarono un ruolo devastante l'inefficienza e la slealtà dei servizi segreti, allora dominati dalla loggia massonica P2». Lo dichiara Massimo Brutti, vicepresidente del Copaco, comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti italiani in un'intervista a 'La Repubblica', commentando alla decisione del governo di abbreviare i termini del segreto di stato. «La legge - continua Brutti - parla chiaro e va applicata rigorosamente. Molti documenti sono stati distrutti specie negli anni '80. Chiederemo i verbali di distruzione per capire cosa manca all'appello e perchè. Ma l'intera materia non sarà più affidata alla discrezionalità di alcuni funzionari». «La legge dice 'chiunque vi abbia interesse': storici, giornalisti, politici, i familiari delle vittime. Leggeremo i documenti segreti della commissione Sindona sulla P2. Non cerco - conclude Brutti - rivelazioni eclatanti. La trasparenza premia gli uomini dei servizi fedeli alla Costituzione. Penso all'esempio di Nicola Calipari che in futuro dovremo portare con noi».
13/04/2008 ANSA

MORO/30: 14 APRILE, TUTTI IN ATTESA DI NOVITÀ

  14 aprile 1978, 30ø giorno del rapimento Moro. Un'altra giornata in attesa di sviluppi e novità che non arrivano. Continuano le voci di nuovi messaggi di Moro, ancora smentiti. Perquisizioni a Roma, in piazza Vittorio e a Monteverde (non molto lontano dal covo di via Montalcini). Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'Ansa: 14:06 - «Il sostituto procuratore dottor Luciano Infelisi, che conduce l'inchiesta per il rapimento dell'on. Moro e la strage della sua scorta, è stato assolto dal tribunale di Grosseto dalla accusa di falso ideologico in atto pubblico perchè il fatto non costituisce reato. Infelisi era stato denunciato dopo l'archiviazione di un procedimento perchè, a giudizio del professor Aurelio De Nardi di Roma, aveva affidato lo svolgimento di un interrogatorio di testimoni al suo cancelliere, senza presenziare direttamente all'esame dei testi». 16:37 - «Numerosi deputati della Dc tra cui il vicepresidente del gruppo della Camera Bianco e il direttore del Popolo on. Belci con una interrogazione rivolta al ministro della Pubblica istruzione. Nell'interrogazione i parlamentari democristiani chiedono di sapere quali provvedimenti intendano prendere 'dinanzi ad un atto così grave, che oltre ad essere lesivo della dignità della scuola nella sua funzione educativa, della libertà dell'apprendimento, si abbandona all'apologia di reato e alla più diseducante provocazione per non definirla vera pedagogia del crimene e della violenza, attentando alle coscienze e alle intelligenze dei giovani e al comune senso dello Statò». Tanta indignazione dopo le proteste di alcune famiglie perchè un professore di un ginnasio di Fermo ha dato un tema che accenna al fatto che, per occuparsi di Moro, ci si è dimenticati delle vittime di via Fani. 19:16 - «Un'operazione di polizia, decisa nell'ambito delle indagini sul rapimento di Aldo Moro, è stata compiuta questo pomeriggio in piazza Scotti, nel quartiere Monteverdi. Reparti di agenti di pubblica sicurezza hanno perquisito decine di abitazioni e interi stabili. Alcune persone sono state identificate, ma non sono stati resi noti i risultati di questa operazione che segue di poche ore quella compiuta stamane dai carabinieri nella zona di piazza Vittorio». 22:30 - «L'assemblea dei cronisti dei quotidiani delle agenzie di stampa e della Rai-tv che seguono lo sviluppo del caso Moro, riunitasi nella sala stampa della Questura di Roma con l'intervento del presidente, del segretario e di alcuni consiglieri del sindacato cronisti romani, ha fatto un comunicato sulla 'gravissima intimidazione compiuta dal questore De Francesco nei confronti del collega Piero Orsini dell'Agenzia Italia, privato del diritto di accesso alle fonti di informazione'». Il questore aveva ritirato l'accreditamento ad Orsini, dopo che la sera del giorno prima Orsini aveva scritto una notizia sull'intercettazione da parte della polizia di un messaggio di Moro alla famiglia (poi smentito). Il giorno stesso la revoca viene ritirata.
12/04/2008 ANSA

MORO/30: 13 APRILE, SMENTITA AVOCAZIONE INCHIESTA/ ANSA CIVILTÀ CATTOLICA APRE SPIRAGLI A TRATTATIVA

  3 aprile 1978, sono passati 29 giorni dalla strage di via Fani. La procura generale della Repubblica smentisce le voci circolate di un'avocazione dell'inchiesta. Continua la politica di screditare gli scritti di Moro, ma la rivista dei gesuiti 'Civiltà cattolica' apre spiragli alla trattativa scrivendo che lo Stato non può farlo, ma altri sì. Smentito anche il sequestro di un'altra lettera di Moro alla famiglia. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA. 12:00 - «Con un'intervista allo scienziato Gastone Lambertini, di Ferrara, e con una nota del prof. Federico Alessandrini, ex portavoce della Santa Sede, il settimanale vaticano 'Osservatore della domenica' sostiene che non si possono attribuire in alcun modo alla persona dell'on. Moro le affermazioni diffuse con la sua stessa scrittura e che il trattamento dello statista è molto simile a quello praticato nei più noti ed inumani processi dello stalinismo, dal 1936 agli oppositori moscoviti interni al partito fino a quello del 1949 al card. Mindszenty». 14:18 - «'Lo Stato e la Dc non possono cedere al ricatto dei terroristi, nè scendere a trattative con essi; ciò però non significa che - attraverso possibili canali diversi - non si debba far nulla per tentare di salvare la vita all'on. Moro'. Lo afferma il padre Giuseppe De Rosa in un'articolo sul terrorismo apparso sull'ultimo numero di 'Civiltà cattolica'». 14:05 - «Con un comunicato la Procura generale presso la corte di appello di Roma ha precisato:'con riferimento a fantasiose notizie apparse su due quotidiani del mattino, la Procura generale presso la corte di appello di Roma comunica che le indagini preliminari riguardanti il sequestro dell'on. Moro e l'eccidio della sua scorta proseguono regolarmente sotto la direzione del procuratore della Repubblica, il quale, a norme dell'art. 233 del codice di procedura penale, ne riferisce quotidianamente gli sviluppi al procuratore generale. Le indagini si svolgono nella più perfetta intesa tra la magistratura inquirente, il ministro dell'Interno e tutte le forze di polizia. Alcuni giornali hanno affermato stamane che il procuratore generale della Repubblica Pietro Pascalino ha chiesto in visione tutti gli atti dell'inchiesta sul rapimento dell'on. Aldo Moro e che ciò significa in pratica l'avocazione del procedimento da parte della Procura generale». 14:06 - «Perquisizioni e posti di blocco sono stati fatti dagli agenti del commissariato di Sulmona in collaborazione con il distaccamento di polizia stradale di Castel di Sangro». 20:50 - A Tribuna politica, «L'on. Almirante ha detto di aver molto apprezzato l'on. La Malfa quando, il 16 marzo, alla Camera, ha preso delle posizioni che fino a quel momento era solo il Msi a prendere: i provvedimenti più duri, la pena di morte». 21:58 - «I carabinieri della compagnia di Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, in collaborazione con quelli di Rieti, stanno cercando di rintracciare un'autovettura di grossa cilindrata, quasi certamente di marca tedesca, notata alla mezzanotte fra il 17 e il 18 di marzo a 36 ore dal rapimento di Aldo Moro, al passaggio a livello sito al chilometro 39 della linea ferroviaria Roma-Firenze». 22:03 - «Le indagini dei carabinieri sono ora concentrate in particolare a Monterotondo e a Torrita Tiberina, dove sembra che possano esservi delle persone che in qualche maniera sarebbero collegate con l'episodio del casello». 23:44 - «È stata formalmente smentita una voce circolata questa sera secondo la quale la polizia avrebbe intercettato un'altra lettera di Moro alla famiglia fatta recapitare dalle Brigate rosse a un intermediario. Lo stesso capo della Digos, dott. Spinella, ha detto ai giornalisti che informerà la Procura della Repubblica ritenendo che voci 'destituite di ogni fondamento' come questa possono danneggiare le indagini in corso».
11/04/2008 ANSA

MORO/30: GIÀ APPROVATO REGOLAMENTO SU SEGRETO DI STATO

  Sembra avvicinarsi la possibilità di accedere ai faldoni sul caso Moro secretati che, secondo l'ex presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino, sarebbero di primaria importanza per capire l'intera vicenda. L'atteso regolamento sul segreto di Stato (primo dei regolamenti attuativi della legge di riforma dei servizi varato dal Governo), che aveva già avuto il parere favorevole del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) è stato definitivamente varato dal Governo. A renderlo notoè lo stesso presidente del Consiglio, Romano Prodi, in una lettera con la quale risponde alla richiesta del giornalista free-lance Gabriele Mastellarini, che aveva ufficialmente richiesto tutta la documentazione secretata sull'uccisione di Aldo Moro. Nella lettera, resa nota dallo stesso Mastellarini, Prodi scrive che «la completa applicazione della legge n. 124/07», che prevede che il segreto di Stato può durare al massimo 30 anni, «è stato definitivamente approvato ed è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale». «Ogni valutazione in merito alla sua istanza - ha aggiunto Prodi - è pertanto differita al momento dell'entrata in vigore del citato decreto regolamentare, prevista entro 15 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale».
11/04/2008 ANSA

MORO/30: 12 APRILE, GAZZETTA MEZZOGIORNO PER TRATTATIVA/INTANTO CONTINUANO GLI INUTILI RASTRELLAMENTI

  12 aprile 1978, sono ormai quattro settimane che Moro è nelle mani dei suoi rapitori. La cosa più importante di questo giorno interlocutorio è l'appello pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno ad una trattativa per salvare la vita di Moro. In tutta Italia continuano le inutili esibizioni di parata con perquisizione a tappeto di intere zone, naturalmente senza risultati. Con una telefonata all'Ansa nel pomeriggio le Brigate Rosse rivendicano l'uccisione dell'agente di custodia Lorenzo Cotugno, avvenuta l'11 aprile e minacciano il prof. Dario Cravero, senatore Dc e primario del pronto soccorso dell'ospedale Molinette, in cui è ricoverato il terrorista Cristoforo Piancone, ferito nell'attentato a Cotugno. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:33 - «Carabinieri dei reparti mobili stanno compiendo, a completamento delle ispezioni delle isole dell'arcipelago toscano della provincia di Grosseto, una battuta con controlli e perquisizioni nell'Isola del Giglio. Muovendosi da Giglio-Porto e da Giglio-Castello i carabinieri hanno controllato, anche all'interno dell'isola, abitazioni, casolari e ville comprese alcune disabitate. L'altro ieri una battuta analoga era stata fatta nell'isola di Giannutri». 13:22 - «Dopo le battute e i rastrellamenti fatti ieri, carabinieri e polizia hanno sviluppato indagini e ricerche in altre zone della provincia di Perugia. In particolare controlli e sopralluoghi sono stati fatti stamane a Passignano sul Trasimeno ed in altre località attorno al lago. Ulteriori controlli sono stati poi fatti nella zona di Todi ed attorno a Massa Martana». 17:39 - «'La dignità e il prestigio dello Stato non possono essere scissi in nessun momento dalla tutela della vita umana. Pertanto, nelle attuali circostanze, una trattativa intesa a salvare la vita dell'on. Moro, lungi dall'essere espressione di debolezza, rappresenta, in questa luce, un modo civile per la realizzazione dei fini dello stato democraticò. Questa è la parte conclusiva di una dichiarazione sottoscritta da un gruppo di esponenti del mondo culturale, universitario, religioso, professionale, economico, che sarà pubblicata domani dalla 'Gazzetta del Mezzogiorno'. Il quotidiano barese informa che continuerà a pubblicare nei giorni successivi i nomi di quanti aderiranno all'iniziativa. Fra i primi firmatari ci sono il rettore dell'Università di Bari, prof. Ambrosi, il rettore dell'Università di Bologna, prof. Rizzoli, il prof. Malaguzzi Valeri, mons. Mincuzzi vescovo di Santa Maria di Leuca, mons. Luisi, vescovo missionario».
10/04/2008 ANSA

MORO/30: 11 APRILE, AGENTE DI CUSTODIA UCCISO A TORINO / DE MATTEO A CASA MORO PER VOCI NUOVA LETTERA

  11 aprile 1978, Moro è nelle mani dei suoi rapitori già da 27 giorni. Le notizie principali non riguardano il caso Moro, che ha pochi sviluppi, ma le Brigate rosse tornano in azione a Torino, dove, alle 7,30, uccidono a colpi di pistola l'agente di custodia delle carceri Nuove Lorenzo Cotugno, mentre esce dall'ascensore del palazzo dove abita. Cotugno riesce però a sparare con la sua pistola e a ferire uno degli attentatori, Cristoforo Piancone, che viene lasciato dai complici davanti al pronto soccorso dell'astanteria Martini e che sarà ricoverato all'ospedale Molinette. L'attentato sarà rivendicato dalle Br il giorno dopo con una telefonata all'Ansa. A Parigi, la sezione istruttoria della Corte d'Appello concede la libertà provvisoria a Antonio Bellavita, arrestato il 30 marzo. Continuano i tentativi di screditare gli scritti di Moro attraverso il parere di insigni studiosi che sostengono che Moro viene drogato o imbottito di psicofarmaci, meglio se sovietici. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 13:23 - «'L'ho detto ieri e lo ripeto oggi: non intendo polemizzare con i volantini delle Brigate rosse. Non ho altro da aggiungere': lo ha precisato stamane il senatore Paolo Emilio Taviani. Già ieri sera, dopo che era stato diffuso il testo della lettera dell'on. Moro, Taviani - attraverso i suoi collaboratori - aveva fatto sapere che non aveva alcun commento da fare al riguardo». 20:12 - «Il procuratore della Repubblica De Matteo questo pomeriggio si è recato nuovamente nella abitazione dell'on. Moro in via del Forte Trionfale e vi si è trattenuto per 45 minuti. All'uscita il procuratore generale non ha fatto dichiarazioni. De Matteo si era recato in casa Moro domenica scorsa dopo che negli ambienti giornalistici si erano diffuse voci sull'arrivo di una lettera privata indirizzata dal prigioniero alla sua famiglia». 20:23 - «'La scrittura dell'on. Aldo Moro è tipica di chi è costretto a ingerire psicofarmaci del tipo di quelli, per esempio, che vengono somministrati agli schizofrenici per evitare loro allucinazioni e delirì. Questa è l'opinione del neurologo Alessandro Agnoli». Il prof. Agnoli - continua l'ANSA - titolare della cattedra di neurologia nell'Università dell'Aquila, sostiene che le differenze riscontrabili tra una lettera scritta da Moro prima del rapimento e quella allegata al comunicato numero 5, «sono tipiche del soggetto sano costretto ad usare farmaci neurolettici. Ne esiste uno, l'Aloperidolo - una medicina inodore e insapore usata, si dice, per i dissidenti sovietici - che rende la persona alla quale è somministrato facilmente dominabile e che modifica la scrittura, rendendola incerta».
09/04/2008 ANSA

MORO: GASPARI, GIRAVO ARMATO E AVREI SPARATO PER PRIMO SEQUESTRATO PERCHÈ RITENUTO INDISPENSABILE PER UNITÀ DC

  Remo Gaspari, nove volte deputato e sedici ministro, all'epoca del sequestro Moro girava armato e senza scorta, pronto a reagire in caso di aggressione terrorista. «Non volevo mettere in pericolo la vita di altri. Se mi fossi trovato di fronte le Br? Sparare per primo. Era, secondo me, la mia miglior difesa», ha rivelato all'Agenzia «Amater» del Master in Giornalismo dell'Università di Teramo. Il politico, che era vicesegretario nazionale della Dc, ha anche fornito una sua «verità» sulle ragioni che indussero le BR a sequestrare il presidente del suo partito: «Fu sequestrato dalle BR perchè era descritto dalla stampa come l'unico in grado di tenere unita una Dc profondamente divisa, sempre secondo gli organi di informazione. I terroristi leggono i giornali - ha continuato Gaspari - e per questo fu organizzata un'operazione di tipo militare: pensavano che togliendo di mezzo Moro, esplodesse la Dc. Si sbagliavano». Gaspari ha confermato che nei 55 giorni del sequestro vi furono trattative: «La Dc fece il possibile per salvare Moro: ma le Br volevano in cambio delinquenti con le mani sporche di sangue. Lo Stato non poteva arrendersi alla violenza e al terrorismo. Se mi fossi trovato nelle sue condizioni - ha aggiunto - non avrei voluto trattative. Lo avevo detto alla mia famiglia: se mi prendono, consideratemi morto». Sulle lettere dalla prigionia di Aldo Moro, Gaspari ha manifestato un'opinione diversa da quella della famiglia e degli altri esponenti della Dc concordi sulla loro autenticità: «Le lettere sono da considerarsi il frutto della continua minaccia alle armi. Quelle lettere gli sono state estorte».
09/04/2008 ANSA

MORO/30: 10 APRILE, COMUNICATO N.5 E ATTACCO A TAVIANI/ ANSA CONTINUA IL PROCESSO, DICONO LE BR, NESSUNA TRATTATIVA SEGRETA

  10 aprile 1978, ventiseiesimo giorno del rapimento di Aldo Moro, le Brigate rosse fanno trovare il comunicato numero 5 insieme alla fotocopia di un manoscritto di Moro. Il comunicato afferma che l'interrogatorio del 'prigionierò continua, che tutto quello che Moro dirà sarà reso noto al popolo e respinge invece indignato le voci di trattative segrete. Lo scritto di Moro è una parte del 'Memoriale' (le risposte di Moro all'interrogatorio da parte delle Br) che sarà ritrovato in via Monte Nevoso e riguarda Paolo Emilio Taviani, con il quale Moro polemizza per la sua smentita alle posizioni sullo scambio di prigionieri. Nelle affermazioni, molto polemiche, di Moro sul suo collega di partito Taviani, si possono intravedere oggi accenni a strutture allora sconosciute, come Gladio (e Cossiga ha detto che Moro e Taviani erano stati i fondatori di Gladio). Moro cita l'amicizia di Taviani con Henke (il primo direttore del Sid) e dice che «l'importanza e la delicatezza dei molteplici uffici ricoperti può spiegare il peso che egli ha avuto nel partito e nella politica italiana, fino a quando è sembrato uscire di scena» (e qui questo 'sembratò sembra alludere a eventuali ruoli 'non ufficialì). Moro aggiunge che in tutti i «delicati posti ricoperti» Taviani «ha avuto contatti diretti e fiduciari con il mondo americano. Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca ?». Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:25 - «La Procura generale della Corte d'appello in relazione a notizie definite in un comunicato 'non del tutto esattè e comparse nella stampa quotidiana, comunica che l'autorità giudiziaria è in possesso, a norma di legge, di tutti i messaggi a firma dell'on. Moro. Si aggiunge che tali messaggi sono coperti dal segreto istruttorio e che è falsa la notizia dell'esistenza di una bobina in cui sarebbe registrata la voce dell'on. Moro». 18:01 - «Il quinto messaggio delle Brigate rosse è giunto alla redazione di Milano del quotidiano 'La Repubblica'. È composto da tre cartelle dattiloscritte e da otto cartelle manoscritte». 18:08 - «Il quinto messaggio delle Brigate rosse è stato fatto recapitare anche al Messaggero di Roma e alla Gazzetta del popolo di Torino». Più tardi, come le altre volte, il comunicato è fatto trovare anche a Genova. 18:10 - «Nel suo manoscritto il presidente della Dc Aldo Moro polemizza con la smentita fatta da Taviani sull'episodio Sossi. Le Brigate rosse confermano che il processo continua». 18:20 - «La fotocopia del manoscritto di otto cartelle è una lettera firmata Aldo Moro e indirizzata alla moglie». 18:22 - «Nel messaggio trovato da un redattore della 'Gazzetta del popolò si dice tra l'altro:'gli organi di stampa del regime continuano la loro campagna di mistificazione volendo far credere la esistenza di trattative segrete o di misteriosi patteggiamenti. Riteniamo necessario ribadire che questo è ciò che vorrebbe il regime, mentre la posizione della nostra organizzazione è sempre stata e rimane nessuna trattativa segreta, niente deve essere nascosto al popolo». 18:55 - «Il testo autografo di Aldo Moro è, come detto nel comunicato delle Brigate rosse, una parte di sue dichiarazioni rese ad un 'tribunale del popolo' e non una lettera alla moglie, signora Eleonora, com'era sembrato in un primo momento».
08/04/2008 ANSA

MORO: MARIA FIDA, MISTERIOSO FURTO IN CASA DOPO LA MORTE

  «Quando fu restituito il corpo di mio padre ci dettero anche un astuccio con dentro gli effetti personali di Moro: le fedi, i documenti e altro. Pochi mesi dopo, a ottobre, un ladro venne a casa nostra e, a colpo sicuro, rubò questo astuccio lasciando una busta con un milione di lire», racconta l' insolito aneddoto la figlia di Aldo Moro, Maria Fida, ospite questa sera di Piero Chiambretti a Markette su LA7. «Il ladro, e questa è la cosa strana - ha spiegato - si è arrampicato per tre piani, è andato dritto nella stanza dei miei, senza entrare in nessun' altra stanza, senza toccare nulla e ha lasciato la busta». «Io mi chiedo - ha concluso - chi possa aver compiuto tutto ciò: se fossero stati i Br allora non avrebbero neanche dovuto consegnarceli dopo la morte, no? Giro queste domande a tutti i cultori dei misteri: si appassionino a questo...».
08/04/2008 ANSA

MORO/30: 9 APRILE, VIAGGIO DI COSSIGA IN SVIZZERA/ SI DISCUTE DEL MESSAGGIO ARRIVATO IERI, POLETTI A CASA MORO

  9 aprile 1978, venticinquesimo giorno dalla strage di via Fani. È domenica, la terza passata da Aldo Moro nella «prigione del popolo». Un giorno in cui le novità sono poche. Il dibattito continua a ruotare sulla lettera, di cui tutti parlano, indirizzata da Moro alla famiglia e che la polizia avrebbe sequestrato il giorno precedente. Il ministro dell'Interno Cossiga va in Svizzera. Nessuno ufficialmente sa perchè, ma il motivo è quello di parlare con le autorità per scoraggiare il tentativo dell'avv. Denis Payot, che il giorno prima era venuto a Roma per proporsi come mediatore. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie ANSA: 01:04 - «In serata sul rapimento di Moro vi è stato un accavallarsi di false notizie, di telefonate anonime ai giornali, di segnalazioni alle sale operative della polizia e dei carabinieri. Verso le 22.50 una delle segnalazioni giunte alla sala operativa dei carabinieri diceva che l'on. Moro sarebbe stato liberato nei pressi di Forte Trionfale». 16:38 - «Nessuna conferma e nessuna smentita da parte degli investigatori alle notizie sul messaggio delle Brigate rosse la cui esistenza, tuttavia, non può essere più messa in dubbio. I funzionari della Digos sono stati diffidati formalmente dalle autorità centrali a riferire qualsiasi particolare sulla vicenda dell'arrivo del messaggio». L'ANSA riferisce comunque la voce più diffusa, che parla di un'operazione in piazza Mastai, a Trastevere, verso le 18 del giorno precedente. «Nel corso di questi movimenti compiuti dagli uomini della Digos sarebbe stato trovato il messaggio; inoltre sarebbe stata fermata una persona che era in possesso di una busta: non si sa se vi sia relazione tra il ritrovamento del messaggio ed il fermo della persona. È certo soltanto che il fermato ha subito chiarito la propria posizione facendo cadere ogni sospetto». 18:44 - «Il messaggio giunto ieri consiste quasi certamente in una lettera firmata Aldo Moro e indirizzata alla moglie; sarebbero dunque infondate le voci secondo cui i brigatisti avrebbero fatto pervenire all'autorità di polizia un nastro registrato o addirittura una videocassetta. Oggi nell'abitazione di Moro insieme al ministro della Difesa Ruffini si è recato anche il sottosegretario all'Interno Lettieri. Nel pomeriggio è giunto nella casa di via di Forte Trionfale, a bordo di un'automobile targata Corpo Diplomatico, un uomo che secondo alcuni sarebbe un prelato benchè vestisse abiti borghesi». 19:03 - «Il ministro dell'Interno Cossiga è rientrato questo pomeriggio da Zurigo. In Svizzera egli ha avuto un incontro con i ministri dell'Interno della Germania Federale, della Svizzera e dell'Austria. In proposito è atteso per stasera, da Berna, un comunicato del Dipartimento federale di giustizia e di polizia della Repubblica elvetica. Il ministro Cossiga era partito ieri dall'aeroporto di Ciampino subito dopo aver salutato il presidente del Consiglio Andreotti che rientrava da Copenaghen». 20:16 - «È il cardinale Poletti, vicario di Roma, il prelato che si è recato nel pomeriggio nell'abitazione della famiglia dell'on. Moro».
08/04/2008 ANSA

MORO/30: ACCAME A COPASIR, VIA SEGRETO DA CARTE

  Con una lettera inviata al presidente del Copasir, Claudio Scajola, e una al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, Falco Accame, presidente dell'Associazione nazionale delle vittime Forze Armate, chiede che sia reso operativo il venir meno del segreto sulle carte riguardanti la vicenda Moro. Accame centra le sue affermazioni soprattutto sul ruolo che giocò nella vicenda la cosiddetta «Gladio militare» attivata ancor prima del rapimento di via Fani e della strage della scorta del 16 maggio 1978. Già nel '97 l'onorevole Beppe Pisanu confermò l'esistenza di una 'Gladio militarè operativa, in particolare, nell'Africa Nord, Corno d'Africa e Balcani. «Era una rete talmente solida - ricorda Accame che disse Pisanu - che ci permetteva di rimanere in stretti rapporti con i più grandi servizi segreti mondiali. In Sardegna (dove c'era la base di Gladio, ndr) grazie ai gladiatori si addestravano a costi bassissimi uomini di Paesi amici». Una conferma sull'esistenza della «Gladio militare» è venuta dall'ammiraglio Fulvio Martini, già capo del Sismi. A fronte di questa situazione e degli elementi che dimostrano la presenza di questa struttura nella vicenda Moro, Accame afferma che diventa «insostenibile continuare a mantenere il segreto. La nuova legge sui servizi, il cui regolamento sul segreto è già stato approvato, prevede che siano resi pubblici i documenti secretati e in particolare quelli riguardanti i comportamenti dei servizi a via Fani (c'era la presenza del colonnello Camillo Guglielmi della VII divisione Gladio) e dell'attività svolta all'estero. Un componente di Gladio venne inviato a contattare l'Olp per avere contatti con le Br ancor prima che avvenisse il rapimento Moro. Un altro episodio riguarda la segnalazione della base di Via Gradoli, arrivata al capitano La Bruna grazie alla rete di Gladio. A questo punto è del tutto inaccettabile, sotto ogni profilo; giuridico, politico ed etico, che vengano mantenute coperte vicende che hanno prodotto effetti gravissimi sulla vita del nostro Paese. Soprattutto è inaccettabile che l'Italia venga considerata 'come una Repubblica fondata sul segretò». Nella lettera al Capo dello Stato Accame affronta criticamente diversi aspetti sulla legge sul segreto e segnala che «pur essendo stato approvato il regolamento, e nonostante le richieste avanzate al presidente del Consiglio, non sono stati desecretati i documenti a cominciare da quelli che riguardano il caso Moro». Accame fa notare infatti che vi è il rischio che alcuni documenti vengano distrutti perchè oltre ad avere la classifica di 'segretò vi era quella ben più imbarazzante di 'clandestinò. «Quindi di questi documenti se ne ignora addirittura l'esistenza da parte di tutti coloro che non hanno l'incarico di trattarli. E di conseguenza non è possibile alcuna verifica e, dato che si tratta di de-clandestinizzazione e non solo di de-secretazione, la nuova legge sui servizi segreti non può avere effetti».
08/04/2008 ANSA

MORO/30: ARCONTE, GLADIO MI INCARICÒ DI CONTROLLARE CARLOS

  Tra gli incarichi che il Ministero della Difesa-Marina diede alla rete di Gladio militare il 2 marzo del 1978 c'era quello di controllare e se possibile intercettare il terrorista internazionale Carlos. A ricordarlo è Antonino Arconte, codice G-71 della rete di Gladio militare che da tempo ha fatto conoscere l'ordine che ricevette quel giorno. Arconte lo ha allegato al suo libro «L'ultima missione» il messaggio, a distruzione immediata affermava: «segnalati movimento insoliti intorno alla sede del governo Arafat, a Tunisi. Lo sciacallo ha lasciato la sua tana di Tripoli. Si ordina a tutto il personale O.G. (Operazione Gladio) militare e civile di attivarsi per conoscere gli spostamenti e riferire. Si autorizza intercettazione e conclusione, se impossibile il prelievo». L'ordine, su carta del Ministero della Difesa era inviato a tutte le stazioni di Mersina, Partus, Beirut, Sidone, Alexandria, Bengasi, Sirte, Tripoli, Tunisi, Algeri, Tangeri e Malta. Afferma Arconte: «secondo la nostra rete in Nord Africa e Medioriente, lo Sciacallo era della partita Moro con alcuni specialisti della sua rete, la Separat. Tuttavia sfuggì alla caccia dopo che, secondo le nostre informazioni, aveva partecipato direttamente all'operazione Moro. La rete Separat era stata organizzata dai servizi segreti sovietici con lo scopo di appoggiare e sostenere tutti i movimenti separatisti e filo-sovietici in Medioriente (tra cui l'Olp, l'Ira, l'Eta, la Raf e le Br), Nord Africa ed Europa Occidentale. La rete aveva rifugi ben protetti in Germania Est, Cecoslovacchia, Bulgaria, Damasco, in Siria ed a Tripoli. I suoi uomini di spicco erano tutti laureati alla Lubianka e all'Università Patrice Lumumba, dove si laureavano le spie del Kgb. Gli uomini della Separat erano altamente addestrati - spiega Arconte - anche ad operazioni militari come, per esempio, la strage di Monaco, il dirottamento di aerei e operazioni come quella che, meno di un anno prima di Via Fani, fu eseguita, apparentemente dalla Raf e che vide la morte del presidente degli industriali tedeschi. Una operazione terroristica molto simile a quella portata a termine in Via Fani dalle Br, secondo i media italiani, sarebbero state solo un fenomeno italiano e senza collegamenti esteri. Una cosa assolutamente incomprensibile storicamente ed anche documentalmente.
08/04/2008 ANSA

MORO: IMPOSIMATO A PM ROMA, SERVONO NUOVE INDAGINI

  ROMA, 3 APR - Nuove indagini sul caso Moro in una nuova inchiesta da aprire sulla scorta di un memoriale che consegnerà alla procura di Roma e che prende anche spunto da alcune tesi contenute nel libro 'Doveva morire': lo chiede l'ex giudice Ferdinando Imposimato oggi in procura a Roma dove ha incontrato il procuratore aggiunto Franco Ionta titolare delle indagini sul rapimento e l'omicidio di Aldo Moro. Secondo Imposimato, legale della famiglia Moro ed ex giudice istruttore dell'inchiesta sulla vicenda dello statista democristiano, «servono nuove indagini sull'assassinio e il rapimento di Aldo Moro». La magistratura romana nei giorni scorsi ha archiviato l'ultima inchiesta, la settima in ordine di tempo, aperta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, avvenuti 30 anni fa nella capitale. La decisione è stata presa dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Franco Ionta. L'inchiesta era quella avviata nel marzo del 2004 in seguito a un'istanza presentata, tramite l'avvocato Nino Marazzita, da Eleonora e Maria Fida Moro, rispettivamente moglie e figlia dello statista Dc. Gli accertamenti hanno riguardato una serie di aspetti e, in particolare, quello relativo all'ipotesi che la rete 'Separat', guidata dal terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, fosse in contatto, durante la gestione del rapimento di Moro, con un personaggio molto vicino a Valerio Morucci, uno dei componenti del commando che agì in via Fani il 16 marzo 1978.
08/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: DIETRO IL SEQUESTRO LA RETE DELL' EST 'SEPARAT'? = GIUDICE IMPOSIMATO CONSEGNERÀ MEMORIALE ALLA PROCURA DI ROMA

  Riaprire il caso Moro alla luce dei collegamenti internazionali delle Brigate Rosse con la rete 'Separat', guidata dal terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos 'lo Sciacallo'. La richiesta è dell'ex giudice istruttore, Ferdinando Imposimato, che oggi ha anticipato al procuratore aggiunto, Franco Ionta, la consegna di un memoriale che riguarderà, tra l'altro, le connessioni, negli anni settanta e fino al rapimento Moro, dei militanti delle Br con membri delle organizzazioni terroristiche che riconducevano ai paesi dell'ex patto di Varsavia. L'esistenza a Budapest della rete terroristica internazionale con a capo Carlos 'lo Sciacallò, intorno alla quale ruotavano negli anni settanta esponenti di spicco delle organizzazioni eversive, tra cui molti tedeschi e palestinesi, è stata confermata dal governo ungherese in un rapporto di sintesi trasmesso nel 2004 alla commissione parlamentare di inchiesta sul dossier Mitrokhin. Il rapporto dell'autorità governativa di Budapest era la risposta alla rogatoria presentata dall'organismo parlamentare presieduto dal senatore di Firza Italia, Paolo Guzzanti, qualche mese prima. Nel documento ufficiale si confermano le circostanze segnalate dalla commissione sulla rete denominata 'Separat ' e alla quale facevano riferimento i documenti della Stasi inviati all'organismo parlamentare dal giudice antiterrorismo francese Jean Louis Bruguiere.
La rete di Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos, godeva allora della copertura totale dei servizi segreti ungheresi. Alle riunioni dell'organizzazione, il cui nome 'Separat ', si precisa nel rapporto del governo di Budapest, era stato attribuito dalla Stasi, il servizo della ex Germania est, prendevano parte anche dirigenti delle organizzazioni palestinesi. Nelle schede si fa riferimento anche a Thomas Kram, considerato uno dei più stretti collaboratori di Carlos. Questi faceva la spola fra Budapest, Berlino e l'Italia. È proprio Kram che viene segnalato l'1 agosto 1980 all'albergo Centrale di Bologna a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Ma tra le formazioni terroristiche che usufruivano del supporto di 'Separat' , l'organizzazione terroristica capeggiata da Ilich Ramirez Sanchez, conosciuto come 'Carlos', c'erano anche le Br. E in una lista di aderenti all'organizzazione di Carlos figura anche uno dei rapitori di Aldo Moro: Valerio Morucci,il cui nome contenuto in una scheda dei documenti consegnati da Jean-Louis Bruguiere, insieme a quelli di Giorgio Bellini, Luigi Santini e Alessandro Girardi. Diciotto faldoni, più due raccoglitori, zeppi di informazioni raccolte dal magistrato in 25 anni di indagini su un attentato avvenuto in Francia e attribuito all'organizzazione di Carlos, attualmente detenuto a Parigi. Per raccogliere prove sul suo conto, il giudice ha interrogato gran parte dei responsabili dei servizi segreti dell'ex blocco sovietico. Da quelle carte, classificate 'riservatissimè, spuntano informazioni sul ruolo di alcuni personaggi chiave di Separat .
08/04/2008 ANSA

MORO: MARIA FIDA, NON È PARANORMALE FINALE FILM BELLOCCHIO

  «Il finale del film di Bellocchio non è tanto paranormale. Nel cadavere di mio padre sono state trovate 950 lire in tasca...proprio lui che odiava il denaro e non lo portava mai con sè perchè aveva schifo, sia etico che fisico, del denaro», è un altro mistero attorno alla scomparsa del padre che Maria Fida Moro, ricollegandosi al finale del film del regista Marco Bellocchio, ha commentato questa sera a Markette ospite di Piero Chiambretti su LA7. «Non ho mai avuto una spiegazione per questo, sarebbe da segnalare, che ne so, a un giallista di turno. Ma non serve a niente - conclude Maria Fida - papà doveva morire ... se tornasse, qualcuno me lo porterebbe via. È questa la lezione terribile del caso Moro».
08/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: ROMA, IMPOSIMATO INCONTRA PM IONTA E SOLLECITA APPROFONDIMENTI

  Il caso Moro non deve essere abbandonato e necessita di ulteriori approfondimenti. È la tesi che sostiene l'ex giudice Ferdinando Imposimato, oggi avvocato, che del caso si occupò quando le Brigate Rosse sequestrarono e rapirono il leader democristiano decidendo poi di ucciderlo e di abbandonare il corpo in via Caetani. Questa mattina Imposimato ha avuto un incontro con il procuratore aggiunto Franco Ionta che della vicenda Moro si è occupato a lungo e che recentemente ha chiesto e ottenuto dal gip Maria Teresa Covatta che fosse mandato in archivio un fascicolo che sulla morte di Moro era stato aperto in seguito ad una denuncia che tramite l'avvocato Nino Marazzita era stata presentata da Eleonora e Maria Fidia Moro, rispettivamente moglie e figlia dello statista. Imposimato è autore insieme con il giornalista Sandro Provvisionato di un libro intitolato 'Doveva morirè proprio sul caso di Aldo Moro.
07/04/2008 ANSA

MORO/30: I 'MESSAGGI' DI PECORELLI E IL CASO MORO/ IL GIORNALISTA UCCISO UN ANNO ESATTO DOPO IL RAPIMENTO MORO

  Aldo Moro viene rapito il 16 marzo 1978. Quasi un atto esatto dopo, il 20 marzo 1979, una persona rimasta ufficialmente sconosciuta uccide il giornalista Mino Pecorelli, iscritto alla loggia P2 (dalla quale sembra però che fosse uscito). Un uomo, Mino Pecorelli, che aveva sempre dimostrato di «sapere» qualcosa di più sul rapimento e l'uccisione del presidente Dc. Nel numero del suo settimanale «Op» pubblicato pochi giorni prima della propria uccisione (e curiosamente uscito proprio con la data della morte, 20 marzo 1979) Pecorelli, in un articolo intitolato «Aldo Moro un anno dopo», sembrava lanciare messaggi leggibili da poche persone. Nel capitolo intitolato «Chi è stato interrogato nel 'palazzo'» scriveva:«Il dopo Moro è costellato di morti e di attentati che soltanto per caso o per l'imperizia degli operatori non hanno provocato altri morti (in via Fani agirono specialisti, altrove la manovalanza del terrorismo) e la catena ha rivelato in ogni suo anello l'esistenza di connivenze all'interno della struttura dello Stato, nel cuore dello Stato». Parole e allusioni che forse gli costano la vita. Forse per toglierlo di mezzo entrano di nuovo in azione gli «specialisti». Ma sono molti gli articoli in cui, con il suo linguaggio sempre sul filo dell'allusione e del messaggio cifrato, parlava di «segreti» legati al caso Moro. Eccone alcuni: «Dice: ma il ministro non ne sapeva niente, la Digos non ha scoperto nulla. I servizi poi... Si ribatte: il ministro di polizia sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero; dalle parti del ghetto... (ebraico). Dice: il corpo era ancora caldo... perchè un generale dei Carabinieri era andato a riferirglielo di persona nella massima segretezza. Dice: perchè non ha fatto nulla? Risponde: il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in alto, magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso?». «Aldo Moro che pensava di essere liberato dalle Brigate Rosse, e che temeva di rimanere ferito in un conflitto a fuoco tra i 'carabinieri' e i suoi carcerieri, come ha pubblicato Panorama in un articolo non firmato, notizia che avrebbe attinto dai documenti sequestrati nel covo del brigatista (?) Alunni, notizia che viceversa nel memoriale diffuso dal Ministero degli Interni non risulta. Ma torneremo a parlare di questo argomento, del furgone, dei piloti, del giovane dal giubbetto azzurro visto in via Fani, del rullino fotografico, del garage compiacente che ha ospitato le macchine servite all'operazione, del prete contattato dalle Brigate Rosse, della intempestiva lettera di Paolo, del passo carrabile al centro di Roma, delle trattative intercorse, degli sciacalli che hanno giocato al rialzo». «Perchè Cossiga era convinto, crediamo (?), che Moro sarebbe stato liberato, e forse la mattina che il presidente è stato ucciso era insieme ad altri notabili Dc a piazza del Gesù in attesa che arrivasse la comunicazione che Moro era libero. Moro invece è stato ucciso. In macchina. A questo punto vogliamo fare anche noi un pò di fantapolitica. Le trattative con le Brigate Rosse ci sarebbero state. Come per i fedayn. Qualcuno però non ha mantenuto i patti. Moro, sempre secondo le trattative, doveva uscire vivo dal covo (al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario?), i 'carabinieri' (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciar andare via la macchina rossa. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, una cifra inaccettabile perchè si voleva comunque l'anticomunista Moro morto, e le Br avrebbero ucciso il Presidente della Democrazia Cristiana in macchina, al centro di Roma, con tutti i rischi che una simile operazione comporta. Ma di questo non parleremo, perchè è una teoria cervellotica campata in aria. Non diremo che il legionario si chiama 'De' e il macellaio Maurizio». «Dietro ci sono i ruderi del teatro di Balbo, il terzo anfiteatro di Roma; ho letto in un libro che a quel tempo gli schiavi fuggiaschi e i prigionieri vi venivano condotti perchè si massacrassero tra di loro. Chissà cosa c'era nel destino di Moro perchè la sua morte venisse scoperta proprio contro quel muro? Il sangue di allora e il sangue di oggi». «l'agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro, rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un Paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L'obiettivo primario è senz'altro quello di allontanare il Partito comunista dall'area del potere nel momento in cui si accinge all'ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del Paese. un fatto che si vuole che ciò non accada. Perchè è comune interesse delle due superpotenze mondiali». «I rapitori di Aldo Moro non hanno nulla a che spartire con le Brigate Rosse comunemente note. Curcio e compagni non hanno nulla a che fare con il grande fatto politico-tecnicistico del sequestro Moro. La richiesta di uno scambio di prigionieri politici, avanzata dai custodi del presidente democristiano, rappresenta un espediente per tener calmi i brigatisti di Torino e per scongiurare le loro tempestive confessioni, dichiarazioni sulle trame che si stanno tessendo sopra le loro teste». «Accanto alle schede segnaletiche di alcuni »nemici del popolò da sparare al più presto, c'erano: la ricostruzione del sequestro di Moro, secondo il punto di vista della Direzione Strategica dei brigatisti; considerazioni autocritiche sull'operazione militare di via Fani e sulla gestione degli sviluppi; il memoriale scritto da Moro durante i 54 giorni di prigionia; gli schemi di lettere che Moro non fece in tempo a scrivere; i testi di 6 lettere complete, anch'esse non inviate al destinatario; alcuni nastri magnetici con la viva voce del presidente Moro«.
07/04/2008 ANSA

MORO/30: 8 APRILE, VOCI DI UNA NUOVA LETTERA/ LA DURA LETTERA (IL MIO SANGUE RICADRA SU DI LORO) RESTA SEGRETA

  8 aprile 1978, sono ormai 24 i giorni trascorsi da Aldo Moro nel cosiddetto «carcere del popolo». La Digos riesce ad intercettare una lettera di Moro alla moglie, che i terroristi avevano annunciato all'assistente di Moro Franco Tritto. La lettera contiene pesanti accuse alla Dc («il mio sangue ricadrà su di loro») e alla posizione della Santa Sede, espressa attraverso Levi, il direttore dell'Osservatore romano, continua a spingere per uno scambio di prigionieri e per la rottura di «questa unanimità fittizia», aggiungendo «E poi questo rigore proprio in un Paese scombinato come l'Italia». Il messaggio di Moro alla moglie non sarà però reso noto e lo diventerà solo a giugno, quando Mino Pecorelli la pubblicherà sul suo settimanale «OP». Pecorelli aveva però già accennato ai contenuti della lettera il 18 aprile quando scriveva:«Ma il passo più allucinante della lettera è laddove Moro trova i toni biblici della maledizione: 'Il mio sangue ricadrà sulle teste di Cossiga e Zaccagnini'». Intanto, nella Dc, cominciano le dissociazioni. Prandini chiede di spezzare la dipendenza dagli altri partiti e Mazzotta, in un'intervista, chiede elezioni anticipate per ricacciare i comunisti all'opposizione. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 14:30 - «L'ufficio politico della Questura ha in mano gli elementi per poter trarre un altro identikit dei componenti del commando dei brigatisti rossi che ha agito in via Mario Fani, il quarto dopo i tre dei giorni scorsi. Secondo indiscrezioni, si tratterebbe dell'identikit di uno dei quattro uomini travestiti da netturbini che il giorno prima della strage sono stati visti aggirarsi in via Mario Fani e nelle strade adiacenti». 14:37 - «'Dichiaro non solo di dissociarmi nel modo più totale da questa azione, ma anche da tutta la linea politica dell'organizzazione Brigate rosse. Dichiaro, di fronte a questa iniziativa, di rompere politicamente ed organizzativamente con l'organizzazione delle Brigate rosse, di cui non mi considero, sotto nessun aspetto, un militante'. È quanto scrive sei giorni dopo il rapimento di Aldo Moro, in una lettera al direttore del carcere di Cuneo e agli organi di stampa, Massimo Maraschi di 26 anni, che è considerato uno dei leadere storici delle Brigate rosse». 'Dichiaro - precisa Maraschi - di ritenere questa azione estranea agli interessi della classe operaia e del proletariato. Nello stesso tempo la ritengo invece interna ad una logica piccolo borghese-radicale, estremista e militarista, in cui non mi identifico e da cui intendo dissociarmi'«. 17:43 - »L'on. Prandini, della Direzione centrale della Dc, parlando a Brescia per il gruppo 'Iniziativa di rinnovamento', ha detto:'Siamo in attesa che vengano convocati gli organi collegiali del partito, la Direzione centrale o il Consiglio nazionale, in quanto (...) bisogna uscire da questo vicolo cieco togliendo anche politicamente il presidente della Dc dalle mani delle brigate assassine e spezzando la dipendenza da altri partiti delle decisioni che sono proprie della Dc«'. 18:56 - »L'ipotesi secondo la quale il black-out avvenuto sui telefoni della zona di via Mario Fani il giorno del rapimento dell'on. Moro potesse essere stato causato dai terroristi è caduta definitivamente: le indagini condotte dalla magistratura hanno hanno accertato che il 16 marzo molte linee furono bloccate da un sovraccarico di chiamate, determinato da un frenetico intreccio di telefonate subito dopo il sanguinoso agguato teso dalle Brigate rosse«. 20:27 - »Nella tarda serata si è diffusa la voce di un nuovo messaggio delle Brigate rosse. La notizia non ha trovato conferma. Secondo la voce un messaggio delle Brigate rosse sarebbe stato fatto trovare a piazza Mastai, in Trastevere. Per una segnalazione sono giunte in piazza Mastai diverse auto della polizia che hanno controllato una cabina telefonica e alcuni furgoni in sosta. (...) Secondo le voci diffuse il messaggio sarebbe stato importante e, con ogni probabilità, riservato alla famiglia. Ciò sarebbe confermato dal fatto che i giornali non sono stati avvertiti come in passato. C'è chi già mette questo ipotetico messaggio in rapporto col messaggio della signora Eleonora Moro pubblicato dal quotidiano 'Il Giorno'«. 20:46 - »Fonte autorizzata della Direzione della Democrazia cristiana ha detto:'Al partito nulla risulta in merito a queste voci'. Le ipotesi sull'esistenza di questo nuovo messaggio si stanno moltiplicando. Continua, nel frattempo, il più assoluto silenzio da parte delle autorità politiche e degli investigatori«
06/04/2008 ANSA

MORO/30: 7 APRILE, MESSAGGIO DELLA MOGLIE SUL GIORNO / CIRCOLANO VOCI SU UN'ALTRA LETTERA DI MORO ALLA MOGLIE

  7 aprile 1978, ventitreesimo giorno di prigionia per Aldo Moro nel 'carcere del popolò delle Br. Il quotidiano «Il Giorno», sul quale ogni tanto scriveva Aldo Moro, pubblica in prima pagina un messaggio di Eleonora Chiavarelli (Norina Moro) al marito. Si rafforzano anche le voci (già circolate nella serata precedente) su un'altra lettera di Moro ricevuta dalla famiglia. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 00:40 - «Il quotidiano milanese 'Il Giorno' pubblica in prima pagina, sotto un titolo a sei colonne 'Messaggio della moglie a Moro., una lettera di Eleonora Moro indirizzata al direttore dello stesso quotidiano milanese'». 16:27 - «'L'Osservatore Romano', dopo aver riportato integralmente il testo dell'appello della signora Eleonora Moro, scrive che da esso 'giunge la conferma più autentica e mesta della mancanza di notizie sulla stato del sequestrato, della infondatezza, soprattutto, delle voci circa contatti o trattative o qualsivoglia richiesta da parte dei rapitori». 18:30 - «Cinquecento uomini tra carabinieri, agenti, finanzieri e guardie forestali, hanno partecipato ad una vasta operazione che ha interessato per dieci ore la cittadina di Cecina. (...) Sembra che l'esito di quese ricerche per le quali la popolazione ha attivamente collaborato indicando in qualche caso anche l'ubicazione di abitazioni isolate, sia stato negativo». 19:41 - «La lettera della signora Moro contenente un messaggio al marito prigioniero delle Brigate rosse è dovuta, a quanto è dato sapere, ad una iniziativa esclusiva della famiglia che si è rivolta, per la pubblicazione, soltanto al quotidiano milanese 'Il Giorno', per il quale il presidente del Consiglio nazionale della Dc ha scritto anche di recente diversi articoli. Il testo del messaggio, ripreso dall'agenzia ANSA in nottata, è stato pubblicato stamani da gran parte dei quotidiani italiani, ma non da quelli che avevano 'chiuso' prima di mezzanotte e quaranta minuti (ora di trasmissione del messaggio), tra i quali 'Il Popolo'. L'organo della Dc pubblicherà però domani la lettera della signora Moro e la farà seguire da un commento. L'invio di questo messaggio è stato messo da qualcuno in relazione con il presunto arrivo di un'altra lettera alla famiglia Moro - sarebbe la seconda, ma non è possibile avere di ciò alcuna conferma - della cui esistenza erano circolate ieri sera voci, raccolte stamani da qualche giornale».
06/04/2008 ANSA

MORO/30: SPINI, RUOLO DEI SOCIALISTI E DI CRAXI CI FU

  «Che lo si condividesse o no, il ruolo dei socialisti e più particolarmente di Craxi nel tentativo di salvare la vita dello statista ci fu»: lo ricorda il deputato e candidato del Partito socialista alla Camera Valdo Spini, a proposito della vicenda Moro. «Non mi sembra che in queste commemorazioni - osserva Spini - lo si sia sufficientemente ricordato e analizzato». Secondo Spini, «il quadro di quella drammatica vicenda politica è forse più complesso di quello che talvolta viene rappresentato magari in un quadro più legato all'attualità che all'analisi storica».
05/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: NUCCIO FAVA, LO STATISTA NON POTEVA SALVARSI = L'EX DIRETTORE DEL TG1 NEL SUO LIBRO RICORDA QUANTO GLI DISSERO MANCINI E BONINO

  «Aldo Moro non poteva salvarsi. Me lo disse il senatore Bonino nell'estate del 1978, a pochi mesi dall'uccisione dello statista». Lo scrive Nuccio Fava, giornalista ed ex direttore del Tg1, nel libro «Aldo Moro una tragedia aperta», che verrà presentato il prossimo 8 maggio a Torino presso il salone del Libro. Nel volume il giornalista ripercorre il caso Moro attraverso alcune testimonianze. Tra le altre, quelle di Umberto Bonino, fondatore della «Gazzetta del Sud», e Giacomo Mancini, ex segretario e ministro socialista. «Non escludeva Bonino, che dietro quei visionari e folli brigatisti - ci fosse lo zampino di qualche servizio segreto del blocco sovietico -prosegue Fava- Comunque, sia Mancini che Bonino consideravano ignobilmente la strategia umanitaria di Craxi, in particolare per Bonino il punto essenziale della questione era che il destino dello statista era già stato segnato il 16 marzo 1978, al momento del rapimento in via Fani»
05/04/2008 ANSA

MORO/30: 5 APRILE, POLEMICHE SU LETTERA A ZACCAGNINI

  5 aprile 1978, si conclude la terza settimana del rapimento Moro. La giornata trascorre soprattutto tra le polemiche sulla lettera di Moro a Zaccagnini e sul comunicato numero quattro delle Br, che accenna a «misteriosi intermediari». Anche l'Osservatore Romano interviene per dire che non si tratta. 12:10 - «Per un esame degli ultimi sviluppi della situazione relativa al rapimento dell'on. Moro si sono riuniti stamane nella sede edella Dc, in piazza del Gesù, il segretario del partito Zaccagnini, il presidente del Consiglio Andreotti, il ministro dell'Interno Cossiga, il sen. Fanfani, i capigruppo parlamentari Piccoli e Bartolomei, i vicesegretari Galloni e Gaspari». 14:01 - «La notizia che la lettera autografa di Moro era pervenuta a Zaccagnini è stata data ai giornalisti dal capo della segreteria di Zaccagnini, on. Pisanu. Si può fare l'ipotesi che la lettera sia giunta mentre la riunione era in corso, poichè in precedenza il portavoce del segretario della Dc, Cavina, aveva detto, intrattenendosi brevemente con i giornalisti, che la lettera non era ancora pervenuta». L'on. Zaccagnini, in giornata, consegna alla magistratura la lettera autografa di Moro a lui indirizzata. 14:36 - «Sembra che Luigi Gui, ministro dell'Interno di un governo Moro, avrebbe riferito alcuni particolari che possono confermare l'autenticità della lettera di Moro. L'ex ministro avrebbe ricordato, infatti, che Aldo Moro, all'epoca presidente del Consiglio, si disse perplesso, a proposito di un disegno di legge sui rapimenti, ad attuare una linea troppo dura, perchè preoccupato dei riflessi che avrebbe potuto avere sull'opinione pubblica. Il punto di maggior discussione tra Moro e gli altri ministri interessati fu se sanzionare con una legge il blocco dei beni dei familiari in caso di un rapimento». 14:43 - «Per quanto riguarda il sen. Paolo Emilio Taviani, a Genova si ricorda che, allorchè era ministro dell'Interno, egli assunse, in occasione di incontri con il prefetto e gli investigatori, una posizione drastica sul caso Sossi». 17:23 - «Anche se l'attuale lettera fosse realmente di Aldo Moro - scrive l'Osservatore romano - nasce però da una mente sottoposta ad una violenza psicologica, ad una metodica distruzione della coscienza alla quale neanche l'uomo più forte e sicuro di sè‚ può resistere a lungo. Da qui l'unanime giudizio: nessun cedimento al ricatto».
05/04/2008 ANSA

MORO/30: 6 APRILE, ARRESTI SUL LITORALE DOMIZIANO/ LIBERATI INVECE GLI AUTONOMI ARRESTATI IL 3 APRILE

  6 aprile 1978, Moro è nella «prigione del popolo» da 22 giorni. Vengono scarcerati gli autonomi e i militanti dell'ex Potere operaio arrestati tre giorni prima (tra cui Lanfranco Pace). Viene invece arrestata Fiora Pirri Ardizzone, moglie separata di Franco Piperno. Taviani smentisce quello che Moro ha scritto nella lettera a Zaccagnini. Inoltre, tutte le ricostruzioni riportano il 6 aprile come il giorno della grande retata nel paese di Gradoli, dopo le informazioni provenienti dalla pseudo seduta spiritica. All'ANSA però risultano molte operazioni, ma nessuna in quella zona. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 01:11 - «Una massiccia operazione per scoprire fiancheggiatori delle Brigate rosse è stata compiuta nel Napoletano.(...) Sono stati anche fatti alcuni arresti, sembra giovani appartenenti ad una frangia estrema dell'Autonomia operaia. Tra gli arrestati una donna». 09:32 - «Il sen. Taviani ha fatto la seguente dichiarazione: Leggo sui giornali odierni notizie contraddittorie circa il riferimento che mi riguarda nella lettera attribuita all'on. Moro dai criminali delle Br. Ritengo perciò doveroso rendere pubblico quanto martedì sera ho già dichiarato al ministro dell'Interno e al segretario politico del mio partito:'L'on. Moro non ha mai espresso con me alcun giudizio, nè alcuna opinione a proposito del sequestro Sossi». 10:29 - «Quattro giovani, tre uomini e una donna, che si presume fiancheggiatori o addirittura appartenenti alle Brigate rosse, sono stati arrestati dai carabinieri (...) Sono Maria Fiore Pirri Ardizzone, di 29 anni, di Roma, residente a Rende in provincia di Cosenza, borsista all'università calabrese», Lanfranco Caminiti, Davide Sacco e Ugo Melchionda. 10:31 - «Sospetti consistenti gravano su Maria Fiore Pirri Ardizzone, una giovane donna dai lineamenti un pò esotici, assomigliante in modo marcato alla brigatista che in via Fani ha fatto parte del nucleo armato (...) I quattro presunti brigatisti sono stati catturati la scorsa notte, dopo un lungo appostamento, nella zona di Licola, lungo il litorale Domiziano. In realtà la Pirri Ardizzone non somiglia affatto alla donna di via Fani (Barbara Balzerani). Se ne accorgono subito gli stessi inquirenti che il giorno stesso sottolineano che la Pirri è più bassa di circa 10 cm della donna vista in azione in via Fani. A gennaio 1981, la Pirri Ardizzone sarà prosciolta da tutti i reati nell' ambito del caso Moro (insieme a lei Corrado Alunni, Patrizio Peci, Susanna Ronconi, Giustino De Vuono e Toni Negri). A novembre dello stesso anno sarà invece condannata a 9 anni e 8 mesi nel processo contro l' organizzazione terroristica »Primi fuochi di guerriglia« e, nel 1995, graziata da Pertini. 14:14 - »Nell'ambito dell'inchiesta su Moro ne è stata aperta oggi un'altra che riguarda presunti complici, tutti ancora da identificare, delle Brigate rosse che opererebbero all'interno della Sip. Il magistrato, con la collaborazione della Digos, avrebbe infatti raccolto elementi dai quali risulterebbe che in occasione del ritrovamento del quarto messaggio di Moro diverse linee erano rimaste fuori uso per qualche tempo«. 15:06 - »Per quanto riguarda il 'carcere del popolo' dove si trova Aldo Moro, le battute più vaste sono state fatte lungo la fascia tirrenica che va da Fiumicino alla provincia di Grosseto e nella zona di Genova«. 15:09 - »Tuttavia, è stato fatto notare dagli investigatori, le notizie rese di pubblico dominio attraverso gli organi di informazione rappresentano solo una parte di tutta la documentazione e di tutti gli elementi in possesso delle forze dell'ordine. Infatti, come non mai, la riservatezza ha inaridito le fonti di informazione alle quali i cronisti solitamente attingono«. 15:42 - »Trenta persone, tra quelle che sono state arrestate per associazione sovversiva nei giorni scorsi nell'ambito delle operazioni svolte da polizia e carabinieri in relazione alle indagini sul rapimento di Moro, saranno scarcerate in giornata. Il magistrato non ha convalidato il loro arresto e ne ha quindi disposto la liberazione. Restano imputati a piede libero«. 19:03 - »'Le Br vogliono un miliardo di dollari' è il grosso titolo di prima pagina del prossimo numero del settimanale 'Candido', il cui direttore politico, il sen. Giorgio Pisanò, racconta di aver ricevuto, in proposito, una telefonata da un anonimo informatore. Nel corso della conversazione, lo sconosciuto - secondo quanto riferisce il sen. Pisanò - ha informato che 'le Brigate rosse hanno iniziato trattative sotto banco per barattare la vita e la libertà di Moro a un prezzo altissimo'«. 19:14 - »Oreste Scalzone, giunto da Milano per rappresentare i 'Comitati Comunisti Rivoluzionari', rispondendo ai giornalisti ha affermato che 'il problema dei fiancheggiatori delle Brigate rosse non si risolve di certo con l'assurda richiesta che viene dal Pci di controllare ognuno il proprio vicino e denunciarlo'«
04/04/2008 ANSA

MORO/30: SQUITIERI,TRE STRONZI A UN PASSO DA GRUPPO FUOCO BR FILM MAI FATTO E UNA AVVENTURA 'MONITORATÀ DA SERVIZI SEGRETI

  Un film mai fatto- per tante e diverse ragioni- sul «caso Moro» e una avventura che portò «tre stronzi come noi» ad un passo dal gruppo di fuoco delle Br. In una intervista all'Ansa Pasquale Squitieri rivela i retroscena di quel tentativo di realizzare «in presa diretta» un film sui 55 giorni, mai fatto, nonostante l'interessamento del produttore Cecchi Gori e la collaborazione di Lino Jannuzzi e Nanni Balestrini ed anche, alla fine, di un Leonardo Sciascia intento a trasporre in immagini il suo «L'Affaire Moro».
«Io stavo preparando la sceneggiatura de 'Il Prefetto di Ferro' e lavoravo con Jannuzzi e Balestrini con cui avevo dei progetti insieme», spiega il regista. 'Appena rapito Moro lo stesso giorno a Via Fani «riprendo lo sgomento, gli elicotteri che volteggiavano, i carabinieri ecc. Nel pomeriggio mi chiama Cecchi Gori che mi propone di preparare in tempo reale una sceneggiatura. Ci pagò anche. Nanni, essendo di Potere operaio e partecipando a quel vasto parterre di grande contiguità di quegli anni, aveva canali suoi. »Cominciammo l'inchiesta sul rapimento raccogliendo tutto il materiale utile. Appena pubblicano che noi tre stavamo impegnati a seguire la vicenda venimmo inviatati da diverse ambasciate dell'Est e venimmo a sapere un sacco di cose. Ci presentarono a gente dei servizi i quali poco dopo la morte di Moro verranno scacciati dall'Italia«. Il bello arrivò nella seconda settimana dell'inchiesta: »Troviamo una serie di raccordi - non erano terroristi ma clandestini, tra cui alcuni palestinesi- e dopo 20 giorni arriviamo una notte ad Alessandria dove incontriamo qualcuno che ci dice ' Secondo noi Moro è in questa zona quì, se volete vi mettiamo in contatto con il gruppo di fuoco'. A quel punto dissi di no perchè avremmo dovuto chiamare la polizia. La nostra meraviglia durante il viaggio era questa: 'se ci riusciamo noi, tre stronzi, come mai non ci riescono i servizi segreti, non ci riesce la Cia ecc'.Dopo quella notte decidemmo di fermarci«. Squitieri ricorda altri fatti legati a quegli incontri ad Alessandria. »Una sera, tre mesi dopo, a casa mia si sono presentati due dei servizi, ricordo che avevano nomi di città, mi hanno raccontato tutto il viaggio che avevo fatto. E mi hanno fatto capire di lasciar stare, di farmi gli affari miei«. Cecchi Gori - racconta ancora il regista- ci chiamò tempo dopo per fare il film sul caso Moro. Per non sottostare a rischi proposi di utilizzare 'L'Affaire Morò di Leonardo Sciascia che era uscito da poco in Francia. Arriva lo scrittore, lavoriamo, c'è un contratto. Prepariamo una sceneggiatura,decidiamo che l' interprete sarebbe stato Dirk Bogart. La signora Moro sarebbe stata Irene Papas». Ma le disavventure non erano finite. Si stava per cominciare a girare e Squitieri una mattina venne chiamato a casa da Cechi Gori, «fatto del tutto inusuale.' Senti- mi disse- ti pago ma quel film tu non lo puoi fare'. Io all'epoca ero craxiano e un film ispirato ai dubbi sulla vicenda e che aveva come sceneggiatore Sciascia non si poteva fare. I comunisti sostennero quello di Giuseppe Ferrara con Volontè. Alla fine facemmo 'Il pentito' su Tommaso Buscetta, ma quel film mai fatto su Moro mi è rimasto nel cuore».
04/04/2008 ANSA

MORO/30: SQUITIERI; D'AREZZO, MINISTRO DC, BRINDÒ A MORTE

  Fu Bernardo D'Arezzo il ministro Dc che brindò alla morte di Moro in casa del regista Pasquale Squitieri. Intervistato dall'Ansa Squitieri indica il nome dell'esponente politico che in precedenti interviste aveva taciuto. «Ci fu un brindisi a casa mia. La battuta che si faceva era: meno male che è morto altrimenti questo ci portava le Br in Parlamento. Se lo avessero lasciato libero portava le Br in Parlamento e magari al governo. Chi era? Bernardo D'Arezzo.» D'Arezzo è lo stesso ministro a cui il capo dello Stato Sandro Pertini non volle stringere la mano al Quirinale suscitando un grande clamore all'epoca. Lo stesso che si battè durante i lavori della commissione P2 affinchè non venisse ascoltata Nora Lazzarini, la segretaria di Licio Gelli che voleva parlare dell'interessamento al sequestro del capo massonico. D'Arezzo sostenne che la Lazzarini, avendo una storia sentimentale con Gelli, non era un teste moralmente affidabile.
04/04/2008 ANSA

MORO/30: LEONE FIRMÒ LA GRAZIA, MA QUALCUNO LA STRAPPÒ LA TESTIMONIANZA DEL REGISTA SQUITIERI

  L'allora capo dello Stato Giovanni Leone firmò la grazia per la terrorista Paola Besuschio al fine di arrivare alla liberazione da parte delle Br di Aldo Moro: qualcuno si recò, presumibilmente durante la notte tra l'8 e il 9 di maggio al Quirinale e la strappò dopo averla tirata via dalle mani di Leone. È questo il racconto che fa all'Ansa il regista Pasquale Squitieri, amico della famiglia. «Leone dopo qualche settimana dalla morte di Moro si dimette. Un presidente della Repubblica se ne va dal Quirinale in taxi e non si riunisce il Parlamento. La sera vado a casa sua e lo trovo sulla veranda, distrutto. 'Presidente, Sciascia ha pubblicato in Francia 'L'Affaire Moro', perchè lei non pubblica in Italia 'La notte della grazia', perchè lo sappiamo che lei era pronto a firmare la grazia per una terrorista, la Besuschio. Leone era per salvare Moro. E lui mi rispose:' Pasquà io l'avevo firmata la grazia, era pronta. Vennero due e me la tolsero dalle mani». «Uno - disse Quitieri- era Zaccagnini, l'altro chi era?' Lui mi rispose: ' Tu non conosci i politici Pasquà, ti uccidono i figli...». «Chi era l'altro? Posso fare solo delle ipotesi. Il ministro di grazia e Giustizia Paolo Bonifacio? Oppure Berlinguer, chi lo sa? Lo rividi molto tempo dopo Leone e gli dissi . 'Vi ricordate quella notte al Quirinale?'. Mi rispose:» Quale notte Pasquà?«.
04/04/2008 ANSA

MORO/30: 5 APRILE, POLEMICHE SU LETTERE A ZACCAGNINI

  5 aprile 1978, si conclude la terza settimana del rapimento Moro. La giornata trascorre soprattutto tra le polemiche sulla lettera di Moro a Zaccagnini e sul comunicato numero quattro delle Br, che accenna a «misteriosi intermediari». Anche l'Osservatore Romano interviene per dire che non si deve trattare. 12:10 - «Per un esame degli ultimi sviluppi della situazione relativa al rapimento dell'on. Moro si sono riuniti stamane nella sede della Dc, in piazza del Gesù, il segretario del partito Zaccagnini, il presidente del Consiglio Andreotti, il ministro dell'Interno Cossiga, il sen. Fanfani, i capigruppo parlamentari Piccoli e Bartolomei, i vicesegretari Galloni e Gaspari». 14:01 - «La notizia che la lettera autografa di Moro era pervenuta a Zaccagnini è stata data ai giornalisti dal capo della segreteria di Zaccagnini, on. Pisanu. Si può fare l'ipotesi che la lettera sia giunta mentre la riunione era in corso, poich‚ in precedenza il portavoce del segretario della Dc, Cavina, aveva detto, intrattenendosi brevemente con i giornalisti, che la lettera non era ancora pervenuta». L'on. Zaccagnini, in giornata, consegna alla magistratura la lettera autografa di Moro a lui indirizzata. 14:36 - «Sembra che Luigi Gui, ministro dell'Interno di un governo Moro, avrebbe riferito alcuni particolari che possono confermare l'autenticità della lettera di Moro. L'ex ministro avrebbe ricordato, infatti, che Aldo Moro, all'epoca presidente del Consiglio, si disse perplesso, a proposito di un disegno di legge sui rapimenti, ad attuare una linea troppo dura, perchè preoccupato dei riflessi che avrebbe potuto avere sull'opinione pubblica. Il punto di maggior discussione tra Moro e gli altri ministri interessati fu se sanzionare con una legge il blocco dei beni dei familiari in caso di un rapimento». 14:43 - «Per quanto riguarda il sen. Paolo Emilio Taviani, a Genova si ricorda che, allorchè era ministro dell'Interno, egli assunse, in occasione di incontri con il prefetto e gli investigatori, una posizione drastica sul caso Sossi». 17:23 - «Anche se l'attuale lettera fosse realmente di Aldo Moro - scrive l'Osservatore romano - nasce però da una mente sottoposta ad una violenza psicologica, ad una metodica distruzione della coscienza alla quale neanche l'uomo più forte e sicuro di sè può resistere a lungo. Da qui l'unanime giudizio: nessun cedimento al ricatto».
04/04/2008 ANSA

MORO/30: SQUITIERI,GRAZIA DA LEONE,QUALCUNO LA STRAPPÒ/ IN TRE A UN PASSO DA GRUPPO BR - D'AREZZO BRINDÒ A MORTE MORO di

  Paolo Cucchiarelli - Il regista Pasquale Squitieri racconta, per la prima volta, il suo particolare «dietro le quinte» del rapimento Moro quando insieme a Lino Jannuzzi e Nanni Balestrini cercò di realizzare un film in «presa diretta» che lo portò ad un passo dall'incontrare un gruppo di fuoco delle Br. Il regista, autore de «Il prefetto di ferro», conferma anche due episodi di cui in passato ha già parlato rivelando anche l'identità del protagonista di uno di questi: Giovanni Leone aveva firmato, al Quirinale, la grazia per la terrorista Paola Besuschio ma qualcuno strappò dalle mani del presidente della Repubblica il documento già firmato. Era quella la terrorista che doveva essere liberata e scambiata con Aldo Moro. «Vennero due e me la tolsero dalle mani», raccontò Leone a Squitieri la sera stessa in cui il capo dello Stato, aveva lasciato, dopo le dimissioni, il Quirinale per andare nella sua casa romana de Le Rughe«. »Uno era Zaccagnini, segretario della Dc, l'altro chi era«, chiese Squitieri quella sera proponendo all'uomo politico di scrivere un libro, come aveva già fatto Sciascia, intitolato »La notte della grazia«. Leone gli risposte: »Tu non conosci i politici Pasquà, quelli ti uccidono i figli«. E Squitieri ipotizza l'identità dell'altro personaggio che strappò il documento dalle mani dell'allora capo dello Stato: »Chi era? Il ministro di Grazia e Giustizia Paolo Bonifacio, oppure Berlinguer, chi lo sa? Rividi il Leone tempo dopo e gli dissi: 'Presidente vi ricordate quella notte al Quirinale?' 'Quale notte Pasquà!«, rispose Leone. Squitieri rivela anche l'identità di quel ministro Dc che brindò per la morte di Aldo Moro. Fu Bernardo D'Arezzo. »La battuta che fece era:'Se lo avessero lasciato libero portava le Br in Parlamento e magari anche al Governò. Lo disse nella mia villa mentre si brindava«. Il regista ricorda anche quel film mai fatto sul caso Moro per tanti motivi. Durante le ricerche e la raccolta di contatti e materiale, grazie anche a Nanni Balestrini, esponente di Potere Operaio, i tre arrivarono ad Alessandria grazie a contatti con dei clandestini, tra cui alcuni palestinesi. Erano passati venti giorni dal rapimento. Incontrarono qualcuno che gli disse: »'Secondo noi Moro è in questa zona qui. Se volete vi mettiamo in contatto con il gruppo di fuocò. Dissi di no - spiega oggi Squitieri - perchè giunti a quel punto avevamo l'obbligo di chiamare la polizia. La nostra meraviglia fu questa: se ci riusciamo noi, tre stronzi, ad entrare in contatto con le Br, come mai non ci riescono i servizi segreti, come mai non ci riesce la Cia? Dopo quella notte decidemmo di fermarci«. L'ipotesi di Alessandria non è del tutto peregrina perchè, come sottolinea il recente libro di Peppino De Lutiis, »Il golpe di via Fani«, Alessandria aveva un senso. La copia della Repubblica, che Moro aveva in mano nella foto diffusa dalle Br per smentire il falso comunicato della Duchessa del 18 aprile del '78, proveniva da uno stock venduto in abbonamento nella provincia di Pavia. De Lutiis, cautamente, ipotizza che qualcosa legato alla vicenda Moro potesse trovarsi ad Acqui Terme, in provincia di Alessandria, ma non distante da Pavia. Qualche mese dopo - ha raccontato il regista - si presentarono a casa sua due uomini dei servizi che gli raccontarono punto per punto tutto il viaggio dei »tre stronzi«: »La targa della macchina, dove ero stato, chi avevo visto etc. Tutto. Mi hanno fatto capire di lasciar stare, di farmi gli affari miei«. Alla fine per non sottostare a pressioni e ricatti Squitieri decise di adottare come testo base del suo film su Moro il libro »L'affaire Moro« di Leonardo Sciascia. Venne coinvolto anche lo scrittore, venne stesa una sceneggiatura. Interpreti del film dovevano essere Dirk Bogart mentre la signora Moro sarebbe stata interpretata da Irene Papas. »Stavamo per girare quando il produttore, Cecchi Gori, mi chiamò una mattina a casa. Senti ti pago tutto ma tu il film non lo puoi fare«. Squitieri, all'epoca vicino a Craxi, pagava così una posizione che rifletteva tutti i dubbi sulla vicenda Moro riassunti da Sciascia e sviluppati politicamente dal Psi. »In cambio realizzeremmo 'Il pentitò su Tommaso Buscetta ma quel film su Moro, mai fatto, mi è rimasto nel cuore«, ha concluso il regista.
03/04/2008 ANSA

MORO/30: MARAZZITA, PERSA OCCASIONE PER APPROFONDIRE DELITTO

  «È stata persa l'ennesima occasione per approfondire il delitto Moro». È questo il commento dell'avv. Nino Marazzita, che rappresenta la signora Moro e la figlia Maria Fida, alla decisione della procura di Roma di archiviare la settimana inchiesta che era nata da una istanza presentata nel 2004 dall'avvocato. «Evidentemente la chiave di lettura non è la stessa della magistratura romana. La mia era una ricostruzione diversa da quella giudiziaria che c'è stata finora e cercava di far capire perchè ci sono ancora oggi tanti buchi neri, tanti punti oscuri e risposte inappaganti. Penso che questa vicenda non possa, per essere compresa, che collocata all'interno del più vasto esame della cosiddetta strategia della tensione. C'era questa occasione ed è stata ulteriormente sprecata».
03/04/2008 ANSA

MORO/30: 4 APRILE, ARRIVA IL COMUNICATO NUMERO QUATTRO/ANSA DIFFUSA ANCHE LA COPIA DI UNA LETTERA DI MORO A ZACCAGNINI

  4 aprile 1978, ventesimo giorno del rapimento Moro. Il fatto del giorno è che le Brigate rosse fanno trovare il quarto comunicato sul rapimento di Aldo Moro, la fotocopia di una lettera autografa dello stesso Moro al segretario della Dc Benigno Zaccagnini e un opuscolo, intitolato «Risoluzione della direzione strategica» e datato febbraio 1978. Nella lettera Moro afferma che l'unica soluzione positiva possibile alla sua vicenda è prospettare «la liberazione dei prigionieri di ambo le parti». Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 11:39 - «Non è il risultato di un fotomontaggio l'immagine di Aldo Moro inviata al quotidiano »Il Messaggero« insieme con il secondo messaggio delle Brigate rosse. Lo conferma la perizia tecnica che stamane è stata consegnata al pubblico ministero Luciano Infelisi dall'ing. Calzini e dal tecnico Colucci che l'hanno eseguita». 18:08 - «Il 'comunicato numero quattrò delle Brigate rosse è stato trovato oggi pomeriggio in una macchinetta di distribuzione dei biglietti nella stazione di via Palestro della matropolitana milanese, dopo una telefonata al quotidiano Avvenire. Il documento (tre fitte pagine) è intitolato 'Il processo ad Aldo Moro'. Il comunicato riporta anche il testo dattiloscritto con carattere corsivo di una lettera firmata Aldo Moro indirizzata all'on. Zaccagnini». Meno di mezz'ora dopo il comunicato, annunciato con una telefonata al Secolo XIX, è trovato anche a Genova. L'ANSA scrive che insieme c'è un «volumetto di circa 60 pagine nel quale si illustra la strategia delle Brigate rosse». 20:29 - «Probabilmente la lettera di Moro a Zaccagnini è stata scritta il 30 o il 31 marzo. Lo si rileva dal contesto della stessa lettera, laddove lo scrivente afferma testualmente 'tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità; tanta lucidità almeno quanto può averne chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale». 20:35 - «Le sessanta pagine della 'Risoluzione della Direzione strategica - febbraio 1978' rappresentano una specie di documento politico generale suddiviso in sette capitoli. L'opuscolo è articolato in due parti principali. la prima contiene analisi sulla situazione italiana ed internazionale. La seconda le 'proposte' tra cui, la principale, la creazione del 'Partito comunista combattente'. L'opuscolo, rilegato, ha una copertina con fondo bianco e la scritta 'Brigate rosse' insieme alla stella a cinqua punte in rosso». Si chiarisce poi, nel corso della giornata, che le copie del comunicato trovate a Milano sono tre. Le altre due sono state annunciate con telefonate alla redazione milanese di Repubblica e al Settimanale. La prima telefonata è stata quella a Repubblica. Come le volte precedenti, il comunicato viene trovato anche a Roma e Torino. Nel comunicato, le Br precisano che la richiesta di Moro (nella lettera a Zaccagnini) di uno scambio di prigionieri, è «il suo punto di vista e non il nostro». «Abbiamo più volte affermato - scrivono i terroristi - che uno dei punti fondamentali del programma della nostra Organizzazione è la liberazione di tutti i prigionieri comunisti e la distruzione dei campi di concentramento e dei lager di regime» ma «denunciamo come manovre propagandistiche e strumentali i tentativi del regime di far credere nostro ciò che invece cerca di imporre: trattative segrete, misteriosi intermediari, mascheramento dei fatti». Le Brigate rosse però, anche in seguito, non hanno mai chiarito a cosa e a chi alludessero quando parlano di «trattative segrete» e «misteriosi intermediari». Nella seconda parte del comunicato le Brigate rosse sottolineano ancora una volta la loro strategia di proporsi come avanguardia leninista del 'movimentò e scrivono:«Per trasformare il processo di guerra civile strisciante, ancora disperso e disorganizzato, in una offensiva generale, diretta da un disegno unitario è necessario sviluppare e unificare il MOVIMENTO Dl RESISTENZA PROLETARIO OFFENSIVO costruendo il PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE. Movimento e Partito non vanno però confusi. Tra essi opera una relazione dialettica, ma non un rapporto di identità. Ciò vuol dire che è dalla classe che provengono le spinte, gli impulsi, le indicazioni, gli stimoli, i bisogni che l'avanguardia comunista deve raccogliere, centralizzare, sintetizzare, rendere TEORIA e ORGANIZZAZIONE STABILE e infine, riportare nella classe sotto forma di linea strategica di combattimento, programma, strutture di massa del potere proletario». Nella lettera a Zaccagnini, Moro chiama la Dc ad assumersi «le responsabilit… che sono ad un tempo individuali e collettive», si rivolge direttamente al segretario Dc, al quale ricorda l«'estrema, reiterata e motivata riluttanza ad assumere la carica di Presidente che tu mi offrivi e che ora mi strappa alla famiglia, mentre essa ha il più grande bisogno di me. Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io», parla del Pci «che non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del governo che m'ero tanto adoperato a costruire» e parla dei problemi della sua famiglia, che «ha il più grande bisogno di me». A proposito dello scambio di 'prigionierì Moro ricorda che «in questo modo civile si comportano moltissimi Stati» e ricorda che espresse già queste idee «a Taviani per il caso Sossi e a Gui a proposito di una contestata legge contro i rapimenti». Quest'ultimo accenno sarà ripreso da Moro nella lettera successiva, consegnata dalle Br il 10 aprile, in cui scrive «filtra sin qui la notizia che l'on.Gui ha correttamente confermato e l'on.Taviani ha smentito, senza evidentemente provar disagio verso un collega lontano e in condizioni difficili»
03/04/2008 ANSA

MORO/30: LA LETTERA A ZACCAGNINI

  Ecco il testo della lettera di Aldo Moro al segretario della Dc Benigno Zaccagnini: Caro Zaccagnini, scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga, ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della Dc alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non Š difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la Dc, la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire. peraltro doveroso che, nel delineare la disgraziata situazione, io ricordi la mia estrema, reiterata e motivata riluttanza ad assumere la carica di Presidente che tu mi offrivi e che ora mi strappa alla famiglia, mentre essa ha il più grande bisogno di me. Moralmente sei tu ad essere al mio posto, dove materialmente sono io. Ed infine Š doveroso aggiungere, in questo momento supremo, che se la scorta non fosse stata, per ragioni amministrative, del tutto al disotto delle esigenze della situazione, io forse non sarei qui. Questo è tutto il passato. Il presente è che io sono sottoposto ad un difficile processo politico del quale sono prevedibili sviluppi e conseguenze. Sono un prigioniero politico che la vostra brusca decisione di chiudere un qualsiasi discorso relativo ad altre persone parimenti detenute, pone in una situazione insostenibile. Il tempo corre veloce e non ce n'è purtroppo abbastanza. Ogni momento potrebbe essere troppo tardi. Si discute qui, non in astratto diritto (benchè vi siano le norme sullo stato di necessità), ma sul piano dell'opportunità umana e politica, se non sia possibile dare con realismo alla mia questione l'unica soluzione positiva possibile, prospettando la liberazione di prigionieri di ambo le parti, attenuando la tensione nel contesto proprio di un fenomeno politico. Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la Dc che, nella sua sensibilità ha il pregio di indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l'avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco. Tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità e senza avere subito alcuna coercizione della persona; tanta lucidità almeno, quanta può averne chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale, che non può avere nessuno che lo consoli, che sa che cosa lo aspetti. Ed in verità mi sento anche un pò abbandonato da voi. Del resto queste idee già espressi a Taviani per il caso Sossi ed a Gui a proposito di una contestata legge contro i rapimenti. Fatto il mio dovere d'informare e richiamare, mi raccolgo con Iddio, i miei cari e me stesso. Se non avessi una famiglia così bisognosa di me, sarebbe un pò diverso. Ma così ci vuole davvero coraggio per pagare per tutta la Dc avendo dato sempre con generosità. Che Iddio v'illumini e lo faccia presto, com'è necessario. Affettuosi saluti Aldo Moro
03/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: ROMA, ARCHIVIATA SETTIMA INCHIESTA SU MORTE STATISTA

  È finita in archivio, per decisione del giudice dell'indagine preliminare Mariateresa Covatta, la settima inchiesta sul caso Moro sollecitata 4 anni fa da una denuncia presentata dall'avvocato Nino Marazzita per conto dei familiari dello statista, cioè la moglie Eleonora e la figlia Fida. L'indagine, svolta dal pubblico ministero Franco Ionta, si era occupata dei risvolti inquietanti ipotizzati dai familiari nella denuncia.
Nella denuncia presentata nel 2004 l'avvocato Marazzita aveva formulato una serie di ipotesi a proposito di fatti che avrebbero potuto ispirare il sequestro dello statista. In particolare si chiedeva di accertare se dietro il rapimento dello statista ci fosse una rete terroristica Separat del terrorista Carlos e se questa rete avesse potuto condizionare l'attività delle Brigate rosse. Altro capitolo da esaminare secondo la denuncia, la posizione di un borsista russo, Sergej Socolov che aveva ottenuto una borsa di studio e all'Università di Roma aveva conosciuto Aldo Moro. Inoltre si chiedeva di accertare se dietro il sequestro ci potesse essere un accordo tra P2, Kgb e Cia per impedire l'apertura di Moro verso il Pci. E ancora un'altra ipotesi da approfondire se il covo in cui fu tenuto prigioniero Moro anzichè in via Montalcini fosse nei pressi di via Caetani, dove fu abbandonato il corpo di Moro dentro la Renault 4 rossa. L'indagine svolta dal pm Franco Ionta non ha portato a nulla di concreto. Lo stesso Ionta si recò durante l'indagine a Parigi per interrogare Carlos che qui è detenuto, ma il terrorista si rifiutò di rispondere. Visti inconcludenti gli esiti delle indagini il magistrato ha chiesto l'archiviazione del caso trovando d'accordo il giudice Covatta.
03/04/2008 ANSA

MORO/30: FIGLIA AGNESE, SPERIAMO IN APERTURA ARCHIVI

  La figlia di Aldo Moro, Agnese, spera che ci sia «qualcosa di più completo» negli archivi che dovrebbero essere aperti con la decadenza del segreto di Stato, 30 anni dopo il rapimento e l'uccisione del presidente della Dc da parte delle Br. «Stiamo a vedere - ha detto ai giornalisti all'uscita del Santuario della Madonna dei Lumi a Montemarciano, dove i genitori si sposarono il 5 aprile 1945 e dove stamani è stata celebrata una messa in memoria di Moro e della sua scorta -. Più che altro ritengo che non abbiamo una ricostruzione sostenibile secondo la logica». E quanto alle frasi della madre Eleonora, raccolte in un libro dall'ex magistrato e parlamentare Ferdinando Imposimato, secondo le quali la morte di Moro sarebbe stata voluta «dallo Stato», Agnese ha sottolineato che si trattava di «dichiarazioni confidenziali. Lei però è stata sempre convinta che non sia stato fatto tutto per salvarlo, un'opinione condivisa da molti». Ritiene che i colpevoli abbiano pagato? «Quante domande mi fate in una bella giornata di sole come questa...». I giornalisti le hanno chiesto se la risposta significasse un 'no': «lei cosa ne dice?», ha replicato la figlia di Moro.
03/04/2008 ANSA

MORO:A 30 ANNI DA SEQUESTRO ARCHIVIATA ULTIMA INCHIESTA/ANSA ERA NATA DA ISTANZA PRESENTATA DA MOGLIE E FIGLIA STATISTA

  Si chiude anche l'ultima inchiesta, la settima, sull'agguato di via Fani e sull'uccisione di Aldo Moro. A 30 anni dalla strage e dall' omicidio dello statista la magistratura romana ha infatti archiviato l'inchiesta avviata nel marzo del 2004 in seguito ad un'istanza presentata, tramite l'avvocato Nino Marazzita, da Eleonora e Maria Fida Moro, rispettivamente moglie e figlia del presidente della Dc. La decisione è stata presa dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Franco Ionta. «È stata persa l'ennesima occasione per approfondire il delitto Moro», ha commentato l'avvocato Marazzita. «Evidentemente - ha aggiunto - la chiave di lettura non è la stessa della magistratura romana. La mia era una ricostruzione diversa da quella giudiziaria che c'è stata finora e cercava di far capire perch‚ ci sono ancora oggi tanti buchi neri, tanti punti oscuri e risposte inappaganti». Gli accertamenti hanno riguardato una serie di aspetti sollevati dall'avvocato Marazzita e, in particolare, quello relativo all'ipotesi che la rete 'Separat', guidata dal terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, fosse in contatto, durante la gestione del rapimento di Moro, con un personaggio molto vicino a Valerio Morucci, uno dei componenti del commando che agì in via Fani il 16 marzo 1978. Il sospetto, come emergeva da una documentazione dei servizi segreti ungheresi, era che qualche apparato spionistico di un paese dell' est europeo potesse avere, tramite l' organizzazione 'Separat', condizionato le scelte delle Brigate Rosse in sede di discussione sulla sorte di Moro. Nella richiesta di archiviazione Ionta aveva sostenuto che, a conclusione delle indagini, non erano emersi rapporti diretti dell'organizzazione di Carlos con le Brigate Rosse. Nel novembre 2004 il magistrato romano provò ad interrogare il terrorista a Parigi, dove è detenuto, ma quest'ultimo di avvalse della facoltà di non rispondere. Altre questioni indicate nell'istanza di riapertura delle indagini, alla quale erano allegati numerosi documenti acquisiti dalla commissione Mitrokhin, erano: l'ipotesi che dietro il sequestro Moro ci fosse «una combine di interessi italiani e stranieri, principalmente P2, Kgb e Cia il cui scopo sarebbe stato quello di bloccare la politica di apertura verso il Partito Comunista Italiano»; la necessità di approfondire il ruolo dell'ex borsista russo Sergej Sokolv, il cui nome compariva nel cosiddetto dossier Mitrokhin come agente del Kgb e che conobbe Moro nel corso di lezioni svolte da quest'ultimo all'università di Roma; la possibilità che il covo nel quale fu tenuto prigioniero il presidente della Dc non fosse in via Montalcini, ma uno più vicino a via Caetani, il luogo dove fu fatto ritrovare il cadavere dello statista. Su questi punti il procuratore aggiunto Ionta, già rappresentante dell'accusa in alcuni processi sui fatti di via Fani, ha sostenuto, nella richiesta di archiviazione, che si tratta di questioni già esaminate nel passato: ad esempio era noto che Sokolov non fosse più residente a Roma quando avvenne il sequestro, e che sulle altre fattispecie indicate non sono comunque emersi ulteriori elementi di riscontro.
03/04/2008 ANSA

MORO/30: 4 MAGGIO, CRAXI INSISTE PER GESTO 'UMANITARIO'

  4 maggio 1978, Moro è nelle mani dei suoi rapitori ormai da 50 giorni. Il giorno passa senza novità sul fronte delle indagini e senza che le Brigate rosse si facciano sentire di nuovo. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 11:51 - «Tre fra i più stretti collaboratori dell'on. Moro, precisamente Corrado Guerzoni, Nicola Rana e Sereno Freato, hanno lasciato alle 11,15 il palazzo di giustizia dopo essere stati interrogati in qualità di testimoni dal sostituto procuratore generale della Repubblica Guido Guasco, al quale è stata affidata, dopo l'avocazione da parte della Procura generale, l'istruttoria sul rapimento del presidente della Dc e la strage di via Fani. (...) Dopo i tre collaboratori Guasco ha ricevuto quattro ufficiali dei carabinieri che collaborano alle indagini, tra i quali il comandante del nucleo investigativo, col. Antonio Cornacchia. (...) Uscendo dall'ufficio del magistrato, Freato ha detto di aver avuto, con il magistrato, uno scambio di idee 'molto cordialè. (...) 'Ci sono state chieste cose di cui si pensava fossimo informati'. Freato non ha voluto aggiungere altro, limitandosi a confermare che una parte del discorso ha riguardato l'arrivo delle lettere di Aldo Moro». 13:19 - «Il servizio stampa e informazione della Farnesina ha diffuso un comunicato in cui 'fa presente che la notizia relativa a dichiarazioni fatte dal ministro Forlani a Teheran sulla vicenda dell'on. Moro è del tutto inventatà. Il comunicato del ministro degli Esteri si riferisce a una notizia diramata da un'agenzia, secondo la quale il ministro Forlani avrebbe dichiarato a Teheran che l'on. Moro sarebbe rimesso presto in libertà dalle Brigate rosse». 19:25 - «L'Avanti di domani, in un editoriale ispirato dal segretario del partito Craxi, osserva che a quasi 50 giorni dal rapimento 'un fitto mistero continua a sbarrare la strada delle indaginì e che lo Stato 'per tanti versi impreparato e in ritardo di fronte alla complessità della lotta al terrorismo ed alla guerriglia urbana, non pare in condizioni di risolvere il problema con una vittoria sul campo». 19:49 - «L'editoriale dell'Avanti afferma poi che le decisioni prese dalla Dc dopo l'incontro con la delegazione socialista 'non sono retorichè e 'si muovono nella direzione giustà. 'Noi - dichiara l'Avanti - le appoggeremo per tre buone ragioni: la prima perchè esse si collocano nell'ambito della vita umanitarià (...), la seconda è che 'una disponibilità dello Stato in questo senso si configura come una iniziativa autonoma ricavabile dalla civiltà delle sue leggi, senza quindi trattative o riconoscimenti di sortà (...), la terza ragione è che in tal modo può svilupparsi 'una linea di fermezza e di ragionevolezza a un tempo, che potrebbe risultare efficace e risolutiva'». 21:15 - «Tentativi per salvare Moro 'se ne sono fatti, sono in corso e se ne faranno'. Lo ha dichiarato il segretario del Psi, on. Bettino Craxi, in un'intervista al 'Resto del Carlino' e alla 'Nazione'. ' Spero - ha aggiunto - che possano condurre al risultato positivo che perseguiamo con ostinazione. La democrazia si rafforza e si difende nutrendola di fatti benigni, non di eventi maligni».
03/04/2008 ANSA

MORO: ARCHIVIATA A ROMA LA SETTIMA INCHIESTA

  La magistratura romana ha archiviato l'ultima inchiesta, la settima in ordine di tempo, aperta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, avvenuti 30 anni fa nella capitale. La decisione è stata presa dal gip Maria Teresa Covatta su richiesta del procuratore aggiunto Franco Ionta. L'inchiesta era quella avviata nel marzo del 2004 in seguito ad un'istanza presentata, tramite l'avvocato Nino Marazzita, da Eleonora e Maria Fida Moro, rispettivamente moglie e figlia dello statista Dc.
Gli accertamenti hanno riguardato una serie di aspetti sollevati dall'avvocato Marazzita e, in particolare, quello relativo all'ipotesi che la rete 'Separat', guidata dal terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, fosse in contatto, durante la gestione del rapimento di Moro, con un personaggio molto vicino a Valerio Morucci, uno dei componenti del commando che agì in via Fani il 16 marzo 1978. Il sospetto, come emergeva da una documentazione dei servizi segreti ungheresi, era che qualche apparato spionistico di un paese dell' est europeo potesse avere, tramite l' organizzazione 'Separat', condizionato le scelte delle Brigate Rosse in sede di discussione sulla sorte di Moro. Nella richiesta di archiviazione Ionta aveva sostenuto che, a conclusione delle indagini, non erano emersi rapporti diretti dell'organizzazione di Carlos con le Brigate Rosse. Nel novembre 2004 il magistrato romano provò ad interrogare il terrorista a Parigi, dove è detenuto, ma quest'ultimo di avvalse della facoltà di non rispondere. Altre questioni indicate nell'istanza di riapertura delle indagini, alla quale erano allegati numerosi documenti acquisiti dalla commissione Mitrokhin, erano: l'ipotesi che dietro il sequestro Moro ci fosse «una combine di interessi italiani e stranieri, principalmente P2, Kgb e Cia il cui scopo sarebbe stato quello di bloccare la politica di apertura verso il Partito Comunista Italiano»; la necessità di approfondire il ruolo dell'ex borsista russo Sergej Sokolv, il cui nome compariva nel cosiddetto dossier Mitrokhin come agente del Kgb e che conobbe Moro nel corso di lezioni svolte da quest'ultimo all'università di Roma; la possibilità che il covo nel quale fu tenuto prigioniero il presidente della Dc non fosse in via Montalcini, ma uno più vicino a via Caetani, il luogo dove fu fatto ritrovare il cadavere dello statista. Su questi punti il procuratore aggiunto Ionta, già rappresentante dell'accusa in alcuni processi sui fatti di via Fani, ha sostenuto, nella richiesta di archiviazione, che si tratta di questioni già esaminate nel passato: ad esempio era noto che Sokolov non fosse più residente a Roma quando avvenne il sequestro, e che sulle altre fattispecie indicate non sono comunque emersi ulteriori elementi di riscontro.
02/04/2008 ANSA

MORO/30: 3 APRILE: GRANDE RETATA DI AUTONOMI A ROMA

  3 aprile 1978, il rapimento di Aldo Moro è arrivato ormai al diciannovesimo giorno. Il fatto principale del giorno è la grande retata di giovani dell'area dell'Autonomia e dell'ex Potere Operaio. Una retata fatta senza criterio, che poteva invece essere risolutiva. Tra le case perquisite, anche quelle di alcuni veri brigatisti, come Seghetti. E tra le persone temporaneamente arrestate c'è un personaggio come Lanfranco Pace, attualmente conduttore di 'Otto e mezzo' su La7 al posto di Giuliano Ferrara, allora uno dei leader romani dell'ex Potere Operaio. Pace sarà poi coinvolto e assolto nel processo alla rivista dell'Autonomia «Metropoli». Durante il caso Moro, Pace sarà anche, senza che gli inquirenti ne sapessero nulla (almeno ufficialmente), il tramite tra alcuni esponenti del Partito socialista di Craxi e i 'movimentisti' delle Br (Morucci e Faranda, anche loro provenienti da Potere operaio) in un sondaggio di tentativo per salvare Moro. Lo stesso Valerio Morucci, interrogato al processo Metropoli, disse che Lanfranco Pace aveva fatto parte per breve tempo (dal settembre 1977 al gennaio 1978) delle Brigate rosse, dove fu collocato nella costituenda brigata servizi con l'incarico di recapitare volantini e messaggi, «ma Lanfranco cominciò a mancare agli appuntamenti - disse Morucci - e quindi fu allontanato; se ne tornò ai suoi poker, alla sua ricerca di un lavoro». Ecco la cronaca della giornata del 3 aprile attraverso le notizie dell'ANSA: 08:33 - «Alcune centinaia tra poliziotti e carabinieri sono impegnati sin dalle sei di stamani in una vasta operazione che interessa prevalentemente i quartieri a nord di Roma, ma anche zone periferiche e centrale. Oltre ai posti di blocco, che sono stati rinforzati, funzionari dei vari distretti di polizia, dei commissariati e della Digos stanno compiendo decine di perquisizioni. Una ventina di giovani sono stati fermati e portati in questura». 11:38 - «A piccoli gruppi questi giovani vengono condotti al primo piano, dove ci sono gli uffici della Digos e interrogati dai funzionari e sottufficiali. Gli investigatori stanno esaminando la posizione di ognuno di essi, i loro precedenti e la loro appartenenza, passata o presente, a gruppi od organizzazioni della sinistra extraparlamentare». 12:20 - Il giornale tedesco «Die Welt» scrive che la polizia tedesca e quella italiana avrebbero un indizio che avvalora il sospetto di una collaborazione di terroristi tedeschi al rapimento Moro. Si tratta della lettera che Giuseppe Zambon ha cercato di ingoiare quando il 21 marzo la polizia lo ha fermato per controlli. La lettera è diretta a una Susanne che potrebbe essere, secondo il giornale, o Susanne Albrecht o Susanne Mordhorst. «Le rivelazioni sono valutate con perplessità al ministero dell'Interno italiano». Zambon sarà poi scarcerato dopo pochi giorni. La lettera «gli era stata consegnata da una persona che si occupa di controinformazione in Germania e conteneva informazioni sulla sezione del tribunale Russell sulla repressione in Germania». 18:36 - «L'on. Moro potrebbe essere stato portato fuori Roma con un furgone 751 rubato nell'agosto del 1975 a Roma ed appartenente al Corpo guardie forestali». Qualcuno ha infatti segnalato che il 16 marzo, poco dopo le 9,30, un furgone targato «CFS» sarebbe transitato al casello di Roma nord dell'autostrada del Sole con a bordo due giovani in uniforme. In serata, la direzione generale del Corpo guardie forestali smentisce il furto di un furgone del Corpo e conferma solo il furto di una Fiat 126 nell'agosto 1975. 21:56 - «La Questura di Roma ha reso noto questa sera di avere compiuto stamane all'alba 239 perquisizioni domiciliari secondo l'art. 41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Le persone arrestate secondo l'art. 270 del codice penale sono complessivamente 41. Fra queste, dodici sono state arrestate e portate in carcere e dovranno rispondere anche di reati vari fra i quali detenzione di armi non denunciate. Le altre 29 sono state arrestate in Questura al termine dell'indagine svolta sul loro conto. In Questura sono stati anche accompagnati per accertamenti un centinaio di giovani che sono stati identificati e quindi rimandati a casa»
01/04/2008 ADNKronos

CASO MORO: PAOLO VI VOLEVA IL PRIGIONIERO IN VATICANO = NUCCIO FAVA, ME LO CONFIDÒ PADRE PASQUALE MACCHI

  Paolo VI sarebbe stato disposto ad aprire il Vaticano ad Aldo Moro prigioniero delle brigate Rosse, tenendolo «ricoverato» Oltretevere sino a quando una commissione «terza», composta da elementi della Croce Rossa, della Caritas, o da altri organismi umanitari internazionali, non avesse raggiunto una qualche via d'uscita per consentire che la vita di Moro non fosse più a repentaglio. Lo rivela Nuccio Fava, ex direttore del Tg1, nel libro testimonianza 'Ricordando Aldo Moro' (Ed. Città del Sole). «Monsignor Pasquali Macchi, ex segretario di Papa Montini, mi confidò -afferma Nuccio Fava- durante un'intervista televisiva, alla presenza del comune amico, padre Carlo Cremona, che la comprensione nei confronti della signora Eleonora Moro e del suo atteggiamento molto critico verso l'azione del Papa, ritenuta insufficiente, era totale anche se Paolo VI ne soffrì molto sino agli ultimi giorni della sua esistenza». «Monsignor Macchi aggiunse che Paolo VI visse in perenne, trepida attesa e in continua preghiera per l'amico tutti i terribili 55 giorni della tragedia. Ma si paventava il peggio -aggiunge Fava, che seguì per il Tg1 il sequestro Moro- come purtroppo i tragici sviluppi o meglio, il sostanziale immobilismo e la sostanziale mancanza di qualsivoglia iniziativa lasciavano putroppo prevedere. Purtroppo, non ci fu nessun segnale, anche se la Chiesa è presente in tutto il mondo almeno con una cassettina di legno o un buco per inserire l'obolo».
Grande amico di Aldo Moro dai tempi della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, Papa Montini, solitario e già provato più che mai nel fisico, «come inequivocabilmente mostrano le belle e terribili immagini della sua preghiera durante i funerali nella basilica di San Giovanni senza la bara e la famiglia dello statista, aveva purtroppo da tempo maturato -racconta ancora Nuccio Fava rievocando il colloquio con Monsignor Pasquale Macchi- una valutazione pessimista e cercato in ogni modo di contrastarla, sino a valutare il riparo dello statista democristiano tra le mura del Vaticano». Il libro testimonianza di Fava, presidente della sezione italiana dell'Associazione Giornalisti Europei, sarà presentato a Torino l'8 maggio, alla vigilia del trentennale della morte del presidente della Dc, da Piero Craveri, Guido Bodrato e Giuseppe Pisanu. Il volume sarà accompagnato da tre dvd: il primo dal titolo 'Da Via Fani a via Caetanì, il secondo 'A Via Caetani, un uomo solo che ha segnato la storià e il terzo dedicato ad un dibattito sul tema «Che sanno i nostri giovani di Aldo Moro». Il tutto confluirà in un numero speciale di 'Finestra Italia', il programma che Fava conduce sul canale 920 di Sky, e che sarà interamente dedicato alla 'Lezione civile, morale e religiosa di Aldo Moro, un cattolico sempre in piedi'.
01/04/2008 ANSA

MORO/30: 2 APRILE, IL GIORNO DELLA SEDUTA SPIRITICA/ ANCORA POLEMICA SULLE LETTERE, APPELLO DEL PAPA AI RAPITORI

  (ANSA) - ROMA, 1 APR - 2 aprile 1978, diciottesimo giorno del rapimento Moro. Una giornata che diventa importante, nella storia del caso Moro, perchè è quella nella quale sarebbe avvenuta la «seduta spiritica» dalla quale esce l'indicazione «Gradoli». Naturalmente, nessuna traccia di quella riunione privata è possibile trovare sulla stampa. Nella giornata del 2 aprile, la cronaca dell'ANSA registra un vuoto quasi assoluto delle indagini, mentre papa Paolo VI rivolge un appello ai rapitori di Moro e mentre continuano le polemiche sulle altre lettere di Moro, oltre a quella per il ministro dell'Interno Cossiga, che sarebbero state consegnate dai terroristi il 29 marzo: 13:10 - papa Paolo VI, durante la recita dell'Angelus, rivolge un appello agli «ignoti autori del terrificante disegno» per la liberazione di Moro. 18:44 - «Una terza lettera sarebbe stata recapitata mercoledì scorso - contemporaneamente a quella indirizzata al ministro dell'Interno on. Cossiga e resa nota dal comunicato numero tre delle Brigate rosse e a un'altra alla famiglia di cui si parla da giorni (e della quale non si è avuta mai conferma ufficiale) - al più stretto collaboratore del presidente del Consiglio nazionale della Dc, il capo della sua segreteria particolare, prof. Nicola Rana. Sul contenuto di questa terza lettera non vi sono ovviamente notizie. Secondo voci, essa conterrebbe le prime indicazioni per un contatto con le Brigate rosse». 18:49 - «Anche i funzionari della Digos e del Cigos e gli ufficiali dei carabinieri che svolgono le indagini hanno detto di essere all'oscuro degli altri due messaggi che secondo voci insistenti sarebbero pervenuti alla moglie dell'on. Moro o al segretario Nicola Rana. Nè‚ l'ufficio stampa del ministero dell'Interno, nè i familiari dell'on. Moro hanno finora smentito, d'altra parte, le notizie degli altri due messaggi». 18:58 - «Esclusa l'ipotesi che i brigatisti propongano uno scambio, che sarebbe in ogni modo non operabile, si potrebbero fare ipotesi di richieste di denaro o di documenti. Tuttavia, fanno rilevare gli investigatori, si tratta solo di illazioni, perchè allo stato attuale non è possibile neppure sapere se una trattativa esista o se ci sia nei brigatisti l'intenzione di trattare. Sta di fatto che al diciottesimo giorno dal rapimento dell'on. Moro, le Brigate rosse non hanno reso noto alcun testo riguardante il contenuto dell'interrogatorio dell'on. Moro, che, stando a quanto affermava il secondo comunicato delle Brigate rosse, era 'in corso', e a proposito del quale il presidente della Dc nella lettera indirizzata a Cossiga scriveva che 'diventa sempre più stringente'». La «seduta spiritica» si svolge a Zappolino, alle porte di Bologna, nella casa del prof. Alberto Clò, dove è riunito un gruppo di amici, quasi tutti professori universitari, tra cui Romano Prodi. Il resoconto della giornata parla di una seduta spiritica cominciata per passare il tempo. Sempre secondo il racconto, concorde, dei presenti, viene evocato lo spirito di La Pira e il piattino suggerisce alcune parole e numeri, tra cui emerge l'indicazione di «Gradoli». Una seduta spiritica 'bipartisan' perchè era presente anche il prof. Mario Baldassarri, che ha confermato la versione di Prodi. Due giorni dopo, Prodi, a Roma per un convegno, parla dell'episodio con Umberto Cavina, capo ufficio stampa della Dc di Zaccagnini, il quale ne parla con Luigi Zanda Loi, addetto stampa del Viminale. Il 5 la segnalazione arriva al capo della polizia, Parlato, che avrebbe fatto disporre una massiccia perquisizione della zona di Gradoli, in provincia di Viterbo, senza risultati. In realtà nel notiziario ANSA di quei giorni, che riporta spesso traccia di operazioni ben più piccole, non risulta nessun accenno a questa operazione. Al processo Moro, la vedova del presidente della Dc, Eleonora Chiavarelli, disse:«vennero a casa mia delle persone e per la prima volta venne fuori la parola Gradoli, che era stata pronunciata in una seduta spiritica. Riferii la cosa all' on. Cossiga ed ad un funzionario che credo fosse il capo, il responsabile delle indagini, ma non ricordo come si chiamasse. chiesi loro se erano sicuri che a Roma non esistesse una via Gradoli e perchè avessero subito pensato, invece, al paese Gradoli. Mi risposero che una tale via non c'era sulle pagine gialle della città. Ma quando se ne andarono da casa, io stessa volli controllare l' elenco e trovai l'indicazione della strada. In seguito mi dissero che erano stati a vedere in quella zona, ma avevano trovato solo alcuni appartamenti chiusi. Si giustificarono dicendo che non potevano sfondare le porte di ogni casa della strada». Cossiga ha sempre negato la versione della vedova di Moro. Negli anni sono state diverse le interpretazioni di questa vicenda. Nel 1995 in una bozza di relazione, il presidente della commissione Stragi Giovanni Pellegrino scrive di «ritenere che il nome Gradoli fosse filtrato negli ambienti dell'autonomia bolognese», ipotesi ripresa due anni dopo da Giulio Andreotti. Sempre nel 1997, Craxi dice che l'indicazione proveniva da «ambienti legati strettamente all' organizzazione terroristica. Gli stessi che ci diedero notizie anche di via Montalcini». Nel 2006, per Paolo Guzzanti, ex presidente della commissione Mitrokhin, Prodi ebbe l'informazione dal Kgb, un'ipotesi già avanzata nel 1999 dal settimanale «Avvenimenti» (l'appartamento era stato affittato ai brigatisti da un'amica di Giuliana, figlia di Giorgio Conforto (nome in codice Dario nel 'Dossier Mitrokhin'). Giovanni Moro, figlio del leader Dc, ha giustamente chiesto perchè «tutti si accaniscano per rispondere alla domanda sull'esistenza di una seduta spiritica e nessuno si ponga invece la domanda veramente importante: ma perchè, saputo di via Gradoli immediatamente dopo il rapimento, nessuno ci andò se non quando non c'era più niente e nessuno da trovare?»
01/04/2008 ANSA

MORO/30: IMPOSIMATO, BERLINGUER VOLEVA CAMBIARE NOME A PCI

  «Berlinguer mi disse che stava per modificare il nome del partito». Nella lunga intervista che Ferdinando Imposimato, giudice istruttore del primo processo Moro, ha concesso al periodico dei Padri Passionisti 'L'Eco di S.Gabriele', si parla anche dei destini del Pci di Enrico Berlinguer. «Voleva creare un nuovo soggetto politico, era il promotore dell'eurocomunismo - rivela Imposimato - e con la liberazione di Moro ci sarebbe stata una accelerazione della crisi del comunismo sovietico». «Se Moro fosse stato liberato - sostiene l'ex giudice istruttore - anzitutto ci sarebbe stata una apertura della Dc verso i comunisti italiani che erano orientati al cambiamento. Alla mia domanda circa una possibile spaccatura mi rispose che era già stata calcolata tra il 2-3%. Con Moro libero ci sarebbe stata una anticipazione degli eventi e una accelerazione della crisi del comunismo sovietico».
01/04/2008 ANSA

MORO/30: IMPOSIMATO, IN RAPIMENTO ZAMPINO DI CIA E KGB A PERIODICO PADRI PASSIONISTI, ERA ODIATO DA AMERICA E RUSSIA

  «Moro, si sapeva, era l'autore del compromesso storico. Di conseguenza era sicuramente in odio all'America e all'Unione Sovietica. Per quanto riguarda i 55 giorni del sequestro c'è sicuramente il coinvolgimento della Cia. In merito alla preparazione, invece, credo ci fosse la mano del Kgb». Lo sostiene Ferdinando Imposimato all'Eco di S.Gabriele, il mensile dei Padri Passionisti, che ha diffuso una sintesi dell'intervista al giudice istruttore del primo processo Moro. «Moro disturbava gli equilibri così come erano stati concepiti alla fine della guerra - ha continuato Imposimato -. Oltre a lui era contestato anche Berlinguer, che nel 1973 fu oggetto di un violento attacco. Infatti si voleva sganciare dall'Unione Sovietica dando vita al compromesso storico con la Dc, l'ho saputo andando in Bulgaria, è una cosa certa». Imposimato nel corso della lunga intervista ha poi detto che «Al servizio di queste due superpotenze si sono messi poi alcuni politici italiani, e anche alcune entità della loggia massonica P2. Gelli, infatti, era un noto nemico del compromesso storico e la sua potenza era tale che addirittura durante il sequestro Moro conduceva le indagini... Dava gli ordini ai capi dei servizi segreti». Chi erano i politici italiani? «Andreotti e Cossiga, entrambi schierati dalla parte degli Stati Uniti - spiega Imposimato - Il comitato di crisi ha gestito l'operazione su ordine delle autorità politiche - puntualizza il giudice».
31/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: FILM INCHIESTA TORNA SULLO 'SPIRITO' DI VIA GRADOLI = NUOVE IPOTESI SULLA FONTE DELLA SEDUTA SPIRITICA DEI PROFESSORI BOLOGNESI

  Nuove ipotesi sulla fonte dei professori di Bologna, tra i quali Romano Prodi, Alberto Clò e Mario Baldassarri che il 2 aprile '78, durante il sequestro Moro, vennero a conoscenza, durante una seduta spiritica, dell'indicazione sul covo delle Brigate Rosse in via Gradoli. Secondo la versione fornita dallo stesso Prodi alla commissione di inchiesta sul sequestro Moro nel 1981, furono gli spiriti di don Sturzo e Giorgio La Pira a suggerire ai tredici economisti di domenica riuniti nella casa di campagna di Alberto Clò a Zappolino, prima la parola 'Gradoli e quindi un numero, il '96. Indicazione riferita alla Polizia, ma che portò il 6 aprile ad un'incursione nella cittadina medievale di Gradoli, nel viterbese. Oggi, in occasione del trentennale della strage di via Fani e del rapimento del presidente della Dc, un film-inchiesta riporta ad uno degli episodi più in ombra dei 55 giorni del sequestro. Chi fu la fonte dei professori? 'Moro, la verità negata', realizzato dal regista teatrale Carlo Infanti ed iscritto alle preselezioni per la sezione 'Quinzaine' del festival di Cannes, riporta alcune testimonianze dirette. Tra le altre, quella di Pier Francesco Cancedda, che, ha raccontato, operava per la Gladio militare in Cecoslovacchia per osservare l'addestramento delle Brigate Rosse. Egli afferma di aver saputo del covo delle Br a via Gradoli da una fonte della Stasi, il servizio segreto della Germania dell'Est, e di aver trasmesso a Roma questa notizia precisando che «il covo si trovava in Gradoli-strasse».Cancedda, che vive in Sardegna, spiega nel film di aver trasmesso l'informazione ad Antonio Labruna, ex capitano del Sid scomparso nel febbraio del 2000, nei giorni immediatamente successivi al sequestro Moro. «È una base con un centro di trasmissione radio», era la notizia. Labruna a sua volta trasmise l'informazione a un funzionario dell'antiterrorismo. I fatti vennero successivamente raccontati dall'ex capitano del Sid al pm romano Piero De Crescenzo il quale, lavorando su uno «stralcio» dell'indagine sul Golpe Borghese, ha avviato l'inchiesta numero sei sul caso Moro.
Il 18 marzo '78, due giorni dopo la strage di via Fani, gli agenti del commissariato Flaminio nuovo di Roma, guidati dal brigadiere Domenico Merola, perquisirono lo stabile di via Gradoli '96. Gli inquilini dell'interno 9 dissero che dall'appartamento accanto, interno 11, si sentivano strani rumori, come segnali Morse. I poliziotti bussarono, non rispose nessuno, andarono via. Un mese dopo fu scoperto il covo. In realtà, con l'informazione su Via Gradoli, si fece un favore a Mario Moretti, il capo delle Brigate Rosse, è la tesi sostenuta dall'esperto strategico Piero La Porta. «L'autore della voltura -ha detto alla presentazione del film- è certo che Moro non tornerà più. Il covo di via Gradoli è bruciato dal 18 marzo '78, dopo la denuncia di Lucia Mokbel, un'inquilina dello stabile che denuncia alla Polizia di aver sentito provenire dall'appartamento che ospitava le Br dei segnali morse». Nel film di Carlo Infanti, che in principio doveva essere una biografia sugli esordi di Romano Prodi , e intititolato 'L'Aquila di Scandiano', appare anche un'intervista all'avvocato Cesare Placanica, difensore di alcuni giornalisti querelati da Romano Prodi per un articolo apparso su 'L' Italia settimanale', all'epoca diretta da Alessandro Caprettrini. In quel processo Prodi nominò avvocato di fiducia Claudio Palandri. Il legale spiega nell'intervista di «aver collegato, sulla base di elementi scaturiti da altri procedimenti, che Palandri faceva parte del consiglio di amministrazione della società Fidrev, che controllava l'immobiliare Gradoli, proprietaria di gran parte delle unità immobiliari del palazzo dove venne scoperto il covo delle Br.
31/03/2008 ANSA

MORO/30: PRIMO APRILE, POCHE NOVITÀ DALLE PERIZIE

  1 aprile 1978, i giorni del rapimento di Aldo Moro sono ormai 17 e il giorno trascorre particolarmente privo di sviluppi di qualche importanza. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 14:18 - «In uno degli ultimi verbali inviati dai funzionari della Digos alla Procura della Repubblica si fa cenno alle dichiarazioni di un testimone il quale ha visto in via Fani, all'angolo con via Stresa, qualche giorno prima dell'imboscata, quattro netturbini. Poichè alla Nettezza urbana non risulta che fossero in servizio in quel luogo quattro dipendenti nel giorno indicato dal testimone, l'opinione degli investigatori è che fossero brigatisti rossi travestiti i quali stavano curando la preparazione dell'agguato». 20:50 - «La Gazzetta del popolo nel numero di domani pubblica un'intervista al ministro dell'Industria, Carlo Donat Cattin, in relazione alla riunione svoltasi alla Camilluccia durante la quale la Dc ha preso la decisione di respingere qualsiasi richiesta delle Brigate rosse». «L'incontro della Camilluccia si è risolto nell'arco di un'ora e mezzo con il consenso sulla relazione Zaccagnini-Galloni e con il dare alcuni suggerimenti per il Governo Si capisce che, insieme con quanti sono stati chiamati a decidere, io ho sentito il peso diverso tra una affermazione astratta ed una decisione che coinvolgeva e coinvolge effetti gravi per la persona alla quale mi lega una lunga e profonda amicizia, mai da nulla incrinata». 21:31 - «Sulla base della serie di elementi raccolti dal giorno del rapimento dell'on. Moro ad oggi, attraverso le deposizioni dei testimoni, gli accertamenti, le perquisizioni, le battute, il ministero dell'Interno ha messo a punto un nuovo piano operativo nella lotta contro i brigatisti rossi. Non si conoscono ovviamente le caratteristiche di questa nuova fase operativa che è stata studiata dal ministero dell'Interno insieme con i capi del Cigos, del Sisde», dei carabinieri e della guardia di finanza e da un gruppo di esperti. Intanto i magistrati che conducono l'inchiesta hanno avuto qualche prima indicazione dai periti balistici sulle armi e le munizioni che i terroristi hanno usato per uccidere i cinque uomini della scorta dell'on. Moro. Le armi sono quattro pistole mitragliatrici ed una pistola automatica 'parabellum'. Due di queste armi non sono state ancora identificate e si sono fatte varie ipotesi, tutte da verificare tra le quali quella della pistola mitragliatrice finlandese Massen. Le cartucce di calibro nove usate per le pistole mitragliatrici sono risultate tutte prodotte dalla Fiocchi. Come è noto, le cartucce di questo calibro sono prodotte per le forze armate, la polizia, la finanza ed alcune organizzazioni autorizzate oppure per l'esportazione. È praticamente impossibile stabilire se le munizioni usate in via Fani dai terroristi siano di quelle fornite agli organi dello Stato o a Paesi stranieri«. 21:33 - »Nel pomeriggio si è diffusa la voce che il procuratore della Repubblica De Matteo, il quale uscito alle 14 dal suo ufficio non era stato più reperibile a casa nè al palazzo di giustizia, si fosse recato nell'abitazione dell'on. Moro per avere un colloquio con la signora Eleonora. Alle 20.30, rientrato a casa, il dott. De Matteo ha smetito categoricamento la voce dicendo:«Non sono andato a interrogare la signora Moro».
31/03/2008 ANSA

MORO/30: DOCU-FILM RIVELA, MAI PERQUISIZIONI A GRADOLI PAESE

  Non vi furono vere e proprie perquisizioni a Gradoli, il paese a 130 chilometri da Roma, nel viterbese, su cui venne «dirottata» la segnalazione giunta da Romano Prodi alla Dc che indicava la prigione di Aldo Moro legata a quel toponimo. A rivelarlo, interpellando l'intera amministrazione comunale dell'epoca, è stato il regista Carlo Infanti nel suo film «Gradoli» che sarà presentato domani mattina alla stampa estera a Roma. Il film ruota per intero sulla questione della seduta spiritica che si tenne il 2 aprile a Zappolino, vicino Bologna a cui parteciparono accademici dell'università di Bologna tra i quali c'erano Prodi, Alberto Clo e Mario Baldassarri. Oltre al sindaco dell'epoca, che però non viveva nel paese, viene intervistato Franco Lorenzoni, vice sindaco che risiedeva a Gradoli che spiega che l'unica cosa che si vide furono due posti di blocco nei due bivi di ingresso nel paese. Ma dentro Gradoli non vi fu nessuna ispezione, nè perquisizione. Niente. Le uniche cose che abbiamo saputo, in seguito, è che perquisizioni furono fatte in alcune grotte nelle vicinanze del paese e in casali abbandonati nella campagna, noi non sapevamo niente. Quello che poi è stato fatto successivamente vedere, anche in alcuni film di perquisizioni all'interno del paese sono cose tutte completamente false: non esistono«. All'intervista partecipano anche i componenti dell'amministrazione comunale, consiglieri e impiegati. Spiega l'allora sindaco: noi non siamo stati mai interpellati sulla questione. Ho fatto il sindaco per 20 anni, dal '75 al '95 ma nessuno è mai venuto a chiedermi informazioni su quell'episodio». Il vice sindaco spiega ancora nel corso del film, che contiene anche altre importanti novità legate alla vicenda di Gradoli. Quella sera vennero da me due corrispondenti locali del Messaggero, dell'Avanti e dell'Unità e mi dissero che in paese si diceva vi fosse Aldo Moro. Ricordo che gli dissi che qui Moro non c'era. Neanche loro, il giorno dopo scrissero una riga sulla questione pur essendo venuti a controllare di persona«. È da ricordare che Eleonora Moro, all'epoca chiese se a Roma non vi fosse una strada con quel nome. Le venne risposto da esponenti della polizia mai identificati che non esisteva alcuna strada. Cosa errata perchè Gradoli era regolarmente riportata negli stradali della capitale.
31/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: GALLONI, VIMINALE FECE FINTA DI ANDARE IN VIA GRADOLI

  «Il ministero dell'Interno fece finta di andare in via Gradoli» dopo l'indicazione sul covo delle Brigate Rosse proveniente dalla seduta spiritica tenuta da tredici professori, tra cui Romano Prodi, il 2 aprile 1978 e trasmessa al quartier generale della Democrazia Cristiana nel pieno del sequestro Moro. Giovanni Galloni, ex vicepresidente della Dc, esponente della corrente di sinistra del partito, che Francesco Cossiga volle al Viminale per fare da collegamento tra il ministero dell'Interno e via del Gesù, torna a lanciare pesanti accuse alla gestione del sequestro dello statista da parte delle istituzioni. «La P2 sapeva benissimo che in via Gradoli c'erano i covi e coloro che erano preposti alla gestione della crisi erano inefficienti, impreparati o in malafede. Quanto a Cossiga -aggiunge Galloni alla presentazione del film 'Moro, la verità negata', di Carlo Infanti - non so se ha sempre detto la verità perchè ha sempre appoggiato la massoneria». L'ex esponente dello scudocrociato ebbe anche un contatto con Steve Pieczenick, l'americano esperto in negoziazioni sui sequestri inviato a Roma dal Dipartimento di Stato dopo l'agguato di via Fani. «Quell'incontro -spiega Galloni- non mi soddisfece affatto. A mio avviso avrebbero dovuto essere mobilitati tutti i servizi stranieri collegati per cercare di liberare Aldo Moro». Quanto ai rapporti tra il presidente della Dc e gli Stati Uniti, «questi - a giudizio di Galloni- non si intesero. Gli Stati Uniti, infatti, non capirono la lungimiranza della politica di Moro. Egli era convinto di creare le condizioni per cui in Italia la Democrazia Cristiana sarebbe diventata un partito non conservatore mentre il Pci si sarebbe distaccato dall'orbita di Mosca. Aveva previsto che si sarebbe arrivati al crollo del muro di Berlino».
29/03/2008 ANSA

MORO/30: 31 MARZO, SANTA SEDE, PRESTO PER MEDIAZIONE/ ANSA VOCI SU ALTRE LETTERE DI MORO, POLEMICHE PER BLACK-OUT SIP

  30 MAR - 31 marzo 1978, sono ormai 16 i giorni passati dalla strage di via Fani e dal rapimento di Moro. Non ci sono novità di rilievo. Circolano le indiscrezioni sulle altre lettere consegnate dalle Br a Rana. La Santa Sede dice che è disponibile a fare qualcosa, ma che per ora la situazione non è ancora abbastanza chiara. Il sottosegretario Mazzola esclude la trattativa. Continuano le polemiche sul black-out telefonico. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 12:44 - «Il ministro Cossiga ha davvero ricevuto la lettera di Aldo Moro prima che le Brigate rosse la rendessero di pubblico dominio ? Fedele alla 'linea del rifiuto', il ministero dell'Interno afferma di non voler rispondere a questa domanda. Ma l'indiscrezione sembra avere solide radici, e potrebbe esserne una prova l'assenza di smentite ufficiali. Più difficile è dire con quanto anticipo il ministro avrebbe ricevuto la lettera e per quale tramite». Cossiga, in effetti, aveva ricevuto la lettera da Rana almeno un paio di ore prima che le Br la rendessero nota insieme al comunicato. 13:49 - «Il fatto che nelle due ore dopo l'imboscata di via Fani, la mattina del 16 marzo, migliaia di linee telefoniche nella zona tra Monte Mario e la via Cassia rimasero bloccate, fu spiegato in un primo tempo con un sovraccarico di telefonate. Ma ora si torna a sospettare che qualche esperto complice delle Br abbia provocato il black-out telefonico». 14:33 - «La richiesta di un passo preventivo, destinato a facilitare la soluzione del dolorosissimo caso dell'on. Moro - è detto oggi in un corsivo dell'Osservatore Romano - non può certo lasciare indifferente la Santa Sede». «E in anni recenti - continua il corsivo - non sono state poche le occasioni in cui, nel riserbo discreto o palesemente, il Santo padre in persona o gli organismi della Santa Sede hanno interposto la loro opera per la soluzione di casi, singoli o collettivi, che coinvolgevano persone umane violate nei loro diritti fondamentali». «È ovvio tuttavia - prosegue la nota, non firmata - che un'eventuale azione sarebbe possibile soltanto quando tutti gli elementi in gioco fossero chiari. Resta pertanto prematuro avanzare, ora, qualsiasi ipotesi di interventi concreti». 18:34 - «'È una voce destituita di fondamento, perchè non c'è in corso nè in preparazione alcun tipo di trattativa'. Così il sottosegretario alla difesa, Mazzola, il quale coordina i contatti tra il ministero della Difesa e quello dell'Interno nelle indagini per i tragici fatti di via Fani, in un'intervista a Radiomontecarlo ha smentito la voce di presunte trattative in corso con i brigatisti per uno scambio. Mazzola ha quindi ricordato che la decisione presa ieri sera dalla Dc e avallata da tutti i partiti della coalizione parlamentare è per un linea di intransigenza nei confronti di qualsiasi trattativa. Su questa linea - ha detto infine il sottosegretario alla Difesa - è anche il governo, quindi 'non ci sono trattative nè preparazione di trattative'». 20:21 - «L'ufficio stampa della Sip 'conferma che la mattina del 16 marzo, effettuati i controlli più scrupolosi sugli impianti dell'intera zona di Monte Mario, nonchè nella centrale telefonica che serve la zona stessa, non venne riscontrata alcuna manomissione, che, d'altra parte, non sarebbe potuta avvenire senza lasciare traccia. Si conferma quindi che i disservizi telefonici rilevati nella mattinata del giorno 16 sono da attribuirsi a sovraccarico di traffico, conseguente al tragico episodio». 20:25 - Il sostituto procuratore Corsi mette a confronto Brunhild Pertramer con i titolari della pensione di Alba di Canazei, in cui ha detto di aver soggiornato nel periodo sia dell'attentato a Berardi che del rapimento Moro. Il proprietario della pensione e la figlia riconoscono la donna, confermando così il suo alibi. 21:17 - «Il procuratore della Repubblica De Matteo ha avuto stamani un colloquio di due ore con il fratello dell'on. Moro, il magistrato Carlo Alfredo Moro, presidente del tribunale dei minorenni di Roma. Nelle ore che hanno seguito il colloquio, il cui contenuto è stato coperto dal massimo riserbo, si è diffusa la voce che il fratello dell'on. Moro avrebbe ricevuto uno scritto di poche righe nel quale il presidente della Dc rassicura i familiari sul proprio stato di salute». In effetti, il 29 marzo la moglie di Moro aveva ricevuto una lettera del marito, consegnata dalle Br a Nicola Rana. 21:22 - «Per quanto riguarda il lavoro dei periti, si è diffusa una voce, di cui tuttavia non si è avuta conferma, secondo la quale la foto dell'on: Moro fatta pervenire dai brigatisti rossi al messaggero due giorni dopo il rapimento non sarebbe un fotomontaggio». 01:34 - «A proposito di voci di una lettera inviata dall'on. Aldo Moro alla famiglia si è tentato di mettersi in contatto con la stessa famiglia del presidente del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana e con la sua segreteria. Ogni tentativo è stato vano. Evidentemente anche in questa circostanza il silenzio è ritenuto dalla famiglia dell'on. Moro la posizione più opportuna nei riguardi del proprio congiunto».
29/03/2008 ANSA

MORO/30: 30 MARZO, POLEMICHE SU LETTERA A COSSIGA/ ANSA SALTA IL SOPRALLUOGO IN VIA FANI, BELLAVITA ARRESTATO A PARIGI

  30 marzo 1978, Moro è prigioniero delle Br ormai da 15 giorni. La giornata passa tra le polemiche sui contenuti della lettera di Moro a Cossiga. Quasi tutti i commenti tentano di sminuirne l'importanza, bollandola come 'estorta' e sostenendo che 'Moro non era Moro'. Continuano le ricerche sul litorale a nord di Roma, mentre salta il programmato sopralluogo in via Fani. A Parigi è arrestato Bellavita, direttore di Controinformazione, che però sarà presto rilasciato. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie trasmesse dall'ANSA: 10:33 - «Fin dalle otto via Mario Fani si era popolata più del solito. Giornalisti, fotografi, cineoperatori e molti curiosi si erano radunati all'angolo della strada con via Stresa, in attesa del sopralluogo. Alcune pattuglie dei vigili urbani provvedevano a regolare il traffico, stamani più intenso del solito. Per oltre un'ora e mezza si è atteso l'arrivo dei magistrati e degli investigatori, ma l'attesa è andata delusa. Alle 9.30 la notizia ufficiale: il magistrato non sarebbe arrivato». Infelisi, e molti degli inquirenti, avevano infatti fatto le ore piccole per l'arrivo del comunicato numero tre la sera del giorno prima. 11:38 - «Uno dei 20 presunti brigatisti la cui foto e i cui nominativi sono stati diffusi dal ministero dell'Interno dopo il rapimento di Moro, Domenico Lombardo, ha fatto pervenire all'agenzia Ansa 'una copia dell'esposto inviato al sostituto procuratore della Repubblica per le opportune rettifiche delle false notizie diffuse in questi giorni dalla stampa e per ristabilire la verità». «È vero - aggiunge Lombardo - che io sono attualmente latitante perchè innocentemente coinvolto in un tragico episodio avvenuto in Calabria del quale spero che un giorno o l'altro possa risultare ed essere riconosciuta la mia estraneità, ma questo non significa che mi si debba coinvolgere in altri avvenimenti di cui sono assolutamente ignaro». Lombardo sarà poi arrestato dopo un anno e mezzo e condannato a 22 anni per la strage di Razza'. 13:23 - «Una vasta battuta alla quale partecipano reparti di polizia, carabinieri e guardia di finanza è in corso da questa mattina nella zona della via Aurelia tra Cerveteri e Campo di Mare». 15:14 - A Parigi, la polizia francese, su richiesta di quella italiana, arresta Antonio Bellavita, ex direttore di «Controinformazione». Il nome e la foto di Bellavita erano nella lista dei 20 sospetti diffusa dal Viminale dopo il rapimento di Aldo Moro. «A carico di Antonio Bellavita - si legge nella sentenza di rinvio a giudizio - esistono elementi di prova 'precisi, convergenti ed univoci' sulla sua appartenenza, come organizzatore, alle Brigate rosse». Contro l'arresto e la richiesta di estradizione di Bellavita si alza una forte protesta di intellettuali. L'11 aprile Bellavita torna in libertà provvisoria. A maggio la Francia respinge la richiesta di estradizione. Bella vita sarà inquisito e poi assolto, insieme a esponenti dell'Hyperion, brigatisti come Senzani, dirigenti dei servizi segreti, nell'inchiesta veneziana del giudice Mastelloni su un traffico di armi ed esplosivi tra Olp e Brigate rosse. 20:00 - Da un vertice dei maggiori dirigenti della Dc esce una nota che sarà pubblicata dal Popolo del giorno dopo e che viene anticipata alle agenzie. «Come abbiamo affermato nei giorni scorsi - dice la nota - il punto essenziale di riferimento rimane per noi lo Stato democratico, con le sue istituzioni, le sue leggi e le sue esigenze. Riteniamo perciò di dover ribadire con meditata convinzione che non è possibile accettare il ricatto posto in essere dalle Brigate rosse». - Per tutta la giornata poi si susseguono i commenti alla lettera di Moro a Cossiga resa nota la sera del giorno precedente. Molti dei commenti cercano di negare valore alla lettera. L'on. Luigi Preti, per esempio, presidente del gruppo socialdemocratico del Psdi alla Camera, dichiara che «basta leggere la lettera di Moro per rendersi conto che non può essere attribuita a lui e se l'ha scritta gli è stata imposta con metodi criminali». Per il sen. Tedeschi, di «Democrazia nazionale», «La lettera dell'on. Moro è stata scritta in seguito a fortissime pressioni, forse sotto l'effetto di psicofarmaci». Anche i titoli dei giornali sembrano obbedire alla stessa mano. «Queste parole non sono sue» titola la Repubblica, «Una lettera di Moro. Vera? Falsa? Come gli è stata estorta?» scrive il Messaggero, «Le Brigate rosse estorcono una lettera a Moro» titola ancora «Paese sera», mentre il Corriere della sera scrive:«Chi ha scritto questa lettera ? È forse opera di Aldo Moro, presidente della Dc nonchè stratega prudente, mediatore eccelso e ispiratore della politica italiana ? O forse è opera di un uomo che ha lo stesso volto e lo stesso nome, che è ancora Aldo Moro, ma è ridotto all'impotenza dall'isolamento di una prigionia crudele, sottoposto all'effetto di stupefacenti o a qualche altra tecnica di controllo psichico ?».
28/03/2008 ANSA

MORO/30: 29 MARZO, TERZO COMUNICATO E LETTERA A COSSIGA/ ALTRE LETTERE A RANA E ALLA MOGLIE, MA ANCORA SEGRETE

  29 marzo 1978, sono ormai due settimane che il presidente della Dc Aldo Moro è tenuto prigioniero dalle Brigate rosse. Mentre a Torino si apre il Congresso del Psi, che non ha ancora preso una sua linea autonoma sulla gestione del caso Moro, la novità più importante del giorno è il comunicato numero tre delle Br, recapitato insieme ad una lettera di Moro a Francesco Cossiga, ministro dell'Interno. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 14:12 - Il sostituto procuratore della Repubblica Luciano Infelisi affida all'ing. Mario Calzini, direttore di Cinecittà, e a Giuseppe Colucci, tecnico della Criminalpol, la perizia tecnica sulla fotografia di Moro inviata dalle Brigate rosse. I due periti devono scoprire se l' immagine del rapito è un fotomontaggio e qual è il tipo di macchina fotografica usata. 20:47 - «Dalle testimonianze è confermato che sicuramente uno dei due terroristi che aprirono il fuoco contro i carabinieri era una donna. Secondo i periti, la donna sparò con un corto mitra calibro nove e non con una pistola, come si era pensato in un primo tempo. L'azione della donna richiedeva un eccezionale addestramento in questo tipo di attacchi, che per essere eseguiti con precisione debbono essere ripetuti decine di volte. Gli investigatori pensano che la terrorista possa essersi addestrata in qualche paese arabo o dell'America latina». 21:09 - «Un documento delle Brigate rosse con il titolo »Comunicato numero tre« è stato trovato poco fa a Genova. Secondo notizie giunte al Comando generale dei carabinieri, insieme al documento ci sarebbero dei manoscritti». Le Brigate annunciano il 'comunicato numero 3', accompagnato dalla fotocopia di una lettera scritta a mano firmata Aldo Moro e indirizzata al ministro dell'Interno Francesco Cossiga, con una telefonata alle 19,15 al Secolo XIX a Genova, alle 20 al Corriere della Sera a Milano, alle 20,45 al Messaggero e a Radio Onda Rossa di Roma (qui il volantino è lasciato davanti la sede della Dc, in piazza del Gesù ) e alle 21,10 alla redazione di Torino dell'Ansa e alla Gazzetta del Popolo. Nella lettera a Cossiga, Moro afferma di trovarsi «sotto un dominio pieno e incontrollato» dei terroristi, accenna alla possibilità di uno scambio, portando come esempi gli scambi di spie o quelli avvenuti tra Breznev e Pinochet, e suggerisce un «preventivo passo del Vaticano». La lettera a Cossiga era già stata fatta trovare a Nicola Rana, capo della segretaria politica di Moro, insieme ad una lettera per lo stesso Rana e una per Eleonora Moro, ma questo fatto era rimasto segreto. Le lettere di Moro sono state scritte il giorno di Pasqua (26 marzo) e sono le prime recapitate (Moro, ma questo si scoprirà solo dopo via Monte Nevoso, aveva scritto in precedenza solo una lettera privata alla moglie che però i terroristi non avevano consegnato). Nel comunicato le Brigate rosse scrivono che «L'interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero» e che le informazioni ottenute «verranno rese note al movimento rivoluzionario che saprà farne buon uso nel prosieguo del processo al regime che con l'iniziativa delle forze combattenti si è aperto in tutto il paese». Il comunicato si occupa anche della lettera di Moro a Cossiga:«Ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume la rendiamo pubblica». Dal comunicato emerge anche la lotta per l'egemonia tra la strategia delle Br e quella di altri protagonisti del Movimento. Le Br si propongono come avanguardia rivoluzionaria, in senso leninista, e scrivono:«È fondamentale pure realizzare quei salti politici e organizzativi che la guerra di classe impone, costruire la direzione del MRPO, assumersi la responsabilità di guidarlo, costruire in sostanza il Partito Comunista Combattente. Solo così è possibile avviarsi verso la vittoria strategica del proletariato» e attaccano invece «gli isterismi piagnucolosi di chi, intrappolato nella visione legalistica e piccolo borghese della lotta di classe, si è già arreso ed ha accettato la sconfitta finendo inesorabilmente ad essere grottesco reggicoda di ogni manovra reazionaria». 21:53 - Nel rapimento dell'on. Moro, secondo voci che gli investigatori non hanno confermato, sarebbe implicato uno degli elementi più in vista del terrorismo tedesco, Christian Klar, di 26 anni, appartenente alla Rote Armee Fraktion. In alcune foto di appartenenti alla banda Baader-Meinhof e alla Raf agenti di polizia avrebbero riconosciuto Klar per uno degli occupanti di una automobile che era stata fermata da una pattuglia tre giorni prima dell'agguato in via Fani«. »La segnalazione di Klar - che confermerebbe implicitamente le prime impressioni di alcuni testimoni che subito dopo l'agguato avrebbero detto di aver sentito parlare straniero - sarebbe stata fatta dai funzionari della polizia criminale tedesca - che si trovano a Roma per collaborare alle indagini - ai loro colleghi italiani«. Klar è ricercato per l'omicidio di Siegfried Bubak avvenuto il 7 aprile 1977 e per il rapimento e l' uccisione di Hans Martin Schleyer. 22:12 - »Ecco il testo integrale della lettera, scritta in cinque facciate a caratteri molto grandi:'caro Francesco...«. 23:46 - »Ad una prima valutazione del testo della lettera dell'on. Moro, fatta dagli organi che coordinano le indagini sul rapimento, essa appare autentica, anche se la grafia non è quella consueta. Ma per avere elementi di certezza, si attende l'esame che sarà fatto da un gruppo di esperti che da alcuni giorni collabora col ministero dell'Interno«.
27/03/2008 ANSA

MORO/30: PANORAMA, NASTRI ORIGINALI INTERROGATORI IN MANI BR

  I nastri originali degli interrogatori di Aldo MOro nella cosiddetta «prigione del popolo» sarebbero ancora nelle mani di alcuni esponenti delle Br. È quanto si legge in un articolo pubblicato sul settimanale Panorama, in edicola questa settimana, del quale è stata fornita un'anticipazione. A fare luce su quanto accadde durante il sequestro - dice il settimanale - è una relazione del Cesis, con la trascrizione di un colloquio tra due brigatisti captata verso la fine del 1979 in un carcere. Dal colloquio emerge che a condurre il «processo» al presidente della Dc non furono i brigatisti che avevano partecipato all'azione di via Fani, ma gruppi diversi, tra cui probabilmente anche qualche dirigente di Autonomia Operaia. Gli stessi che, una volta terminati gli interrogatori, presero in consegna le bobine con le dichiarazioni di Moro.
27/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: 'PANORAMA', A INTERROGATORIO PARTECIPARONO DIVERSI GRUPPI = SETTIMANALE PUBBLICA INTERCETTAZIONE CESIS DI DUE BRIGATISTI

  A condurre il 'processo' ad Aldo Moro nella 'prigione del popolò «non furono i brigatisti rossi che avevano partecipato all'azione di via Fani ma gruppi diversi, tra cui probabilmente anche qualche dirigente di autonomia operaia. Gli stessi che, una volta terminati gli interrogatori, presero in consegna le bobine con le dichiarazioni del prigioniero». È quanto scrive il settimanale «Panorama», domani in edicola, che ha potuto esaminare un documento secretato. Si tratta di una relazione del Cesis, con la trascrizione di un colloquio tra due brigatisti, uno dei quali 'di alto livello terroristicò, captata verso la fine del 1979 in un 'carcere protettò. La conversazione intercettata, scrive il Cesis, «riguarda la prigionia, l'interrogatorio e la fine dell'on.Moro». I due brigatisti si soffermano sul trattamento riservato al prigioniero durante i 55 giorni di detenzione: «non gli hanno mai messo le mani addosso», «non gli è stato torto un capello», otteneva «tutto quello di cui aveva bisogno, si lavava anche quattro volte al giorno, si faceva la doccia, mangiava bene, se voleva scrivere scriveva...», «è stato trattato come un signore». Dal colloquio emerge che il sequestro era stato ideato da molto tempo e preparato nei minimi dettagli. La gestione dal punto di vista militare e logistico era stata affidata per intero alla colonna romana. Solo in un secondo tempo «sono subentrati altri compagni» che «hanno ancora tutti gli originali con i nastri dell'interrogatorio».
27/03/2008 ANSA

MORO/30: 28 MARZO; LEVI, ELEGGERE MORO PRESIDENTE /ACCOLTA FREDDAMENTE LA PROPOSTA, INDAGINI ANCORA IN ALTO MARE

  28 marzo 1978, tredicesimo giorno dalla strage di via Fani. Al centro c'è una proposta politica avanzata sulle pagine del quotidiano «La Stampa» dal direttore Arrigo Levi: dimissioni del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, ed elezione di Aldo Moro al Quirinale. La proposta provoca una grande quantità di reazioni, poche delle quali favorevoli, ma soprattutto negative o scettiche. Il presidente del Senato, Amintore Fanfani, definisce la proposta di Levi «offensiva» per lui e per il presidente Leone. Ecco la cronaca del giorno attraverso le notizie dell'ANSA: 17:50 - «Il rifugio in cui le Brigate rosse tengono prigioniero l'on. Aldo Moro deve essere cercato in un'area a ovest di Roma, verso il mare, oppure in una zona di confine della Svizzera italiana, tra in nord della Lombardia e il Canton Ticino. È questa la risposta del computer tedesco di Wiesbaden, allacciato nei giorni scorsi ai terminal del ministero degli Interni a Roma. L'ha dichiarato all»'Europeo« Hans Georg Fuchs, l'uomo di collegamento tra la polizia criminale tedesca e gli agenti inviati in Italia per collaborare nelle indagini». «Interpellato infine sulla possibilità di arrivare alla soluzione della vicenda. il computer di Wiesbaden ha risposto in termini abbastanza ottimistici. Sul terminale è apparsa la scritta 'buone possibilità' di liberazione dell'ostaggio - 30% di probabilità di cattura dei responsabili - tempi previsti molto lunghi». 21:22 - «Le ricerche del covo dei brigatisti rossi dove l'on. Moro è tenuto prigioniero continuano ad essere concentrate a Roma e nelle immediate vicinanze perchè gli investigatori ritengono improbabile che i terroristi avessero previsto un itinerario i cui tempi di percorrenza avessero superato i tre quarti d'ora». 21:27 - «In questa fase delle indagini sono state date direttive dal ministero dell'Interno a tutti i comandi della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza sulle misure cautelative da osservare scrupolosamente nelle operazioni di avvicinamento a edifici o a casolari segnalati come sospetti. In tutte queste operazioni vengono sempre utilizzate anche ambulanze. Nel caso che venisse localizzata con certezza la prigione dell'on. Moro scatterà un piano già predisposto dal ministero dell'Interno e nel quale sono previste particolari misure per tutelare la sicurezza dell'ostaggio e per bloccare le possibilità di fuga ai terroristi».
26/03/2008 ANSA

MORO/30: 27 MARZO, SI CERCA MORO SUL LITORALE ROMANO/ ANSA SI SMONTA INVECE LA PISTA DEI SETTE BRIGATISTI

  MORO/30: 27 MARZO, SI CERCA MORO SUL LITORALE ROMANO 27 marzo 1978, giorno di Pasquetta. Sono ormai 12 i giorni dalla strage di via Fani. Ecco la cronaca del giorno attraverso le notizie dell'ANSA: 14:15 - «Una vasta battuta è in corso da stamani, con l'impiego di numerosi uomini e mezzi delle forze di polizia impegnate nella ricerca dei rapitori dell'on. Moro, sul litorale di Roma. L'operazione interessa una zona delimitata a nord da Tarquinia e a sud da Terracina, e che comprende Civitavecchia, Focene e Torrevecchia». 18:50 - «Durante la battuta lungo il litorale romano, il sostituto procuratore della Repubblica Luciano Infelisi, il capo della Digos Spinella e gli investigatori si sono fermati a lungo nella zona di Tarquinia dove, secondo alcune testimonianze, sarebbe stata vista Orietta Marchionni». 20:03 - «Negli ambienti della Procura già si parla di formalizzazione dell'istruttoria, caso mai a carico di ignoti se nel frattempo gli inquirenti non avranno smascherato i responzabili della strage di via Mario Fani e del rapimento del presidente della Democrazia cristiana». 20:15 - «L'interrogatorio del fioraio Antonio Spiriticchio è durato un paio d'ore. Il teste quando è uscito dalla Questura si è rivolto in tono iroso ai giornalisti dicendo:'lasciatemi in pace. Questa vicenda sta rovinando il mio lavoro'». Spiriticchio è un fioraio che tutti i giorni era in via Fani con il suo furgone. Quel 16 marzo invece aveva trovato, sotto casa, il furgone con tutte e quattro le ruote squarciate. 20:15 - Sui sette brigatisti segnalati il giorno prima da Digos e carabinieri alla Procura come sospettati di aver partecipato alla strage di via Fani, «negli ambienti degli investigatori si è appreso che solo per tre o quattro gli indizi si basano su elementi di concretezza scaturiti dalle deposizioni dei testi che hanno assistito al rapimento dell'on. Moro, i quali avrebbero espresso le loro convinzioni guardando le fotografie d'archivio dei brigatisti. Secondo indiscrezioni uno dei terroristi identificati con un margine di approssimazione attendibile sarebbe Corrado Alunni». Corrado Alunni, in realtà, è un terrorista di Prima Linea. 20:18 - «Nella ricostruzione dell'imboscata di via Fani un particolare ruolo viene ad assumere la donna che faceva parte del gruppo di 'killer'. Secondo i testimoni, era una donna una delle due persone che uscirono dalla 128 con targa diplomatica che bloccò allo stop di via Fani l'auto dell'on. Moro e uccisero i due carabinieri che erano a bordo. Entrambe le persone mostrarono eccezionale freddezza e perizia nell'uso delle armi, che secondo i periti erano pistole automatiche. Con scetticismo gli investigatori considerano l'ipotesi che la donna sia Susanna Ronconi od Oriana Marchionni». 20:39 - «Un'ultima domanda prima che il magistrato entrasse nella sua autovettura (seguita da un'Alfetta con quattro agenti di scorta) è stata 'chi ha trasmesso il rapporto sui sette presunti brigatisti?'. Infelisi ha risposto:'Non c'è nessun rapporto. Non vi posso dire niente'».
26/03/2008 ADNKronos

CINEMA: ESCE «MORO, LA VERITÀ NEGATA», FILM INCHIESTA DI CARLO INFANTI = VERRÀ PRESENTATO IL 31 MARZO A ROMA PRESSO LA SALA STAMPA ESTERA

  Trent'anni dopo il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, già ministro degli Esteri e presidente del Consiglio, il regista Carlo Infanti presenta il primo film d'inchiesta che sia mai stato girato su questo caso. In esclusiva, alcuni protagonisti della vita politica e sociale dell'epoca narrano fatti e circostanze inedite. Ex ministri, agenti segreti, amministratori pubblici, legali e ufficiali dell'Esercito e della Marina militare, raccontano.La pellicola è iscritta alle pre selezioni dei Festival del Cinema di Cannes, 2008, dell'Internazionale Critics ' Week 2008, al Quinzaine des Rèalisateurs 2008. «Non è un documentario, nè una narrazione -spiega Infanti- Il mio è un film diverso, è un film d'inchiesta, un'inchiesta come mai è stata fatta sul più grande, controverso e oscuro delitto politico che la storia italiana ed europea del dopoguerra ricordi. Un delitto che trascina i suoi effetti sino ai giorni nostri e sul quale, come il film dimostra, non solo le indagini ma anche le inchieste successive sono state molto carenti.Da oltre un anno giro l'Italia con le telecamere per capire perchè nella primavera del 1978 Aldo Moro sia stato rapito per essere assassinato». Infanti ha incontrato e intervistato testimoni eccellenti. Ha scovato lo «spirito» che il 2 aprile 1978 «suggerì» a Romano Prodi la parola «Gradoli» e torna a parlare Alexander Litvinenko, l'ex tenente colonnello dell'FSB (il servizio segreto russo erede del Kgb) assassinato a Londra nel novembre del 2006 con una massiccia dose di Polonio 210.
25/03/2008 ANSA

MORO/30: 26 MARZO, PASQUA NEL 'CARCERE DEL POPOLO' / DUE NOMI GIUSTI SU SETTE, POLEMICHE PER ASSENZA INFELISI

  26 marzo 1978, domenica di Pasqua, Moro è nel 'carcere del popolo' da ormai 11 giorni. Gli investigatori annunciano di avere i nomi di sette terroristi che hanno partecipato alla strage, ma il seguito della storia dimostrerà che ne avevano azzeccati solo due (Moretti e Gallinari). Qualche polemica anche per l'assenza del giudice Infelisi, ufficialmente a Torino, ma del quale qualcuno scrive che è in Sardegna e introvabile. Ecco la cronaca della giornata attraverso le notizie dell'ANSA: 16:38 - «La magistratura, attraverso i rapporti inviati da polizia e carabinieri, è in possesso dei nomi di sette presunti brigatisti che avrebbero partecipato al sanguinoso assalto di via Mario Fani. Sei dei sette terroristi sono inclusi nell'elenco dei 20 nomi diramato dal ministero dell'Interno all'indomani del rapimento di Moro. I sei sono: Prospero Gallinari di 27 anni, Mario Moretti di 32, Corrado Alunni di 31, Enrico Bianco di 26, Patrizio Peci di 25 e Susanna Ronconi di 27. La settima persona che avrebbe fatto parte del 'commandò sarebbe Orietta Marchionni, di 26 anni, moglie di Enrico Bianco». 17:57 - «La momentanea assenza del sostituto procuratore della Repubblica Luciano Infelisi da Roma non ha turbato l'andamento delle indagini sulla strage di via Fani e sul rapimento dell'on. Moro. Infelisi, infatti, non è il magistrato che dirige l'inchiesta, ma è uno dei tanti che partecipano agli accertamenti, i quali continuano ad essere coordinati personalmente dal procuratore della Repubblica Giovanni De Matteo». 18:11 - «per tranquillizzare un pò tutti - ha detto oggi il dott. De Matteo - ribadisco che la situazione è la seguente: il procuratore della Repubblica dirige personalmente le indagini, mantenendo i contatti con la polizia i carabinieri e la guardia di finanza. Sono coadiuvato in questo delicato compito da un gruppo di sostituti del quale fanno parte i dottori Infelisi, Armati, Dell'Orco, Destro, Savia». 18:13 - A Torino, le «Brigate rosse - colonna Mara Cagol» rivendicano l'attentato del 25 contro l'ex sindaco Picco. 19:43 - «Gli inquirenti hanno confermato, dopo aver confrontato alcune testimonianze, che il 'commando' che ha rapito l'on. Moro ha usato anche un furgone Fiat 850 di colore chiaro. Un tale automezzo - che i rapitori volevano evidentemente fare passare per una autoambulanza - fu infatti visto la mattina di giovedì 16 marzo percorrere tra le 9.15 e le 9.20 la parte alta di via Ugo De Carolis, a forte velocità e al suono di una sirena».
24/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: LICANDRO (PDCI), VELTRONI FACCIA LUCE SU UOMINI GLADIO IN PD

  «Apprendiamo dal senatore Cossiga non solo dell'incompletezza dell'elenco di chi partecipava all'organizzazione coperta 'Stay-behind', ovvero Gladio, con finalità tutt'altro che democratiche, ma che addirittura due componenti di quella struttura sono membri del governo in carica, appartenenti alla Margherita e dunque al Pd. Pretendiamo da Walter Veltroni che faccia luce su questa presenza nel governo e nel suo partito e che li ritiri subito dal governo e, se candidati, anche dalle liste del Pd». Lo afferma il deputato dei Comunisti Italiani, Orazio Licandro, capogruppo Pdci in Commissione Antimafia e componente della Commissione Affari costituzionali della Camera, commentando l'intervista rilasciata da Cossiga al settimanale «Panorama». Per Licandro, «non si può parlare di democrazia e avere al proprio interno uomini in qualche modo implicati nelle trame oscure dell'eversione. Le notizie di nuovi documenti circa il coinvolgimento della struttura Gladio anche nel caso Moro e la presenza nel governo di simili personaggi, dimostra quanto l'Italia sia ancora lontana dal fare luce sulle vicende più tragiche della storia repubblicana. E chi vuole guidare questo Paese deve assumere senza ipocrisie più di tutti la responsabilità della ricerca della verità».
21/03/2008 ADNLronos

CASO MORO: REGISTA FERRARA, ANDREOTTI TENTÒ DI BLOCCARE MIO FILM A BERLINO

  «Il mio film venne invitato al Festival di Berlino e quando Andreotti lo seppe, fece di tutto affinchè venisse rifiutato: spinse addirittura l'ambasciatore italiano a Berlino, per far respingere il film, e questo me lo disse il direttore del Festival». Lo ha detto il regista del film 'Il caso Morò (1985) Giuseppe Ferrara, intervistato da Giampiero Marrazzo nel corso della trasmissione «L'Avvelenato» in onda su Ecoradio. Secondo il regista , qualsiasi accordo tra la «linea della fermezza» e la «linea della trattativa» all'epoca sarebbe stato inutile visto che - come dice il titolo del libro di Imposimato e Provvisionato - «Moro doveva morire: era una pietra d'inciampo alla loggia massonica P2 che stava preparando un piano di rinascita per sopostare a destra il paese. Le Br - ha continuato Ferrara - si sono rese stupide complici di un piano di destra».
21/03/2008 ANSA

MORO/30: IL MISTERO DELLE CINQUE BORSE / APPARSE, SCOMPARSE, RICOMPARSE, RAPITE, BRUCIATE, CONTRATTATE?

  (di Stefano Fratini) (ANSA) - ROMA, 21 MAR - Uno dei misteri mai chiariti del caso Moro è quello delle sue borse. L'unica cosa che sembra sicura è che Moro portava sempre con sè diverse borse e che quel giorno le borse erano cinque. Secondo la moglie Eleonora il marito portava abitualmente con sè 5 borse. La più importante conteneva documenti riservati, in altre c'erano ritagli di giornale e tesi di laurea, una conteneva medicinali e oggetti personali. Due borse vengono ritrovate immediatamente nell'auto. Una terza è visibile per terra, in via Fani, in una delle fotografie scattate sul luogo della strage. Forse è la borsa che ricompare misteriosamente, trovata da un agente di polizia nel bagagliaio dell'auto di Moro, cinque giorni dopo via Fani. Due borse le ha prese Valerio Morucci subito dopo la strage di via Fani. «Io avevo il compito - ha raccontato - una volta sparato contro la scorta della 130 di Moro, di prendere le borse di Moro dall'auto... Mi sono portato presso il 130 di Moro prelevando due borse del presidente della Democrazia cristiana». Non è chiaro con quali criteri abbia scelto due tra le 5 borse, ma di sicuro hanno preso la più importante. Quale fine abbiano poi fatto le due borse prelevate da Morucci è ancora più oscuro. Anna Laura Braghetti, l'intestataria del covo-prigine di via Montalcini, dice che furono portate là ma «Nella prima trovammo alcune tesi di laurea, due paia di occhiali di ricambio, francobolli, articoli di cancelleria, poche medicine. Nella seconda pratiche ministeriali, il testo del progetto di riforma della polizia, lettere di raccomandazione e di ringraziamento e, particolare che mi colpì moltissimo, la sceneggiatura di un film». Una versione vuole che Prospero Gallinari abbia bruciato tutto il contenuto delle borse di Moro durante una riunione nella base di Moiano, in Umbria. In uno dei processi però Adriana Faranda ha dichiarato di non ricordare che in quell'occasione Gallinari avesse bruciato carte. In effetti sembra poco credibile che i terroristi abbiano addirittura «programmato» di portar via le borse (o la borsa importante) dall'auto, ritardando così, anche se di poco, la ritirata da via Fani, per poi bruciarne il contenuto. Patrizio Peci, il primo grande pentito delle Br, ha dichiarato che a un certo punto si ritrova tra le mani documenti provenienti da una delle due borse rubate in via Fani:«A noi della colonna di Torino furono dati da conservare alcuni documenti di Moro, perch‚ avevamo una base sicura a Biella». Secondo Corrado Guerzoni, nella borsa più importante Moro custodiva fra l'altro documenti concernenti lo scandalo Lockheed. Secondo Giovanni Galloni, nella borsa scomparsa poteva esserci una documentazione sull'infiltrazione nelle Br dei Servizi di intelligence americani e israeliani. Lo stesso Moro, nei suoi scritti dal carcere, si interessa delle borse. In una lettera alla moglie Noretta scrive «bisognerebbe cercare di raccogliere 5 borse che erano in macchina. Niente di politico, ma tutte le attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi». In un'altra lettera indirizzata a Rana, Moro è più diretto:«Sono state recuperate delle borse in macchina? O sono sequestrate come corpo di reato? Si può sbloccare?». Nel 1986, in un'interrogazione, il sen. Sergio Flamigni, ex membro della commissione Moro, chiedeva «una nuova e più accurata perquisizione nel covo delle Br di via Monte Nevoso» citando fra l' altro una dichiarazione del gen. Dalla Chiesa, fatta il 23 febbraio 1982, nella quale si chiedeva «dove sono le borse, dove è la prima copia (perchè noi abbiamo trovato la battitura soltanto). L'unica copia che è stata trovata dei documenti Moro non è in prima battuta». È da notare anche che il sen.Flamigni, allora e ancora oggi etichettato spesso come «dietrologo», chiedeva di fare quello che sarebbe avvenuto per caso qualche anno dopo, con la scoperta di altri documenti importanti del caso Moro, durante lavori nell'ex covo milanese di via Monte Nevoso. Intanto, l'8 maggio 1978, il giorno prima dell'uccisione di Moro, un quotidiano aveva scritto in prima pagina che a via Gradoli erano stati trovati due elenchi: uno di personalità militari, esponenti politici, giornalisti, dirigenti di enti pubblici e di aziende private, l'altro di iscritti alla Dc. Potevano forse far parte delle carte di Moro scomparse ? Il contenuto di quella borsa potrebbe rientrare quindi nell'ipotesi del «doppio ostaggio», più volte avanzata dall'ex presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino.
21/03/2008 ANSA

MORO/30: 22 MARZO, ARRESTATA BRUNILDE PERTRAMER/ ANSA PROSEGUONO INDAGINI E ASCOLTO TESTIMONI, IN AUMENTO I BISLACCHI

  22 marzo 1978: Moro è ormai da una settimana in mano alle Brigate rosse. Ecco la cronaca del giorno attraverso le notizie dell'ANSA: 11:07 - «L'intero quartiere di Trastevere è stato battuto a fondo da reparti di polizia e carabinieri. Le forze dell'ordine hanno compiuto centinaia di perquisizioni domiciliari e di controlli. L'operazione protrattasi per alcune ore non ha avuto alcun esito e tutto si è svolto tranquillamente». 11:23 - «Uno sconosciuto, qualificatosi come 'un cittadino', ha rivendicato a nome dei 'Gruppi nazionali rivoluzionari' l'uccisione dei due giovani dell'ultrasinistra Fausti Tinelli e Lorenzo Jannucci avvenuta sabato scorso a Milano». 15:12 - Nuovi testimoni dell'agguato di via Fani sono stati sentiti stamani dai funzionari della Digos per raccogliere particolari sulla dinamica della strage«. 16:33 - »Sono state registrate in Questura, nelle ultime dodici ore, diverse 'testimonianzè, che tali non sono, o diversi propositi di collaborare con la giustizia mediante metodi non ortodossi quali il 'pendolinò, il tavolino per la seduta spiritica, o cose simili. La polizia ascolta cortesemente tutti e quindi fa ovviamente una cernita per eliminare le 'proposte' che altro non potrebbero essere che una perdita di tempo inutile, anche se fatte in buona fede. 17:02 - «Per esemplificare la confusione che potrebbe essere determinata dalla registrazione non meditata delle varie testimonianze, in Questura si cita il caso di un teste di via Mario Fani che aveva assicurato di aver assistito ad uno scontro a fuoco fra agenti di polizia ed altri militari (quelli in divisa di aviazione civile). I testi sono alquanto più concordi e precisi sulla descrizione della donna che ha fatto parte del gruppo terroristico e sulla parte da essa giocata. Ciò anche perchè la brigatista fu maggiormente notata durante la drammatica sequenza in quanto si trovava più lontano dal resto del 'commandò,. ed anche per il solo fatto di essere l'unica donna presente fra i banditi. I più asseriscono che la donna dava l'impressione di contrOllare, arma alla mano, l'incrocio delle strade. Per quanto concerne alcune voci, secondo le quali la 'mentè del piano sanguinoso eseguito in via Fani sarebbe uno straniero (di cui è stato diffuso un identikit), in Questura si fa osservare che non esistono elementi per avvalorare tale tesi. La stessa convinzione sarebbe anche dei servizi segreti. 17:58 - »Con una telefonata fatta in perfetto tedesco al centralino del Consolato generale d'Italia a Berlino Ovest, qualcuno che ha detto di appertenere alla 'Rote armee fraktion' ha parlato di uccisione di Aldo Moro. Il Console generale d'Italia a Berlino Ovest, dott. Paolo Torella di Romagnano, ritiene che alla telefonata non si debba dare troppa credibilità. 19:41 - «Agenti della Digos di Novara hanno arrestato Brunilde Pertramer, ricercata per l'uccisione del maresciallo Rosario Berardi, il sottufficiale di pubblica sicurezza assassinato a Torino dalle Brigate rosse». La Pertramer, in realtà, sarà rapidamente scagionata dopo un confronto con i gestori di una pensione di Canazei che confermano il suo alibi. Il 10 aprile la donna torna in libertà.
21/03/2008 ANSA

MORO/30: 'LE BORSE DEL PRESIDENTE', DEL BR FRANCESCHINI/ANSA IN UN ROMANZO, UNO DEI FONDATORI BR ACCENNA AL RUOLO FRANCESE

  All'intervento, nel rapimento Moro, di strani personaggi provenienti dalla Francia, accenna l'ex Br Alberto Franceschini, uno dei fondatori dell'organizzazione terroristica in una ricostruzione romanzata del caso Moro. Il romanzo è «La borsa del presidente» - ritorno agli anni di piombo« di Alberto Franceschini e Anna Samueli, edito da Ediesse nel 1997. Da una frase (è passato un anno dall' arresto di Maccari) si capisce che è stato scritto o ambientato nel 1994. Il protagonista è Amos Riani, un ex terrorista che lavora in una società di informatica. Un giorno viene convocato dal giovane giudice Giorgio Finzi che gli mostra alcuni reperti trovati in una borsa del Presidente (Moro) lasciata in un taxi. La borsa contiene una fotografia Polaroid di un balcone, una cartolina raffigurante una statua romana, l»'Ares Sinibaldi«, un invito del teatro »Agorà« per la rappresentazione »O Coelicolae« dell' 1 giugno 1978. Finzi chiede la collaborazione di Riani. Riani va a trovare l' ex sen.Enrico Maraini, appassionato al caso Moro, che gli dà alcuni suggerimenti, ma che poi sarà trovato strangolato. Riani comincia allora a seguire le tracce della statua e, soprattutto, del teatro. Uno dei fondatori del teatro, vecchia conoscenza di Amos, gli dice che nel gennaio 1978 fu contattato dalla Nouvelle Confrerie de la Passion, una compagnia teatrale francese che lavorava alla riproposta dei »misteri« liturgici medievali. La Ncp affittò il teatro per cinque mesi per le prove di uno spettacolo che doveva cominciare all' inizio di giugno, ma che non andò mai in porto. Anche il regista era una vecchia conoscenza di Riani. Dopo una lunga indagine arriva a Venezia dove trova un'altra sua vecchia conoscenza, uno dei componenti del nucleo originario del terrorismo italiano, poi trasferitosi a Parigi. Questi gli confessa che è stato il suo gruppo, attraverso un infiltrato, a guidare la formazione terrorista di Amos, che altrimenti sarebbe rimasta un gruppetto di estremisti che bruciavano le macchine, e che la sicurezza del suo gruppo è garantita dal possesso di materiale scottante. In seguito Amos riceve un pacco che gli è stato mandato da Maraini prima di essere ucciso e che contiene quello che Maraini chiamava »il bestiario« (le sue schede sui personaggi coinvolti nel caso). Seguendo le indicazioni di una scheda, Riani va a trovare un vecchio ufficiale che vive a Fregene. Al generale, Riani racconta la sua ipotesi: tutti quelli che avevano interesse a che le cose non cambiassero, sia gli uomini del potere che i »rivoluzionari del tanto peggio tanto meglio« erano d'accordo che il Presidente andava eliminato, ma ucciderlo ne avrebbe fatto un eroe, mentre un rapimento avrebbe distrutto la sua credibilità, così l'agguato viene protetto e l'ostaggio va ai terroristi e la borsa con i documenti importanti ai servizi. Poi la prigione viene individuata, si avviano trattative segrete. A questo punto il generale interrompe Riani e dà la sua versione. Con una metafora gli spiega che hanno controllato fin dall' inizio il fenomeno del terrorismo eliminando le persone più pericolose. Gli conferma poi che il progetto politico del Presidente metteva in pericoli gli equilibri interni ed internazionali, che avevano tentato di fermarlo con uno scandalo, ma »lui riuscì ad entrare in possesso di documenti che non abbandonava mai e che avrebbero compromesso l' intero sistema politico«. Il generale ebbe quindi l' incarico di favorire il sequestro e di recuperare i documenti, poi la scoperta della prigione e le trattative ingarbugliano tutto. Qualcuno pensa che la liberazione sia già cosa fatta, ma »c'era anche qualcuno che già sapeva cosa avremmo trovato nella Renault rossa«. Sono evidenti, nel romanzo, gli accenni di Franceschini (che, arrestato nel 1974, era già in carcere da tempo all'epoca del caso Moro) ad un pesante ruolo di condizionamento, da parte di elementi dell'Hyperion, nella gestione del sequestro del presidente Dc, attraverso un loro elemento nei vertici delle Brigate rosse.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: HYPERION, SCUOLA DI LINGUE 'CHIACCHIERATÀ/ ANSA FONDATA NEL 1976 A PARIGI DAI PROFUGHI DEL 'SUPERCLAN'

  (Stefano Fratini) Entrata più volte nelle inchieste sul terrorismo e, soprattutto, protagonista di molte ipotesi dietrologiche, l'Hyperion (che all'inizio si chiamava Agorà) era una scuola di lingue fondata nel 1976 a Parigi da un gruppetto di 'emigrantì italiani, provenienti dalle file dell'estremismo extraparlamentare di sinistra. Il leader del gruppo, di cui facevano parte anche Duccio Berio e Vanni Mulinaris, era Corrado Simioni. L'Hyperion entra nel mirino della magistratura italiana già nel 1979, nell'inchiesta del giudice Calogero sui presunti collegamenti tra Autonomia operaia e il terrorismo. L'inchiesta Calogero sarà smontata anche grazie ad una pressante campagna di stampa contro il cosiddetto «teorema Calogero» o «7 aprile» (la data dell'inizio dell'inchiesta). Nel frattempo, gli accertamenti condotti in modo riservato in Francia vengono «bruciati» dalla pubblicazione, su un giornale italiano, di un articolo dal titolo «Secondo i servizi segreti era a Parigi il quartier generale delle Brigate rosse». Nell'aprile 1980, quando Bettino Craxi disse:«quando si parla del 'grande vecchiò bisognerebbe riandare indietro con la memoria, pensare a quei personaggi che avevano cominciato a far politica con noi... e che poi, improvvisamente sono scomparsi», molti vedono nel personaggio descritto il ritratto di Simioni, ex militante socialista della corrente autonomista, poi fondatore di una struttura con il mito della segretezza, staccatasi dal nucleo originario delle Br, chiamata ironicamente «Superclan» (abbreviazione di 'superclandestinì) dal gruppo di Curcio. Uno dei nomi usati dalla struttura era «la Ditta». Qualcuno li chiamava anche «le zie rosse». Di questo Superclan avevano fatto parte Moretti e Gallinari, due dei principali protagonisti del caso Moro, e Corrado Alunni, uno dei leader di Prima Linea. Nelle iniziative del Superclan, Simioni aveva cercato di coinvolgere anche Mara Cagol, la moglie di Renato Curcio. Uno dei fondatori delle Br, Alberto Franceschini, ha detto ripetutamente di ritenere Simioni un agente della Cia e raccontato che lui lo chiamava l«'Ingles», come il falso rivoluzionario interpretato da Marlon Brando nel film «Queimada» di Gillo Pontecorvo. L'Hyperion, presieduto da Francois Tuscher, nipote dell'Abbè Pierre e sposata con Innocente Salvoni, altro «emigrante» italiano, era ritenuto da molti una sorta di camera di compensazione del terrorismo internazionale. Un'inchiesta francese ha scagionato l'Hyperion da queste accuse. L'inchiesta italiana del giudice Priore, con l'ipotesi di aver costituito in Francia una banda armata operante su territorio estero, finì per confluire in quella veneziana del giudice Mastelloni, che aveva inquisito Simioni, Mulinaris e Berio per reati più gravi, tra cui un traffico di armi con le Brigate rosse e l'Olp. Tra gli imputati figuravano anche Abu Ayad, capo dei servizi di sicurezza di Al Fatah e alti ufficiali dei servizi segreti italiani, tra cui i generali Nino Lugaresi, Pasquale Notarnicola e Giulio Grassini. Il processo veneziano si concluse nel 1990 con un'assoluzione generale. La settimana scorsa, Nicolò Bozzo, generale dei carabinieri ed ex collaboratore di Carlo Alberto Dalla Chiesa, intervistato per il Giornale radio RAI da Alessandro Forlani nell'ambito di una serie di speciali nel trentennale del delitto Moro, ha detto che «Quando Craxi disse che il grande vecchio delle Br poteva essere Corrado Simioni, Dalla Chiesa diede l'incarico a me e all'allora capitano Ganzer di svolgere un'indagine, i cui risultati ho poi comunicato alla magistratura. La mia impressione fu che Hyperion fosse in quegli anni una stanza di compensazione tra servizi segreti di diversi paesi e diversi blocchi». Anche se, secondo lui, «Il grande vecchio non era Simioni; Simioni era ad un livello molto più basso: il grande vecchio era qualcuno, che stava da qualche parte, probabilmente oltre oceano, da dove dava indicazioni su come gestire situazioni di crisi». Alla domanda su eventuali notizie di reato trovate nei confronti di Hyperion, Bozzo risponde che a quel livello, non si può trovare niente. «Quando si entra nel campo delle rogatorie - dice Bozzo - e dall'altra parte o non ti informano o ti dicono che non sanno niente». «Moretti - ha aggiunto Bozzo - conosceva Simioni, era il suo allievo prediletto, e Simioni lavorava per Hyperion; dietro questa struttura c'è un segreto, che forse un giorno sarà svelato». La scuola di lingue parigina, che aveva ampie disponibilit… finanziarie, aveva tra l'altro aperto due sedi a Roma poco prima del rapimento di Aldo Moro e le aveva poi chiuse poco dopo la conclusione di quella vicenda.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: ANDREOTTI, GLADIO? È UNA COSA CHE HO SENTITO DOPO

  «L'uso di Gladio durante i 55 giorni è una questione che ho sentito dopo la morte di Moro. Non so se è una cosa esatta o no». Giulio Andreotti risponde così alle anticipazioni di Panorama che riportano un documento del Bnd e la conferma dello stesso ex presidente del Consiglio sull'utilizzo di Gladio durante la vicenda Moro. «Posso capire a cosa Cossiga si riferisce. Quando parla Cossiga non fa certamente delle fantasie io però non ho niente al riguardo», ha detto Andreotti durante la trasmissione che Porta a porta ha dedicato alla vicenda Moro.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: IMPOSIMATO, ABBÈ PIERRE OFFRÌ A DC SALVEZZA

  L'Abbè Pierre, sacerdote fondatore dei 'Compagnons d'Emmaus', offrì alla Dc un aiuto per salvare Moro, tramite i suoi stretti rapporti con l'Hyperion, la scuola di lingue parigina che è stata indicata come una sorta di 'camera di compensazione e controllo' dei servizi dell' Est e dell' Ovest sui movimenti dell'estrema sinistra europea. A rivelarlo è l'ex magistrato Ferdinando Imposimato, che ne ha parlato presentando alla sede della Stampa estera a Roma il suo volume 'Doveva morire', edito da Chiarelettere, e scritto con il giornalista Sandro Provvisionato. Dopo la pubblicazione del libro, che dedica un ampio capitolo al mistero 'Hyperion', Imposimato ha ricevuto una telefonata da Massimo Rendina, tra i collaboratori di Benigno Zaccagnini durante i 55 giorni. Rendina, già funzionario della Rai e amico di Moro, aveva in quei giorni un ruolo di 'consigliere culturale' di Zaccagnini e venne delegato a diversi incontri. Tra l'altro - ha ricordato Imposimato e confermato Rendina - quello con l'Abbè Pierre, che venne a Roma per chiedere un intervento a favore di Innocenzo Salvoni, uno dei 20 personaggi apparsi in foto sui giornali il 17 marzo come Br ricercati dalla Polizia. Salvoni aveva sposato Francoise Tuscher, nipote del fondatore della comunità di di Emmaus. Il religioso disse che Salvoni era stato amico di Curcio e poteva intervenire per contattare le Br. «Sono in grado - disse - di mettermi in contatto con le Br grazie a questi amici di Parigi. Posso impegnarmi per salvare la vita di Aldo Moro». «Fatto sta - spiega Rendina - che io cercai più volte di mettermi in contatto con l'Abbè Pierre, lo cercai anche a Parigi ma non riuscii a mettermi in contatto con lui, sparì dalla circolazione».
20/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: CICCHITTO, STESO UN VELO PIETOSO SU MOLTE COSE = SU 'IL RIFORMISTA', TACIUTO TOTALMENTE SULLA PISTA DEL KGB

  «È stato steso un velo pietoso su molte cose fra cui il senso profondo delle sue lettere. Si è taciuto totalmente sull'esistenza di una pista Kgb, malgrado che essa sia emersa nelle indagini e poi confermata dalle rivelazioni dell'archivista sovietico Mitrokin. In uno dei pochi contributi eterodossi è stata ricordata l'opposizione dell'Urss al compromesso storico e anche che un possibile precedente del rapimento e assassinio di Moro fu il tentativo di omicidio di Berlinguer in Bulgaria nel 1973».Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di Forza Italia, interviene sul caso Moro con un suo articolo pubblicato su 'il Riformistà di oggi. «La logica di questi fatti è simile. Lo stesso Moro aveva avvertito con preoccupazione la presenza alle sue lezioni dello 'studente Sokolov', un agente del Kgb, proprio nella fase immediatamente precedente il rapimento. Inoltre -sottolinea l'esponente di Forza Italia- il principale agente italiano del Kgb, Giorgio Conforto, fu presente all'arresto di Morucci e della Faranda. Costoro avevano trovato rifugio, con le loro armi, nella casa della figlia dello stesso Conforto. Si tratta di coincidenze straordinarie sulle quali in questi giorni si è sorvolato». Ma il nodo fondamentale, secondo Cicchitto, è un altro. «Subito dopo il rapimento sia il gruppo dirigente del Pci sia quello della Dc, ritennero Moro un uomo morto. La 'fermezzà fu la teorizzazione nobile di questa valutazione tutta fondata sulla realpolitik di chi riteneva che la morte dell'ostaggio era l'unica via d'uscita per salvare uno stato debolissimo e inefficiente. La conseguenza pratica di questa dottrina fu non la fermezza ma l'inerzia. Questa linea fu ulteriormente confermata quando cominciarono ad arrivare le lettere di Moro che gettarono nel panico i gruppi dirigenti della Dc e del Pci.»
La consegna da parte delle br delle lettere del presidente Dc dalla prigione del popolo, generò, secondo Fabrizio Cicchitto, «episodi incredibili: basti pensare che alcuni intellettuali cattolici redassero un indegno comunicato nel quale si affermava che il Moro che scriveva dal covo brigatista non era il vero Moro, era un Moro 'drogatò o guidato per mano dalle BR.» «Nulla di tutto ciò era vero: il Moro delle lettere era il Moro di sempre che, costretto a muoversi in circostanze angosciose e imprevedibili, cercava di salvarsi ricorrendo anche in quella situazione all'iniziativa politica, evidentemente un'iniziativa politica inusitata, 'ereticà e politicamente scorretta». «Moro si accorse benissimo di ciò che stavano facendo ai suoi danni la Dc e il Pci tant'è che ad un certo punto le sue lettere furono durissime contro i comunisti, e contro Andreotti, Cossiga, Zaccagnini che a loro volta vivevano una situazione difficilissima. Tutto questo terribile dramma -sottolinea l'esponete di Forza Italia- è stato rimosso da ricostruzioni e commemorazioni paludate e ipocrite»
A testimonianza del fatto che prevalse non la linea della fermezza, ma quella dell'inerzia e dell'inefficienza -nota ancora Fabrizio Cicchitto nell'articolo su 'Il Riformistà-, stanno due episodi: il caso Gradoli e quello Piperno-Pace. «Probabilmente Prodi ebbe una 'drittà giusta da qualcuno dell' 'Autonomià di Bologna ma quella rivelazione fu 'bruciatà in modo insieme grottesco e inquietante a testimonianza che le capacità investigative della stato erano ridotte ai minimi termini: senza nemmeno consultare le pagine gialle le forze dell'ordine andarono a Gradoli nel Viterbese». «Per altro verso Signorile e Landolfi pensarono a Piperno e a Pace come due personaggi amici di esponenti di Potere operaio passati alle BR, per cui andavano consultati per verificare le possibilità di una trattativa. Come mai un controllo su Piperno e Pace non fu realizzato dallo Stato?» Venendo al nodo costituito dalla pretesa alternativa fra la linea della fermezza e quella della trattativa, Cicchitto osserva che questa «è inesistente. Molti stati forti, in primo luogo Israele e la Germania, hanno spesso combinato insieme fermezza, repressione e trattativa. Spesso la trattativa è stata spregiudicatamente usata proprio per scoprire i covi e liberare gli ostaggi. Nel caso Moro non ci fu nè una vera fermezza, nè un'autentica trattativa. Ci fu una stagnazione in attesa che i terroristi uccidessero l'ostaggio.
Poi esistono altri interrogativi ancora aperti: come fecero le BR e Moro a sapere che Misasi sosteneva le linea della trattativa nel ristrettissimo gruppo dirigente Dc che prendeva le decisioni (non più di 3-4 persone) e come mai le BR uccisero Moro proprio l'8-9 maggio, qualche ora prima che alla Direzione DC Fanfani parlasse a favore di una «trattativa»? «Anche alla luce di queste amare riflessioni diamo ragione a Massimo D'Alema quando egli afferma che la prima repubblica cominciò a morire in quei giorni (e Moro scrisse al gruppo dirigente DC: 'il mio sangue ricadrà su di voì). Non dimentichiamo che la stessa linea fondata sul cinismo combinato con la durezza provocò le dimissioni di un Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, del tutto incolpevole ma vittima di uno »scambio« fra il gruppo dirigente della DC e quello del PCI.» «A loro volta, con il loro schematismo militarista, forse ispirato dall'esterno, anche i brigatisti (in primo luogo il loro capo Moretti, tuttora un personaggio di difficile lettura) uccidendo Moro segnarono la loro sconfitta prima politica e poi militare perchè quell'assassinio provocò una reazione morale e anche statuale. Certamente la 'soluzione finalè della prima repubblica si dipanò dalla morte di Moro a Tangentopoli.
20/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: SATTA, FALDONI VIMINALE ALLA COMMISSIONE STRAGI DAL 1994 = SAGGISTA, NON HO PARTECIPATO A DECISIONE DI CHIEDERE A PRODI VERBALI COMITATO CRISI

  La Commissione Stragi, in funzione fino alla primavera 2001, ebbe a disposizione 25 dei 27 faldoni del Viminale sul caso Moro sin dal 1994, i restanti 2 a partire dal 1998 e pertanto, «lungi dal dolersi del comportamento del Viminale, ne elogiò la proficua collaborazione istituzionale». È quanto precisa Vladimiro Satta, documentarista del Senato e autore di alcuni libri sulla vicenda Moro. «L'inesistenza di segreti di Stato sulla vicenda Moro è stata da me documentata -aggiunge Satta- esibendo pure un estratto da un dossier in materia preparato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati (n. 405, datato 19 aprile 2004. scaricabile da Internet), di cui ho consegnato copia alla segreteria del convegno e del quale sarebbe bene informare il pubblico.» Quanto al convegno di Ferrara che la scorsa settimana ha ospitato esperti, storici, magistrati e giornalisti per un dibattito in occcasione del trentennale del sequestro del Presidente della Dc, Vladimiro Satta puntualizza di non aver «partecipato alla decisione di indirizzare una richiesta al Governo Prodi» riguardante il consulente del Dipartimento di Stato, Steve Pieczenik, e di non avere fatto riferimento ai verbali del comitato di crisi sul sequestro Moro«
20/03/2008 ANSA

MORO/30: PANORAMA, GLADIO INTERVENNE DURANTE 55 GIORNI

  «Unità speciali» di stay-behind, la rete di resistenza atlantica in Italia meglio nota come Gladio, «con ogni probabilità vennero impiegati nel caso Moro». Lo afferma il prossimo numero della rivista Panorama in edicola domani che cita un documento riservato del Bnd, il servizio segreto della Germania Federale. Si tratta di una relazione inviata il 19 novembre del 1990 a Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica, il quale la fece avere alla Procura romana, depurandola però delle parti sulle quali il servizio segreto tedesco aveva imposto il vincolo del segreto. Dalla magistratura, il documento con le parti «mutilate» arrivo« poi alla Commissione Stragi, a San Macuto. Panorama è riuscito a ricostruirlo nella sua interezza. Fra i brani secretati della relazione del Bnd, proprio il riferimento a un ruolo di Gladio durante i giorni del sequestro Moro e diversi passaggi in cui si ricostruisce la storia di stay-behind, la rete clandestina atlantica destinata ad attivarsi in caso di invasione dell'Europa occidentale da parte delle truppe del Patto di Varsavia. Il settimanale pubblica anche un'intervista a Francesco Cossiga, il cui l'ex capo dello Stato conferma la notizia del ruolo di Gladio durante il sequestro e dei particolari rapporti tra Moro e Gladio. Cossiga conferma anche che furono agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, a far saltare, mentre era in volo, Argo 16, l'aereo utilizzato per i »trasporti clandestini« di Gladio: fu quella una ritorsione, per la liberazione, voluta proprio da Moro dei due terroristi palestinesi che avevano tentato di colpire un aereo della compagnia israeliana El Al durante la fase di atterraggio a Fiumicino. Cossiga fa anche un rivelazione: l'elenco dei trecento gladiatori consegnato a suo tempo al Parlamento da Giulio Andreotti non è completo: »Mancano un bel pò di nomi. Per esempio quello di due membri del governo attualmente in carica... niente nomi. Posso solo dire che sono della Margherita«.
20/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: 'PANORAMA', GLADIO INTERVENNE DURANTE IL SEQUESTRO = COSSIGA, NELL'ELENCO DI STAY BEHIND DUE MEMBRI DEL GOVERNO IN CARICA

  ''Unità specialì di Stay-Behind, la rete atlantica in Italia con funzione antinvasione, con ogni probabilità vennero impiegate durante il caso Moro. Lo rivela 'Panoramà nel numero in edicola, che pubblica anche un'intervista a Francesco Cossiga, secondo cui l'elenco dei 600 gladiatori consegnato a suo tempo al Parlamento da Giulio Andreotti non è completo. Secondo il senatore a vita «mancano un bel pò di nomi. Per esempio, quelli di due membri del governo attualmente in carica. Posso solo dire che sono della Margherita». Viene citato un documento riservato del Bnd, il servizio segreto della germania Federale, inviato a Francesco Cossiga il 19 novembre 1990, quando era Presidente della Repubblica, il quale lo fece avere alla procura della Repubblica di Roma, depurandolo delle parti sulle quali il Bnd aveva imposto il vincolo del segreto. 'Panoramà afferma di essere riuscito a ricostruirlo nella sua interezza. «Fra i brani secretati -si legge- proprio il riferimento a un ruolo di Gladio durante i 55 giorni del sequestro Moro e diversi passaggi in cui si ricostruisce la storia di Stay-behind, la rete clandestina atlantica destinata ad attivarsi in caso di invasione dell'Europa occidentale da parte delle truppe del Patto di Varsavia». Nell'intervista a Francesco Cossiga, l'ex Capo dello Stato conferma la notizia del ruolo di Gladio durante il sequestro e dei particolari rapporti tra Moro e Gladio. Cossiga afferma anche che «furono agenti del Mossad israeliano a far saltare, mentre era in volo, Argo 16, l'aereo utilizzato per i 'trasporti clandestinì di Gladio. Fu una ritorisione -afferma Cossiga a 'Panoramà- per la liberazione, voluta proprio da Moro, dei due terroristi palestinesi che avevano tentato di colpire un aereo della compagnia istraeliana El Al sulla pista dell'aeroporto di Fiumicino».
20/03/2008 ANSA

MORO/30: 21 MARZO, L'ABBÈ PIERRE E IL TERRORISMO/ ANSA DIVERSI CONTATTI DEL SACERDOTE FRANCESE CON TERRORISMO ITALIANO

  (Stefano Fratini) La figura dell'Abbè Pierre, morto a gennaio del 2007, è comparsa in alcune vicende del terrorismo italiano e anche nel fatto più importante di quella storia: il caso Moro. Quando, il 16 marzo 1978, il giorno stesso del rapimento del presidente Dc Aldo Moro, il ministero dell'Interno diffonde le foto di 20 presunti terroristi latitanti fortemente sospettati di essere coinvolti nell'impresa terroristica, tra di loro c'è anche Innocente Salvoni. Salvoni era marito di Francoise Tuscher, nipote dell'Abbè Pierre e segretaria della scuola di lingue parigina Hyperion. In un'audizione in commissione Stragi, il giudice Rosario Priore afferma che per questo caso «si mosse l'Abbè Pierre, che fu ricevuto in brevissimo tempo da Zaccagnini». Zaccagnini smentì l'incontro con il religioso francese. Di sicuro, comunque, l'Abb‚ Pierre intervenne in difesa di Salvoni. Il 21 marzo l'ANSA diffonde da Roma la notizia che l'Abbè Pierre aveva consegnato alla stampa italiana una lettera di Salvoni. Nella lettera Salvoni scrive tra l'altro:«Domando a mio zio, l'AbbŠ Pierre, ex deputato della Repubblica francese, di voler recarsi in Roma per comunicare alle autorità, alla stampa e alla televisione la mia smentita». Due testimoni sostengono però di aver riconosciuto in Salvoni l'uomo che accompagnò in un bar Bonisoli, che si era sentito male. Salvoni, tra l'altro, era al centro della sesta inchiesta sul caso Moro, aperta nel 1997 da Ionta, della quale da anni si sono perse le tracce. Sempre l'Abbè‚ Pierre, nel 1984, affrontò otto giorni di sciopero della fame per sostenere Vanni Mulinaris, un altro dei fondatori dell'Hyperion, che era stato arrestato, al suo ritorno in Italia, con l'accusa di traffico di armi e partecipazione a banda armata. L'Hyperion era un istituto ritenuto da molti una sorta di camera di compensazione del terrorismo internazionale e nel quale lavoravano altri latitanti italiani, come Corrado Simioni (il personaggio al quale accennò una volta Bettino Craxi come un possibile 'grande vecchiò delle Br), Duccio Berio e Vanni Mulinaris. Un'inchiesta francese ha scagionato l'Hyperion. L'inchiesta italiana del giudice Priore, con l'ipotesi di aver costituito in Francia una banda armata operante su territorio estero, finì per confluire in quella veneziana del giudice Mastelloni, che aveva inquisito Simioni, Mulinaris e Berio per reati più gravi, tra cui un traffico di armi con le Brigate rosse e l'Olp. Tra gli imputati figuravano anche Abu Ayad, capo dei servizi di sicurezza di Al Fatah e alti ufficiali dei servizi segreti italiani, tra cui i generali Nino Lugaresi, Pasquale Notarnicola e Giulio Grassini. Il processo veneziano si concluse nel 1990 con un'assoluzione generale. Nel 2002, in un'intervista a «Liberation», Louis Joinet, il magistrato che fu il principale negoziatore della cosiddetta 'dottrina Mitterrand', l'accordo tra il Governo francese e i latitanti italiani che ha garantito loro l'impunità per molti anni, ha raccontato che determinante nell'elaborazione della 'dottrina Mitterrand' fu l'intervento dell'Abbè Pierre a favore di 'Hyperion'. Nello stesso 2002, l'Abbè Pierre interviene a difesa del suo medico personale, Michele D'Auria, latitante italiano ex aderente a Prima Linea, che era stato arrestato dalla squadra mobile di Milano in trasferta a Parigi. D'Auria si era ricostruito una nuova vita a Parigi, con il nome di Michele Canino e sarà poi radiato dall'Ordine dei medici francese per esercizio illegale della professione e per falso, perchè aveva esercitato sotto falso nome per una decina d'anni.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: ANDREOTTI, UN GIORNO LEGGERETE IL MIO DIARIO

  «Oggi siamo troppo vicini e al contempo troppo lontani dalla vicenda Moro per capirla e raccontarla con il dovuto distacco. Io ho i miei diari e quando sarò morto qualcuno potrà andarli a leggere. Però preciso che voglio campare». Giulio Andreotti non rinuncia alla battuta durante la puntata di Porta a Porta dedicata alla vicenda di Aldo Moro. L'osservazione di Andreotti era nata da una richiesta fatta da Bruno Vespa su un eventuale incontro avuto da Andreotti, durante 55 giorni, con l'ambasciatore sovietico. «Comunque - ha detto Andreotti - non gli avrei parlato di fatti interni».
20/03/2008 ANSA

MORO/30: ANDREOTTI, MAI SAPUTO CHE DUE EX GLADIO NEL GOVERNO

  «Non ne so assolutamente nulla. Non l'ho mai sentita questa». Giulio Andreotti smentisce quanto dichiarato da Francesco Cossiga a «Panorama» a proposito della incompletezza della lista dei 600 di Gladio. Soprattutto Andreotti - rispondendo durante la trasmissione Porta a Porta - dice di non saper nulla dell'affermazione di Cossiga su due ministro della Margherita che sarebbero ex appartenenti a Gladio.
20/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: GEN. INZERILLI, NESSUNO DELLA GLADIO SI MOSSE = IN QUEI GIORNI FECI ESFILTRARE UNO DEI MIEI UOMINI DA PIAZZA PIO IX FINO A CERVETERI

  «Nessuna unità speciale della Gladio venne impiegata nel caso Moro. Io ero il capo della Gladio, e non ho dato nessun ordine ai miei uomini. Nessuno si è mosso». Il generale Paolo Inzerilli, capo dell'Organizzazione Militare dal '74 all' '86, prima dall'interno dell'Ufficio 'R' del Sismi e dal 1980 con il grado di direttore della VII Divisione del servizio segreto militare, nega che la struttura antinvasione in caso di attacco delle truppe del Patto di Varsavia abbia svolto un ruolo durante i 55 giorni del sequestro Moro. Almeno secondo quanto rivelerebbe un documento del Bnd, servizio segreto della Germania federale, inviato nel novembre 1990 all'allora Capo dello Stato, Francesco Cossiga, e pubblicato da 'Panoramà in edicola domani. Il generale Inzerilli precisa quindi di aver approfittato in quel periodo di mobilitazione delle Forze Armate «per sperimentare se l'addestramento che facevo con i gladiatori funzionava facendo esfiltrare uno dei miei uomini da piazza Pio IX fino a Cerveteri nascondendolo dentro una cassa in un furgoncino pieno di materiale elettrico». «Il camioncino partì da piazza Pio IX, che si trova in cima a via Gregorio VII e siamo arrivati a Cerveteri passando attraverso tutti i posti di blocco. Nessuno ci ha fermati. Dietro c'era una macchina con un mio uomo -spiega ancora il generale- un capitano dei carabinieri con la tessera, pronto ad intervenire qualora fosse successo qualcosa. Il capitano è ancora vivo, l'uomo dentro la cassa era un mio ufficiale».
Quanto all'impiego di uomini di Stay-Behind nel caso Moro, il servizio di intelligence tedesco Bnd, afferma ancora il generale Inzerilli, «può dire tutto quello che vuole». E ammette: «che Cossiga abbia ricevuto al tempo un documento dalla Germania è sicuro, riguardava la Gladio in generale e non la Gladio italiana facendo i distinguo tra Nato e Alleanza Atlantica». È incompleto l'elenco dei 622 gladiatori consegnato da Andreotti al Parlamento? E comprende anche due «membri del governo in carica», secondo quanto affermato da Cossiga a 'Panoramà? «Non so chi siano questi due, ammesso che ci siano» risponde l'ex Comandante della Gladio. Che esista poi un secondo elenco è una balla colossale provata a livello giudiziario-aggiunge il generale- ed in base alle superperizie risultò che quella lista poteva comprendere tre nomi in più, e questo perchè l'elenco fu stilato di corsa per poterlo consegnare entro 48 ore ad Andreotti, alla Polizia ed ai Carabinieri«. »Posso ammettere che in un certo momento dissi ai miei uomini aprite gli occhi su fatti che potessero ricondursi al terrorismo, ma era successivo al sequestro Moro«. Quanto al colonnello Camillo Gugliemi, presente in via Fani la mattina del 16 marzo 1978, il generale Inzerilli afferma: »è stato tirato in ballo come uomo della Gladio, ma non sapeva neanche che la struttura esistesse. Mi ricordo che di sicuro che nel marzo '78 era comandante del gruppo carabinieri di Modena, incarico che ha mantenuto fino al 14 aprile 1978, e successivamente è stato assunto dal Sismi in qualità di consulente esterno«.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: FERRARA, ANDREOTTI NON VOLEVA MIO FILM A BERLINO

  «Il mio film venne invitato al Festival di Berlino e quando Andreotti lo seppe fece di tutto affinchè venisse rifiutato: spinse addirittura l'ambasciatore italiano a Berlino, per far respingere il film, e questo me lo disse il direttore del Festival». Lo ha detto il regista del film 'Il caso Moro' (1985) Giuseppe Ferrara, intervistato da Giampiero Marrazzo a 'L'Avvelenato' in onda su Ecoradio. Secondo il regista, qualsiasi accordo tra la linea della fermezza e quella della trattativa sarebbe stato inutile visto che, come nel titolo del libro di Imposimato e Provvisionato, «Moro doveva morire: era una pietra d'inciampo alla loggia massonica P2 che stava preparando un piano di rinascita per spostare a destra il paese. Le Br - ha concluso Ferrara - si sono rese stupide complici di un piano di destra». Al programma è intervenuta anche l'on.Olga D'Antona, secondo la quale «il nostro è un paese maturo in grado di affrontare anche temi scomodi, un paese che non troverà conciliazione se non si farà prima verità». «Credo che molto sulle brigate rosse si sia capito - ha aggiunto - Quello su cui non si vuole fare luce sono invece le responsabilità della classe politica dell'epoca, e gli interessi internazionali e nazionali che ruotavano intorno a queste bande eversive.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: ANDREOTTI, MAI SAPUTO NULLA DI OFFERTE ABBÈ PIERRE

  «Non ne ho mai saputo nulla. L'ho incontrato diverse volte, Abbè Pierre, ma questa non l'ho mai sentita». Giulio Andreotti durante i 55 giorni presidente del consiglio, ha detto di non essere mai venuto a conoscenza dell'offerta fatta dall'esponente cattolico francese alla Dc, esattamente 30 anni fa, di una sorta di interessamento per arrivare ai rapitori di Aldo Moro di cui ha parlato l'ex magistrato Ferdinando Imposimato presentando il volume, scritto con Sandro Provisionato «Doveva Morire».
20/03/2008 ANSA

MORO/30: COSSIGA, NON SO SE GLADIO ABBIA LAVORATO A RICERCA

  (V. 'MORO/30: PANORAMA...' DELLE 16:15) «Premesso che io non ho avuto la possibilità di leggere il testo integrale della relazione inviata dal Bnd alla commissione del Bundestag sull'intelligence, ciò che io ho dichiarato è che se il Bnd in questa relazione che, ripeto, io non conosco, ha detto che forse Gladio è intervenuta nella ricerca del caso Moro, lo ho detto perchè il Bnd è un servizio estremamente efficiente anche se durante il caso Moro almeno al ministero dell'Interno che io ricordi non passò alcuna informazione che fosse apprezzabile». Lo afferma il senatore a vita Francesco Cossiga. «D'altronde - spiega Cossiga - il Sid, poi Sismi, che dipendeva dal ministero della Difesa e nel quale era inquadrato il comando strategico di 'Stay Behind', passava certo tutte le informazioni che aveva al ministero dell'Interno ma non gli riferiva del'uso degli strumenti che aveva a disposizione: ivi compreso 'Stay behind net'. Peraltro da quando diventai ministro dell'Interno a quando mi dimisi, il Sid (e per essere esatti il comando dei centri di controspionaggio di Roma) mise sotto controllo alcune mie linee telefoniche sia di casa sia del ministero e mi sottopose a una sorveglianza fisica di cui poi, eletto presidente del Senato, il comando generale dell'Arma dei Carabinieri che ne era venuto a conoscenza mi diede notizia. D'intesa con il procuratore aggiunto della Repubblica del tempo e con l'allora ministro dell'Interno, essendo stati i nostri servizi militari già sufficientemente sputtanati si decise di non farne nulla: perchè in realtà, che durante gli anni di piombo il Sismi non avesse niente di meglio da fare che controllare il ministro dell'Interno era davvero, un pò grossa...».
20/03/2008 ADNLronos

CASO MORO: ANDREOTTI, MAI SAPUTO CHE DUE EX GLADIO NEL GOVERNO = SENATORE A VITA A 'PORTA A PORTÀ, QUESTA NON L'HO MAI SENTITA

  «Non ne so assolutamente nulla. Questa non l'ho mai sentita». Il senatore a vita Giulio Andreotti - ospite della puntata di 'Porta a Porta' dedicata ad Aldo Moro - smentisce le affermazioni fatte da Francesco Cossiga a «Panorama» a proposito della incompletezza della lista dei 600 uomini della struttura militare antinvasione Gladio. Andreotti sottilinea in particolare di «non sapere nulla» dell'affermazione di Cossiga su due ministro della Margherita che sarebbero ex appartenenti a Gladio.
20/03/2008 ANSA

MORO/30: IMPOSIMATO, ABBÈ PIERRE OFFRÌ MEDIAZIONE

  Henry Groues, meglio noto come Abbè Pierre, ex partigiano francese, ex deputato del Mrp, sacerdote, pacifista, fondatore della comunit… di Emmaus, il 21 marzo 1978 offrì alla Dc di poter salvare Aldo Moro, tramite i suoi amici dell'Hyperion, scuola di lingue parigina che è stata indicata come una sorta di 'camera di compensazione e controllò dei servizi dell'Est e dell'Ovest sui movimenti dell'estrema sinistra europea. A rivelarlo è l'ex magistrato Ferdinando Imposimato, che ne ha parlato presentando alla sede della Stampa estera a Roma il suo recente volume 'Doveva morirè, edito da Chiarelettere, e scritto col giornalista Sandro Provvisionato. Dopo la pubblicazione del volume, che dedica un ampio capitolo al mistero dell' 'Hyperion', Imposimato ha ricevuto una telefonata da Massimo Rendina, tra i collaboratori di Benigno Zaccagnini durante i 55 giorni. Rendina, già funzionario della Rai, amico di Moro, aveva un ruolo di 'consigliere culturalè di Zaccagnini in quei giorni, e venne delegato a diversi incontri. Tra l'altro - ha ricordato Imposimato e confermato Rendina - quello con l'Abbè Pierre, che venne a Roma per chiedere un intervento a favore di Innocenzo Salvoni, uno dei 20 personaggi apparsi in foto sui giornali il 17 marzo come Br ricercati dalla Polizia. Salvoni era un nipote acquisito dell' Abbè Pierre, avendo sposato Francoise Tuscher, nipote del fondatore dei Compagni di Emmaus. È da ricordare che uno baristi del bar Igea, prossimo a via Fani, riconobbe Salvoni come uno dei due uomini entrati nel locale poco dopo l'attacco di via Fani, accompagnato da Franco Bonisoli, che poi venne condannato per la strage del 16 marzo. «L'Abbè Pierre - dice Rendina - ci chiese un aiuto per Salvoni, che aveva delle pendenze con la giustizia, non ricordo se si pensava che fosse renitente alla leva». Di fatto, l'Abbè Pierre sondò la disponibilità della Dc ad intervenire per trarre dai guai giudiziari Salvoni. Il religioso disse che Salvoni, che era uno dei dirigenti della scuola 'Hyperion' a Parigi e che era stato amico di Curcio, poteva intervenire durante il rapimento Moro e contattare le Br. «Sono in grado di mettermi in contatto con le Br grazie a questi amici di Parigi. Posso impegnarmi per salvare la vita di Aldo Moro». Rendina ha raccontato che fece subito degli accertamenti col capoufficio stampa del ministero della Difesa ma non vi erano pendenze specifiche su Salvoni, se non le ricerche che la Polizia aveva disposto dopo il 16 marzo. «Fatto sta - spiega Rendina - che io cercai più volte di mettermi in contatto con l'Abbè Pierre, lo cercai anche a Parigi ma non riuscii a mettermi in contatto con lui, sparì dalla circolazione. La questione non ebbe quindi seguiti ma Imposimato, presentando il suo libro insieme a Provvisionato alla Stampa estera ha ricordato che qualche mese dopo l'Abbè Pierre venne interrogato dal suo collega Rosario Priore, che indagava anch'egli sul sequestro Moro. »Ricordo che dalla stanza sentii arrivare delle urla altissime. L'Abbè Pierre chiedeva di essere arrestato anche lui se si fosse andati avanti nell' indagine su Salvoni«. Imposimato afferma che »a Parigi, grazie proprio all' Hyperion, viene studiata e messa in campo una strategia di attacco a obiettivi politici, economici e militari in Europa occidentale. Non è mai stato dimostrato, ma secondo diversi magistrati, tra cui Carlo Mastelloni e Pietro Calogero, sempre all' Hyperion di Parigi vengono decisi sequestri in Germania di Peter Lorenz e Martin Schleyer e in Italia di Moro e Pirelli, quest' ultimo abortito«. La cosa certa, hanno ricordato Imposimato e Provvisionato, è che l'Hyperion, nell'arco che precede immediatamente i 55 giorni, rientra in Italia e apre sue sedi tra il giugno '77 e il giugno '78: tre uffici, due a Roma e uno a Milano, sono operativi solo nell' arco temporale dei 55 giorni. Durante la presentazione, Sandro Provvisionato ha detto tra l'altro che sarebbe stato accertato che la Polizia non si recò mai in effetti a Gradoli paese prima della scoperta del covo Br nella omonima via di Roma. »La tv si limitò a trasmettere delle immagini di repertorio. Durante la realizzazione di un documentario si sono intervistati i cittadini che ricordano quelle giornate nel piccolo centro del Lazio: nessuno ha dato informazioni su una effettiva perquisizione a tappeto ai primi di aprire nel paese. Nessuno della Polizia, sembrerebbe, si è mai recato a Gradoli paese«.
19/03/2008 ANSA

MORO/30: ANDREOTTI, IL GIORNO PEGGIORE DELLA MIA VITA

  «Lo ricordo come il giorno peggiore della mia vita». Con queste parole il senatore a vita Giulio Andreotti rievoca l'uccisione di Aldo Moro, avvenuta il 9 maggio 1978, ad opera delle Brigate Rosse, che avevano rapito lo statista il 16 marzo dello stesso anno. «L'emozione che provai fu enorme: con Moro non c'era solo comunanza politica ma c'era un rapporto che andava molto più lontano», dichiara Andreotti commosso al quotidiano «La Provincia» di Como, che domani dedica due pagine di approfondimento al trentennale di quella pagina oscura della storia d'Italia, con interviste anche a Giampaolo Pansa e allo storico dell'Università Cattolica di Milano Agostino Giovagnoli. Nel ricordare il «caso Moro», il senatore Andreotti si sofferma su aneddoti personali e familiari. «In quel giorno dissi ai miei figli: se capita a me (di essere rapito, ndr) dovrete assolutamente accettare questo e non chiedere nessuna deroga perchè se in quel momento si riconosceva trattando la legittimità delle Brigate, cioè riconoscendole come partito, si faceva un tradimento anche di carattere morale oltre che politico». Una rievocazione personale è anche quella del giornalista e scrittore Giampaolo Pansa. All'epoca inviato de «La Repubblica», Pansa dice di non aver mai avuto «la sensazione» che lo statista democristiano potesse essere salvato. «Il prezzo che i terroristi chiedevano era troppo alto, nessuno poteva pagarlo. L'unico dubbio allora era un altro: se cioè all'interno della »direzione strategica« delle Brigate Rosse poteva prevalere la furbizia di salvare una vita umana, innescando una serie di micce sotto i tappeti dei palazzi della politica. Lasciare libero Moro, senza chiedere niente in cambio, sarebbe stato un elemento destabilizzante per la politica e per lo stato italiano». Sul rapporto tra il «caso Moro» e la trasformazione degli assetti della politica italiana negli anni Novanta, nè Andreotti nè Pansa ritengono che quella tragedia sia stata il principale fattore di cambiamento. Al contrario, Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all'Università Cattolica di Milano e autore de «Il caso Moro» (Il Mulino, 2005), rileva un filo rosso tra la tragedia del 1978 e i cambiamenti radicali verificatisi negli anni successivi. «Dopo qualche mese dalla morte di Moro, la formula della solidariet… nazionale cominciò a entrare in crisi. I primi dubbi- sostiene lo studioso- emersero da parte dei comunisti, che si spaventarono per il risultato negativo alle elezioni amministrative del maggio 1978. Subito dopo vollero la sostituzione del presidente della Repubblica Giovanni Leone, e spinsero infine alla crisi del governo Andreotti e alle elezioni anticipate. Fu proprio Berlinguer a parlare di una seconda »svolta di Salerno«. A lungo termine: »la conseguenza è stata il blocco del sistema politico, che è diventato la premessa del collasso del 1992-1994. Quel fallimento ha aperto la strada alla stagione, tutto sommato indefinita, che ancora oggi viviamo con la cosiddetta Seconda Repubblica che non ha ancora assunto un volto politico-istituzionale ben chiaro«.
19/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: UN SAGGIO ANALIZZZA FOTO DELLO STATISTA NELLA PRIGIONE DEL POPOLO

  Tra le molte cose dette e viste del rapimento di Ald o Moro, di cui cade quest'anno il trentesimo anniversario, ci sono anche le due fotografie, due polaroid, scattate dai suoi rapitori, la prima inviata il 19 marzo, tre giorni dopo il sequestro, ai giornali; la seconda apparsa il 21 aprile. Nella prima immagine scattata dalle Brigate rosse, il Presidente della Dc appare quello di un uomo di potere abbassato al ruolo di uomo comune. Nella seconda Moro tiene in mano la copia di un giornale, «La Repubblica»: è vivo!«. Nessuno sino ad ora ha mai provato a leggere queste due immagini, a dare loro un significato che vada al di là dell'uso ai fini della trattativa e del conflitto politico tra Stato e terroristi. Marco Belpoliti, scrittore e saggista, collaboratore di quotidiani e riviste, curatore dell'opera di Primo Levi, legge queste immagini come due comunicazioni pubblicitarie: i brigatisti quali anticipatori della pubblicità dei brand di moda degli anni Ottanta e Novanta. Ma anche come il tentativo di dare un corpo e un volto ai gerarchi democristiani, come li aveva definiti solo tre anni prima Pier Paolo Pasolini in un celebre articolo sul »Corriere della Sera«. Il breve testo di Belpoliti, ('Le foto di Morò, edizioni Ex Libris), in libreria da domani, vuole sancire anche questo passaggio: i corpi dei politici prima di Moro e dopo Moro, sino ad arrivare ai corpi mediatici di politici come Berlusconi e Sarkozy. Ma il punto saliente di questo saggio è quello in cui si mostra il calcolo errato degli »uomini e delle donne« delle Br: là dove volevano fissare con una foto pubblicitaria il loro successo militare e politico, rivelano invece la verità dell'uomo Moro. Tutto transita attraverso quello sguardo nella seconda foto: »Da trent'anni, ogni volta che rincontro quella foto, ho l'impressione che l'uomo politico democristiano continui a guardarci negli occhi?«. Una riflessione a trent'anni di distanza sulle immagini di uno dei più importanti uomini politici del dopoguerra, scattate in cattività, afferma Belpoliti, »ci offre la possibilità di capire cosa siano esattamente le immagini che vediamo ogni giorno su giornali e settimanali - foto di massacri accanto alle foto di abiti e profumi, orologi e bibite - cosa sia in generale la fotografia pubblicitaria, e di quale realtà continua a parlarci ogni giorno«. (
18/03/2008 ANSA

MORO/30:'NEL CUORE DELLO STATO',IN UN VIDEO DUBBI IRRISOLTI (V. 'MORO/30: FIGLIA MARIA FIDA...' DELLE 20:35 CIRCA)

  Il dramma di Aldo Moro e della sua famiglia, quello collettivo, del popolo italiano, i tanti interrogativi irrisolti che continuano a proiettare una luce sinistra su una storia vecchia 30 anni, che ha fortemente condizionato gli attuali assetti del Paese. Sono gli ingredienti di «Nel cuore dello Stato», una sorta di inchiesta storica, in video, sul caso Moro, prodotta da Koinè, per la regia di Alberto Castiglione, presentata questo pomeriggio, in anteprima nazionale, a Palermo, nella sede dell'Assemblea Regionale Siciliana. Alla proiezione hanno partecipato anche la figlia del leader Dc, rapito e assassinato dalle Br nel 1978, Maria Fida Moro, e il nipote Luca. Un documentario fatto di drammatiche immagini di repertorio, interviste all'ex brigatista Alberto Franceschini e al giudice istruttore Rosario Priore, che non vede mai protagonisti, però, gli esponenti delle Br materialmente coinvolti nel sequestro e nel delitto. «Una scelta ferma - spiega il regista - per evitare che le nuove generazioni, che non conoscono quegli anni, possano avere un'idea romanzata di personaggi che non devono essere considerati eroi nazionali». La ricostruzione storica dei 55 giorni di prigionia del leader democristiano fa da sfondo alle interviste a Franceschini e Priore e al giornalista di Panorama Giovanni Fasanella. Tanti gli interrogativi aperti: dal coinvolgimento, nel delitto, di servizi segreti italiani e stranieri, alle eventuali interferenze della Loggia P2 e di Gladio. Il video di Castiglione non dà risposte, ma insinua dubbi e riconduce all'assassinio dello statista e alla mancata realizzazione del compromesso storico l'attuale crisi della politica italiana.
18/03/2008 ANSA

MORO/30:SPATARO, MAI APPREZZATO E CONDIVISO TEORIA COMPLOTTO

  Di fronte alle ricostruzioni e alle analisi compiute sul terrorismo e sul caso Moro «non ho mai apprezzato, nell'approccio filmico, nei libri e nel giornalismo che si privilegiasse la teoria del complotto». Teoria che «non condivido assolutamente». A sostenerlo è il Procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, intervenuto alla presentazione del testo di Alan ÒLeary, 'Cinema e terrorismo tra Moro e Memorià. «Troppo spesso - ha osservato - nella cinematografia, nella letteratura e nel giornalismo, si è preferita la ricerca dell'effetto e della sensazione. Si è seguita la tesi del complotto senza approfondire la ricerca della verit…. La società - ha proseguito - va posta di fronte alla storia con serietà basandosi su fatti accertati e non su 'non si può escludere che...': credo che i magistrati abbiano avuto un ruolo importante nel tentativo di capire il fenomeno con strumenti impropri perchè i magistrati non sono storici». Ad alcuni lustri di distanza dagli anni che hanno insanguinato l'Italia, Spataro vede un Paese sostanzialmente «pacificato» e, complessivamente, «in grado di superare e abbracciare chiunque, a patto che quel chiunque abbia pagato». Diversi protagonisti di quei tempi, ha argomentato infatti «hanno pagato. Molti hanno pagato» aggiungendo anche «il prezzo dell'oblio. Quelli che parlano e sparlano, invece, non hanno pagato nemmeno questo tipo di prezzo».
A tale riguardo, ha sottolineato ancora, «sono convinto della possibilità che un criminale possa cambiare e diventare una persona nuova. Non accetto, invece, che si dia tanto spazio a chi cerca di giustificarsi e giustificare». Nelle sale della libreria Feltrinelli di Piazza Duomo, seduto a fianco di Spataro, anche l'autore del libro, Alan ÒLeary, docente all'Università di Leeds. Con questo testo, ha commentato, ha voluto analizzare «l'importanza del cinema nella rappresentazione del terrorismo nella società italiana. Ci sono tanti generi, non solo il cinema d'autore ma anche la commedia all'italiana e i film 'poliziotteschì degli anni Settanta» a toccare l'argomento così come le opere degli anni Novanta e del nuovo secolo tutti a mostrare che «la memoria degli anni di piombo è ancora una ferita aperta e che occorre una memoria condivisa che non sia una memoria di sinistra o una memoria di destra»
18/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: LUSSANA (DIARIO 21), TRATTATIVA FU INSABBIATA

  «Ha pienamente ragione Bobo Craxi, il quale, proprio in questi giorni, ha espressamente dichiarato che, intorno al caso Moro, »troppi misteri sono rimasti irrisolti, ipocritamente sospesi, colpevolmente lasciati a se stessi«. È quanto scrive il Condirettore del sito web www.diario21.net, Vittorio Lussana, nella rubrica settimanale '7 giorni di cattivi pensierì dedicata, nell'ultimo numero, ai 30 anni dalla tragedia del rapimento e dell'uccisione del Presidente della Dc, avvenuta nel 1978. Lussana nel proprio brano ricostruisce la cronaca quei 55 terribili giorni di prigionia dello statista pugliese e si esprime con nettezza: »Ciò che vado scrivendo è teso a convalidare la tesi, avanzata più volte in questi 30 anni, che anche al di fuori di un'ipotesi di negoziato - ovvero nell'ambito stesso della cosiddetta 'linea della fermezzà - non fu fatto il possibile per salvare la vita di Aldo Moro. In quei 55 giorni vennero effettuate indagini svogliate, ricerche assai poco 'miratè e numerosi indizi vennero colpevolmente trascurati. Tutto ciò, ancora oggi appare alquanto incredibile, considerando come la 'pista autonomà cercata da Bettino Craxi e Claudio Signorile, finalizzata ad una trattativa umanitaria, sia stata insabbiata senza che nessuno potesse capirne il perchè«.
18/03/2008 ANSA

MORO/30: 19 MARZO, UNA DOMENICA SENZA NOVITÀ/ ANSA PRIMO APPELLO DEL PAPA, CRESCE L'IMPIEGO DELL'ESERCITO

  Domenica 19 marzo, la prima domenica passata da Aldo Moro nel «carcere del popolo», si trascina senza novità. Le indagini e i rastrellamenti vanno avanti, ma senza obiettivi precisi e senza sviluppi. Riappare in pubblico papa Paolo VI, reduce da un'influenza, e rivolge il suo primo appello per la liberazione del presidente Dc. 12:26 - dopo una serie di notizie pubblicate dai giornali sulle condizioni di salute di Aldo Moro e sul suo presunto bisogno di alcuni farmaci, la famiglia Moro precisa in un comunicato che «le sue condizioni di salute, sino al momento del rapimento, erano soddisfacenti, tali da non richiedere l'assunzione di particolari farmaci». «La famiglia - conclude il comunicato - si augura che in assenza di notizie provenienti da essa o dai veri medici curanti, ci si astenga dal fornire informazioni che, oltre a non rispondere a verità, rischiano di essere solo pericolose». 12:30 - papa Paolo VI invita i fedeli in piazza San Pietro a pregare per l'on. Moro rivolgendo un «accorato appello» perchŠ egli sia liberato. Il Papa chiede anche di pregare «per le famiglie che piangono i loro cari stroncati nel compimento del loro dovere da un insensato odio omicida che ancora una volta ha voluto minare la pacifica convivenza sociale». Era la prima ricomparsa in pubblico del Papa dopo l'influenza del 13 marzo. 14:40 - «sono oltre mille i soldati che il ministero della Difesa ha messo a disposizione per attuare i posti di blocco intorno alla Capitale. Essi appartengono a reparti dei Granatieri di Sardegna, dell'artiglieria, del Genio pionieri e della cavalleria motorizzata di stanza a Roma e località vicine». 17:31 - in una lettera inviata il 17 marzo al procuratore capo di Roma, Brunilde Pertramer afferma di essere «completamente estranea agli avvenimenti del 16 marzo a Roma, così come sono estranea alla organizzazione denominata Brigate rosse». 18:25 - «L'opinione di alcuni degli investigatori è che la colonna romana che ha rapito l'on. Moro lo abbia affidato ad un altro gruppo di brigatisti che potrebbe essersi già spostato dalla zona della Capitale. Le ricerche delle ultime ore si stanno sviluppando soprattutto in Toscana e in alcune zone delle regioni vicine dell'Italia centrale, lungo la fascia tirrenica. 18:34 - impiantato al ministero dell'Interno un terminale dell'archivio computerizzato del terrorismo in funzione in Germania. »Non hanno invece trovato conferma le voci circolate in questi giorni di una segnalazione che avrebbe annunciato alle autorità italiane la possibilità di un attentato terroristico nella zona di Monte Mario contro una personalità politica«.
17/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: CRAXI, DALLA BINDI SUSSULTO DI ONESTÀ INTELLETTUALE

  «Meno male che almeno Rosy Bindi ha dimostrato un minimo di onestà intellettuale, perchè sul caso Moro dai suoi compagni di partito sono giunte solamente ipocrisie ed omissis: non hanno il coraggio di dire che con la linea della 'fermezzà Berlinguer e Zaccagnini furono sostanzialmente complici delle Br». Lo afferma Bobo Craxi, commentando la riflessione di Rosy Bindi, pubblicata questa mattina sulle pagine de 'l'Unita«, relativa alla vicenda del rapimento e dell'uccisione del Presidente della Democrazia cristiana.
17/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: NUCCIO FAVA, SPECIALE TG1 SUPERFICIALE = EX DIRETTORE, IGNORATA DOMANDA CHIAVE DELLA VICENDA

  Invece di chiedersi se Aldo Moro poteva essere salvato e se la strategia della fermezza «non fosse un segno di resa dello stato democratico», «il Tg1 ha preferito rimescolare alla rinfusa Luigi Pintor e Ugo La Malfa, Emilio Fede e Enrico Berlinguer, senza alcun serio tentativo di approfondimento e di analisi, a cominciare dal contesto internazionale e dai timori che la strategia morotea aveva da tempo suscitato tanto ad Ovest quanto ad Est.» La critica allo speciale della testata giornalistica Rai mandato in onda per i trent'anni dal sequestro dello statista, viene da Nuccio Fava, già direttore del TG1, dei Sevizi Parlamentari - Tribune Politiche e di Tg3-Tgr. «Seguendo sempre più a fatica lo speciale dedicato a Moro si ricavava l'impressione che il TG1 quasi si vergognasse della propria storia e del modo con cui l'agonia dello statista si è protratta per quei terribili cinquantacinque giorni dal 16 marzo al 9 maggio 1978. Anche Emilio Rossi, storico direttore del TG1 dopo la riforma del 1975 è stato totalmente ignorato. Eppure Rossi era stato »gambizzato« dalle BR in via Teulada pochi mesi prima della strage di via Fani e, sebbene impacciato per le stampelle dopo l'operazione subita, era stato presente sulla plancia del TG1 ed era stato Lui stesso ad inviare a via Fani Paolo Frajese consentendo agli italiani di conoscere - quasi in diretta - la feroce strage della scorta e il rapimento di Aldo Moro.» «Povero Aldo Moro, certo dal pensiero ricco e complesso ma che non ha impedito allo statista democristiano di svolgere così a lungo una funzione guida, non solo verso il suo partito, ma nei confronti di tutto il sistema politico italiano. La sua pedagogia democratica, sin dai tempi della Costituente si è espressa nella paziente e generosa costruzione del centro-sinistra prima e, poi, della solidarietà nazionale con Berlinguer che portava per la prima volta il PCI a far parte organicamente della maggioranza che avrebbe sostenuto il monocolore Andreotti.»
17/03/2008 ANSA

MORO/30: AGNESE, SU ANNI PIOMBO QUELLI CHE SANNO PARLINO

  «I brigatisti e tutti coloro che sanno qualcosa devono parlare. Credo sia anche il momento di aprire gli archivi. Dobbiamo guardare con serenità alle nostre spalle, capire cosa è successo, comprendere. Chiunque ha un pezzetto di verità ce la deve mettere a disposizione». Lo ha detto Agnese Moro, oggi a Bari nell'aula magna dell'Università dove si è tenuto un convegno sugli anni di piombo. Su quegli anni, secondo Agnese Moro, «manca la verità». «Occorre la verità. Penso sia un atto di giustizia - ha detto - nei confronti delle tante persone che hanno perso la vita in quegli anni e che non erano simboli, erano persone e ci tengo tantissimo a questo concetto, così come tengo in questi giorni che vengano ricordati gli uomini della scorta di papà, le persone che l'hanno accompagnato anche in quel momento così terribile». «Se non ritorniamo alle persone - ha continuato la figlia dello statista ucciso 30 anni fa dalle Brigate Rosse - non capiamo il senso di quella terribile stagione del terrorismo». Per Agnese Moro, «commemorare ha ancora un senso perchè significa riprenderci un pezzo di noi, della nostra storia, di quello che siamo. Facilmente siamo portati a pensare che siamo un Paese in difficoltà, un pò sfasciato, ma in realtà abbiamo una grande storia alle spalle e siamo un grande Paese. Se ce lo ricordiamo ci dà anche forza per l'oggi».
17/03/2008 ANSA

MORO/30: VEDOVA RICCI, LE BR DICANO CHI LI HA COMANDATI (

  «Non c'è verità sul caso Moro. Ho letto tanti libri, ma la verità non l'ho mai trovata. Penso che i brigatisti debbano dire ancora tante cose, anche perchè ho sempre pensato che qualcuno li abbia comandati». Lo ha detto Maria Laura Rocchetta, vedova dell'appuntato Domenico Ricci, uno degli uomini della scorta di Aldo Moro uccisi dalle Br durante il sequestro del Presidente della Dc, a «Niente di personale», il programma condotto da Antonello Piroso in onda questa sera su La7 e dedicato alla strage di via Fani del 1978. «Non perdono i brigatisti - ha detto la vedova -: se avessero scontato la pena potevo anche farlo, ma se penso a quanti sono usciti, ritengo che l'ergastolo, alla fine, sia stato dato alle nostre famiglie». Maria Laura Rocchetta ha escluso che le vedove degli uomini della scorta fossero all'epoca contrarie alla trattativa per liberare Moro: «Non è vero che eravamo contro la trattativa. Chi l'ha detto si dovrebbe vergognare e mi piacerebbe sapere chi è stato. L'abbiamo letto sui giornali e ci siamo tutte molto arrabiate». La vedova Ricci ha raccontato che il nipote si chiama Domenico, come il marito: «Quando mi chiede per quale ragione lui è morto sono in imbarazzo, ma cerco di raccontargli la verità e gli dico che è stato vittima di uomini cattivi. Poi piano piano che cresce, lo porto nei luoghi in cui è avvenuta la tragedia per fargli capire cosa è successo. È importante che lui sappia i fatti, così come credo sarebbe utile per le nuove generazioni se anche le istituzioni e la scuola si adoperassero affinch‚ gli anni di piombo siano materia di studio e siano da insegnamento».
17/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: VEDOVA RICCI, NON PERDONO I BRIGATISTI = A 'NIENTE DI PERSONALÈ SU LA7, 'HANNO ANCORA TANTE COSE DA DIRE'

  «Non c'è verità sul caso Moro. Ho letto tanti libri, ma la verità non l'ho mai trovata. Penso che i brigatisti debbano dire ancora tante cose, anche perchè ho sempre pensato che qualcuno li abbia comandati». È quanto ha affermato la vedova dell'appuntato Domenico Ricci, Maria Laura Rocchetta, a «Niente di personale», il magazine condotto da Piroso in onda questa sera alle 21.10 su La7 e dedicato alla strage di via Fani del 1978. La vedova, in studio assieme ad Agnese Moro, la figlia dell'ex presidente della Dc, ha poi aggiunto: non perdono i brigatisti: se avessero scontato la pena potevo anche farlo, ma se penso a quanti sono usciti, ritengo che l'ergastolo, alla fine, sia stato dato alle nostre famiglie«. Quanto poi alla notizia secondo cui le vedove degli uomini della scorta erano all'epoca contrarie alla trattativa per liberare Moro, la vedova Ricci ha detto: »non è vero che eravamo contro la trattativa. Chi l'ha detto si dovrebbe vergognare e mi piacerebbe sapere chi è stato. L'abbiamo letto sui giornali e ci siamo tutte molto arrabbiate. Mio nipote si chiama Domenico, come suo nonno. Quando mi chiede per quale ragione lui è morto, sono in imbarazzo, ma cerco di raccontargli la verità e gli dico che è stato vittima di uomini cattivi. Poi piano piano che cresce, lo porto nei luoghi in cui è avvenuta la tragedia per fargli capire cosa è successo«. »È importante che lui sappia i fatti -ha spiegato- così come credo sarebbe utile per le nuove generazioni se anche le istituzioni e la scuola si adoperassero affinchè gli anni di piombo siano materia di studio e siano da insegnamento«.
17/03/2008 ANSA

MORO/30: 18 MARZO, GIÀ SPUNTA VIA GRADOLI

  Il 18 marzo, alle 9:30 del mattino, gli agenti del commissariato Flaminio Nuovo si presentano al terzo piano della palazzina al numero 96 di via Gradoli, una stradina residenziale sulla via Cassia. Gli agenti bussano anche alla porta dell'appartamento interno 11, il covo delle Brigate rosse (che sar… scoperto solo il 18 aprile grazie ad una perdita d'acqua), ma nessuno risponde. Apre invece l'inquilina dell' appartamento all'interno 9, Lucia Mokbel. La ragazza, di origine egiziane, racconta ai poliziotti di aver sentito ticchettii simili a segnali Morse provenienti dall'appartamento dell'ing.Borghi (dove abitavano Mario Moretti e Barbara Balzerani). Agli agenti, la Mokbel consegna un appunto su questo fatto, da consegnare al vicequestore Elio Cioppa, da lei conosciuto (il nome di Cioppa era negli elenchi della P2). Su questo fatto, Lucia Mokbel fu chiamata a testimoniare il 23 settembre 1982 al primo processo Moro. Al presidente Santiapichi, la donna spiegò che in quel tempo abitava in via Gradoli presso un amico e che, verso le 2,30 di notte, percepì attraverso i muri un ticchettio simile a quello dell'alfabeto Morse. Alla domanda di Santiapichi sul perch‚ avesse pensato proprio all'alfabeto Morse la Mokbel rispose:«perchè avevo un amico ex ufficiale di marina che ogni tanto mi aveva fatto sentire questi segnali trasmessi di notte da un canale della Rai». «La mattina dopo verso le 9 - aggiunge la Mokbel - si presentarono a casa alcuni poliziotti in borghese ci chiesero i documenti, ci fecero qualche domanda, io parlai dell' episodio, notturno. dissi loro che in questura conoscevo il commissario Elio Cioppa; loro mi consigliarono di scrivergli un biglietto. cosa che feci sul momento, consegnando l' appunto con il racconto della mia disavventura notturna ad una delle guardie affinchè lo facesse pervenire al funzionario. Un paio di mesi più tardi, dopo la scoperta del covo, incontrai il dott. Cioppa in un ristorante; gli chiesi se avesse ricevuto il mio messaggio; mi rispose di non averlo mai avuto». Dopo la Mokbel fu sentito il maresciallo Domenico Merola, del commissariato Flaminio Nuovo, il funzionario di polizia che il 18 marzo era in via Gradoli con quattro agenti. L'ingresso in aula del sottufficiale era stato preceduto dall'arrivo di una relazione informativa da lui scritta e consegnata a suo tempo al dirigente del commissariato guido costa, che riferiva sull'esito della missione del 18 marzo in via Gradoli e in altre strade della zona. Un documento di cui non c'era traccia, fino ad allora, nè agli atti del processo, nè alla commissione Moro. Un documento però con l'intestazione «Polizia di Stato», una denominazione che nel 1978 non esisteva ancora e che è stata introdotta solo nel 1981. Merola raccontò che l'ordine di perquisire i miniappartamenti della zona era nato la sera del 17 marzo, ma «non mi fu dato l'ordine di perquisire le case. Era solo un'operazione di controllo durante la quale furono identificati numerosi inquilini, mentre molti appartamenti furono trovati al momento senza abitanti e quindi, non avendo l'autorizzazione di forzare le porte, li lasciammo stare, limitandoci a chiedere informazioni ai vicini. L'interno 11 fu uno degli appartamenti in cui non trovammo alcuno. una signora, che abitava sullo stsso piano, ci disse che lì viveva una persona distinta, forse un rappresentante, che usciva la mattina e tornava la sera tardi».
17/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: STORICI CHIEDONO A PRODI VERBALI COMITATO DI CRISI = PROPOSTA DAL CONVEGNO DI NAZIONALE DI FERRARA

  Il primo Convegno nazionale sul delitto Moro chiede a Prodi i verbali del Comitato in cui gli Usa avrebbero chiesto di lasciar morire Moro. Malgrado differenze di valutazioni, la convergenza è stata raggiunta, durante i tre giorni di dibattito a Ferrara, nel richiedere al governo Prodi di accertare se dai verbali del Comitato di crisi, costituito al Viminale da Francesco Cossiga nei 55 giorni della detenzione di Moro, risulti la dichiarazione del funzionario del Dipartimento di Stato, esperto di terrorismo, Steve Pieczenick, inviato da Washington per curare la liberazione di Moro. «Abbiamo discusso con Cossiga e con alcuni esponenti dei servizi segreti di cui ci fidavamo, tra i quali un uomo oggi deceduto di nome Ferracuti. Bisognava preparare l'opinione pubblica italiana e quella europea a un eventuale decesso di Moro e per questo è stata definita quella che viene chiamata un'operazione psicologica» ha raccontato Pieczenick in un volume appena uscito (Emmanuel Amara, «Abbiamo ucciso Aldo Moro», Cooper 2008) e secondo il traduttore, Nicola Biondo, «l'amerikano è »il padrino« dell'operazione psicologica sfociata nel comunicato-bufala del lago della Duchessa, 18 aprile 1978». «L' operazione - ha detto ancora Pieczenick-consisteva nella pubblicazione di un falso comunicato, nel quale era annunciata la morte di Aldo Moro ed era indicato il luogo dove il suo corpo poteva essere ritrovato. È tutto quello che so, perchè non ho partecipato alla messa in atto di questa operazione, che avevamo deciso nel comitato di crisi».
Organizzato dall'Ateneo di Ferrara, dalla rivista Nuova Storia Contemporanea e dal Centro Studi sulla Storia dell'Europa Orientale di Trento, il convegno ha visto la partecipazione dell'allora sottosegretario sottosegretario di palazzo Chigi con delega ai servizi segreti, Franco Mazzola, il quale nega le dichiarazioni dell'esperto del Dipartimento di Stati USa. «Ricordo perfettamente - ha detto Mazzola- di avere fatto parte di questo Comitato creatosi al Viminale. Erano, a dire la verità, riunioni perfettamente inutili, ma alla fine di esse non ho mai sentito leggere , e tantomeno approvare, dei verbali. Ne conservo uno, ma è privato, cioè redatto da me». Per ricostruire bene l'immagine e il ruolo del funzionario Usa Salvatore Sechi ha letto un'altra memoria del funzionario statunitense:«Francesco Cossiga ha approvato la quasi totalità delle mie scelte e delle mie proposte. Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. È in quell'istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a tendere la trappola alle Brigate Rosse». Nella sala Zarri del Palazzo del Governatore, si sono confrontati magistrati come Luigi Carli e Rosario Priore, storici come Salvatore Sechi, Francesco Perfetti, Marco Clementi, Giuseppe De Lutiis, Aldo Giannuli, giornalisti, tra i quali come Andrea Colombo ('Liberazionè) , Giovanni Bianconi ('Corriere della Serà), Sandro Provvisionato (vicedirettore del Tg5), ed esperti di terrorismo come Vladimiro Satta, Francesco Biscione, Nicola Biondo.
«I verbali del comitato di crisi sul sequestro Moro esistono», precisa il funzionario del Senato Vladimiro Satta, citando la collocazione negli archivi della commissione d'inchiesta su Via Fani , e la mancanza di segreti di Stato.Il giudice Priore dichiara,invece, di non avere mai visto quelli del comitati del Viminale e dubita che una decisione come quella di lasciar morire Moro possa essere reperita negli archivi. Per Aldo Giannuli (che propone di rivolgersi formalmente al governo), Biondo, De Lutiis, Biscione e Sechi, Pieczenick non poteva dare orientamenti e prendere decisioni senza avere preventivamente informato il suo governo e anche quelli di paesi della Nato. Spetta quindi a Prodi e a D'Alema ad accertare come siano andate le cose. Luigi Carli, il magistrato di Chiavari,dove furono fondate le Brigate Rosse, ricorda i collegamenti della colonna genovese delle BR con altre bande terroristiche come i tedeschi della Baader Meinhof, della spagnola Eta, dell'irlandese Ira. «Le armi dei brigatisti erano rivoltelle che provenivano dalla Cecoslovacchia, e fucili mitragliatori Sten dati da Al Fatah ed eccezionalmente dal Mossad israeliano».
Rosario Priore conferma la costante presenza del terrorismo arabo-palestinese nei principali «misteri » italiani L'estraneità della Cia è al centro degli interventi di Roberto Bartali e Salvatore Sechi Sechi, mentre terreno di unità è la critica severa rivolta ai ministri Amato e Parisi e alle commissioni parlamentari d'inchiesta per conservale i sigilli della secretazione su documenti degli stessi anni quaranta, sottraendoli alla consultazione dei ricercatori. «Non possiamo fare di più che sollecitare la liberalizzazione degli accessi» dichiara sconsolata la direttice dell'Archivio Storico del Senato, Elele Campochiaro.
16/03/2008 ANSA

MORO/30: 17 MARZO, ITALIA ANCORA SOTTO CHOC /ANSA LE INDAGINI SEMBRANO FERME, ANCORA NESSUN SEGNALE DALLE BR

  Il giorno dopo il rapimento di Moro e l'eccidio della scorta, l'Italia è ancora sotto choc. Nessuno sembrava aspettarsi che il minacciato «attacco al cuore dello Stato» colpisse davvero così in alto. Ecco gli sviluppi di quella giornata attraverso la cronaca dell'ANSA: 04:56 - in via Licinio Calvo, vicino a via Fani, viene trovata la Fiat 128 bianca, una delle auto usate dai rapitori di Moro. A bordo un paio di tronchesi e un pezzo di catena. Sembra che, per fuggire, i terroristi siano passati da una strada privata chiusa con una catena. 10:45 - si riunisce il comitato interministeriale sulla sicurezza. Presieduto dal presidente del Consiglio Andreotti, ne fanno parte i ministri Cossiga (Interno), Forlani (Esteri), Malfatti, Ruffini, Donat Cattin, i capi di Sismi e Sisde (Santovito e Grassini), i generali dei carabinieri Corsini e De Sena, il capo della polizia Parlato, il comandante della Guardia di finanza Giudice, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Milazzo. 11:49 - alla redazione torinese dell'ANSA arriva una telefonata, di dubbia attendibilità, da parte della Colonna armata Walter Alasia, che chiede la liberazione di alcuni militanti di Azione rivoluzionaria e dei Nap. 12:51 - il giudice Infelici firma sessanta ordini di perquisizione nelle zone Trionfale, Balduina e Belsito. Tra le abitazioni perquisite anche quelli di Valerio Morucci e di Lanfranco Pace. 13:34 - cominciano le autopsie sui cinque uomini della scorta. Sono stati tutti colpiti da almeno tre proiettili. Qualcuno anche da sette o più. Tutti i colpi sono stati sparati dal lato del bar Olivetti, meno quelli che hanno uccisi il maresciallo Leonardi, che provenivano dalla direzione opposta. 14:58 - in una interrogazione, l'on. Pino Rauti, del Msi, chiede i motivi di un'operazione compiuta a Roma il giorno prima della strage, con perquisizioni a «giovani anticomunisti» in una zona vicino a via Fani. La richiesta sarebbe partita dalla Procura milanese sulla base di una segnalazione che dava «per imminente un grave atto terroristico concertato tra eversori italiani in collegamento con gruppi stranieri». La Digos smentiva l'operazione, ma un funzionario precisava che «ovviamente, anche se il fatto fosse avvenuto, non ne daremmo notizia alla stampa». 19:41 - sarebbe stato individuato il negozio (o magazzino) dove i terroristi avrebbero acquistato le divise dell'aviazione civile. 19:59 - Pietro Del Giudice, il cui nome era presente tra i 20 diffusi il giorno prima dal Vicinale, dichiara:«non sono mai stato, nè sono, nè sarò, finchè‚ nelle mie facoltà, membro o simpatizzante delle Brigate rosse». 22:53 - si apprende che il 16 marzo è stato fermato Gianfranco Moreno, impiegato in una banca di via delle Botteghe Oscure. Moreno, che sarà liberato dopo un paio di giorni, sarebbe stato visto il 24 febbraio in via Savoia introdursi, con fare sospetto, nel giardino su cui affacciano le finestre dello studio di Moro.
16/03/2008 ANSA

MORO/30: AGNESE, HO PERDONATO MA BR DEVONO DIRE LA VERITÀ

  «Io penso di sì». Così risponde Agnese Moro nello speciale Gr1 sull'omicidio di suo padre, a 30 anni dalla morte, quando le si chiede se stringerebbe la mano all'ex br Mario Moretti, mente ed esecutore della strage. «Credo, dentro di me, di aver... è una parola grossa, perdonato tutti. Però -aggiunge- dovrebbero anche loro fare la loro parte». Per la figlia dello statista scomparso «in chi ha partecipato alla lotta armata dovrebbe nascere il senso di una responsabilità nei confronti della collettività» che dovrebbe indurre a «dire la verità su tutto quello che è successo in quegli anni». Agnese Moro, che già tempo fa strinse la mano all'ex br Alberto Franceschini, ha voluto però ricordare gli uomini di scorta a suo padre. «Credo sia doveroso -dice- che l'attenzione si soffermi sulle persone che sono morte in via Fani. Non erano dei simboli, non erano dei boia, erano delle persone, delle brave persone, persone del popolo, persone buone piene di sogni, di speranze. Di affetti che sono stati stroncati quel giorno».
16/03/2008 ANSA

MORO/30: EX AMB.GARDNER; BR RESPONSABILI, CIA NON INTERVENNE

  La responsabilità del rapimento Moro «fu esclusivamente delle Brigate Rosse, è stata una cosa 'domesticà»: lo afferma ai microfoni del Gr1 Richard Gardner, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma all'epoca del rapimento di Aldo Moro. Rispondendo alla domanda sul fatto che durante il sequestro 'l'Italia chiese aiuto alla Cia, voi cosa decideste di fare?', il diplomatico risponde: «Noi abbiamo deciso dall'inizio di non intervenire perchè se l'America avesse preso posizione sarebbe stato un grande errore perchè con la morte di Moro tutti avrebbero dato la responsabilità all'America». «Un certo Pieczenik, funzionario del dipartimento di Stato» fu inviato a Roma, anche se con «responsabilità molto limitate», prosegue l'ex ambasciatore, riferendosi a Steve Pieczenik, all'epoca assistente del sottosegretario Usa, psichiatra, specialista in 'gestioni di crisì e di terrorismo. Gardner nega che tale presenza abbia rappresentato un intervento della Cia («No, no, la Cia non entra in questa questione») e rileva inoltre che Pieczenik era «un uomo instabile, dopo un mese ha chiesto a tutti noi di tornare in America». Alla domanda, infine, se non abbia 'dopo tanti anni dei ripensamentì, se non ritiene che 'avreste potuto fare di più?', il diplomatico Usa risponde: «Non vedo alternative al comportamento che abbiamo dimostrato, abbiamo fatto tutto il nostro dovere per aiutare un alleato come l'Italia».
16/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: BRUTTI, DA DOMANI POSSIBILE CONOSCERE TUTTI I DOCUMENTI = VICEPRESIDENTE COPASIR, È GIUNTO IL MOMENTO DELLA VERITÀ E DELLA CONOSCENZA

  «Oggi ricorre il trentesimo anniversario dell'attacco brigatistico e della strage nella quale furono barbaramente uccisi gli uomini dello Stato che in quei giorni scortavano e proteggevano il presidente Moro. La legge dà oggi la possibilità di far conoscere tutti i documenti dei servizi di informazione e sicurezza risalenti al 1978». Ad affermarlo ad Articolo 21 è il Senatore Massimo Brutti, Vicepresidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). «Vi fu allora una tragica sconfitta della democrazia italiana, che non seppe prevenire e neutralizzare la strategia e le trame dei terroristi e dei loro complici. È giunto il momento della verità e della conoscenza», aggiunge Brutti, per il quale «È importante che la memoria di quegli episodi e delle minacce eversive che assediavano il Paese si estenda». «Che sia insomma possibile capire di più e meglio che cosa avvenne in Italia, nella società, negli apparati dello Stato, nell'antiterrorismo, nel sistema politico durante i mesi convulsi della primavera del '78. Tutto ciò è ora possibile -sottolinea Brutti- ed è nelle mani dirette dei cittadini e di giornalisti che vorranno sapere».
«Conoscere tutti i documenti degli apparati risalenti a quel periodo, ma anche sapere quanti documenti sono stati distrutti e perchè, significa allargare e approfondire la memoria -conclude Brutti- significa contribuire alla verità di cui la democrazia ha bisogno». Articolo 21 poi chiede a Claudio Scajola, presidente del Copasir, di «nominare uno o più relatori per cominciare l'esame dei restanti regolamenti. C'è un bisogno vitale di quei regolamenti, non bisogna perdere tempo prezioso». «Intanto -conclude Articolo 21- l'unico dei regolamenti sui quali la commissione ha espresso il parere, proprio quello sul segreto di Stato, sia comunque varato dal Governo. Esso, infatti consentirebbe di rendere pubblici i documenti segreti che risalgono a 30 anni fa: si potrebbe quindi fare luce sul caso Moro, che risale al 1978».
16/03/2008 RomLom

MORO/30: BONISOLI, MEGLIO COI GIOVANI CHE STARE IN SILENZIO

  «Oggi per me è dura, ma sono certo che per i familiari delle vittime deve essere veramente dura. Il mio dolore è nulla rispetto a quello che penso sia il loro e al quale va il mio massimo rispetto». Sono le parole di Franco Bonisoli, l'ex Br che fece parte del commando di via Fani, invitato oggi per incontrare i giovani durante l'incontro con gli adolescenti organizzato dalla diocesi di Milano al Palasesto di Sesto San Giovanni, a cui ha partecipato anche il cardinale Dionigi Tettamanzi. Bonisoli, in libertà dal 2002, dopo 23 anni di carcere, un lavoro, una famiglia e molta attività nel campo del volontariato, ha aggiunto: «sono stato molto combattuto dall'idea di aderire a questa iniziativa, proprio perchè oggi è il 16 marzo ed è il 30/o anniversario» di via Fani. «Però ho accettato - ha proseguito - perchè sarebbe stato più comodo stare in silenzio, piuttosto che affrontare il giudizio di questi giovani». Giovani che ha incontrato per raccontare la sua esperienza di vita: «le mie scelte, il passaggio e la rottura con il passato e anche la possibilità di evolvere dal male al bene».
16/03/2008 ANSA

MORO/30: BONISOLI, OGGI NON STO BENE MA HO DONO SECONDA VITA

  «Oggi non mi sento bene, come sempre, perchè è una cosa che non puoi dimenticare. Non è che passato un anniversario non ci pensi più...». È stata la constatazione di Franco Bonisoli, ex Br che fece parte del commando di via Fani, parlando a margine dell'incontro con gli adolescenti, organizzato dalla Diocesi di Milano, al Palasesto di Sesto San Giovanni. «Penso che se ho avuto il dono di questa seconda vita - ha proseguito - il mio impegno è quello di spenderla nel modo migliore». Bonisoli, che ha raccontato ai giovani la sua esperienza, ha anche precisato: «sia chiaro che io non voglio insegnare niente. So che i giovani hanno ottime capacità di valutare in modo critico e di compiere le scelte più giuste».
16/03/2008 ANSA

MORO/30: BONISOLI, IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI

  «Il fine non giustifica i mezzi»: lo ha detto Franco Bonisoli, ex brigatista che fece parte del commando che rapì Aldo Moro e uccise la sua scorta, 30 anni fa, a margine dell'incontro con gli adolescenti della diocesi di Milano, organizzato al Palasesto di Sesto San Giovanni. Bonisoli ha spiegato di essere stato contattato circa un mese fa da un educatore di sua conoscenza, per portare la testimonianza della sua esperienza passata ai ragazzi. Ricordando il passato con cui ha rotto, ha aggiunto: «allora, nella nostra idea, ritenevamo la violenza l'unico mezzo necessario per combattere la realtà. Oggi dico: il fine non giustifica i mezzi».
16/03/2008 ANSA

MORO/30: FIGLIA AGNESE, NON DIMENTICARE ALTRE VITTIME

  «Sono qui per ricordare non solo mio padre Aldo Moro, ma anche i suoi compagni di viaggio: Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Non accada mai più che i loro nomi vengano dimenticati». Lo ha detto Agnese Moro, figlia dello statista Dc ucciso dalle Br, intervenendo a Viterbo all'incontro sul tema «Per non dimenticare Aldo Moro, per conoscere la nostra storia», organizzato dalla Provincia, in collabrazione con l'Archivio Flamigni, l'Archivio di stato e la Cgil di Viterbo. Oltre alla figlia di Moro, hanno partecipato Benedetta Tobagi (figlia del giornalista ucciso dalla Br il 28 maggio 1980), il senatore Sergio Flamigni, il presidente della Provincia Alessandro Mazzoli, Ilaria Moroni dell'Archivio Flamigni e il segretario generale della Cgil Giovanni Battista Martinelli. «Ricordo mio padre - ha aggiunto Agnese Moro - mentre mi teneva per mano, quando mi portava di notte un bicchiere d'acqua, quando mi accompagnava al circo, a teatro e al cinema a vedere i film western. Film che lui non riusciva a seguire e dei quali, all'uscita, mi chiedeva di raccontargli la trama».
Agnese Moro ha poi auspicato che sul senso del terrorismo italiano e su cosa è andato ad abbattere «sia fatta una seria riflessione perchè sono state colpite le persone che avevano la capacita di aprire nuovi e più ampi orizzonti». Toccante anche la testimonianza di Benedetta Tobagi. «Non ho ricordi di mio padre, perchè quando fu ucciso - ha detto - ero molto piccola. Ma ho ripercorso minuziosamente la sua vita intellettuale. Oggi - ha sottolineato - lo voglio ricordare non solo per il suo modo di essere giornalista, ma anche per un'attività che spesso passa sotto silenzio. Mio padre Walter era uno storico che aveva la pretesa di voler capire per poter spiegare». Benedetta Tobagi ha affermato che il padre fu ucciso proprio per il suo modo di raccontare le cose. «Nel volantino delle Br che rivendicava il suo attentato - ha ricordato - è scritto chiaramente che i brigatisti lo hanno colpito perchè 'era il caposcuola di quella tendenza intelligente del giornalismo italianò». Infine, il senatore Sergio Flamigni ha sostenuto che la storia del sequestro e dell'uccisione di Moro «è in larga misura ancora da scrivere».
16/03/2008 ANSA

MORO/30: BRUTTI A 'ARTICOLO 21',LEGGE DÀ ACCESSO DOCUMENTI

  A 30 anni dalla strage di via Fani c'è la possibilità, in base alla legge, di far conoscere tutti i documenti dei servizi di informazione e sicurezza risalenti al 1978. A sostenerlo ad Articolo 21 è il vicepresidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Massimo Brutti. «È importante - afferma - che la memoria di quegli episodi e delle minacce eversive che assediavano il Paese si estenda, che sia insomma possibile capire di pi— e meglio che cosa avvenne in Italia, nella societ…, negli apparati dello Stato, nell'antiterrorismo, nel sistema politico durante i mesi convulsi della primavera del '78. Tutto ci• Š ora possibile ed Š nelle mani dirette dei cittadini e di giornalisti che vorranno sapere». «Conoscere tutti i documenti degli apparati risalenti a quel periodo, ma anche sapere quanti documenti sono stati distrutti e perch‚ - aggiunge Brutti - significa allargare e approfondire la memoria». Articolo 21 chiede a Claudio Scajola presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) «di nominare uno o più relatori per cominciare l'esame dei restanti regolamenti. C'è un bisogno vitale di quei regolamenti, non bisogna perdere tempo prezioso. Intanto l'unico dei regolamenti sui quali la commissione ha espresso il parere, proprio quello sul segreto di Stato, sia comunque varato dal Governo. Esso, infatti - sostiene Articolo 21 - consentirebbe di rendere pubblici i documenti segreti che risalgono a 30 anni fa: si potrebbe quindi fare luce sul caso Moro, che risale al 1978».
16/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: EX AMBASCIATORE USA, LA CIA NON INTERVENNE = GARDNER, PIECZENICK? UN UOMO INSTABILE- RAPIMENTO? FU AZIONE 'DOMESTICA' DELLE BR

  «La Cia non entrò nel caso Moro». Lo ha affermaro Richard Gardner, allora ambasciatore americano a Roma, ricordando quei drammatici giorni al microfono di Bruno Sokolowicz nello speciale trasmesso dal Gr 1 delle 8.00 sull'anniversario della strage di via Fani. Alla domanda su cosa decidesero di fare gli Usa alla richiesta di aiuto da parte dell'Italia, Gardner ha risposto: «Noi abbiamo deciso dall'inizio di non intervenire perchè se l'America avesse preso posizione sarebbe stato un grande errore. Perchè con la morte di Moro tutti avrebbero dato la responsabilità all'America». L'ex ambasciatore ammette che un aiuto fu dato: «Un certo Pieczenik, funzionario del Dipartimento di Stato, è arrivato a Roma ma lui aveva responsabilità molto limitate». Gardner nega che quello fu un intervento della Cia.«No, no, la Cia non entra in questa situazione».Pieczenik tuttavia diede una versione diversa e non parlò bene di Gardner.«Lui?è un uomo instabile. Dopo un mese ha chiesto a tutti noi di tornare in America...». Alla domanda su chi ci fosse dietro il rapimento di Aldo Moro, l'ex ambasciatore non ha dubbi: «La responsabilità fu esclusivamente delle Brigate Rosse. È stata una cosa »domestica«. Ma gli Usa avrebbero potuto fare di più? »Non vedo alternative al comportamento che abbiamo dimostrato. Abbiamo fatto tutto il nostro dovere per aiutare un alleato come l'Italia«.
15/03/2008 ANSA

MORO/30: CRONISTA ANSA, QUELLA MIA GIORNATA PARTICOLARE/ANSA 16 MARZO 1978, DOVEVO SCIOPERARE. DAL BARBIERE CORSA IN VIA FANI

  (di GIANNI MORINI) Un doppio salto mortale carpiato all'indietro. Un tuffo nel passato di 30 anni ad altissimo coefficiente di difficoltà. Così mi sento, quasi fossi sul trampolino olimpico, nel rievocare oggi e far riemergere ricordi e sensazioni di quell'incredibile giornata di tre decenni fa. Quella mattina ero dal barbiere, proprio così. Mentre all'incrocio tra via Fani e via Stresa deflagrava la «geometrica potenza di fuoco» delle brigate rosse, il cronista che dal almeno un lustro seguiva la sanguinosa scia tracciata dalla follia del partito armato se ne stava tranquillamente sprofondato nella poltrona del suo barbiere di fiducia. Alle 8:30 di un mattino che annunciava primavera, avevo deciso di farmi rasare dal mio amico 'Totonnò, chiacchierando di calcio. Andavo ripetendomi che, finalmente, nulla mi avrebbe impedito di rilassarmi un pò, magari con quella partita a tennis da tempo rinviata. D'altronde, per un altro singolare incrocio del fato, il 16 maggio avrebbe dovuto essere una giornata di silenzio dell'informazione. C'era lo sciopero indetto per il nuovo rinnovo del contratto nazionale del lavoro, ed anche l'ANSA aveva chiuso i battenti. «Interrompiamo le trasmissioni...». Immediato silenzio nella piccola barberia. Cosa andava blaterando la radiolina? «Agguato e sparatoria...», «Rapito il presidente della Dc, Aldo Moro...»,«Assassinati i cinque agenti della scorta...». Incredulo, scatto dalla poltrona e salto sull'auto mentre, come nei film de 'Il Padrinò, con un asciugamano mi tolgo la schiuma dal volto. Come qualche centinaio di colleghi, non mi chiedo affatto se le telescriventi abbiano ripreso a battere perchè so già che è così. Penso solo a raggiungere il prima possibile un telefono: il fantastico cellulare dei giorni nostri era allora un oggetto alieno, ben lontano dalla realtà, ed un cronista che si rispettasse doveva sempre avere con sè un'adeguata scorta di gettoni telefonici. Dal contatto con la redazione la conferma: l'ANSA ha ripreso il lavoro e sta trasmettendo a getto continuo. Allora via fino a qual maledetto incrocio, dove quel che vedi ti dice che ora tutto sta cambiando e che il 16 marzo non sarà mai più un giorno come un altro. Ti guardi attorno e capisci che è finito il tempo dei 'sè e dei 'mà... Comincia invece quello delle tante domande e delle poche risposte.
15/03/2008 ANSA

MORO/30: IL RICORDO DEL PRIMO FOTOGRAFO IN VIA FANI /ANSA LA SERA TROVAI LA CASA SOTTOSOPRA MA NON ERA SPARITO NULLA

  «Arrivai che i cadaveri non erano ancora stati ricoperti dai teli bianchi. C'era poca gente. Sono stato il primo fotografo in via Fani. Era passato poco più di un quarto d'ora dal rapimento del presidente della Dc». Antonio Ianni, oggi in pensione, fotografo dell'ANSA, ho raccontato tempo fa come ha vissuto quel 16 marzo e i dettagli e l'emozione di quel «primo servizio importante». Una delle sue prime foto, scattate quel giorno, fu quella di una borse di pelle nera, ad una decina di metri dalle auto, accanto al marciapiede e che «sembrava smarrita da qualcuno». Le foto successive furono scattate all'interno delle auto. C'era una pistola di un agente di scorta ancora posata sul cruscotto. «Ricordo di avere visto sui sedili posteriori un grosso pacco di giornali e forse qualche cartellina. Alzai gli occhi perchè sentii un elicottero che fece un paio di giri sulle nostre teste e poi scomparve. Non mi sembrava avesse segni distintivi evidenti della polizia o dei carabinieri. Ebbi solo il tempo di fare quelle foto mentre arrivavano i fotografi delle altre grandi agenzie straniere poi fummo allontanati tutti dal servizio d'ordine e continuammo a scattare foto da un terrazzo lì vicino». «Poco dopo - ricorda Ianni - andai a Pratica di Mare per cercare di fare delle riprese dall'alto. Mi informai e mi dissero che in quell'ora nessun elicottero si era alzato in volo a Roma. Mi ricordai di quell'elicottero che avevo visto senza alcuna insegna: era un elicottero civile. Notai, riflettendo, che in fondo a via Fani, a sinistra c'è un boschetto. Quell'elicottero non sapevo spiegarmelo». «Tornato a casa la sera la trovai tutta sottosopra. Letteralmente sottosopra. La mia pistola sul letto, l'oro, l'orologio e tutti i beni, tutto sul letto. Nessuno aveva toccato nulla ma la casa era sottosopra».
15/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: COSSIGA, ANCHE PER IMPOSIMATO LA VECCHIAIA È ARRIVATA

  «Si vede che la vecchiaia è arrivata, poverino! anche per il giudice Imposimato!». Così il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga commenta le dichiarazioni del magistrato Ferdinando Imposimato sul caso Moro, secondo le quali lo stesso Cossiga saprebbe, sulla vicenda, cose che non ha detto.
15/03/2008 ANSA

MORO/30: RASSEGNA STAMPA DEL 1978 A PRIMA PAGINA RADIOTRE

  Radio3 ripercorre i giorni del rapimento e dell'omicidio di Aldo Moro attraverso la lettura dei principali quotidiani del 1978. Da lunedì al 10 maggio alle 20.00, i giornalisti di Prima Pagina propongono una rassegna stampa storica. La prima e l'ultima puntata verranno affidate a Miriam Mafai.
15/03/2008 ANSA

MORO/30: 16 MARZO, MORO RAPITO MENTRE STAMPA SCIOPERA /ANSA COME L'ANSA RACCONTÒ LA GIORNATA DEL SEQUESTRO

  Il 16 marzo 1978, mentre le Brigate rosse rapivano Aldo Moro trucidando i cinque uomini della sua scorta, l'ANSA, come tutta la stampa italiana, era in sciopero. In agenzia alle 7 di mattina erano partite due giornate di protesta, la prima da parte dei giornalisti, la seconda da parte dei poligrafici. La notizia del rapimento cambia i programmi. L'agenzia si rimette rapidamente in movimento. Tutti i redattori vengono chiamati a casa e si precipitano al lavoro. Alle 10:14 (un'ora dopo l'agguato) una nota di servizio avvisa gli utenti che lo sciopero Š sospeso e che l'ANSA riprende immediatamente le trasmissioni. Un minuto dopo, la prima notizia trasmessa Š quella della rivendicazione:«Questa mattina - scrive l'ANSA riportando il testo di un messaggio telefonico arrivato 5 minuti prima alla redazione - abbiamo sequestrato il presidente della Dc ed eliminato la sua guardia del corpo, 'teste di cuoiò di Cossiga. Brigate Rosse». Ancora pochi minuti, un'altra notizia racconta quello che era successo:«Aldo Moro Š stato rapito stamane attorno alle 9.15 in via Mario Fani all'angolo con via Stresa. Gli uomini che erano di scorta sono stati uccisi a colpi di mitra da un commando armato. Aldo Moro si trovava su una Fiat 2300 color blu targata ROMA T50354, la quale era scortata da una Alfetta color bianco targata ROMA S93393». Abbastanza rapidamente le notizie si precisano sempre di pi—, aggiungendo particolari e dando conto dell'immediato arrivo sul posto della moglie di Moro e dei dirigenti delle forze dell'ordine. Ecco i principali sviluppi della giornata: 10:53 - sciopero generale nazionale proclamato dai sindacati dalle 11 alle 24 in segno di protesta per il rapimento 11:24 - riunione straordinaria del Consiglio dei ministri. 11:53 - il vicebrigadiere Zizzi «Š stato ricoverato nel policlinico Gemelli dove i chirurghi lo stanno ora operando». 12:05 - il segretario del Pri, Ugo La Malfa, dichiara che «allo stato di guerra si risponde con misure eccezionali di guerra. Anche ripristinando la pena di morte». 12:46 - Zizzi Š morto. 13:30 - «vicino al luogo dell'agguato Š stato trovato un ordigno esplosivo, nascosto in una Mini Minor». Una notizia risultata poi infondata. 14:07 - quando i 15 brigatisti detenuti nel carcere di Torino, «sono venuti a conoscenza dell'attentato sentendo la radio, alcuni di loro si sono messi a cantare, altri hanno dato inizio a manifestazioni di compiacimento». 14:16 - la seduta alla Camera Š terminata. Il presidente del Consiglio Andreotti ha esposto le linee programmatiche del governo. 16:32 - «la polizia sta vagliando la testimonianza di una donna che avrebbe sentito preannunciare alla radio il rapimento di Moro. La donna, che lavora come collaboratrice domestica, ha detto che verso le 8.10 ha sentito dire da un'emittente privata che l'on. Moro sarebbe stato rapito alle 9.15». 17:25 - la polizia ha accertato che il venditore ambulante di fiori che si trova tutte le mattine in via Fani, angolo via Stresa, «ha trovato pneumatici della sua autovettura squarciati a colpi di coltello». 17:45 - «abbiamo una traccia importante - ha detto Infelisi - i terroristi hanno usato tra le altre un'arma sovietica piuttosto rara e una Nagant cecoslovacca». Ma non era vero. 18:02 - tra le testimonianze. quella di due coniugi che portavano a spasso il cane in via Fani:«un uomo che faceva parte del gruppo di terroristi ci ha detto con un accento strano, sicuramente straniero:'scappate, scappatè». 19:03 - una delle auto presumibilmente usate dal commando, una 128 bianca, Š stata ritrovata vicino a Forte Braschi. Il ritrovamento viene poi smentito il giorno dopo. 19:32 - il procuratore capo De Matteo:«certamente un delitto cos perfetto, preparato al minuto, con la chiusura di linee telefoniche che non mi pare possano essere considerate una coincidenza occasionale significa che Š un delitto preparato ed eseguito con l'abilit… di tiratori scelti, da persone che sanno sparare da vicino e lontano». 20:42 - il quarto governo Andreotti ha ottenuto la fiducia della Camera con 545 voti favorevoli e 30 contrari (Pli, Msi e Dp). Astenuti i tre sudtirolesi. Al momento del voto i radicali erano fuori dall'Aula. 20:51 - «le foto di 20 brigatisti latitanti saranno distribuite a tutte le forze di polizia, ai commissariati e ai posti di blocco dal ministero dell'Interno». Tra i nomi, quelli di alcuni che avevano realmente fatto parte del commando come Moretti, Gallinari e Bonisoli, quelli di altri Br come Peci, Azzolini, Micaletto, di un paio di Prima linea come Alunni e Susanna Ronconi, del genero dell'Abb‚ Pierre Innocente Salvoni, del killer politicizzato Giustino De Vuono. 1:45 del 17 marzo - la convulsa giornata politica si concludeva a notte iniziata con il voto del Senato che concedeva la fiducia al governo Andreotti con il voto favorevole di 267 senatori (di Dc, Pci, Psi, Psdi, Pri, Democrazia nazionale, Sinistra indipendente) e quello contrario di cinque senatori di Msi e Pli.
15/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: AL VIA INIZIATIVE SAP IN RICORDO SACRIFICIO SCORTA = COMMEMORAZIONI DEL SINDACATO DI POLIZIA FINO A MAGGIO

  A trent'anni dal rapimento di Aldo Moro il Sindacato Autonomo di Polizia (Sap) annuncia l'avvio di una serie di iniziative di commemorazione in tutta Italia che si concluderanno nel mese di maggio, con l'anniversario della strage di Capaci. Il Sap vuole ricordare il sacrificio dei cinque uomini della scorta, Oreste Leopardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino che la mattina del 16 marzo 1978 in via Fani hanno perso la vita per servire lo Stato. «Un tributo di morte -afferma il segretario generale del Sap, Filippo Saltamartini- che non dobbiamo dimenticare e che deve farci riflettere, oggi come allora, sul sacrificio personale che ogni giorno le donne e gli uomini della Polizia di Stato e delle Forze dell'Ordine compiono per garantire la sicurezza dei cittadini». «Un sacrificio -aggiunge Saltamartini- che lo Stato non sempre onora, se non quando c'è da prender parte a un funerale o a una commemorazione. Spesso i parenti delle vittime, dopo l'iniziale momento di commozione, vengono trascurati e dimenticati, e non percepiscono neppure quanto spetta loro. Magari, chi in passato ha svolto attività terroristica e distrutto famiglie, giovani vite, oggi si ritrova in Parlamento o collabora ben pagato con le Istituzioni. È inaccettabile». «Del resto -conclude il segretario generale del Sap- quando un Governo, come quello in carica, riduce le risorse destinate alle Forze dell'Ordine, regalando aumenti da 5 euro e tagliando le voci di spesa relative alla benzina delle volanti o ai computer dei nostri uffici, c'è poco da stare allegri. E, in qualche modo, è come continuare ad offendere la memoria di chi, come Oreste, Domenico, Francesco, Giulio e Raffaele, ha pagato con la vita il proprio senso del dovere».
15/03/2008 ANSA

RAIDUE: TG2 DOSSIER DEDICATO AL CASO MORO

  Via Fani, 16 marzo 1978: è il titolo della puntata di domani di Tg2 Dossier, in onda alle 18 su Raidue. Gli anniversari possono riaprire ferite mai rimarginate del tutto. Il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, 30 anni fa, sono una vicenda centrale e tragica della nostra storia: uno spartiacque, un prima e un dopo, per la politica e per l'Italia. In Tg2 Dossier la ricostruzione della mattina del 16 marzo 1978 e i 55 giorni con i politici divaricati tra il partito della fermezza e quello della trattativa. In studio con Mauro Mazza tre protagonisti di allora, con i loro ricordi e le loro riflessioni: Guido Bodrato (Dc), Gianni Cervetti (Pci), Rino Formica (Psi).
15/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: FU GOLPE INTERNAZIONALE? ESPERTI DI TERRORISMO A CONVEGNO = A CENTO, SU INIZIATIVA DELLO STORICO SALVATORE SECHI

  Nella sala del Governatore del Comune di Cento, patria del Guercino, dopo 30 anni dal sequestro Moro i principali studiosi del terrorismo brigatista per la prima volta, sono stati adunati intorno ad un tavolo per capire chi è stato il carnefice della più illustre vittima dell'Italia repubblicana, in un convegno nazionale dal titolo «Il delitto Moro:golpe internazionale e/o terrorismo nazionale? Secondo il sindaco di Cento, Flavio Tuzet, »il delitto di Aldo Moro assomiglia molto all'autobiografia della democrazia repubblicana. Di fronte alla debolezza, se non all' impotenza, dello Stato, e per capire le ragioni e le origini del terrorismo, il Comune di Cento che io rappresento, ha preferito evitare di spacciare sentenze«. Cos' il primo cittadino si è rivolto al titolare della cattedra di Storia Contemporanea dell'Università di Ferrara, prof. Salvatore Sechi che, insieme al direttore della rivista »Nuova Storia Contemporanea«,Francesco Perfetti, e del Centro Studi Storia dell'Europa Orientale di Trento, Fernando Orlandi, ha dato vita a questo incontro tra studiosi a carattere nazionale. »Non intendiamo minimamente interferire in un dibattito che è, e deve restare,di natura rigorosamente scientifica. Nessuna asprezza di toni, ma solo il comune desiderio,anche se le opinioni restrenno divergenti« assicura Francesco Perfetti »di capire come sono andate le cose nei 55 lunghi giorni del rapimento e della morte di Moro.« «Bisognerà far prevalere il principio che gli indizi non sono delle prove, e i sospetti non autorizzano alcuna condanna» osserva Fernando Orlandi. Gli ha fatto eco l'organizzatore del convegno, Salvatore Sechi:«Purtroppo il mestiere dello storico di capire in questi lunghi anni si è deteriorato enormemente perchè si è confuso, anzi è stato da essi sopraffatto, con quello dei giudici, che emettono sentenze». Obiettivo dell'assise di studiosi ed esperti di terrorismo interno e internazionale, anche quello di fare il punto sulle interpretazioni, spesso radicalmente diverse, che sono fiorite negli ultimi 30 anni sul caso Moro.Da una parte magistrati autorevoli come come Luigi Carli (che guidò il processo contro la colonna genovese delle Brigate Rosse) e Rosario Priore (ha guidato molti «misteri d'Italia come la strage di Piazza Fontana, l'attentato al papa, la strage di Ustica, lo stesso processo Moro), dall'altra un testimone come il responsabile dei servizi di sicurezza dell'epoca, Francesco Mazzola (autore di un romanzo,appena ripubblicato, sul delitto Moro), che ha rilanciato la pista arabo-palestinese e il ruolo inquietante dei servizi segreti sovietici (il Kgb) e della Cecoslovacchia. Ma non demordono più di tanto, anche se sono diventati più cauti, i vecchi sostenitori delle trame ordite dalla Cia e dai servizi occidentali ed israeliani per stroncare la strategia del compromesso storico. Di fronte a loro il decano degli studiosi dell'intelligence, prof. Giuseppe De Lutiis, insieme a Gianni Cipriani, Nicola Biondo, Aldo Giannulli, Stelio Marchese, Francesco Biscione avranno altri studiosi più giovani che negano, o ridimensionano (come il giovane Roberto Bartali), i cosiddetti collegamenti internazionali del terrorismo. Sarebbe stato una sorta di fiore di serra, un prodotto coltivato in casa, autosufficente, nel bene e nel male secondo studiosi agguerriti, non disposti ad avallare tesi che non siano fondate su documenti inconfutabili, come Vladimiro Satta, Marco Clementi, Andrea Colombo, tutti autori di recenti saggi che vanno in libreria proprio in concomitanza con il trentennale del sequestro. Ma sarà anche un confronto mediatico di alto livello grazie alla presenza di giornalisti come Giovanni Bianconi ( del «Corriere della Sera», autore per Einaudi di «Eseguendo la sentenza»), Sandro Provvisionato (vice-direttore del Tg 5, e autore col giudice Imposimato, per Chiarelettere, di «Doveva morire»), di Paolo Mastrolilli (della redazione esteri del Tg1), di Andrea Colombo (di «Liberazione», autore , per l'editore Cairo, di «Un affare di Stato»), di Giampaolo Pelizzaro (della rivista «Area»). Il corrispondente da New York de «La Stampa», Maurizio Molinari, sta preparando, è stato anticipato al convegno, un' intervista con il principale esponente del Dipartimento di Stato in Italia durante la detenzione di Moro.
15/03/2008 ANSA

MORO/30:R.VATICANA,FIGLIA AGNESE RICORDA UOMINI DELLA SCORTA

  «La strage di via Fani è stato il primo atto drammaticissimo che non deve essere dimenticato». A trent'anni dal rapimento del padre a via Fani a Roma, Agnese Moro ha voluto ricordare - ai microfoni della Radio Vaticana - i cinque uomini della scorta del presidente della Democrazia Cristiana, trucidati in quell' occasione dalle Brigate Rosse. «Erano cinque persone, cinque esseri umani, non erano dei simboli. Avevano le loro vite, i loro affetti, le loro speranze e i loro desideri. E sono stati uccisi in un modo terribile e, da un certo punto di vista, inutile. Bisogna ricordarli - sottolinea la figlia terzogenita di Aldo Moro - perchè il loro sacrificio pesa sulla coscienza di tutti». Nella trasmissione 'Al di l… della notizià è intervenuta anche Maria Laura Rocchetti, la vedova dell'appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci che faceva parte della scorta di Moro. «Mio marito era un uomo meraviglioso, affettuoso, amava la famiglia - ha affermato la signora Rocchetti - ci tengo a dire che dietro la sua divisa c'era un uomo, un padre di famiglia, amico di tante persone. E non un servo dello Stato».
15/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: ANDREASSI, SU GRADOLI INDICAZIONE VENNE DA MORUCCI = NEL LIBRO DI ALFANO, MA PER L'EX BRIGATISTA OGNUNO DÀ SFOGO ALLE PROPRIE FANTASIE

  Fu Valerio Morucci, capo della colonna romana delle Brigate Rosse, a far arrivare ai professori di Bologna, tra cui Romano Prodi, l'indicazione di Gradoli per 'bruciarè il covo che ospitava a Roma Mario Moretti. Questa chiave di lettura della vicenda che risale al 2 aprile 1978, in pieno sequestro Moro, la fornisce Ansoino Andreassi, allora dirigente della Polizia di Stato, nel libro 'Tutto sia calmò, di Franco Alfano (Ed. Eri). «Per me l'indicazione venne da Morucci, che era in forte dissenso con Moretti sulla conclusione del sequestro» afferma Andreassi ad Alfano, ex cronista della tv privata Gbr che mise a segno il 9 maggio '78 uno scoop sensazionale, unico a filmare il ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani dal primo piano dell'omonimo palazzo nobiliare. Secondo Andreassi, che proprio il 10 maggio '78 passò alla Digos di Roma seguendo tutte le indagini sulla strage di via fani e sull'omicidio di Aldo Moro, «Morucci deve aver tentato di bloccare Moretti, fornendo la notizia dell'esistenza del covo di via Gradoli, molto probabilmente o a Piperno o a Pace, che poi la fece arrivare in qualche modo a Bologna e diffondere negli ambienti dell'Autonomia. Ma la notizia arrivò incompleta e così il tentativo di Morucci di fregare Moretti fallì». Immediata la replica dell'ex leader della colonna romana delle Br, che il 3 maggio '78, insieme ad Adriana Faranda, provò a convincere, inutilmente, Moretti a rinviare l'esecuzione di Moro, in considerazione dello spiraglio che si era aperto dal consiglio nazionale della Democrazia Cristiana. «Nell'occasione del trentennale della morte di Aldo Moro, ognuno -afferma lapidario Morucci- è libero di dare sfogo ad ogni ipotesi, anche la più fantasiosa.»
15/03/2008 ANSA

MORO/30: AUTORI LIBRO 'DOVEVA MORIRÈ, FU DELITTO POLITICO

  Nel trentesimo anniversario del rapimento e dell'omicidio Moro sono stati numerosi i saggi pubblicati per tentare di far luce su uno degli episodi più complessi della storia italiana. Tra questi, 'Doveva Morirè di Fernando Imposimato e Sandro Provvisionato espone con chiarezza, basandosi su un'ampia documentazione, la tesi secondo la quale Moro sarebbe stato lasciato morire per una convergenza di interessi, nazionali e internazionali. Durante la presentazione del libro, che si è tenuta oggi negli spazi della Libreria Feltrinelli della Galleria Colonna, i due autori hanno sostenuto con forza la ricostruzione contenuta nel volume: «Mettendo insieme tutti i pezzi di questo complesso mosaico - ha detto Provvisionato - ci siamo accorti che durante i 55 giorni del sequestro furono almeno otto le occasioni in cui Moro si sarebbe potuto liberare. Perchè non è stato fatto? A nostro avviso perchè si è trattato di un 'delitto politicò, in cui le Brigate Rosse sono state 'la pistolà, mentre una serie di organi di potere ha rappresentato la mente della vicenda». Imposimato, che fu giudice istruttore ai tempi del sequestro, ha sottolineato come le Br furono volontariamente messe nelle condizioni di compiere l'omicidio, con scelte provocatorie per i terroristi come «il falso comunicato del Lago di Duchessa, che ebbe come unico risultato quello di innvervosire i brigatisti e spingerli a compiere l'assassinio».
15/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: 30 ANNI FA L'ECCIDIO DI VIA FANI E IL SEQUESTRO DEL PRESIDENTE DC/ADNKRONOS = IN POCHI MINUTI TRUCIDATI CINQUE UOMINI DI SCORTA E RAPITO LO STATISTA

  Roma, Via Fani, 16 marzo 1978. Sono le 9,02 quando scatta l'azione di fuoco che stermina i cinque uomini della scorta di Aldo Moro e si conclude con il sequestro del presidente della Dc. Tutto finisce alle 9,05. La prima auto ad arrivare è una Fiat 132, quella su cui verrà fatto salire l'ostaggio. A bordo vi sono tre persone: una sosta, mentre le altre due salgono a piedi su via Stresa portando una grande borsa. Subito dopo arrivano due 128, che i testimoni vedono scendere in via Fani, contromano e a passo d'uomo. Segue la Fiat 128 targata Corpo Diplomatico, una che sbarra a monte via Maderno e una moto Honda. Il gruppo che opera è costituito da circa 19 terroristi: 9 per sparare, 6 alla guida e 4 di copertura. Vengono colpiti prima l'appuntato Domenico Ricci e Oreste Leonardi, che è alla guida della Fiat 130 di Moro. Dal lato sinistro della strada, gli uomini in divisa dell'Alitalia aprono il fuoco contro l'Alfetta uccidendo Raffaele Iozzino, sceso con la pistola d'ordinanza dall'auto, Giulio Rivera, e ferendo gravemente Francesco Zizzi, che morirà poco dopo al Policlinico Gemelli. Non è stato mai chiarito se il fuoco fosse incrociato, e quindi la pioggia di colpi partisse da entrambi i lati della via. Il dubbio venne ai periti balistici quando esaminarono i tramiti dei fori dei proiettili sui corpi degli uomini della scorta del Presidente. Secondogli esperti (i documenti sono disponibili anche su internet), inoltre, l'azione è stata messa a segno essenzialmente da due persone: una spara 49 colpi, l'altra 22 su un totale di 91. L'arma che ha esploso i 49 colpi, uno Sten o un Fna 43, non si è mai ritrovata. Un testimone racconterà che il killer fa fuoco con la mano guantata sulla canna per colpire con maggiore precisione. Dopo aver raggiunto Leonardi e Ricci, fa un balzo indietro per allargare il raggio d'azione e puntare sull'Alfa di scorta. Le altre armi sparano molto meno: 4 colpi una, 2 quella di Raffaele Fiore e 8 la Smith&Wesson poi ritrovata in possesso di Prospero Gallinari. La via di fuga dei terroristi passa per via Trionfale, via Belli, via Casale dè Bustis, via Massimi e via Licinio Calvo, dove saranno ritrovate le auto. Mai rinvenute, invece, le due borse che Moro portava sempre con se e che una testimone, in via Bitossi, affermò di aver visto trasbordare dalla Fiat 132, che ha trasportato l'ostaggio in via Massimi, a un autofurgone. Sei inchieste, 23 sentenze, indagini ancora aperte dopo 30 anni per le eventuali piste internazionali legate al sequestro del presidente della Democrazia Cristiana. Questo l'iter giudiziario del caso Moro. La prima sentenza viene emessa il 24 gennaio 1983 dalla Corte d'Assise di Roma, presieduta da Severino Santiapichi, con la condanna all'ergastolo di 32 brigatisti rossi. All'origine del primo processo, due istruttorie, la «Moro 1» e la «Moro bis». La prima è condotta dai giudici istruttori Cudillo, Gallucci, Amato, Priore e Imposimato. Questi ultimi due si occuperanno anche della seconda, scaturita dalle dichiarazioni dei pentiti. Il 13 dicembre 1979, il pg Guido Guasco riassume in 200 pagine le risultanze delle indagini. La «Moro bis» è contenuta in 672 pagine, dove trovano spazio anche le confessioni dei brigatisti pentiti. Il processo Moro si celebra nell'aula bunker del Foro Italico di Roma a partire dal 14 aprile 1982. Giudice a latere è Antonino Abbate, il pm Niccolò Amato. Fra i 63 imputati, diversi pentiti come Savasta, Peci, Brogi e alcuni dissociati, fra i quali Maj, Spadaccini e Andriani. Il pm Amato, il 20 dicembre 1982, chiede 34 ergastoli e 100 anni di carcere. La sentenza infligge agli imputati 30 ergastoli e 316 anni di reclusione. Anche nelle aule dei tribunali rimarranno aperti alcuni dubbi: quante persone parteciparono all'agguato di via Fani, chi erano i brigatisti che gestirono la prigionia di Moro (il nome di Germano Maccari come quarto uomo di via Montalcini verrà fuori successivamente) e chi sparò al Presidente Dc prima che il suo corpo venisse trasportato in via Caetani. Nel dicembre 1984 comincia il processo d'Appello, un anno dopo la sentenza di primo grado. Vengono confermate 22 condanne all'ergastolo. Pene ridotte per Valerio Morucci e Adriana Faranda, che si dissociano dalle Br e cominciano a ricostruire per i giudici Priore e Imposimato l'agguato di via Fani e la fase della preparazione del sequestro. Il 15 novembre 1985 la Cassazione conferma la sentenza della Corte d'Assise d'appello. Il «Moro ter», condotto dal giudice Priore, si conclude il 12 ottobre 1988 con 153 condanne, 26 ergastoli e 20 assoluzioni, giudicando le azioni compiute dalle Br tra il 1977 e il 1982. La seconda corte d'Assise condanna all'ergastolo, tra gli altri, Barbara Balzerani, Roberta Cappelli, Stefano Petrella, Giovanni Senzani, ed i latitanti Rita Algranati e Alessio Casimirri. Il 6 marzo 1992 la terza Corte d'Assise d'appello conferma la condanna all'ergastolo per 20 imputati del processo «Moro-ter», condanne confermate il 10 maggio 1993 dalla prima sezione penale della Cassazione. Il primo dicembre 1994 parte il «Moro quater», istruito anch'esso da Priore, che si occupa di alcuni aspetti del sequestro e dell'omicidio non risolti negli altri processi. La prima Corte d'Assise, presidente Severino Santiapichi, condanna all'ergastolo Alvaro Lojacono, detenuto in Svizzera, riconosciuto colpevole del rapimento e dell'uccisione di Moro. La pena viene confermata anche dalla sentenza d'Appello, emessa il 3 giugno 1996 e dalla Cassazione nel '97. Nell'ambito del «Moro quinquies», il 16 luglio 1996, la seconda Corte d'Assise condanna all'ergastolo Germano Maccari, il quarto uomo di via Montalcini, il cui nome viene rivelato da Adriana Faranda dopo la sua dissociazione. La condanna viene ridotta a 30 anni dalla Corte d'Assise d'appello. Successivamente, la prima Corte d'Assise d'appello di Roma riduce le condanne per Maccari e Raimondo Etro, rispettivamente a 26 anni e a 20 anni e 6 mesi. Concluso con pesanti condanne il «Moro quinquies», venne aperto, sulla base di nuove emergenze processuali, un procedimento, «Moro sexies», che ha come punti di riferimento la dinamica esatta dell'agguato di via Fani ed il numero dei partecipanti e le vicende che ruotano intorno all'identificazione e alla scoperta del covo di via Gradoli. Più recentemente, su richiesta della famiglia Moro, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per accertare le eventuali connessioni internazionali per il sequestro della presidente Dc. Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, è rapito il 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse mentre si sta recando alla Camera per votare la fiducia al quarto governo Andreotti che sancisce, per la prima volta in Europa, la partecipazione di un partito comunista alla maggioranza di governo. Un piano imbastito a lungo dallo stesso Moro, il politico delle grandi mediazioni, delle «convergenze parallele», del compromesso storico, flemmatico e lungimirante, artefice dell'apertura ai socialisti negli anni '60. Emarginato agli inizi degli anni '70 da una coalizione dorotea-fanfaniana, Moro riprende a parlare con vigore di avvicinamento al Pci nel luglio '74, davanti al consiglio Nazionale della Dc, raffigurando «sponde che pure si potrebbero avvicinare». Un progetto, quello dello statista, che non sarebbe gradito agli americani, in particolare al segretario di Stato Henry Kissinger contrario a qualsiasi mutamento di posizione politica nei riguardi dei partiti comunisti occidentali. Durante il viaggio in Usa compiuto nel '74 come ministro degli Esteri insieme al capo dello Stato Giovanni Leone, Moro, secondo quanto riferito dai suoi più stretti collaboratori, viene tacciato sostanzialmente di essere la testa di ponte dei comunisti in Italia. Accusa sempre smentita con forza dalla diplomazia statunitense. Nondimeno, a contrastare la politica del Pci, definito «forza infiltrata» nella classe operaia, sono i gruppi dell'estrema sinistra, Potere Operaio in testa. Le Brigate Rosse, nate nel '70 tra Trento, Verona e Padova all'ombra della rivista «Lavoro politico», del foglio «Sinistra proletaria» e dei Gap di Feltrinelli, vengono bollate da sinistra come apparati deviati dello Stato. L'insurrezione armata dilaga. La leadership delle Br, dopo l'arresto di Curcio, viene assunta da Mario Moretti. L'Eurocomunismo del segretario del Pci, Enrico Berlinguer non piace all'Unione Sovietica, come il fatto che il Pci si dica contrario ad un'uscita unilaterale dell'Italia dall'Alleanza Atlantica nel caso di una sua partecipazione al governo, in quanto ciò nuocerebbe al processo distensivo tra la Nato e il Patto di Varsavia. In un fosco quadro politico interno e internazionale, Moro prosegue tenace nel suo cammino verso il confronto democratico, con il fatalismo attribuibile alle sue origini meridionali e con atteggiamento sacrificale. L'omicidio del vicedirettore de «La Stampa» di Torino, Carlo Casalegno, il 18 novembre '77, genera in lui i più cupi presagi. Fa testamento, chiede la scorta per i familiari, si chiude nello studio di via Savoia. Nel febbraio '78, un mese prima del sequestro, la rivista satirica «Il Male», legata ad Autonomia, pubblica un articolo dedicato alla lettura delle mani di alcuni uomini politici da parte di una misteriosa maga. Tra gli altri vi è anche Moro. «La linea del destino - diceva la veggente - indica che il soggetto, dopo alcune vicende, farà una brutta fine. Notevole il reticolo sull'indice. Segno certo di carcerazione».
15/03/2008 ANSA

CASO MORO: I 55 GIORNI PIÙ TRAGICI DELLA REPUBBLICA /CRONOLOGIA = DAL 16 MARZO AL 9 MAGGIO 1978 - IL RAPIMENTO, LA PRIGIONIA, L'UCCISIONE

  In tre minuti, tra le 9.02 e le 9.05 del 16 marzo 1978 un commando composto da circa 19 brigatisti uccide i cinque uomini della scorta di Aldo Moro a via Fani e rapisce il presidente della Dc. Cominciano così i 55 giorni più tragici della storia della Repubblica. Ecco le tappe della vicenda che, dal rapimento, portò all'omicidio di Moro. - 16 MARZO: Alle 12.40 il quarto governo Andreotti ottiene la fiducia dai due rami del Parlamento. Comunisti, democristiani e repubblicani concordano nel dire che Moro è stato colpito per il suo ruolo nel progetto di solidarietà nazionale. Il Capo dello Stato, Leone, e il Presidente Usa, Carter si augurano che Moro possa essere al più presto «restituito alla famiglia». - 17 MARZO: Prima telefonata dei terroristi, che annuncia un comunicato nel sottopassaggio pedonale di largo Argentina. - 18 MARZO: Funerali degli uomini della scorta. Una seconda telefonata al «Messaggero» fa ritrovare il comunicato n.1 che secondo un primo esame tecnico sarebbe stato redatto seguendo un metodo tipografico anglosassone, con la doppia spaziatura dopo ogni punto del testo. 21 MARZO: Misure antiterrorismo varate dal Consiglio dei ministri. - 22 MARZO: Incontro tra Andreotti e l'ambasciatore americano a Roma, Richard Gardner. - 25 MARZO: Il comunicato numero 2 delle Br diffuso a Roma, Genova, Torino e Milano annuncia che «è in corso l'interrogatorio di Aldo Moro». - 29 MARZO: In via Savoia arrivano tre lettere di Moro: una alla famiglia, una al collaboratore Rana e una al ministro dell'Interno Francesco Cossiga. In questa, l'ostaggio afferma di trovarsi «sotto un dominio pieno e incontrollato» che potrebbe portarlo a rivelare segreti importanti per la sicurezza nazionale. Craxi, in apertura del congresso del Psi, afferma che «se dovesse affiorare un possibile margine di trattativa, questo non dovrebbe essere distrutto». - 31 MARZO: L' 'Osservatore Romanò scrive che «la richiesta di un passo preventivo destinato a facilitare la soluzione del dolorosissimo caso dell'onorevole Moro, non può certo lasciare indifferente la Santa Sede». L'APPELLO DI PAOLO VI PER LA LIBERAZIONE - LA PRIMA LETTERA DEL RAPITO (Adnkronos) - 2 APRILE: All'Angelus, Paolo VI rivolge un appello agli «ignoti autori del terrificante disegno» perchè liberino Moro. - 3 APRILE: Craxi afferma che vanno esplorate «tutte le possibilità per liberare il presidente della Dc». - 4 APRILE: Arriva il comunicato numero 4, accompagnato dalla 'risoluzione della direzione strategicà del febbraio '78 e alla prima lettera a Benigno Zaccagnini. Craxi incontra l'avvocato Giannino Guiso, difensore di Renato Curcio, all'hotel Raphael. - 6 APRILE : I terroristi affidano al professore Franco Tritto, assistente di Moro all'Università, una lettera per la moglie Noretta. - 7 APRILE: L'avvocato Guiso incontra i brigatisti detenuti a Torino, secondo i quali è necessaria una risposta «politica a quanto Moro sollecita». 8 APRILE: Nuova lettera di Moro alla moglie, nella quale il prigioniero lancia un ulteriore appello per «sgretolare il blocco della fermezza». In una seconda missiva intercettata dalla Polizia, il presidente della Dc si rivoge con sarcasmo a don Virgilio Levi, de «L'Ossevatore Romano», che ha preso posizione contro la autenticità delle lettere. - 10 APRILE: Comunicato numero 5 delle Brigate Rosse e lettere di Moro contro Taviani e Cossiga. - 11 APRILE: A Torino viene uccisa la guardia carceraria Lorenzo Cotugno, e rimane ferito il brigatista Cristoforo Piancone. - 13 APRILE: Nella riunione della direzione, la Dc ribadisce la linea della fermezza. Andreotti annota: «Fanfani mi sembra meno duro che non alla Camilluccia». - 15 APRILE: Si forma il fronte della trattativa intorno al Psi. Ne fanno parte oltre agli uomini della nuova dirigenza socialista, l'area di Autonomia, alcune punte socialdemocratiche, Fanfani e la destra democristiana. Alle 6 del pomeriggio, il comunicato n.6 annuncia la condanna a morte del prigioniero. 16 APRILE: Riunione della direzione Dc in casa Moro. Si ipotizza un appello affidato ad Amnesty International. - 17 APRILE: L'avvocato Spazzali parla di «tempi stretti» e aggiunge che se «il governo non può trattare, trattino i partiti». Amnesty International si offre come interlocutore delle Br e rivolge loro un appello affinchè risparmino la vita di Moro. - 18 APRILE: Questa data segna una svolta nei 55 giorni del sequestro. Avvengono due episodi chiave: il comunicato numero 7 annuncia la morte di Moro nei «fondali limacciosi» del lago della Duchessa. Una chiamata d'urgenza ai vigili del fuoco annuncia l'allagamento in un appartamento di via Gradoli, covo delle Br dove si nascondono Moretti e la Balzerani. - 19 APRILE: I terroristi fanno ritrovare il comunicato n.7, con una foto di Moro nella prigione del popolo. 'Lotta Continuà pubblica un appello firmato da vari intellettuali, tra i quali Raniero La Valle, padre Turoldo, Dario Fo, Mario Agnes, Franco Basaglia. - 20 APRILE: Riunione degli stati maggiori della Dc a piazza del Gesù cui segue una riunione dei partiti della maggioranza. Il Pci fa sapere che se si cambiasse linea si dissocerebbe, Craxi si dice «favorevole alla ricerca di un canale informativo». Don Antonello Mennini, viceparroco di S. Lucia, recapita una lettera al Papa e una a Zaccagnini. 21 APRILE: Alla direzione nazionale del partito, Craxi ottiene mandato «per la ricerca di ogni possibilita». Pci, Pri e Pli ribadiscono il rifiuto alla trattativa. Contrari anche le Acli e il Sindacato lavoratori di Polizia. - 22 APRILE: Paolo VI si rivolge agli «uomini delle Brigate rosse», chiedendo «in ginocchio» che Moro venga «liberato, semplicemente, senza condizioni». - 23 APRILE: Craxi contatta Giuliano Vassalli per la formazione del 'gruppo di espertì che dovrà valutare soluzioni praticabili. I terroristi preannunciano ad Eleonora Moro il comunicato n. 8. - 24 APRILE: Comunicato n. 8 con lettera a Zaccagnini. Le Br chiedono la liberazione di 13 prigionieri politici nelle carceri. - 25 APRILE:Appello di Waldheim per la liberazione di Moro. Documento firmato da 75 persone amiche di lunga data del prigioniero. 26 APRILE: Zaccagnini ribadisce l'unità delle forze democratiche. - 29 APRILE: Eleonora Moro consegna a Sereno Freato una serie di lettere indirizzate a Leone, Andreotti, Craxi, Fanfani, Ingrao, Misasi, Piccoli, Andreotti. - 30 APRILE: Le Br chiamano Eleonora Moro annunciando che la famiglia ha tre ore di tempo per salvare la vita dell'ostaggio. - 1 MAGGIO: Incontro tra Craxi e Giannino Guiso, che invita a «fare presto». - 3 MAGGIO: La Dc riafferma il proprio impegno a non lasciare nulla di intentato. Il governo annuncia che la soluzione del Psi verrà approfondita. - 4 MAGGIO: Viene resa nota la convocazione della direzione Dc per il 9 maggio. Per il 18 maggio è prevista la discussione parlamentare che dovrebbe ratificare l'autonomo atto di clemenza ai detenuti. 5 MAGGIO: Arriva il comunicato numero 9, l'ultimo. Si annuncia l'esecuzione della sentenza nei confronti di Aldo Moro. - 6 MAGGIO - Incontro tra il senatore Landolfi, della direzione del Psi, con Lanfranco Pace, esponente di Autonomia, e Bettino Craxi all'hotel Raphael. - 7-8 MAGGIO: Bartolomei, per conto di Fanfani, afferma che la Dc «ha sollecitato il governo ad esaminare la praticabilità delle varie iniziative per la liberazione di Aldo Moro». - 9 MAGGIO: Il cadavere di Aldo Moro viene ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: CARTE, NOMI E FOTO CHE APPAIONO E SCOMPAIONO /ANSA GLI STRANI ELENCHI A CUI SI ACCENNA MA POI NON SE NE PARLA PIÙ

  (di Stefano Fratini) (ANSA) - ROMA, 14 MAR - In una vicenda che ha visto veggenti, «grandi vecchi» e sedute spiritiche, non può mancare, tra l'enorme mole di sospetti e ipotesi più o meno dietrologiche, la comparsa e scomparsa di accenni a liste che sembrano rinviare a quello che alcuni hanno chiamato lo «Stato parallelo». - CARTE CHE APPAIONO E SCOMPAIONO: l' 8 maggio 1978 (il giorno prima dell' uccisione di Moro) un quotidiano parla, in prima pagina, di elenchi trovati nel covo di via Gradoli. Gli elenchi sarebbero due: uno con nomi di politici, militari, industriali e funzionari di enti pubblici, l' altro di esponenti locali Dc, a livello regionale, provinciale e comunale. Ci sono anche alcuni nomi del primo elenco: Loris Corbi, Beniamino Finocchiaro, Michele Principe, Publio Fiori. Del secondo elenco è citato solo Gerolamo Mechelli, la cui presenza viene però smentita dalla Digos, che così conferma implicitamente l' esistenza degli elenchi. Il giorno dopo, mentre tutti i giornali si occupano della vicenda, vengono fatti i nomi anche di Gustavo Selva e dell' on. Giacomo Sedati (Dc). Naturalmente si pensa ad una schedatura di potenziali vittime di attentati, ipotesi rafforzata dal fatto che Mechelli e Fiori erano stati già feriti dalle Br. Nel 1978 erano sconosciuti gli elenchi della P2 (trovati nel 1981), ma ora si può notare che, a parte Sedati, i nomi di altre cinque persone erano (a torto o a ragione) nelle liste della P2. Di questi elenchi non si è più parlato. Un altro appunto spunta ad ottobre 1993. Ancora il Corriere della sera scrive che il gen. Francesco Delfino venne inviato nel 1978 ad Ankara come capo settore del Sismi, per allontanarlo dall'Italia, dove era in pericolo. Nel covo delle Brigate rosse di via Monte Nevoso sarebbe stato infatti trovato un documento con i nomi di Delfino, del colonnello Antonio Varisco (che fu poi ucciso dalle Br) e del capitano Antonio Cornacchia (anche il suo nome era negli elenchi di Gelli). Agli atti però questo appunto non risulta. Un informazione errata del giornalista? Di nuovo, nel febbraio 2001, due consulenti della Commissione stragi acquisiscono dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio alla vicenda del ritrovamento delle carte di Aldo Moro in via Monte Nevoso. I due faldoni della Digos, classificati in passato con 'segretissimò recano le intestazioni: 'A-4. Sequestro Moro - Covo di via Monte Nevoso - Rinvenimento del 9 ottobre 1990 - Carteggio' e 'Sequestro Moro - Elenchi appartenenti Organizzazione Gladio'. Il secondo faldone contiene documentazione scambiata tra uffici diversi del Viminale per verificare informazioni sugli aderenti a Gladio i cui nomi, in ordine alfabetico, vengono riportati su fogli che recano l'intestazione »MOROELENCO«. Anche il primo faldone contiene un elenco intestato però 'MORONOMÌ e riguardante persone che per logiche e incombenze diverse si erano occupate del sequestro Moro e delle carte di via Monte Nevoso. Da un primo esame, segnalano i due consulenti, 'sembra che diversi nominativi oggetto di identificazione e notizie da parte della questura non figurino nel noto elenco dei 622'. Anche di questo non si è più parlato. TEX WILLER, MAFIOSI E LEGIONARI - Secondo le ricostruzioni, la quasi totalità dei colpi letali sparati in via Fani fu opera di un unico membro del commando, che sparò ben 49 dei 91 colpi totali, uccidendo tutti i membri della scorta (e almeno il maresciallo Leonardi era tutt'altro che uno sprovveduto, tiratore scelto e apprezzato addestratore dei paracadutisti incursori) senza neanche ferire Moro. Forse era lo stesso uomo di cui alcuni testimoni dicono di aver sentito urlare frasi non in italiano. Sembra che nessun brigatista del commando, neanche Morucci e Casimirri (i più addestrati da questo punto di vista), avesse una tale 'professionalità'. Uno dei testimoni, esperto di armi, disse che »era senza dubbio un uomo particolarmente addestrato«. E nel suo romanzo-inchiesta »La borsa del presidente«, Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, fa dire al suo protagonista:»Tex Willer non era uno dei nostri. Tex Willer era un esperto, un professionista,di quelli che in Italia li conti sulle dita di una mano. Uno così, non ce lo saremmo mai potuti permettere«. Sulla sua identità si sono fatte diverse ipotesi. Nel cosiddetto 'volantone' diffuso dal ministero dell' Interno subito dopo la strage di via Fani con le foto di 20 sospetti di partecipazione all' azione terrorista, c' è anche Giustino De Vuono, calabrese, rapinatore ed ex volontario della Legione straniera, politicizzato in carcere. Anche Pecorelli, in una delle sue sibilline note, scrive:»Non diremo che il legionario si chiamava 'De' e il macellaio Maurizio«. Poi il Sismi affermava che De Vuono certamente non era in Italia nel periodo della strage (in commissione stragi, il col. Bonaventura ha sostenuto invece che era in carcere a Sciacca) e l' ex legionario viene prosciolto in istruttoria. Ad ottobre 1993 invece, lo stesso giorno dell' arresto di Germano Maccari (il 'quarto uomo' di via Montalcini), esce la notizia che Saverio Morabito, un collaboratore di giustizia calabrese, ha raccontato ai giudici che tra i brigatisti in azione in via Fani ci sarebbe stato un boss della 'ndrangheta, Antonio Nirta, detto »due nasi« (dalle due canne della doppietta). Nirta, attraverso i suoi contatti con il gen. Delfino e i servizi segreti, sarebbe stato infiltrato nelle Brigate Rosse e sarebbe stato presente al sequestro dell' on. Moro. Della presenza di un calabrese in via Fani si era parlato già in una telefonata tra l' on. Cazora e Sereno Freato, collaboratore di Moro. Nella telefonata, Cazora dice che esponenti della 'ndrangheta gli avevano chiesto di recuperare fotografie scattate in via Fani, in cui comparirebbe un personaggio a loro noto. Alcune foto erano state scattate in effetti in via Fani, subito dopo la strage, da un testimone che le aveva consegnate al giudice Infelisi. Quelle foto però finirono stranamente smarritè.
14/03/2008 ANSA

MORO/30:ULTIME ORE NEL LIBRO DI ALFANO, VERITÀ LONTANA/ DIBATTITO IN RAI CON ANDREOTTI, SIGNORILE E MARIA FIDA MORO

  Nel trentennale della morte di Aldo Moro ci si interroga ancora sulle domande rimaste senza risposta che continuano ad accompagnare l'assassinio dello statista nel 1978. Il senatore a vita Giulio Andreotti non lascia molte speranze: «Il tempo difficilmente ci aiuterà a capire di più la verità. Più si va indietro più aumentano le persone che non ci sono più. Non possiamo servirci del tavolino a tre zampe». Il magistrato Antonio Marini, pm all'epoca dei processi per il sequestro dell'allora presidente della Dc si rivolge ai brigatisti: «la verità la devono dire i terroristi che hanno ricevuto tutti i benefici possibili». La primogenita dello statista, Maria Fida Moro chiede che venga ricordato suo padre vivo in quello che definisce «malefico trentennale». A riaccendere il dibattito è il libro Tutto sia calmo (Rai Eri) di Franco Alfano, il giornalista che il 9 maggio del '78 riuscì con la sua troupe della tv privata romana Gbr, a filmare le immagini del corpo di Moro abbandonato nel portabagagli di una Renault rossa, in via Caetani, a Roma. Ora quelle immagini - riproposte alla presentazione del libro, con prefazione di Giulio Andreotti, oggi alla Rai - che Maria Fida Moro non è riuscita a guardare neppure per un attimo, riaprono una ferita e chiedono nuove riflessioni sulle ultime ore dell'allora presidente della Dc. «Moro fu scelto - dice Andreotti - perchè era il più bravo sia intellettualmente sia politicamente» e aggiunge che se fosse stato possibile fare di più per salvarlo, «lo avremmo fatto. Non era possibile trattare con i brigatisti, volevano diventare il partito della sinistra». Claudio Signorile, allora vice segretario del Psi, invita a «una lettura politica. La morte di Moro è stata una tragedia politica. Moro è vivo perchè si identifica con la storia di questo Paese». Signorile dice anche deciso: «l'impossibilità di un atto di clemenza scordiamocela». «L'errore di fondo - spiega l'allora vice segretario del Psi - è stato non aver compreso che il problema terrorismo era una questione politica che doveva essere affrontata in questo modo». Mentre il leader del Pri Giorgio La Malfa sottolinea che «Moro non poteva essere salvato da un atto di clemenza ma da apparati dello Stato più preparati» e sottolinea che «Moro fu scelto perchè era la chiave di un disegno politico che avrebbe salvato l'Italia». L'onorevole Ignazio La Russa, all'epoca capo del Fronte della Gioventù in Lombardia, invita a riflettere sul prima e dopo Moro. «Dopo Moro ci fu la necessità dei partiti politici di stare insieme, uniti e in sintonia per reagire all'ondata terroristica. Prima c'era il terrorismo e anche oggi c'è ma senza quel mare di pseudo consenso che fino all'evento drammatico della morte di Moro consentì ai terroristi di crescere». «Straordinariamente suggestivo» ha definito il senatore a vita Andreotti il libro di Alfano che ha scelto questa frase 'Tutto sia calmò fra le tre che Moro scrisse in testa all'ultima lettera alla moglie. «In questa frase c'è tutta la sua grandezza» dice l'autore del libro che sottolinea come «l'immagine che è rimasta più impressa nella memoria di quel 9 maggio sia quella delle persone corse in strada, uscite dagli uffici, lo stato d'animo di shock del Paese nel momento del ritrovamento del corpo di Moro che a trent'anni di distanza continua a rimanere». Il libro di Alfano «è utile - spiega Andreotti - perchè »inquadra una situazione generale. Credo che oggi sia importante di Moro non parlare soltanto di quel tragico momento finale ma rileggersi tutto l'insieme di suoi discorsi e scritti. Oggi la situazione è diversa, non esiste più l'Unione Sovietica, mancano punti di riferimento. Moro fu un uomo di partito«. La figlia Maria Fida Moro che ha scelto la via del perdono »perchè mio padre avrebbe fatto così« invita però a non equiparare carnefici e vittime». E Sandro Curzi, consigliere Rai, sottolinea l'importanza di questo incontro a Viale Mazzini, da lui coordinato, «in un momento in cui la Rai subisce tanti attacchi e in cui la presenza del servizio pubblico dà fastidio a tante persone ma la forza di questa azienda è ancora di grande valore».
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: VEDOVA RICCI, VOLEVAMO LA LIBERAZIONE DELLO STATISTA = MARIA ROCCHETTI AD «APERTAMENTE», MAGARI UNA VOLTA LIBERO LI POTEVANO CATTURARE TUTTI..

  «Durante il sequestro Moro si parlò tanto di coloro che rappresentavano il cosiddetto »Partito della Fermezza« e di coloro che erano per le »Trattative«. Certamente in quel momento noi familiari degli uomini trucidati in via Fani, sentivamo forte in noi la voglia che fossero assicurati alla giustizia tutti coloro che avevano compiuto quell'efferata strage. Eppure, contestualmente, sentivamo in noi forte la sensazione che, laddove fosse stato possibile liberare l'on. Aldo Moro, tutto ciò avrebbe rappresentato per noi tutti una sorta di redenzione morale, un possibile ritorno in vita dei nostri cari che avevano sacrificato la loro vita per il proprio compito: difendere un uomo dello Stato». È quanto afferma Maria Rocchetti, vedova di Domenico Ricci, autista di Aldo Moro caduto in via Fani, in un'intervista rilasciata a Manuel Fondato per il magazine «Apertamente». «Tante cose -ha aggiunto Maria Rocchetti ad »Apertamente«- furono raccontate ad arte dai giornali in quel periodo, come la volontà delle vedove di via Fani, in particolare eravamo solo io e la signora Leonardi, di darci addirittura fuoco se si fosse addivenuti ad una qualsiasi sorta di trattativa. Ma tali considerazioni non corrispondevano al vero ed il tutto è agli atti della »Commissione Stragi« dove fummo più volte interpellate e demmo una secca smentita a tutto ciò». «Rimane solo un'unica, finale considerazione in merito a quanto accaduto: se Aldo Moro rappresentava per noi un familiare, una persona cara -domanda la vedova Ricci- perchè non avremmo voluto la sua liberazione? E come ho sempre affermato, magari una volta liberato li potevano catturare di nuovo tutti!»
14/03/2008 ANSA

MORO/30: QUEL GIORNO IN VIA FANI

  16 marzo 1978, ore 9,02: una Fiat 132 con a bordo il presidente della Dc Aldo Moro e il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, guidata dall'appuntato Domenico Ricci, percorre via Mario Fani, seguita dall'Alfetta con i tre agenti della scorta, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Le due vetture sono partite, come quasi ogni mattina, dall'abitazione di Moro, in via del Forte Trionfale, e, seguendo il percorso abituale verso il centro, hanno raggiunto via Fani. In via Fani, davanti al bar Olivetti (chiuso per il riposo settimanale), pochi metri prima dell' incrocio con via Stresa, una Fiat 128 con targa diplomatica frena bruscamente e viene tamponata dalle auto dei Moro, che restano bloccate. In tre minuti, un «commando» di brigatisti formato, almeno 'ufficialmentè, da nove persone (più una decima con funzioni solo di vedetta), vestiti con divise da aviatori civili, uccide gli uomini della scorta e sequestra il presidente della Dc. Solo Jozzino, ferito, riesce a sparare qualche colpo, inutilmente, prima di essere finito. I terroristi hanno sparato in tutto 91 colpi, 49 dei quali ad opera di un unico killer, che usava un'arma mai ritrovata. Un testimone esperto di tiro definirà quel brigatista «un tiratore scelto» che sparava come «Tex Willer». Il commando era formato da Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Raffaele Fiore (il cosiddetto 'gruppo di fuoco'), Mario Moretti e Bruno Seghetti (alla guida di due auto), Barbara Balzerani, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri (nel ruolo di 'cancellettì), più Rita Algranati che, più distante, doveva segnalare agitando un mazzo di fiori l'arrivo del corteo di auto con Moro a bordo. Molti testimoni hanno però parlato della presenza di due persone su una moto Honda. In più, nella ricostruzione ufficiale non quadra il fatto che tutti i terroristi avrebbero sparato da un solo lato, mentre una perizia (e alcune testimonianze) sembrerebbero dimostrare che uno dei killer era sul lato opposto. Moro stava andando alla Camera, dove Andreotti avrebbe presentato il suo nuovo Governo, il primo con l'appoggio del Pci, nato proprio dal paziente e faticoso lavoro di Moro. All'angolo dell'agguato c'era di solito il furgone di un fioraio, ma quel giorno era rimasto a casa perchè aveva trovato il suo mezzo con tutte le ruote squarciate. Da un balcone, un testimone, carrozziere, scatta diverse foto. La moglie, giornalista dell'Asca, consegna il rollino al giudice Infelisi. Alle 9,24 polizia e carabinieri dispongono posti di blocco sulle strade in uscita dalla città, mentre in via Fani sono arrivati i responsabili dell' ordine pubblico ed Eleonora Moro. Lo statista, secondo la ricostruzione in seguito fatta da Morucci, con una «132» scortata da altre due vetture ha raggiunto Monte Mario. Il presidente della Dc viene trasferito su un furgoncino e con questo viene portato in un parcheggio sotterraneo in via dei Colli Portuensi e qui trasbordato su un'auto «blu» che lo porta nella «prigione» di via Montalcini. Alle 10:10 arriva all'ANSA la prima telefonata di rivendicazione delle Br. Nella giornata viene proclamato lo sciopero generale e centinaia di migliaia di persone manifestano a Roma e in tutte le più grandi città, mentre si susseguono i vertici a Palazzo Chigi, in questura, al Viminale. grandi città, mentre si susseguono i vertici a Palazzo Chigi, in questura, al Viminale. Il caos è aumentato dal fatto che i telefoni della zona, proprio in quel momento, rimangono muti. Un malfunzionamento dovuto, secondo la Sip, al sovraccarico delle linee.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: PRIORE, NON SI TRATTÒ PERCHÈ ERA ULTIMA TRINCEA

  Per Aldo Moro non si trattò, trent'anni fa, contrariamente a quanto si fece più volte, perchè «sembrava fosse l'ultima trincea». È quanto dice, intervistato da «Panorama del giorno» di Maurizio Belpietro, su Canale 5, il giudice Rosario Priore che ha svolto alcune delle inchieste sulla vicenda Moro. «Se si cedeva anche su Moro forse le istituzioni non avrebbero più tenuto. Io voglio soltanto ricordare che su tutto si tratta. Nei sequestri internazionali, quelli che avvengono in Medio Oriente si tratta e si è trattato continuamente per la liberazione degli ostaggi». Priore parla anche della difficoltà di comprendere e inquadrare la vicenda Moro sia sotto il profilo giudiziario che politico. «Non si riesce a capire ancora come siano andati i fatti. Come si collochi l'intera vicenda nella storia politica italiana. Le persone che in un certo senso si sono interessate di questa vicenda, sia politici, sia gli storici e ci metto anche la categoria dei magistrati, ancora non hanno trovato forse il sistema di comprendere l'evento».
14/03/2008 ANSA

MORO/30: GLOSSARIO PER ORIENTARSI NEI MISTERI DEL CASO

  Breve glossario per il caso Moro: - ALDO MORO - Presidente della Dc, 61 anni, viene rapito il 16 marzo 1978. Era stato il tessitore della lunga marcia di avvicinamento del Pci all'area della maggioranza di governo. Sarà ucciso il 9 maggio, dopo 55 giorni di prigionia. - LA SCORTA - Cinque uomini, tutti uccisi in via Fani: Oreste Leonardi, il capo, sottufficiale dei carabinieri, ex istruttore della Scuola sabotatori paracadutisti di Viterbo (non uno sprovveduto), Domenico Ricci, appuntato dei carabinieri, Raffaele Jozzino e Giulio Rivera, poliziotti e Francesco Zizzi, vice brigadiere di polizia, che muore in ospedale poco dopo. - IL COMMANDO - Il commando di via Fani sarebbe stato composto da 9 persone: Mario Moretti, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Raffaele Fiore, Alessio Casimirri e Alvaro Loiacono, più Rita Algranati come vedetta. Bloccata l'auto di Moro con un tamponamento, i br uccidono la scorta e portano via Moro. In tutto sono sparati 91 colpi, 49 dei quali da una sola persona. Sono tutti liberi (in semilibertà, al lavoro esterno, latitanti), tranne Algranati. - VIA FANI - La strada, nel quartiere Monte Mario, dove il 16 aprile 1978 avvenne il tragico agguato. - VIA GRADOLI - Stradina sulla via Cassia dove il 18 aprile fu scoperto, in modo che lascia ancora dubbi, il covo dove vivevano Moretti (il capo delle Br) e la Balzerani. Perquisita (ma non il covo) pochi giorni dopo il rapimento. Il nome Gradoli era uscito in una 'seduta spiriticà, presente anche Romano Prodi. - VIA MONTALCINI - Via del Portuense dove, in un appartamento comprato da Anna Laura Braghetti, Moro sarebbe stato tenuto prigioniero per tutti i 55 giorni. Oltre alla Braghetti, i carcerieri erano Germano Maccari, che risultava convivente della Braghetti, Gallinari e il ricercatissimo Mario Moretti, che andava e veniva per interrogare Moro. Nel garage, Moro sarebbe stato ucciso da Moretti, ma Pace aveva parlato di Maccari e per molto si era detto Gallinari) nel bagagliaio della R4 rossa. - VIA CAETANI - Via al centro di Roma, vicina alle ex sedi di Pci e Dc e al ghetto ebraico, dove fu lasciato il corpo di Moro. - VIA MONTE NEVOSO - Strada milanese dove l'1 ottobre 1978 i carabinieri di Dalla Chiesa scoprono un covo che contiene molto materiale, tra cui una versione del 'Memorialè e lettere ancora non note. Il 9 ottobre 1990, dietro un pannello, sono trovati una versione più ampia del Memoriale, i testamenti di Moro, altre lettere. Al covo, dove sono arrestati Bonisoli, Azzolini e Nadia Mantovani, si sarebbe arrivati grazie a un borsello perso da Azzolini a Firenze. Nella stessa strada abitava Fausto Tinelli, ucciso con Lorenzo Iannucci (noti come 'Fausto e Iaiò) il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento Moro. - I COMUNICATI - I comunicati, scritti tutti con la stessa macchina a testina Ibm, sono 9 (il primo il 18 marzo, l'ultimo il 5 maggio). C'è poi il falso comunicato numero 7, trovato il 18 aprile (contemporaneamente alla scoperta di via Gradoli). Annunciava il corpo di Moro nel lago della Duchessa ed era palesemente falso, ma fu accreditato come vero. Sembra scritto da Toni Chichiarelli, falsario in contatto con la banda della Magliana, che sarebbe l'autore anche di un ulteriore falso comunicato in codice cifrato, firmato cellula Roma sud. - LE LETTERE - Nei 55 giorni, Moro scrisse moltissime lettere, sicuramente più di 80, e diverse versioni del testamento. Solo 28 lettere furono recapitate dai 'postinì delle Br (ruolo di solito attribuito a Morucci e Adriana Faranda). Le altre furono trovate a via Monte Nevoso nel '78 e nel '90. Le più importanti sono quelle a Cossiga, a Taviani, a Zaccagnini e al Papa. - IL MEMORIALE - Trovato in via Monte Nevoso in due tempi (nel 1978 e nel 1990), è il testo scritto da Moro per rispondere all' interrogatorio delle Br. Nessuna delle due versioni sembra contenere rivelazioni particolarmente imbarazzanti. - LE TELEFONATE - La telefonate più importanti sono quella di Moretti il 30 aprile a casa Moro, per chiedere un intervento immediato di Zaccagnini, e quella di Morucci, il 9 maggio, per segnalare che il cadavere di Moro era in via Caetani. - IL GRANDE VECCHIO - Definizione data all'ipotesi che il terrorismo fosse diretto da una 'mentè esterna. Ne parlò anche il segretario del Psi Bettino Craxi. Recentemente c'è stato un tentativo di collegarla al musicista ucraino Igor Markevich. - P2 - Ai vertici dei servizi erano uomini della P2, tranne Napoletano, segretario del Cesis, che fu spinto alle dimissioni a sequestro in corso e sostituito da un altro uomo della P2. - FERMEZZA E TRATTATIVA - 'Partito della fermezzà e 'Partito della trattativà definiscono gli atteggiamenti politici durante il rapimento. Per la 'fermezzà furono quasi tutti i partiti (soprattutto il Pci), per la 'trattativà i socialisti, i radicali e singoli esponenti di altri partiti. - LE COMMISSIONI PARLAMENTARI - Sul caso Moro ha lavorato una apposita commissione (1979-1983), ma se ne sono occupate anche la commissione P2 e le varie commissioni stragi. - I PROCESSI - Sono 4 i processi principali del caso Moro. Il primo, che unificava i Moro-uno e Moro-bis, si è concluso in Cassazione (22 ergastoli) nel novembre 1985, il Moro-ter si è concluso nel maggio 1993 (20 ergastoli), il Moro-quater a maggio 1997 con la condanna definitiva all' ergastolo per Lojacono, il Moro-quinquies si è concluso in due tempi (nel 1999 e nel 2000) con le condanne di Raimondo Etro e Germano Maccari. - COMPROMESSO STORICO - Nel '73 il segretario Pci Berlinguer, riflettendo sul colpo di stato in Cile, proponeva un'alleanza temporanea tra i partiti popolari per arrivare ad una democrazia compiuta in cui tutti fossero legittimati a governare. Dopo un 'governo della non sfiducià ebbe una misera attuazione nel governo Andreotti (monocolore Dc votato da quasi tutti i partiti che ottenne la fiducia proprio il giorno del rapimento).
14/03/2008 ANSA

MORO/30 ANNI: NUOVI SCENARI E RETROSCENA IN LIBRERIA (NOTIZIARIO LIBRI)

  (di Mauretta Capuano) Interviste ai protagonisti dell'epoca come l'allora ministro degli esteri Francesco Cossiga e agli ex brigatisti Alberto Franceschini e Mario Moretti. La reazione dei media, la pubblicazione di documenti originali della commissione parlamentare e dei comunicati integrali delle Br con un dvd dei materiali radiofonici. A trent'anni dalla morte di Aldo Moro, arrivano in libreria nuove ricostruzioni e retroscena del sequestro del presidente della Dc, il 16 marzo del 1978, e dei 55 giorni di prigionia che paralizzarono l'Italia, fino al ritrovamento del suo corpo il 9 maggio. Tra i libri che aprono nuovi scenari alla riflessione, Abbiamo ucciso Aldo Moro (Cooper, pp 208, euro 12) del giornalista francese Emmanuel Amara che ha fatto parlare, dopo 30 anni di silenzio, l'analista americano Steve Pieczenik, chiamato da Cossiga per fronteggiare la crisi aperta dal rapimento su cui si gioca la stabilità del Paese. Pieczenik svela come venne strategicamente manipolato il sequestro per concludere che la vita dello statista doveva essere sacrificata per ragioni d'ordine politico e sociale. Il libro di Amara, con introduzione di Giovanni Pellegrino, comprende anche interviste a Sergio Flamigni, senatore della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro, agli ex brigatisti Franceschini, Moretti, alla figlia Agnese e al giudice istruttore del processo, Ferdinando Imposimato. Lo stesso Imposimato firma con il giornalista Sandro Provvisionato il libro Doveva morire (Chiarelettere, pp 416, euro 15,60) in cui il giudice dell'inchiesta racconta con testimonianze e commenti inediti. «Aldo Moro era politicamente morto fin dal giorno della sua prima lettera dalla prigionia» dice il criminologo Franco Ferracuti, membro del comitato di crisi. Di grande impatto emotivo il racconto radiofonico e televisivo dei 55 giorni del sequestro, dalla strage di Via Fani al ritrovamento del cadavere, il 9 maggio 1978, in via Caetani, raccolto nel dvd in cofanetto con il libro Radio Moro (Bur Senzafiltro e Ambra Jovinelli, euro 19.50), a cura di Andrea Salerno. Oltre alle voci dei notiziari e approfondimenti dell'epoca, nel libro si trovano una cronologia ragionata dei fatti, un saggio di Giorgio van Straten, documenti originali e comunicati integrali delle Br. Originale, come sottolinea nella postfazione Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza, anche la ricostruzione del giornalista Ivo Mej che in Moro rapito! Personaggi, testimonianze, fatti (Barbera, euro 15.50), con la prefazione di Francesco Cossiga, analizza la grande copertura mediatica e giornalistica di quei due mesi che tennero l'Italia col fiato sospeso. Il libro propone anche gli interventi di Giulio Andreotti, Eugenio Scalfari, Bruno Vespa e Dario Fo. Le ultime ore di Aldo Moro come non sono state mai raccontate vengono ricostruite in Tutto sia calmo, (Rai Eri, pp 208, libro + dvd, euro 18.00), di Franco Alfano con prefazione di Giulio Andreotti. Alfano che il 9 maggio del 1978 era direttore del tg di una tv privata romana, la Gbr, risucì a filmare le immagini del corpo di Moro abbandonato nel portabagli di una Renault rossa in via Caetani, realizzando un'esclusiva mondiale. Quel filmato viene ora proposto nel dvd allegato al libro. In 30 anni con Moro (Editori Riuniti) Giovanni Galloni, nel 1978 vice segretario vicario della Dc, che invita a interrogarsi sul fatto che l'uccisione della scorta e di Moro altro non siano stati che «l'equivalente di un colpo di Stato militare». Il clima politico italiano nella stagione del compromesso storico, la lotta interna alle Br e il ruolo di Moro sono al centro di Un affare di Stato (Cairo editore) del giornalista Andrea Colombo. Nel saggio Il libro nero delle Brigate Rosse (Newton Compton, pp 444, euro 16,90), vincitore del Premio Minturno 2007, il giornalista Pino Casamassima ripercorre tutta la storia delle Br con la cronaca dei fatti supportata da documenti, volantini e confidenze di appartenenti alla lotta armata. Il capitolo su Moro contiene tutte le lettere consegnate, quelle mai recapitate e il memoriale del presidente della Dc, per la prima volta pubblicato su carta in versione integrale. Sul versante strettamente narrativo troviamo La compagna P38 (Newton Compton, pp 256, euro 9.90) dello scrittore e sceneggiatore di fumetti Dario Morgante. È la storia della sconfitta di una generazione perduta dal rapimento Moro alla finale della Coppa del Mondo nel 1982.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: SONO SOLO DUE I LATITANTI UFFICIALI/ ANSA CASIMIRRI IN NICARAGUA, LOIACONO IN SVIZZERA, MA MANCA QUALCUNO?

  Dopo l'arresto di Rita Algranati, avvenuto nel 2004 in Egitto, restano ancora latitanti due dei brigatisti condannati per il caso Moro: Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono. Questo almeno secondo la ricostruzione 'ufficiale', perchè secondo altre ci sono altri protagonisti della vicenda che ancora non sono usciti allo scoperto. CASIMIRRI - Il 'nicaraguensè Alessio Casimirri è l'unico componente del commando Br che rapì Moro in via Fani che non è mai stato arrestato ed è sempre rimasto latitante. La sua ex moglie, Rita Algranati, che viveva in Algeria, è stata invece arrestata in Egitto nel gennaio 2004 ed estradata in Italia, dopo oltre 25 anni di latitanza. Per la partecipazione al rapimento Moro e ad altre azioni terroristiche, Casimirri è stato condannato a sei ergastoli nel processo Moro-ter. Nato nel 1951, figlio di un ex direttore della sala stampa vaticana, Casimirri è entrato nelle Br (con il nome di battaglia di «Camillo») dopo una militanza in Potere Operaio e nel servizio d'ordine dell'Autonomia operaia di via dei Volsci. Con la Algranati gestiva un' armeria vicino piazza San Giovanni di Dio. Casimirri si rifugia in Nicaragua negli anni Ottanta. Diplomato Isef ed esperto sommozzatore, si è dedicato per anni alla pesca e alle ricerche subacquee e ha poi aperto, con Manlio Grillo (uno dei responsabili del «rogo di Primavalle»), il ristorante italiano «Magica Roma» nel centro di Managua. Nel 1988 ha ottenuto la cittadinanza del Nicaragua grazie al matrimonio con Raquel Garcia Jarquin, dalla quale ha due figli. Nel 1998, combinando l'attività di sub e quella di ristoratore, 'Camillò apre un altro ristorante, la 'Cueva del Buzò (La tana del sub), sulla costa, non lontano da Managua, in cui serve il pesce che cattura nelle acque del Pacifico e che, pare, cucini benissimo. L'Italia ha pi— volte chiesto la consegna di Casimirri, ma tra Italia e Nicaragua non c'è un trattato per le estradizioni e la Costituzione nicaraguense vieta di consegnare un cittadino ad un altro paese, soprattutto se le sentenza ha implicazioni politiche. Nel 2004, in un'intervista al 'Nuevo Diariò, Casimirri ha negato di aver partecipato all'agguato di via Fani, dicendo che il giorno del sequestro stava «dando lezioni di educazione fisica in una scuola». LOJACONO - Lo «svizzero» Alvaro Lojacono, 54 anni, ha una condanna all'ergastolo nel processo Moro-quater per il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro. Lojacono era entrato nella colonna romana delle Br dopo una militanza nei gruppi dell'estrema sinistra romana. Nel 1975 era stato coinvolto nell'uccisione, a Roma, dello studente greco di destra Mikis Mantakas e per questo episodio è stato condannato a 16 anni. Secondo la ricostruzione giudiziaria, Lojacono faceva parte del commando delle Br che agì in via Fani. Dei membri di quel commando, Lojacono, con Casimirri e la Algranati, è stato coinvolto nelle vicende giudiziarie del caso Moro solo in un secondo tempo. Dopo un periodo in Algeria e, forse, in Brasile, Lojacono si rifugia nel Canton Ticino, dove viveva la madre, Ornella Baragiola, cittadina svizzera, e dove ottiene la cittadinanza svizzera, prendendo il cognome della madre. La Svizzera non ha mai concesso l' estradizione, ma lo ha arrestato nel 1988 per una condanna a 17 anni per l'uccisione del giudice Tartaglione. Dopo nove anni di detenzione, Loiacono ha ottenuto la semilibertà per seguire corsi di giornalismo e nell'ottobre 1999 è tornato in libertà. Lojacono è arrestato di nuovo il 2 giugno 2000 dalla polizia francese su richiesta italiana, sulla spiaggia dell'Ile Rousse, in Corsica. La Francia però non concede l'estradizione e l'ex terrorista torna libero e in Svizzera. E I DUE SULLA MOTO ? - Secondo diversi testimoni, in via Fani erano presenti anche due persone a bordo di una moto Honda di grossa cilindrata, piazzata a controllare l' incrocio tra via Fani e via Stresa. La presenza di questa moto è stata sempre esclusa da tutti i brigatisti, ma Etro ha detto che Casimirri gli avrebbe parlato dei «due cretini» della moto, mentre Adriana Faranda ha parlato della possibilità che militanti non regolari, saputo dell'azione, abbiano voluto essere presenti. La presenza della Honda in via Fani è stata sostenuta soprattutto dal testimone Alessandro Marini che ha detto che uno dei due a bordo sparò con un piccolo mitra verso di lui, colpendo il parabrezza del suo ciclomotore. Subito dopo l'arma si inceppò e cadde il caricatore. Il testimone riferisce anche che uno dei due somigliava moltissimo all'attore Eduardo De Filippo. Una ricostruzione sostiene che i due fossero «Peppe» e «Peppa», nomi di battaglia usati negli anni settanta da due militanti del Comitato proletario zona nord. Pino De Gori, avvocato della Dc in tutti i processi del caso Moro, dichiarò che i due sulla moto erano del Mossad, venuti ad 'assisterè al rapimento su una moto che si piazzò alle spalle della Fiat 130 del Presidente Dc.
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: PRIORE, C'ERANO I MARGINI PER SALVARLO = A 'PANORAMA DEL GIORNO', MA FU GIUSTO NON TRATTARE

  Per salvare la vita di Aldo Moro con una trattativa «i margini sicuramente c'erano», ma «fu giusto non trattare perchè c'era una pressione esterna fortissima». Lo ha affermato il giudice Rosario Priore, il magistrato che più di ogni altro ha indagato sul principale delitto politico italiano, a «Panorama del giorno» di Maurizio Belpietro, su Canale 5. «C'erano i parenti delle vittime, ricordo che la moglie di una delle vittime di via Fani minacciava continuamente di darsi fuoco. C'era anche -ha ricordato Priore- una pressione pubblica che voleva non si trattasse. Da parte nostra non c'era via di scelta, il magistrato deve osservare la legge e la legge non ci permette di trattare». Anche se Priore ritiene che, in altre situazioni, «lo Stato tante volte abbia chiuso un occhio e abbia trattato», per Moro non lo si fece «perchè Moro sembrava fosse l'ultima trincea, se si cedeva anche su Moro forse le istituzioni non avrebbero più tenuto. Io voglio soltanto ricordare che tuttora si tratta. Nei sequestri internazionali quelli che avvengono in medioriente si tratta e si è trattato continuamente per la liberazione degli ostaggi». Quanto al ruolo della Chiesa nella ricerca di una soluzione che salvasse la vita di Moro, Priore ha affermato che «tentò diverse trattative. Una sul piano diciamo puramente economico, raccogliendo denaro, e dall'altra parte c'era una trattativa che forse coinvolgeva lo stesso pontefice, cioè si cercava di capire cosa volessero esattamente le Brigate Rosse».
A Belpietro che gli chiedeva di confermare le sue affermazioni circa il fatto che non tutto si è scoperto sula rapimento e l'uccisione di Moro e che forse qualcuno dei protagonisti di quella vicenda non è stato ancora identificato, Priore ha risposto: «Quella frase l'ho pronunciata non vorrei però che si insistesse con richieste di tipo giudiziario. Io mi auspico che si passi alla storia, veramente, perchè a trent'anni di distanza ancora si fanno questioni di personaggi, di protagonisti, di persone che ancora non sono state individuate. Dobbiamo passare su un piano più alto, diverso». Il figlio dell'appuntato Domenico Ricci, ucciso dalle Br in via Fani, Giovanni, oggi dalle pagine del Corriere della Sera afferma che servirebbe un tavolo fra Br e Stato, per fare definitiva chiarezza sulla vicenda. Priore condivide la proposta? «In linea teorica si. Però da parte delle istituzioni e dello Stato non c'è da nulla offrire in cambio perchè tutti i nostri terroristi sono liberi, non ci guadagnerebbero alcunchè da una trattativa di questo genere», risponde il magistrato. Quanto, infine, alla possibilità che le Brigate Rosse possano ancora colpire, per Priore «il pericolo non è più quello di trent'anni fa perchè non c'è un contesto che solleciti e che possa sostenere un nuovo tentativo del genere. Questo non toglie che restino ancora molte isole, molti nuclei che potrebbero mettere a segno un attentato, perchè compiere un attentato è la cosa più facile di questo mondo», e quindi «qualche rischio tuttora sussiste».
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: LA FIGLIA MARIA FIDA, DIGNITÀ VA RISPETTATA

  Ricordare Aldo Moro da vivo, per suo contributo intellettuale e politico, e non soltanto da morto. È l'invito rivolto dalla figlia dello statista Dc, Maria Fida, durante la presentazione del volume di Franco Alfano alla Rai, nel corso di un dibattito coordinato da Sandro Curzi, ex direttore del Tg3 e oggi consigliere di amministrazione di viale Mazzini. «Ho scelto di perdonare perchè mio padre lo avrebbe fatto -ha detto Maria Fida- ma chiedo: se è vero che alle Brigate Rosse non si poteva dare un riconoscimento politico, perchè in questi 30 anni hanno parlato quasi a nome dello Stato?» Sul piano umano, secondo Ignazio La Russa, di Alleanza Nazionale, «Moro ha dimostrato un'altra statura anche in quel drammatico frangente». Eppure, ha sottolineato La Russa, «per diversi anni, prima degli eventi del '78, lo Stato ha fatto finta di niente per esigenze strettamente politiche».
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: BENVENUTO, 9 MAGGIO FU GIORNATA TERRIBILE

  «Una giornata terribile», quella del 9 maggio '78 nel ricordo di Giorgio Benvenuto ex segretario della Uil. «Mai nella mia vita ho visto una partecipazione dolente come nelle manifestazioni di piazza San Giovanni riempita di persone», racconta il sindacalista alla presentazione del libro di Franco Alfano «Tutto sia calmo», edito da Rai-Eri, sul caso Moro. «Le manifestazioni fatte su un camion, ho ancora il ricordo di tutte queste persone che erano lì senza bandiere. Il non andai al funerale ufficiale, per scelta, perchè nella fase finale ero molto critico con le istituzioni. Nonostante fossi per la fermezza, sono convinto che qualcosa si sarebbe potuto fare». Giorgio La Malfa, l'ex segretario del Partito Repubblicano, si domanda se lo Stato avrebbe potuto compiere un atto di clemenza per salvare la vita di Aldo Moro. «Se lo Stato avesse trattato per uno dei suoi esponenti -osserva La Malfa- sarebbe stato sconfitto e avrebbe significato la fine dello Stato democratico». L'ex segretario dei Repubblicani nota inoltre che «Moro era la chiave di un disegno politico che fu disarticolato con la sua morte. Quando arrivavano i comunicati delle Brigate Rosse si aveva l'impressione che fossero scritti dall'interno di Montecitorio tanta era da parte loro la comprensione degli avvenimenti».
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: ANDREOTTI, CI FURONO CORRESPONSABILITÀ STRANIERE = IL SENATORE A VITA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI FRANCO ALFANO

  Nel caso Moro ci furono «corresponsabilità straniere. Del resto, da tempo la Cecoslovacchia aveva dato asilo ad autori di crimini politici». Lo ammette Giulio Andreotti a 30 anni di distanza dal sequestro del presidente della Democrazia Cristiana. «Questo timore c'era -afferma l'ex presidente del Consiglio a margine della presentazione del libro 'Tutto sia calmò (edizioni Eri) che il cronista Franco Alfano ha dedicato alla vicenda- Del resto non c'era soltanto il Kgb ma c'erano intorno anche altri servizi». Tuttavia, il senatore a vita puntualizza che «tutto questo si inquadra in un mondo diverso: l'Unione sovietica non esiste più e tutto il corso della vita internazionale risente di quel giro di boa». Si affievoliscono con il tempo, a giudizio di Giulio Andreotti, «le speranze di sapere qualcosa di più sul caso Moro. Anche perchè -aggiunge il senatore- molte persone, molti protagonisti di quel tempo stanno scomparendo». Oggi, 30 anni dopo, oltre a sottolineare che «Moro fu scelto dalle Brigate rosse perchè era il più bravo, intellettualmente e politicamente », Andreotti si chiede quale fu il tono vero del famoso colloquio che lo statista democristiano ebbe con il segretario di Stato americano Henry Kissinger, negli Stati Uniti. Vi è molta «esagerazione -nota oggi il senatore a vita- nella ricostruzione di quel colloquio. Ma il tempo difficilmente ci aiuterà a saperne di più». Concorda con Andreotti, sull'ipotesi del coinvolgimento di servizi segreti stranieri per il sequestro di Moro, l'ex giudice istruttore Rosario Priore. Nel libro di Franco Alfano suggerisce come un'ipotesi tra le più fondate quella «del cervello parigino, il cosiddetto 'super clan' che andarono in Francia». Coloro insomma, spiega ancora il giudice, «che facevano parte del gruppo della scuola di lingue Hyperion. Il cervello parigino, quello che veniva frequentano da Senzani, quello dove andava Moretti. C'è tutto un insieme di persone che appare di livello superiore come preparazione».
14/03/2008 ANSA

MORO/30: PM MARINI, I TERRORISTI DICANO LA VERITÀ

  «Sono passati 30 anni ma abbiamo ancora fame e sete di verità. I primi a doverla dire oggi sono i terroristi». Lo ha detto Antonio Marini, Pm all'epoca dei processi alle Br per il sequestro di Aldo Moro, oggi alla Rai alla presentazione del libro Franco Alfano 'Tutto sia calmò sulle ultime ore di Aldo Moro. «Il rispetto vero per Moro - ha spiegato Marini - dovrebbe essere l'accertamento della verità e i processi non hanno potuto accertare tutta la verità. La devono dire i terroristi che hanno ricevuto tutti i benefici possibili e sappiamo che l'hanno ancora detta tutta». «Abbiamo dovuto aspettare 15 anni - ha continuato il magistrato - per sapere chi era il quarto uomo di Via Montalcini. Abbiamo poi appreso che era Germano Maccari. Sappiamo tutti che in Via Fani non c'erano solo i brigatisti condannati ma altre due persone a bordo di una moto Honda. Sono passati 30 anni e non sappiamo chi erano. Lo sanno i terroristi». «A me - ha concluso Marini - spetta l'accertamento della verità processuale che non sempre coincide con la verità storica. A 30 anni di distanza dobbiamo onorare Aldo Moro chiedendo la verità».
14/03/2008 ANSA

MORO/30: MARIA FIDA, RICORDIAMO MIO PADRE VIVO

  «Ricordiamo Aldo Moro vivo prima che morto». È l'appello lanciato dalla primogenita dello statista, Maria Fida Moro, questa mattina alla presentazione in Rai del libro di Franco Alfano «Tutto sia calmo» con la prefazione di Giulio Andreotti. «Non voglio entrare in polemica - ha detto Maria Fida Moro - ma vorrei ricordare a tutti che c'è una dignità che va rispettata. Moro prima di diventare un cadavere e di essere rapito era vivo. Mio figlio Luca, il bambino che tutti ricordano, dice sempre ora 'ma perchè mio nonno non deve essere mai ricordato vivo, soltanto morto?»'. Maria Fida Moro ha poi ricordato «io sono quella del perdono perchè mio padre avrebbe fatto così al mio posto ma non è giusto, non si possono equiparare carnefici e vittime, si può perdonare non equiparare». Durante la proiezione delle immagini del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nella Renault rossa in via Caetani, il 9 maggio, la figlia dello statista non è riuscita a guardare neppure per un momento il filmato. «Riuscite a immaginare che effetto facciano a me queste immagini. Affido a tutti voi soltanto il ricordo - ha insistito - di Moro vivo, dell'amore e della dignità che si deve ad ogni persona». «Alla fine di un corso di filosofia del diritto mio padre disse 'perciò è bello viverè, questo voglio sia il messaggio di questo malefico trentennale».
14/03/2008 ANSA

MORO/30: ANDREOTTI, IL TEMPO NON AIUTERÀ A CAPIRE VERITÀ

  «Il tempo difficilmente ci aiuterà a capire di più la verità. Più si va indietro più molte persone non ci sono più. Non possiamo servirci del tavolino a tre zampe». Così Giulio Andreotti ha parlato oggi, alla presentazione in Rai del libro di Franco Alfano «Tutto sia calmo», dei misteri che ancora accompagnano, a trent'anni dalla morte, l'assassinio di Aldo Moro. «Se non siamo arrivati alla verità dopo tanti anni - ha sottolineato Andreotti - non mi sembra possibile ora». Il senatore a vita ha spiegato anche che «non era possibile fare di più per la trattativa». «Se fosse stato possibile, lo avremmo fatto. Non era possibile - ha spiegato - trattare con i brigatisti, volevano diventare il partito della sinistra». Il libro di Alfano, ha detto poi Andreotti, è utile perchè «inquadra una situazione generale. Il titolo è straordinariamente suggestivo: tutto sia calmo. Credo che oggi sia importante di Moro non parlare soltanto di quel tragico momento finale ma rileggersi tutto l'insieme di suoi discorsi e scritti. Oggi la situazione è diversa, non esiste più l'Unione Sovietica, mancano punti di riferimento. Moro fu un uomo di partito».
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: FIGLIO APPUNTATO RICCI, PER FARE VERITÀ SERVE CONFRONTO TRA BR E STATO = 'A 30 ANNI DALLA STRAGE DI VIA FANI ANCORA NON C'È CHIAREZZA

  «Vorrei arrivare al punto in cui si potesse dire 'ecco tutto, questa è l'intera verità, e che a questa conclusione arrivassero sia i brigatisti che lo Stato. Invece dopo trent'anni sento ancora parlare di killer non identificati, banda della Magliana, clan calabresi, servizi segreti deviati...Mi piacerebbe avere chiarezza, dai terroristi ma anche dalle istituzioni. Tanti processi e tanti libri evidentemente non sono bastati». Lo dichiara in un'intervista al 'Corriere della Serà Giovanni Ricci, figlio dell'appuntato Domenico Ricci, ucciso il 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse a via Fani nel corso del rapimento di Aldo Moro. «I brigatisti dicono che ormai si sa tutto? Non so se è vero -prosegue Ricci- sicuramente non lo credo.Ma se anche lo fosse, la stessa cosa dovrebbe avvenire da parte delle istituzioni, per chiarire se tutto quello che si doveva o poteva fare è stato fatto. Ecco, io penso che dovrebbero sedersi intorno allo stesso tavolo, e arrivare ad un'unica verità su come andarono le cose trent'anni fa, senza lasciare ombre, nè dubbi. E solo allora, solo dopo, nel dibattito potremo intervenire anche noi, i rappresentanti delle vittime. Finora siamo stati quasi un intralcio». «Quando l'anno scorso - dovevano raccogliere il parere della mia famiglia sui benefici a un brigatista che partecipò alla strage di via Fani l'ispettore della Digos precisò che avrebbe contato niente perchè non era vincolante. Risposi che avevo tanti motivi per essere contrario quanti furono i proiettili che uccisero mio padre. Non perchè sia animato da spirito di vendetta - conclude Ricci - ma perchè manca la verità condivisa e finale che potrebbe veramente farci voltare pagina».
14/03/2008 ANSA

MORO/30: DOMANDE SENZA RISPOSTA, RISPOSTE SENZA DOMANDE

  (di Stefano Fratini) Nel caso Moro ci sono molte domande che non hanno trovato risposta, nonostante i molti processi e le molte commissioni parlamentari che si sono occupati della vicenda. Alcune forse sono esagerazioni dietrologiche, ma altre hanno una loro logica. Eccone alcune: Chi erano i due che hanno sparato dalla moto Honda, uno dei quali assomigliava moltissimo ad Eduardo De Filippo? Chi era il brigatista del commando che ha sparato più della metà dei colpi? Chi era il brigatista del commando che, secondo diversi testimoni, ha urlato ordini in una lingua straniera (o in un dialetto)? Che faceva il col. Guglielmi, del Sismi, istruttore di Gladio, in via Fani alle 9 di mattina, perchè doveva andare a pranzo da un amico? Che fine hanno fatto le due borse di Moro portate via dai terroristi e i documenti in esse contenuti? È verosimile che, solo per un caso secondo i Br, il giorno dell'agguato coincida con quello della presentazione alle Camere del governo appoggiato dal Pci ? Chi e perchè ha fatto scoprire l' appartamento di via Gradoli attraverso il trucchetto dell' acqua lasciata aperta? Perchè è stato immediatamente accreditato come 'autenticò il comunicato del lago della Duchessa, che era palesemente falso per forma, stile e contenuto? Che rapporto c'è tra la scoperta del covo di via Gradoli e il falso comunicato del Lago della Duchessa, che avvengono nello stesso momento ? Perchè la notizia della scoperta di via Gradoli è stata data con grande risalto mentre la logica investigativa suggeriva un appostamento in attesa del rientro degli inquilini ? Chi ha suggerito ai professori bolognesi la pista 'Gradolì, dal momento che nessuna persona di buon senso può realmente credere alla versione della seduta spiritica? Da dove venivano e che fine hanno fatto gli elenchi di politici, militari, industriali e funzionari pubblici trovati in via Gradoli, dei quali sono usciti solo 6 nomi, cinque dei quali erano negli elenchi della P2, scoperti solo tre anni dopo? Come si spiegano le incongruenze temporali tra l' ora in cui, secondo i terroristi, sarebbe avvenuta l' 'esecuzionè, l' ora presunta della morte di Moro e l' ora in cui le Br avrebbero parcheggiato la R4 in via Caetani? Perchè la scelta di via Caetani, distante dal luogo presunto dell'uccisione e in una zona particolarmente presidiata? Perchè non è stata fatta chiarezza sul trasporto dei documenti fuori da via Monte Nevoso (il memoriale o altre carte, magari di Moro ?) prima dell' arrivo del magistrato? Che cosa contenevano i faldoni acquisiti nel 2001 da consulenti della Commissione stragi che sembrano legare un elenco di Gladio e al covo di via Monte Nevoso? In che modo sono legate al caso Moro e ai suoi documenti le uccisioni di Varisco, Dalla Chiesa, Pecorelli, Chichiarelli, Galvaligi? Perchè le Br prima annunciano che «nulla deve essere nascosto al popolo» e poi tengono per sè le risposte di Moro, sostenendo che «non ci sono clamorose rivelazioni da fare»? Perchè nessuna chiarezza è stata fatta sulle operazione preparate e poi non eseguite per liberare Moro? Perchè, nella versione del memoriale trovata in via Monte Nevoso nel 1990, Moro scrive:«io desidero dare atto che alla generosità delle Brigate Rosse devo, per grazia, la salvezza della vita e la restituzione della libertà»? Che rapporto hanno con il caso Moro gli oscuri segnali ripetutamente lasciati da Chichiarelli nel borsello «smarrito» e nella rapina alla Brink's Securmark? Quale era il covo fiorentino dove si riuniva la direzione strategica delle Br? E chi era l'anfitrione di cui si è parlato come di un «conte rosso»? Il tentativo di trattativa del Psi riuscì realmente ad avere contatti con due del gruppo Br che gestiva il rapimento. Perchè non si è pensato di pedinarli? Che fine hanno fatto i verbali delle riunioni dei «comitati di crisi» al ministero dell'Interno? È vero quello che ha detto Nara Lazzerini, ex segretaria di Gelli, che ha detto che subito dopo il rapimento avrebbe sentito il capo della P2 conversare con due persone, una delle quali disse:«Il più è fatto, adesso aspettiamo le reazioni»? È vero che Nino Arconte, che dice di essere stato in Gladio, fu mandato a Beirut, prima del rapimento, a portare un messaggio che chiedeva di attivarsi per la liberazione di Moro? Se gli stessi brigatisti dicono che la Renault rossa fu lavata bene prima del suo uso finale, come si spiegano le tracce trovate su di essa (bitume, sabbia tipica del litorale laziale poco a nord di Fiumicino, tracce di terreno vulcanico, residui vegetali tipici di zone vicine al mare)? Come mai l'Hyperion, misteriosa scuola di lingue parigina, aveva aperto una sede a Roma poco prima del rapimento Moro per poi chiuderla poco dopo la sua conclusione ? Che ruolo ha avuto la fantomatica organizzazione chiamata «Anello» nelle presunte trattative per liberare Moro pagando un riscatto e chi erano i brigatisti con i quali erano in corso le trattative?
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: ANTONIO MARINI, NON SAPPIAMO TUTTA LA VERITÀ = IL GIUDICE, SONO I BR DISSOCIATI E PENTITI A DOVERLA DIRE

  Sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro «non si conosce ancora tutta la verità». A doverla dire, secondo il giudice Antonio Marini, «sono i brigatisti che hanno ricevuto dallo Stato i benefici della dissociazione e del pentimento. Abbiamo dovuto aspettare 15 anni per sapere chi era il quarto uomo di via Montalcini e cioè Germano Maccari. Sappiamo tutti -spiega Marini- che in via Fani c'erano altri due terroristi a bordo di una moto Honda ancora non sappiamo chi sono. Eppure non è vero che quella moto sia passata per caso in via Fani». Il magistrato, intervenuto alla presentazione del libro di Franco Alfano sul caso Moro, si chiede inoltre «come sia possibile in uno Stato democratico che ci siano ancora due persone impunite per un fatto così grave». L'ex esponente socialista, Claudio Signorile, oltre a definire quella di Moro «una tragedia politica», riflette sul fatto che quella portata di Moro non fu «un'operazione politica fine a se stessa, ma la lettura di una evoluzione della democrazia». Ancora oggi, dopo 30 anni, Signorile si domanda perchè Aldo Moro fu giustiziato proprio la mattina del 9 maggio 1978. «Lo hanno ammazzato dopo che noi avevamo raggiunto con Fanfani un'intesa di comportamenti, dopo che io l'avevo annunciato purtroppo telefonicamente a Craxi, perchè era in viaggio per la campagna elettorale». Il vicesegretario del Partito socialista tentò allora, tramite due leader di Potere operaio e Autonomia operaia, Franco Piperno e Lanfranco Pace, di avviare una trattativa con le Brigate rosse per la liberazione di Moro. «Era una possibilità concreta -spiega Claudio Signorile- ma la strategia dell'ala militarista delle Br, eterodiretta era quella dell'assassinio. Un assassinio che io considero non un colpo di genio ma una scelta e attraverso il quale si determinano le condizioni che porteranno in poco tempo a un cambiamento della politica italiana».
14/03/2008 ANSA

SKY: SPECIALE DI NUCCIO FAVA SU MORO A FINESTRA ITALIA

  Aldo Moro, via Fani trent'anni dopo: domani sera speciale di Finestra Italia (canale 920 Sky) condotto da Nuccio Fava. Il 16 marzo 1978 veniva rapito il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro: Miriam Mafai, Paolo Franchi, Stefano Folli, Giovanni Guzzetta ne discuteranno con Nuccio Fava domani alle ore 24 ed in replica domenica 16 alle ore 23:30 su Ab Channel (canale 920 di Sky). Molte le testimonianze dei protagonisti di quei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, raccolte in inedite interviste. Il filo conduttore sarà quello di capire come mai a trent'anni dalla morte del celebre statista non si sia ancora arrivati a una verità. Il tutto raccontato da Nuccio Fava che in quegli anni al Tg1 seguì in prima persona la vicenda Moro.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: NON SOLO POLITICO E STATISTA,ANCHE GIORNALISTA/ IN UN LIBRO LA SUA PUBBLICISTICA E L'EREDITÀ DAI SUOI SCRITTI

  (di Enzo Quaratino) «Aldo Moro sosteneva che 'siamo tutti impegnati, ognuno a suo modo, a escludere cose mediocri per far spazio a quelle grandì: questa tensione compare soprattutto nei suoi articoli giornalistici, che iniziò a scrivere dal 1937, ancor prima di laurearsi, su 'Azione Fucinà, e che continuò a proporre con continuità fino al sequestro e alla morte». Così Antonello Di Mario, autore di un recente volume su Moro giornalista ('L'attualità politica di Aldo Moro negli scritti giornalistici dal 1937 al 1978' Tullio Pironti Editore), propone quel che emerge dalla pubblicistica morotea. «Quando Moro fu rapito - racconta Di Mario - in una delle sue borse furono trovate le bozze di un articolo per 'Il Giornò che fu pubblicato postumo. Moro aveva cominciato la collaborazione con il quotidiano milanese, diretto da Gaetano Afeltra, nel 1972 per avere un rapporto diretto con i lettori, al di l… dei tradizionali canali offerti dalla politica. E dalla sua pubblicistica emerge il profilo di un uomo che ha fatto del dialogo il valore di riferimento del suo impegno sociale». A 30 anni dal sequestro e dall'uccisione dell'allora Presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana quegli scritti - secondo Di Mario - rappresentano ancora «un punto di riferimento per la crescita civile e politica del Paese. 'Non esiste democrazia - scriveva Moro - senza verit… e giustizia. Senza questi due valori è come se la democrazia poggiasse sulla sabbià. Si tratta - dice Antonello Di Mario - di una testimonianza di vita, oltre che giornalistica. Moro si rivolgeva ai giovani cattolici, usciti dalle asprezze della dittatura fascista e prendeva spunto dall'insegnamento presente in 'Umanesimo integralè, di Jacques Maritain, un testo tradotto da monsignor Giovan Battista Montini, che diverr… poi Papa Paolo VI. Quel libro diventò il sestante di alcuni gruppi che si apprestavano a diventare classe dirigente, a ricostruire il Paese che aveva sofferto la guerra, ad agire associando la cultura alla formazione e all'impegno politico». Dalla pubblicistica di Aldo Moro emerge anche un altro profilo del carattere, quello dell'educatore. «La moglie Eleonora - spiega Di Mario - è sempre rimasta convinta che la vera vocazione del coniuge fosse quella dell'insegnante. Dagli scritti di Moro emerge il grande valore che attribuiva alla educazione e alla conoscenza, quasi come un elemento di riscatto rispetto al disagio. Ma Aldo Moro era un insegnante atipico: non solo teneva lezioni di diritto, ma si interessava alla vita dei suoi studenti; era attento alle loro problematiche personali e familiari; li invitava alla Camera per seguire i lavori parlamentari nelle fasi in cui guidava l'esecutivo. Era il segno di una profonda vicinanza. Il giorno in cui venne rapito, aveva in programma la discussione di dieci tesi di laurea che aveva con sè in auto e che furono ritrovate insanguinate. Da prigioniero chiese alla famiglia di scusarsi con i suoi studenti. Aveva, inoltre, una dote 'specialè ed oggi sempre più rara: una grande capacit… di ascolto, si appassionava alle persone. Ognuno era al centro della sua attenzione. Era curioso, voleva sapere, cercava il confronto, il dialogo. E, dai suoi articoli, emerge anche come riusciva a comprendere le trasformazioni sociali. Aveva compreso il rilievo del Sessantotto, che si annunciava tempi nuovi. Quell'anno, prima di lasciare Palazzo Chigi, al termine del suo terzo governo, convocò le organizzazioni giovanili studentesche per capire da loro come interpretavano quel cambiamento». Anche dagli scritti giornalistici di Aldo Moro - a prere di Di Mario - è possibile ricavare una eredità. «Consiste nel fatto - spiega - che non si Š mai nascosto la verit…: ha sempre creduto nel principio che ogni individuo ha un suo spazio di libert… all'interno del quale esercitare la sua funzione di testimonianza, di azione politica, di ruolo attivo. Anche quando era prigioniero dei suoi aguzzini, Moro riusciva a trovare uno spazio di libert… e testimonianza: in ci• che scriveva c'era sempre una prospettiva e un dialogo che cercava di tessere. Quelle lettere, scritte in uno spazio ristretto e in una condizione di sofferenza, appartengono in pieno alla pubblicistica di Aldo Moro e riflettono il suo stile e i contenuti di un uomo politico, ma non solo, che ha un'anima e che mantiene la propria fede»
14/03/2008 ANSA

MORO/30:ELIANA VERSACE,CON MONTINI RAPPORTI FREDDI E FORMALI IL FALSO MITO DEL VESCOVO PROGRESSISTA SPIEGATO IN UN LIBRO

  Giovanni Battista Montini e Aldo Moro non erano amici dai tempi della Fuci, (Federazione universitaria cattolica italiana) come molti pensano, e non raggiunsero mai una piena sintonia, nè quando Montini era arcivescovo di Milano, nè quando divenne Papa, col nome di Paolo VI. Tanto più che l'apertura al socialismo «rispondeva a una sensibilità di tipo antropologico e spirituale e non alla condivisione di una linea politica». Sono due degli aspetti della vita dell'arcivescovo di Milano che il libro di Eliana Versace 'Montini e l'apertura a sinistrà rovescia, a due giorni dal trentesimo anniversario del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, avvenuto il 16 marzo del 1978, durante il pontificato di Paolo VI. Il volume è stato presentato a Roma dal senatore a vita Giulio Andreotti, dal presidente dell'Istituto opere religiose, Angelo Caloia, dal presidente del Comitato di bioetica, Francesco Paolo Casavola e dal direttore dell'Osservatore romano, Giovanni Maria Vian. «È improprio - ha detto Versace - parlare di amicizia fra Montini e Moro, ne è prova il carteggio fra i due, dovuto soprattutto a questioni burocratiche e che dimostra una certa freddezza nei rapporti». Quanto alla nota apertura alle sinistre, il senatore Andreotti ha ricordato che Montini, politicamente molto vicino a De Gasperi, verso il quale aveva un atteggiamento «quasi paterno», proveniva da una famiglia impegnata in prima persona nella vita politica italiana (il padre Giorgio era direttore de 'Il cittadino di Brescià, mentre il fratello era senatore). Dal momento che «il comunismo sovietico aveva posizioni di lotta verso la religione - ha spiegato Andreotti - rivedere il rapporto coi socialisti non significava mescolare religione e politica, ma si trattava di un tutt'uno». «Questo libro - ha agginuto - inquadra bene cosa voleva dire la preoccupazione di chi guardava con molti punti interrogativi a quegli indirizzi che si stavano profilando». L'apertura verso posizioni in antitesi con la sua, era dettata, secondo Casavola, all'attitudine di un uomo, Montini, «che rispettava l'intelligenza anche di coloro dei quali non condivideva le idee», atteggiamento questo che ha contribuito a diffondere il falso mito di un vescovo progressista.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: INFILTRATI SÌ, INFILTRATI NO

  (di Stefano Fratini) Si è parlato spesso di infiltrati delle forze dell'ordine tra i terroristi, all'epoca del caso Moro, ma non si è riusciti a chiarire i dubbi. È certo che, se c'erano, non hanno avuto successo. A meno di riprendere una tesi dell'ex presidente della commissione Stragi Pellegrino, quella del 'doppio ostaggiò (Moro e le carte) e di ammettere che il problema pi— urgente non fosse quello di salvare Moro, ma di recuperare carte pericolose. Agli atti delle commissioni Moro e P2 c'è un appunto di Marcello Coppetti, ex giornalista dell' Ansa morto pochi anni fa. Coppetti, esperto di servizi segreti, aveva scritto che, durante un incontro a villa Wanda, Licio Gelli disse a lui e a Umberto Nobili, ufficiale del Sios aeronautica, che «il caso Moro non è finito: Dalla Chiesa aveva un infiltrato, un carabiniere giovanissimo, nelle Brigate rosse. Così sapeva che le Br che avevano sequestrato Moro avevano anche materiale compromettente di Moro... Dalla Chiesa andò da Andreotti e gli disse che il materiale poteva essere recuperato se gli dava carta bianca. Siccome Andreotti temeva le carte di Moro (le valige scomparse ?) nominò Dalla Chiesa. Costui recuperò ciò che doveva. Così il memoriale Moro è incompleto. Anche quello in mano alla magistratura perchè è segreto di Stato». Di Patrizio Peci, il primo importante terrorista pentito, si è spesso avanzato il sospetto che fosse un infiltrato fin dall' inizio della sua militanza, facendo leva sul fatto che Peci era stato in passato un sottufficiale dell' Arma dei carabinieri. L' ex questore Arrigo Molinari (ucciso nel 2005 e che era nelle liste P2) ha detto in commissione stragi che a settembre 1978 la questura di Genova aveva inviato al ministro dell' Interno Rognoni un rapporto per segnalare elementi e riscontri che facevano ritenere Giovanni Senzani un infiltrato all' interno delle Br. Anche di uno degli uomini del commando di via Fani, Alessio Casimirri, l' unico mai catturato che ora gestisce un ristorante in Nicaragua, si è parlato come di un infiltrato. Nell' aprile 1998 un quotidiano riportò una dichiarazione attribuita al pm Antonio Marini, secondo cui, dopo un fermo casuale di Casimirri, il gen. Delfino si sarebbe reso conto che si trattava di un brigatista e «riuscì a sapere che stava organizzando non un comune sequestro ma il rapimento del presidente della Dc e allora lo passò al Sismi. Il Sismi gli avrebbe fatto fare l'operazione, lo avrebbe avuto come infiltrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla prigione di Moro e poi lo avrebbe fatto fuggire all'estero». Nel 1979 Paolo Santini, informatore del colonnello dei carabinieri Cornacchia (anche Cornacchia era nelle liste di Gelli), infiltrato in uno dei gruppi minori con diretti contatti con le Br, operativo al tempo del sequestro Moro, sarebbe stato arrestato perchè denunciato a sua volta da un altro infiltrato che lavorava per la Digos. Ma sospetti ci sono stati addirittura sul capo supremo delle Br del dopo-Curcio, Mario Moretti, che gli altri membri del Comitato esecutivo sottoposero, a sua insaputa, ad un' inchiesta interna. E lo stesso Moretti fu arrestato, anni dopo, grazie all' infiltrato Renato Longo. Ernesto Viglione, giornalista che abita in via Fani e che per questa vicenda sarà condannato a 3 anni e 6 mesi in primo grado e poi assolto in appello, dirà di essere entrato in contatto con il terrorista dissidente 'Francescò, che gli aveva proposto addirittura un'intervista con Moro nel 'carcere del popolò. Era maggio e Moro fu ucciso prima che Viglione potesse verificare le proposte di 'Francescò, un uomo dal forte accento lucano o calabrese. Il contatto proseguì. 'Francescò sosteneva che il rapimento Moro era stato organizzato da un gruppo guidato da alti prelati ed esponenti politici e in via Fani, mascherati da brigatisti, c'erano due sottufficiali e un ufficiale dei carabinieri. Nel vertice delle Br ci sarebbe stato anche un importante magistrato. La strage della scorta era avvenuta perchè i «carabinieri» temevano che Leonardi li riconoscesse. Sempre secondo lui, i brigatisti non avevano intenzione di uccidere Moro, e il presidente della DC era stato vittima di una congiura che si sarebbe servita delle Br come copertura. Viglione informò Cervone, Piccoli e Scalfaro e ne parlo anche con i generali Ferrara e Dalla Chiesa. 'Francescò promise anche di far catturare il vertice delle Br in una riunione a Salice Terme, ma anche di ciò non si fece nulla. Risultò poi che la fonte era Pasquale Frezza, uno strano personaggio con precedenti penali che riuscì ad ottenere anche una somma di denaro dall' on. Egidio Carenini (Dc) il cui nome era nelle liste P2. Sembra però che per un certo tempo Viglione abbia pensato che la sua fonte fosse Giustino De Vuono e che Frezza abbia sostenuto poi di aver accettato la parte per coprire l' identità del vero brigatista. Anche Pecorelli, su OP, scrisse di 'carabinierì tra virgolette:«Moro, secondo le trattative, doveva uscire vivo dal covo al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario? I 'carabinierì (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciarlo andare via con la macchina rossa. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, perchè si voleva comunque l' anticomunista Moro morto e le Br avrebbero ucciso il presidente della Dc in macchina, al centro di Roma, con tutti i rischi che un'operazione del genere comporta». Pecorelli scrisse anche che «I rapitori di Aldo Moro non hanno nulla a che spartire con le Brigate rosse comunemente note. Curcio e compagni non hanno nulla a che fare con il grande fatto politico-tecnicistico del sequestro Moro.....Curcio e Franceschini in questa fase debbono fornire a quelli che ritengono occasionali alleati una credibile copertura agli occhi delle masse italiane. In cambio otterranno trattamenti di favore. Quando la pacificazione nazionale sarà un fatto compiuto e una grande amnistia verrà a tutto lavare e tutto obliare».
14/03/2008

CASO MORO: DOMENICA 'SPECIALE TG1' RICOSTRUISCE LA FIGURA DELLO STATISTA = IN ONDA ALLE 23,45 SU RAIUNO

  A trent'anni dalla scomparsa «Speciale Tg1 dedica una serata alla figura di Aldo Moro, che sarà in onda domenica alle ore 23,45 su RaiUno. Il programma a cura di Alberto Melloni e David Sassoli avrà come ospiti in studio Agnese Moro, Maria Ricci, vedova di uno degli agenti uccisi in via Fani,e Miguel Gotor, lo storico che ha pubblicato un'edizione critica delle lettere dello statista.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: IONTA, FERITA NON RIMARGINATA, NO DIETROLOGIE

  La strage di via Fani e il sequestro e l' omicidio di Aldo Moro rappresentano nella storia di Italia «tutt' ora una ferita non rimarginata soprattutto perchè i protagonisti di quella vicenda ne risultano ancora oggi coinvolti e stretti in un nodo che li costrinse a scegliere tra la salvezza dello stato e la possibilità della liberazione dell' ostaggio». È quanto scrive il procuratore aggiunto Franco Ionta, capo del pool antiterrorismo di Roma, commentando il trentennale di via Fani che cadrà domenica. «L' affanno investigativo determinato principalmente dall' assenza di informazioni qualificate fu l' aggravante specifica per una dirigenza politica che riuscì a percepire soltanto la pericolosità della situazione, senza un progetto operativo, e senza una gestione realmente politica di quanto andava accadendo ad opera esclusiva di un manipolo di militanti delle BR che avevano di fatto accerchiato gli accerchiatori». Ionta sostiene che «ci sono voluti molti anni, molte indagini e molti processi »per venire a capo delle responsabilità giudiziarie immediate, dirette ed indirette, nell' episodio che trascinò per quasi due mesi il nostro paese in un tunnel senza vie d' uscita«. Queste condizioni - ha spiegato ancora Ionta - hanno alimentato nel tempo un fiorire di speculazioni spesso disinformanti, tutte credo originate dal non voler riconoscere che l' organizzazione eversiva aveva colpito al cuore dello stato con il dispiegamento di forze tutto sommato limitate e prive di una consistenza militare apprezzabile. Si è fatta sempre fatica ad ammettere che un gruppo esiguo di persone potesse tenere in scacco gli apparati repressivi e potesse fortemente condizionare le discrezionalità politiche. Da ciò un rivolgersi 'altrovè, un cercare con spirito dietrologico, alleanze, complicità esterne e superiori che potessero spiegare la sostanziale disfatta registrata; ovvero un inserire un rapimento in una strategia 'altrà rispetto a quella propria della cosiddetta 'campagna di primaverà ». Il procuratore aggiunto, che ha indagato sulla vicenda Moro sostiene che non vi è un nesso tra la presentazione alle Camere del governo sostenuto dal Pci e la strage di via Fani dato che questa operazione era stata programmata ed iniziata dalle BR già nell' estate del 1977 e quindi «in un' epoca in cui il progetto politico-istituzionale di Moro non era nemmeno embrionalmente elaborato. Le BR in questa come in tutte le altre situazioni hanno agito secondo i loro tempi, le loro necessità operative e seguendo la loro logica di intervento». Altro esempio fatto da Ionta è quello del cosiddetto «quarto uomo» presente in via Montalcini di volta in volta ricondotto ad agenti dei diversi servizi di sicurezza. «All' individuazione giudiziaria del soggetto hanno concordemente gridando al complotto, fatto ricorso alla teoria del capro espiatorio non sempre arrendendosi nemmeno di fronte alla confessione nel processo».
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: I 55 GIORNI DEL SEQUESTRO DOMENICA A 'TG2 DOSSIER' = IN ONDA ALLE 18 - IN STUDIO BODRATO, CERVETTI E FORMICA

  Il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, 30 anni fa, sono una vicenda centrale e tragica della nostra storia e segnano uno spartiacque per la politica e per l'Italia. «Tg2 Dossier», in onda domenica alle 18, ricostruirà la mattina del 16 marzo 1978 e i 55 giorni del sequestro, con i politici divaricati tra il partito della fermezza e quello della trattativa. In studio con Mauro Mazza tre protagonisti di allora, con i loro ricordi e le loro riflessioni: Guido Bodrato, Gianni Cervetti e Rino Formica.
14/03/2008 OmniaRoma

MORO, CONSAP: «DEDICARE VIA A SCORTA»

  «Trenta anni fa, a Roma, il 16 marzo del 1978, veniva trucidata la scorta dell'onorevole Aldo Moro, la Confederazione Sindacale Autonoma di Polizia nel commemorare le vittime e le loro famiglie, chiede un impegno formale al prossimo sindaco della Capitale. È giunta l'ora che Roma dimostri concretamente il rispetto per il sacrificio dei colleghi, intitolando una strada a questi eroi. Vogliamo l'impegno formale dei candidati a sindaco, che questa gravissima dimenticanza sia finalmente colmata». È quanto dichiara, in una nota, il rappresentante nazionale dell'osservatorio sulle scorte della Consap Pietro Giaccardi.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: STORICO USA, TEORIE COSPIRAZIONE NON REGGONO /ANSA DRAKE, NIENTE CIA. 'PEGGIO DI JFK,IN ITALIA TROPPI OLIVER STONÈ

  (di Marco Bardazzi) Dalla Cia a Henry Kissinger, passando per la P2: quali che siano i protagonisti delle teorie della cospirazione sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro emerse nel corso di 30 anni, «non ce n'è alcuna che possa reggere a un serio vaglio storico». Parola di Richard Drake, uno storico americano che al terrorismo italiano e al caso Moro in particolare ha dedicato gran parte della propria carriera. Tre decenni dopo la tragedia, dice Drake all'Ansa, è l'ora che l'Italia «accetti la verità dei processi e della storia», che indica nelle sole Br i responsabili del delitto. Per Drake - preside del Dipartimento di Storia all'Università del Montana e autore tra l'altro di 'Il Caso Aldo Morò (Marco Tropea, 1996) - gli storici oggi non possono che trarre una conclusione: «Le Brigate Rosse, ispirate fanaticamente dalla loro ideologia marxista-leninista, hanno ucciso Moro interamente da sole, nella speranza di innescare una rivoluzione in Italia». Il fatto che dopo 30 anni si fatichi ad accettarlo, a detta di Drake, è dovuto anche agli scritti di autori che lo storico critica severamente, in particolare Leonardo Sciascia e Sergio Flamigni. «Se guardiamo solo ai fatti e alle prove, come deve fare uno storico, è improbabile concludere che una sola delle teorie alternative sia valida», afferma Drake, che per i propri studi si è basato anche su ampi scambi di informazioni con il giudice Severino Santiapichi, che guidò la Corte d'Assise nelle ricostruzioni del sequestro. «La mia conclusione negli anni '90 sulla responsabilità delle sole Br - dice Drake - ha retto dopo un decennio ed è oggi rafforzata in Italia dai lavori di storici seri come Vladimiro Satta e Agostino Giovagnoli». «Agli italiani - afferma lo storico del Montana - vorrei chiedere di essere sospettosi sulle teorie cospirative almeno quanto lo sono stati sulle ricostruzioni ufficiali. È questo il modo corretto di agire. L'approccio storico è il più valido e l'Italia, fin dai tempi di Francesco Guicciardini, ha una grande tradizione in questo senso». Drake ha studiato all'Università di Padova ai tempi di Toni Negri e vinse nel 1972 una borsa di studio 'Aldo Morò insieme alla Fulbright. «Da allora - racconta - ho seguito da lontano questa tragica figura di politico italiano, restando inorridito nel 1978 per quello che gli accadde: per questo ho dedicato la carriera ad approfondire il terrorismo in Italia». Secondo lo storico americano, «il caso Moro è per l'Italia ciò che per noi è il caso Jfk, sul quale fioriscono altrettante teorie cospirative. Ma neppure sulla vicenda di Kennedy si è raggiunto i livelli di ciò che è stato detto in questi 30 anni su Moro: Oliver Stone ha un gran numero di imitatori in Italia...». La responsabilità, per lo studioso, «è anche della scarsa fede che l'Italia ha nel proprio sistema giudiziario: Sergio Zavoli negli anni scorsi ha dimostrato quale sia la dinamica dei 'misterì in Italia». Drake sostiene di aver approfondito ogni pista alternativa emersa negli anni, comprese quelle che puntavano a Washington, a un coinvolgimento della Cia o a un qualche ruolo dell'ex segretario di Stato Kissinger, di cui era nota l'opposizione al progetto di compromesso storico di Moro. «Sono certo che il governo americano era assai scontento con Moro - afferma lo storico -, c'era un'enorme risentimento e molto sospetto per le sue posizioni. Sono anche sicuro che ci siano stati elementi dell'ala più conservatrice qui negli Usa che possono aver brindato per la sua eliminazione. Detto questo, non c'è uno straccio di prova che un singolo americano abbia participato alla vicenda o sia stato in contatto con le Br». Al contrario, secondo Drake, «la commissione Mitrokhin ha evidenziato come possa esserci stato, semmai, un coinvolgimento del Kgb, visto che era specializzato nel falsificare documenti per far pensare a ruoli della Cia». «Non c'è un solo frammento di documentazione storica attendibile - insiste il professore americano - che leghi la Cia al caso Moro». «Questo anniversario - conclude - offre all'Italia una opportunità. Se si mettono insieme le conclusioni dei processi e quelle della commissione Moro e della commissione stragi, emerge la verità che ancora incontra resistenze in parti della sinistra, perchè in quest'area politica, fino a quando le Br non cominciarono ad uccidere nel 1974, c'era simpatia per loro. È molto più comodo tirare in ballo la Cia che non interrogarsi su quali basi ideologiche e culturali abbiano spinto Curcio, Peci o Franceschini a diventare quello che diventarono».
14/03/2008 ANSA

MORO/30:PIECZENIK,MANIPOLAI TUTTI PER ARRIVARE A MORTE / BR AVEVANO VINTO, SAREBBE BASTATO RILASCIARE LIBERO L'OSTAGGIO

  Steve Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978, psichiatra, specialista in «gestioni di crisi», esperto di terrorismo, visse - secondo quanto ha rivelato recentemente in un libro-intervista - gomito a gomito con Francesco Cossiga la parte cruciale dei 55 giorni. Era lui, «l'esperto americano» che indirizzò e gestì l'azione di contrasto dello Stato alle Br. La sua presenza al Viminale è stata interpretata, da molti, negli scorsi anni, come una sorta di «controllo» Usa sulla vicenda che coinvolgeva un Paese all'epoca decisivo negli equilibri Est-Ovest. Nel libro pubblicato da poco in Italia - «Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent'anni un protagonista esce dall'ombra» edito da Cooper e curato da Nicola Biondo - Pieczenik spiega e rivendica la scelta di aver finto di intavolare una trattativa con le Br quando invece «era stato deciso che la vita dello statista era il prezzo da pagare». L'esperto Usa va anzi oltre nelle sue rivelazioni-shock: da un certo punto in poi tutta la sua azione mirò a far sì che le Br non avessero altra via d'uscita che uccidere Moro, fatto questo che avrebbe risolto la gran parte dei problemi che rischiavano di far precipitare l'Italia nel caos. «La mia ricetta per deviare la decisione delle Br era di gestire - spiega nel libro lo psichiatra - un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati (del Viminale n.d.r.) dicendo a tutti che ero l'unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto». Nel libro del giornalista francese Emmanuel Amara si spiega che il momento decisivo arrivò quando Moro dimostrò di essere ormai disperato. Su quella base si decise l'operazione della Duchessa, cioè il falso comunicato delle Br, scelta questa presa nel Comitato di crisi. «I brigatisti non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un altro terrorista che li utilizzava e li manipolava psicologicamente con lo scopo di prenderli in trappola. Avrebbero potuto venirne fuori facilmente, ma erano stati ingannati. Ormai non potevano fare altro che uccidere Moro. Questo il grande dramma di questa storia. Avrebbero potuto sfuggire alla trappola, e speravo che non se ne rendessero conto, liberando Aldo Moro. Se lo avessero liberato avrebbero vinto, Moro si sarebbe salvato, Andreotti sarebbe stato neutralizzato e i comunisti avrebbero potuto concludere un accordo politico con i democristiani. Uno scenario che avrebbe soddisfatto quasi tutti». «Era una trappola modestissima, che sarebbe fallita nel momento stesso in cui avessero liberato Moro», aggiunge. Pieczenik spiega che Cossiga ha approvato la quasi totalità delle sue scelte e delle sue proposte. «Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. È in quell'istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a far scattare la trappola tesa alle Br. Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo». Pieczenik traccia un bilancio di questa sua strategia che definisce trotzkista: «Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Moro al fine di stabilizzare la situazione dell'Italia. Mai l'espressione 'ragion di Statò ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia»
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: SPECIALE DI 'FINESTRA ITALIA' SU AB CHANNEL = IN ONDA DOMANI ALLE 24

  Il 16 marzo 1978 veniva rapito il presidente della Dc Aldo Moro. «Finestra italia» dedica alla figura dello statista uno speciale a cura di Nuccio Fava, in onda domani alle ore 24,00 su Ab Channel, disponibile al canale 920 di Sky (e in replica domeni calle ore 23,30). Filo conduttore della trasmissione il tentativo di capire perchè a trent'anni dalla morte dello statista non si sia ancora arrivati ad una completa verità sulla vicenda.
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: GALLONI, IN UN LIBRO LE NOVITÀ MAI DETTE = NÈ DALLE COMMISSIONI DI INCHIESTA NÈ DAGLI ATTI GIUDIZIARI

  I particolari del caso Moro mai emersi nè dalla commissioni di inchiesta nè dagli atti giudiziari. Saranno in un capitolo del libro che Giovanni Galloni, ex compagno di partito di Aldo Moro, sta per pubblicare con gli Editori Riuniti. Il volume è incentrato per buona parte sulla lunga militanza di entrambi nelle file della Democrazia Cristiana, dai tempi in cui Galloni si laureò a Bologna diventando successivamente promotore della corrente 'Iniziativa democraticà, insieme a Moro, Fanfani e Rumor. Il rapporto con il futuro presidente della Dc divenne più stretto, ha ricordato lui stesso alla presentazione del libro di Franco Alfano, quando, su incarico dei gruppi giovanili della Dc, si trasferì a Roma. Nel 2005 Galloni ha parlato di un discorso fatto con lo statista poche settimane prima del suo rapimento da parte delle Brigate Rosse: Moro gli avrebbe confidato di essere certo di infiltrazioni dei servizi segreti Cia e Mossad nelle stesse Br. Tuttavia Francesco Cossiga, ministro dell'Interno durante la vicenda Moro, replicò affermando che «mai Giovanni mi prospettò l'ipotesi di una infiltrazione delle Brigate Rosse da parte della Cia e del Mossad. In realtà -puntualizzò Cossiga- secondo le informazioni fornitemi dal Controspionaggio militare e dal Servizio di Sicurezza del ministero, risultava che il Mossad israeliano avesse avuto nei primi tempi contatti con le Br, ma soltanto per capire che cosa fossero e per scoprire i legami allora esistenti con il terrorismo palestinese»
14/03/2008 ANSA

MORO/30:PECI,IL GRANDE ASSENTE CHE PERÒ AVEVA LE CARTE/ ANCORA CONTROVERSO IL RUOLO GIOCATO NELLA VIDENDA DAL PENTITO

  (di Paolo Cucchiarelli) A 30 anni dalla vicenda Moro il «grande assente» nelle celebrazioni e nelle ricostruzioni del rapimento e della morte del Presidente della Dc è il più importante pentito delle Br, Patrizio Peci, che diede le prime e più rilevanti indicazioni sulla vicenda. Da molti anni Peci vive in una regione del Nord coperto da una nuova identità. Peci è un protagonista silente e assente in questo trentennale. Un uomo che ha fornito il «calco» della ricostruzione del rapimento della prigionia e della morte di Moro e su cui si sono strutturate le successive affermazioni dei dissociati e dei pentiti che, in gran copia, l'hanno seguito. Nelle sue mani, quando venne arrestato il 19 febbraio 1980 a Torino i carabinieri trovarono alcuni scritti autografi di Aldo Moro provenienti dalla «prigione del popolo» e almeno uno dei dossier che il presidente della Dc portava nella borsa la mattina del rapimento, il 16 marzo 1978. si tratta di un dato certo che però non è mai stato approfondito in sede giudiziaria o di analisi della vicenda e che conferma l'importanza di questo personaggio che è stato come «sottratto» alla ricostruzione canonica della vicenda Moro. L'indicazione sulle carte di Moro in mano a Peci è riportata nella prima sentenza del processo Moro e non è mai stata evidenziata nei molti saggi e nelle ricostruzioni della vicenda essendo pacifico che le carte del Presidente Dc vennero trovate dagli uomini di Dalla Chiesa solo nella base di Milano, di via Monte Nevoso, solo nell'ottobre 1978, dopo il blitz che portò all'arresto di diversi brigatisti e dietro un pannello dello stesso covo, dopo un ritrovamento del tutto accidentale, nel 1990. Il superpentito inoltre è stato il primo a parlare di Firenze come luogo da cui venne «diretto» il sequestro del presidente della Dc dato che il «comitato esecutivo» delle Br, rivelò per primo, si riuniva «in una villa appena fuori Firenze». Nell' aprile del 1980 i giornali, citando fonti ufficiali, attribuirono a Peci dichiarazioni sull' esistenza di un vertice occulto delle Br, composto di pochi uomini, uno-due, che guidavano le campagne della stella a cinque punte. Unico tramite tra la struttura militare e quella «pensante» era Mario Moretti.Di Peci si è scritto- autorevolmente- che fosse lui «l'infiltrato» del generale Dalla Chiesa nelle Br, come lo definì l'allora Presidente della Commissione d'inchiesta sul caso durante una audizione del generale. Di certo Peci fu il primo e più devastante pentito e Sergio Spazzali, avvocato difensore delle Br, sostenne che era stato arrestato, convinto a collaborare da Dalla Chiesa e poi rilasciato. Anche Massimo Caprara, giornalista sempre molto informato e addentro nelle segrete cose della Repubblica sostenne che Peci era stato arrestato due volte e che era lui il misterioso «Maurizio Altobelli» che soggiornò nella casa di via Montalicini poi identificata come la prigione di Aldo Moro. Due mesi dopo l'arresto di Peci la stampa suggerì, in base alle indiscrezione sui verbali, che il Br fosse in via Fani. La cosa venne smentita ma la sua ricostruzione dell'agguato in commissione Moro fu tra le più emozionate e palpitanti. Dopo le indiscrezioni sulla presenza in via Fani i verbali di Peci diedero vita ad un rilevante incidente: vennero diffusi dal vice direttore del Sisde, Silvano Russomanno. e pubblicati da «Il Messaggero». Nel 1981 il fratello di Patrizio, Roberto Peci, venne rapito dalle Br di Giovanni Senzani, «processato» e fucilato dopo 54 giorni, gli stessi della durata del rapimento Moro. A pagina 350 della prima sentenza Moro, dopo aver descritto tutta la carriera di Peci nelle Br, la sua attività e le modalità del suo pentimento si scrive: «Al termine della intera 'operazionè in possesso dei brigatisti di Torino erano rimasti ALCUNI DOCUMENTI scritti nel periodo del sequestro dall'onorevole MORO, nonchè MATERIALE RINVENUTO NELLE BORSE TRAFUGATE IN VIA FANI, TRA CUI UN PROGRAMMA SULL' ORDINE PUBBLICO E SUL COORDINAMENTO TRA POLIZIA-CARABINIERI, custodito in copia probabilmente da Di Carlo Salvatore nell' appartamento di Via Sansovino 25, dove lo stesso Peci aveva trovato ospitalità allorchè era stato costretto ad abbandonare l' alloggio di corso Lecce e quello di Michelinò»'. Nel volume autobiografico «Io, l' infame», Peci afferma di avere avuto delle carte di Moro ma sostiene di averle bruciate trattenendo un solo documento. «A noi della colonna di Torino - scrive nel volume edito anni fa da Mondadori - furono dati da conservare alcuni documenti di Moro, perchè avevamo una base sicura a Biella. C' era un programma sull' ordine pubblico e sull' ordinamento carabinieri-pubblica sicurezza che conservammo. BRUCIAMMO INVECE ALCUNE PAGINE AUTOBIOGRAFICHE SCRITTE DA MORO durante la prigionia, perchè non avevamo alcuna importanza politica; una specie di testamento al quale regalava alcuni piccoli oggetti: una penna da regalare alla nipotina, eccetera. Ripensandoci fu brutto bruciarli. Avremmo potuto essere meno brutali e mandarli alla famiglia». Dai riferimenti si tratta delle lettere e dei testamenti scritti nei primi di aprile del 1978 da Moro e ritrovati - in copia- a Monte Nevoso nell'ottobre del 1990. Nessuno ha mai chiarito fino in fondo quali e quanti siano effettivamente i documenti di Moro che Peci portò «in dote» al momento del suo arresto o che vennero ritrovati grazie alle sue rivelazioni che falcidiarono, in tutta Italia, il gruppo terroristico nella primavera del 1980.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: FICTION CON PLACIDO, SPECIALI TV E RADIO

  Una fiction Mediaset con Michele Placido nei panni di Aldo Moro che ha creato un pò di polemiche per la messa in onda dopo le prossime elezioni politiche nonostante sia già pronta da tempo. Oltre sessanta ore di programmazione su Raisat Extra con uno speciale dedicato ai discorsi di Moro restaurati per l'occasione e mai andati in onda e un ciclo di 55 puntate con il montaggio antologico dei tg Rai dell'epoca. Su Radiotre una striscia di 15 minuti basata sui commenti dei giornali dell'epoca. A trent'anni dalla morte di Aldo Moro sono tante le iniziative in tv e alla radio. Numerose le serate e gli approfondimenti per ricordare e tornare ad interrogarsi sul rapimento del presidente della Dc, in via Fani, a Roma, la mattina del 16 marzo, e il ritrovamento del cadavere in via Caetani, il 9 maggio del 1978. Ad anticipare la data del trentennale con speciali sono state per prime Enigma di Corrado Augias su Raitre, andata in onda lo scorso 5 marzo, che ha cercato di rispondere ai misteri ancora irrisolti della morte del presidente della Dc con ospiti il senatore Beppe Pisanu, Giuliano Amato, la figlia dello statista, Maria Fida Moro, e il politologo Edward Luttwak; la serata Aldo Moro di Giovanni Minoli per la Storia siamo noi, in onda l'11 marzo su Raidue, con i ricordi e le testimonianze dei familiari della scorta di Moro trucidata in via Fani e lo speciale di Sky Tg24 Caso Moro, le verità nascoste con interventi di Giulio Andreotti e Francesco Cossiga e interviste fra gli altri a Valerio Morucci, Adriana Faranda e all'allora giudice istruttore Rosario Priore, andato in onda il 22 febbraio che sarà riproposto il 16 marzo alle 23.05, per l'anniversario del rapimento. Michele Placido sarà Aldo Moro nella miniserie in due puntate, Il Presidente - prodotta dalla Taodue, per la regia di Gianluca Maria Tavarelli, da un soggetto di Pietro Valsecchi e Salvatore Marcarelli che firma anche la sceneggiatura con Francesco Piccolo - che dovrebbe andare in onda nella prima settimana di maggio su Canale 5. Dal suo lavoro per il compromesso storico, al rapimento e all'uccisione per mano delle Brigate Rosse, la fiction racconta la vicenda umana e politica dello statista. Nel cast anche Marco Foschi nel ruolo di Mario Moretti, Libero Di Rienzo in quello di Valerio Morucci, Donatella Finocchiaro è Adriana Faranda, Valentina Carnelutti è Barbara Balzerani, Giulia Michelini è Anna Laura Braghetti e Ninni Bruschetta è Oreste Leonardi. Dal sequestro al ritrovamento del corpo di Moro Raisat Extra proporrà un ciclo di 55 puntate di un'ora circa ciascuna con un'antologia dei Tg dell'epoca sui giorni della prigionia, in onda da domenica 16 marzo al 9 maggio, ogni giorno alle 13.30. Il progetto, a cura del direttore del canale satellitare Marco Giudici, sarà preceduto dallo speciale in prima serata Aldo Moro. Il volto, la voce, le parole. 1968-1978-2008. Nella non stop, in onda dal 15 marzo a partire dalle 21, vengono proposti per la prima volta sul piccolo schermo i discorsi integrali di Moro in tv e in pubblico, fra i quali spiccano quello al Consiglio nazionale della Dc del 21 novembre 1968 e l'ultimo pronunciato in vita, quello ai gruppi parlamentari Dc del 28 febbraio 1978. Lo speciale vedrà gli interventi di Stefano Folli che introduce alla visione dei brani; letture di alcuni testi di Moro fatta da Roberto Herlitzka che ha interpretato lo statista nel film di Marco Bellocchio Buongiorno notte; ricostruzione di cosa avvenne la mattina del 16 marzo '78 affifata a Lucia Annunziata e testimonianze di Guido Bodrato, Eugenio Scalfari, autore dell'ultima intervista al presidente della Dc e di Emanuele Macaluso. Il direttore delle relazioni esterne della Luiss, Roberto Ippolito, conduce invece alla scoperta del particolare vocabolario di Moro. Dal 16 marzo al 9 maggio, ogni giorno alle 20.00 su Radiotre all'inizio di RadiotreSuite, andrà in onda una striscia di 15 minuti basata sui commenti dei giornali dell'epoca, affidata prima della sua discesa in politica a Giuliano Ferrara. Al posto del direttore del Foglio la condurranno ora a rotazione, una settimana ciascuno, otto giornalisti di Prima Pagina.
14/03/2008 ANSA

MORO/30: QUATTRO PROCESSI PER LA VERITÀ GIUDIZIARIA

  I grandi processi per il caso Moro sono quattro anche se si è arrivati al Moro-quinquies. Infatti il primo e il secondo procedimento furono unificati in un unico processo: - MORO UNO E MORO BIS - Il 24 gennaio 1983 i giudici della 1/a Corte d'Assise (presidente Severino Santiapichi) emettono la sentenza del processo per la strage di via Fani e il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. Il processo unifica i procedimenti Moro-uno e Moro-bis. La sentenza condanna all' ergastolo 32 persone: Renato Arreni, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Anna Laura Braghetti, Giulio Cacciotti, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Natalia Ligas, Alvaro Loiacono, Mario Moretti, Rocco Micaletto, Luca Nicolotti, Mara Nanni, Cristoforo Piancone, Alessandro Padula, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Nadia Ponti, Salvatore Ricciardi, Bruno Seghetti, Pietro Vanzi, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 marzo 1985 la Corte d' Assise d'appello conferma 22 condanne all' ergastolo. Ridotta la pena per Natalia Ligas, Mara Nanni, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 novembre 1985 la Cassazione conferma quasi intergralmente la sentenza, tranne per le posizioni di 17 imputati minori per i quali si chiede la rideterminazione della pena. - MORO TER - Il 12 ottobre 1988: si conclude con 153 condanne (26 ergastoli e 1.800 anni complessivi di detenzione) e 20 assoluzioni il processo denominato «Moro ter», riguardante le azioni delle Br a Roma tra il 1977 e il 1982. La 2/a Corte d' Assise (presidente Sergio Sorichilli condanna all' ergastolo Susanna Berardi, Barbara Balzerani, Vittorio Antonini, Roberta Cappelli, Marcello Capuano, Renato Di Sabbato, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Cecilia Massara, Paola Maturi, Franco Messina, Luigi Novelli, Sandra Padula, Remo Pancelli, Stefano Petrella, Nadia Ponti, Giovanni Senzani, Paolo Sivieri, Pietro Vanzi, Enrico Villimburgo, i latitanti Rita Algranati e Alessio Casimirri e gli imputati in libertà per decorrenza dei termini di detenzione Eugenio Pio Ghignoni, Carlo Giommi, Alessandro Pera e Marina Petrella. Il 6 marzo 1992 la terza Corte d' Assise d' appello conferma la condanna all' ergastolo per 20 imputati del processo 'Moro-ter' Pena ridotta per Alessandro Pera, Eugenio Ghignoni, Paola Maturi e Franco Messina e ad altri due imputati. Il 10 maggio 1993 una sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Arnaldo Valente) conferma le condanne emesse in appello per gli imputati del Moro-ter. Annullata, con rinvio ad altra sezione penale della corte d' appello di Roma, solo la sentenza nei riguardi di Eugenio Ghignoni, condannato in appello a 15 anni. - MORO QUATER - L'1 dicembre 1994 il processo «Moro quater», che si occupa di alcuni risvolti del caso non risolti dai processi precedenti e di alcuni episodi stralciati dal Moro-ter, si conclude con una sentenza della prima Corte di Assise (presidente Severino Santiapichi) che condanna all' ergastolo Alvaro Loiacono, in carcere in Svizzera per altre vicende, riconosciuto colpevole di concorso nel rapimento e nell' uccisione dell' ex presidente della Dc Aldo Moro e di altri omicidi. Il 3 giugno 1996 la sentenza è confermata dai giudici della Corte di Assise di appello di Roma e, il 14 maggio 1997, dalla Cassazione. - MORO QUINQUIES - Il 16 luglio 1996 i giudici della seconda Corte d'Assise emettono la sentenza del processo Moro-quinquies e condannano all' ergastolo Germano Maccari per concorso nel sequestro e nell' omicidio di Aldo Moro e nell'eccidio della scorta e Raimondo Etro a 24 anni e sei mesi. Il 19 giugno 1997, in appello, la pena per Maccari è ridotta a 30 anni. La Cassazione disporrà un nuovo processo e il 28 ottobre 1998 la nuova sentenza d'appello condanna Maccari a 26 anni ed Etro a 20 anni e 6 mesi. La condanna per Etro diventa definitiva nel 1999, mentre Maccari sarà di nuovo processato in appello e la sua pena ridotta a 23 anni.
14/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: FRANCO ALFANO, CRONACA DI UNO SCOOP SENSAZIONALE = IL CRONISTA DELLA GBR L'UNICO A GIRARE IL 9 MAGGIO DA PALAZZO CAETANI

  Roma, 9 maggio 1978, ore 13. Una corsa indiavolata in auto fino a Largo Argentina, poi di corsa in via Caetani, a corpo morto per forzare il cordone delle forze dell'ordine, spintoni qualche calcio di fucile sulla nuca ed ecco la Renault 4 rossa con il corpo di Aldo Moro, parcheggiata contromano, sulla sinistra, sotto l'impalcatura per il restauro della chiesa di S. Caterina mentre gli operatori riescono ad entrare al primo piano palazzo Caetani dall'ingresso di via dè Funari e a filmare tutto dalla finestra. È la cronaca di uno scoop sensazionale quello che Franco Alfano, trent'anni fa cronista della tv privata Gbr, di proprietà dell'imprenditore romano Gianni Del Piano, ripercorre nel libro 'Tutto sia calmò, (Ed. Eri) dedicato al sequestro del presidente della Dc. Le telecamere della Gbr sono le uniche, in quei frangenti drammatici, che riescono a riprendere le immagini del corpo raggomitolato di Moro nel bagagliaio della Renaul4 rossa. Alfano si rende conto di avere per le mani qualcosa di unico: mette le immagini a disposizione del Tg1, dopo aver parlato con il direttore Emilio Rossi. Al rientro in redazione, è subissato da centinaia di telefonate delle tv estere che chiedono la cessione dei diritti delle immagini girate in via Caetani
14/03/2008

MORO/30: GEN.BOZZO, GRANDE VECCHIO ERA OLTRE OCEANO

  «Quando Craxi disse che il grande vecchio delle BR poteva essere Corrado Simioni, il generale Dalla Chiesa diede l'incarico a me e all'allora capitano Ganzer di svolgere un'indagine, i cui risultati ho poi comunicato alla magistratura». «La mia impressione fu che Hyperion fosse in quegli anni una stanza di compensazione tra servizi segreti di diversi paesi e diversi blocchi». A parlare è Nicolò Bozzo, 74 anni, generale dei Carabinieri, già comandante della Divisione Pastrengo e collaboratore di Carlo Alberto Dalla Chiesa intervistato per il Giornale radio RAI da Alessandro Forlani nell'ambito di una serie di speciali nel trentennale del delitto Moro. Bozzo è stato protagonista dei colpi più duri inferti alle BR, dall'arresto di Curcio e Franceschini, a quello di Peci, alla scoperta di Via Montenevoso. «Il grande vecchio non era Simioni; Simioni era ad un livello molto più basso: il grande vecchio era qualcuno, che stava da qualche parte, probabilmente oltre oceano, da dove dava indicazioni su come gestire situazioni di crisi: sono tutte cose che ho riferito alla magistratura». «Il KGB e la CIA si incontravano su quel terreno parigino, che consideravano neutro, scambiandosi informazioni, che potevano essere di aiuto agli uni e agli altri». «Hyperion era una scuola per interpreti di Parigi,per cui lavorava Corrado Simioni, il quale era stato uno dei fondatori delle Brigate Rosse». «A partire dagli anni '70 la Francia aveva deciso di non interferire con le vicende di tanti cosiddetti rifugiati». «Il brigatista Vanni Mulinaris faceva la spola tra Udine e Parigi, come a Parigi andava spesso anche il capo delle BR Moretti». «I servizi segreti di paesi avversari, quando i loro governi non sono in guerra, si fronteggiano, ma spesso hanno bisogno di confrontarsi,magari, per risolvere un problema che preme ad entrambi». Alla domanda su eventuali notizie di reato trovate nei confronti di Hyperion, Bozzo risponde che a quel livello, non si può trovare niente. «Quando si entra nel campo delle rogatorie e dall'altra parte o non ti informano o ti dicono che non sanno niente » «Moretti conosceva simioni, era il suo alievo prediletto, e Simioni lavorava per Hyperion; dietro questa struttura c'è un segreto, che forse un giorno sarà svelato».
14/03/2008 ANSA

MORO/30:GARDNER,DOPO ASSASSINIO INFILTRAMMO UOMO IN BR /ANSA PIECZENICK, PERSONA INSTABILE, LE SUE SONO TOTALI FANTASIE

  (di Alessandra Baldini) - Dopo l'assassinio di Aldo Moro gli Stati Uniti infiltrarono un uomo nelle Br: avvenne d'accordo con il governo italiano e si trattò di una «situazione marginale» che «non portò a nessuna informazione di rilievo»: lo ha detto all'Ansa Richard Gardner, ambasciatore in Italia al tempo della strage di Via Fani. «In seguito al rapimento di Moro presi la posizione, e il consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezisnki era d'accordo con me, che non volevamo infiltrati nelle Br: se fossero stati catturati avrebbero alimentato le teorie del complotto, le tesi di chi sosteneva che i brigatisti erano strumenti della politica americana», ha spiegato Gardner. Fu un «caso unico». La decisione, «per fortuna», fu presa d'intesa con gli italiani. L'ambasciatore non ha voluto precisare l'identità dell'infiltrato se non per smentire che si trattò di Roland Stark, un personaggio ambiguo il cui nome venne fatto anni dopo in indagini di terrorismo e malavita: «Per quel ne so Stark era un criminale comune. Non faceva parte della Cia». Gardner, inviato di Jimmy Carter in Italia dal 1977 al 1981, alle teorie del complotto non crede e lo ripete nel trentesimo anniversari dell'agguato: «Chi continua a sostenerle si dimentica che all'epoca il presidente degli Stati Uniti era Carter, un uomo profondamente morale. Nè lui nè il capo della Cia Stansfield Turner avrebbero tollerato niente del genere». L'ex ambasciatore definisce «totali fantasie» le affermazioni di Steve Pieczenick, l'assistente segretario di Stato per l'amministrazione mandato a Roma dopo il sequestro, che ha sostenuto in un libro-intervista al giornalista francese Emmanuel Amara di «aver manipolato le Br». «Non c'è un grammo di verità in quel che dice. Pieczenick non aveva alcuna autorità per negoziare con le Br. Avendo una reputazione di psicologo, si era pensato a lui per leggere i comunicati delle Br e le lettere di Moro alla ricerca di indizi. Era una missione semplice: aiutare il governo italiano, compresi Francesco Cossiga e i suoi uomini al ministero dell'Interno, a capire dove Moro fosse tenuto prigioniero». La collaborazione non portò a nessun risultato concreto: «Purtroppo Pieczenick era una persona instabile. Non aveva capito il suo ruolo. Non parlava l'italiano, non sapeva nulla di Italia. Appena arrivato si fece nemici nel governo italiano e all'ambasciata. Dopo un mese Cossiga mi disse, è inutile, mandatelo a casa. Forse adesso è arrabbiato con me: con Hugh Montgomery, che all'epoca era capo della Cia a Roma, decidemmo di rispedirlo a Washington». Gardner era in Puglia con la moglie Danielle in visita ufficiale il giorno del sequestro. Fu il suo autista Pippo a portargli la notizia dell'agguato di Via Fani. «Danielle e io venimmo riportati immediatamente a Roma su un volo militare. Fu il momento più difficile della mia esperienza in Italia», ha rievocato l'ex diplomatico: «La mia prima preoccupazione fu per la sicurezza del Paese, poi per il personale della nostra ambasciata. C'erano state minacce nei miei confronti, ma io ero protetto: non così le 800 persone che lavoravano nelle nostre sedi diplomatiche». Gardner considerava Moro un amico: «Avevamo avuto quattro lunghi incontri cordiali e amichevoli». La miglior prova del rapporto che legava lo statista italiano e il diplomatico americano sta, a suo avviso, in quel che Moro scrisse nel Memoriale trovato nel covo di via di Monte Nevoso: «Le Br volevano che dicesse peste e corna dell'ambasciatore americano, lui disse invece che eravamo veramente amici». Moro - ricorda Gardner - non voleva fare il compromesso storico: «Non era un filo-comunista, era stratega brillante. Come me pensava che nel Pci, oltre a leader come Giorgio Napoletano con cui poi diventammo amici, c'erano troppi altri a quei tempi, come Ingrao, Cossutta, Pecchioli, molto legati all'Urss». Moro era un realista: «Mi disse che voleva portare il Pci nella maggioranza parlamentare, in una posizione metà dentro e metà fuori, per rendere i comunisti responsabili di decisioni impopolari ma senza posti ministeriali: sarebbe stato un modo di logorarli. Cosa che puntualmente avvenne, con la pesante sconfitta del Pci nelle elezioni del 1979»
13/03/2008 ANSA

MORO/30: GIÀ LUNGO IN LIBRERIA SCAFFALE PER RICORRENZA

  Già prima di entrare nella fase «calda» della ricorrenza è già lungo, in libreria, lo scaffale sul trentennale del caso Moro. Molti i libri pubblicati, altrettanti quelli in arrivo. Interviste, racconti di «ambiente» e di «clima», saggi scientifici. Un vero e proprio tzunami editoriale che ha un'onda lunga iniziata già lo scorso anno. Questa una panoramica. - «Anni Settanta» - Giovanni Moro. Oggi professore universitario, nel '78 testimone diretto di quello che accadde in casa Moro durante i 55 giorni, Giovanni Moro fa i conti con gli anni Settanta nel volume pubblicato da Einaudi, partendo da alcune categorie di analisi e mettendo da parte le «molte moltissime cose» che avrebbe da dire. Le categorie sono quelle del «dopo '78» e cioè la decontestalizzazione del fatto, la dietrologia e il revisionismo e quelle del «durante» rapimento: non decisione, virtù repubblicane, familismo, morale. - «Doveva Morire» - Ferdinando Imposimato-Sandro Provvisionato (Chiarelettere). La più analitica e lucida analisi della convergenza di interessi, nazionali e internazionali, che concorsero a far si che Aldo Moro non potesse e dovesse uscir vivo dalla prigione Br. P2, Usa, Urss, la base di via Gradoli, gli allarmi ignorati e infine una dolente intervista ad Eleonoro Moro che parla dei veri responsabili della morte del marito a cui lei si rifiuta di stringere la mano e che ha incontrato durante cerimonie o ricorrenze. Importanti le rivelazioni sulla «ingessatura» che la Procura di Roma, dove all'epoca lavorava Imposimato, subì durante le indagini. - «Segreto di Stato» - Giovanni Pellegrino-Giovanni Fasanella-Claudio Sestieri. Èuscito in una nuova edizione ai primi di marzo - il volume pubblicato qualche anno fa da Einaudi e ora riproposto da Sperlin& Kupfer. Il volume ripercorre la vicenda Moro all'interno di una lettura complessiva e coraggiosa dei «misteri d'Italia». Sono stati aggiunti 4 nuovi capitoli che approfondiscono i termini della «soluzione sudafricana» cioè lo scambio tra impunità e verità di cui si fece propugnatore l'ex presidente della Commissione stragi. Ci sarà anche una spiegazione concreta di come questo possa avvenire e un appello al Quirinale affinchè si affronti la questione. - «Eseguendo la sentenza» - Giovanni Bianconi. Il clima, i dialoghi, i personaggi, anche minori, che concorsero, volontariamente o no, alla tragedia dei 55 giorni pubblicato da Einaudi. Con un succoso stile da grande sceneggiatura cinematografica uno spaccato dove la vita e la morte, la politica e la scelta terroristica si mischiano restituendo il sapore dell'amaro vissuto trenta anni fa. Rilevante l'attenzione a quei dettagli, ai particolari minori che spiegano molto di una tragedia tanto grande. Un viaggio curioso e attento in tutto quel materiale - interviste, atti giudiziari, testimonianze inedite ecc.- che compongono una interessante e credibile «dietro le quinte» del rapimento. - «Vuoto a perdere»- Manlio Castronuovo. Uscito qualche mese fa da Bsa. Questo saggio ha avuto una attenzione costante da pubblico e critica grazie alla intelligente scelta dell'autore di offrire una sorta di «guida ragionata» dei diversi problemi, tesi, «dietrologie» e interpretazione delle diverse fasi del rapimento Moro. L'autore, esperto di marketing, ha adottato infatti un modulo narrativo facile e al tempo complesso offendo al lettore tutte le variabili e le possibili spiegazione senza una «chiusura» su questa o quella ma mettendo tutto sotto gli occhi del lettore che viene guidato all'interno di quello che è ormai un vero e proprio «arcipelago» in cui si continuano s scoprire ancora oggi isole sconosciute. - «Il golpe di via Fani» - Peppino De Lutiis. Uscito in silenzio da Sperling e Kupfer da qualche settimana è finora il più serio e innovativo libro sulla vicenda che viene contestualizzata in chiave internazionale e soprattutto paragonata ai grandi omicidi politici del 900 - come quello di John Kennedy - che hanno rappresentato modi violente di mutare rotta od interrompere decisive svolte politiche. Lo storico tocca tutti i temi controversi del rapimento: il ruolo di Giovanni Senzani, quello di Igor Markevitch, del Mossad, la/le prigioni, ecc.De Lutiis dimostra che quello messo a segno dalle Br con il rapimento Moro è « l'unico colpo di Stato portato a termine nella Repubblica italiana. Noi sappiamo, credo, la metà della verità Ci troviamo di fronte ad un convergere di servizi, di intelligence straniere contro l'Italia, di cui loro, i Br, sono stati strumento». -«Un affare di Stato»- Andrea Colombo. Cairo Editore. Nessuna trama oscura. Come la lettera rubata di Poe, la verità del caso Moro è sotto gli occhi di tutti, e probabilmente per questo meno visibile; è nelle parole dei protagonisti dell'uno e dell'altro fronte. Nessuna trama internazionale, interesse estraneo alle Br ma soprattutto una tragedia politica che affonda le sue radici nella «guerra civile» combattuta tra il Pci e la sinistra rivoluzionaria. Nessun occulto burattinaio. Moro muore per un intreccio di interessi e calcoli politici. Da quello scontro uscirono sconfitti lo Stato e le Br che lo avevano colpito al cuore. - «Il terzo giocatore» - Giovanni Fasanella-Rosario Priore (Chiarelettere) in uscita a maggio. Il saggio affronta, in chiave geopolitica, il ruolo avuto da quelle medie potenze europee e non (Germania dell'Est, Francia, Inghilterra, Cecoslovacchia , Israele ecc.) che con propri specifici interessi si sono intromesse nella questione Moro altre a Usa e Urss. Il libro si annuncia ricco di novità perchè questo è un campo poco o nulla battuto.
13/03/2008 ANSA

MORO/30:NUOVA EDIZIONE DELLE LETTERE CON MOLTE NOVITÀ

  Le lettere di Aldo Moro dalla «prigione Br» senza manipolazioni o censure, e soprattutto con diverse novità. La principale è che durante i 55 giorni furono almeno 36 - e non 28 come si riteneva finora - le missive che uscirono dalla prigione e vennero consegnate ai destinatari. Questo promette il libro « Aldo Moro. Lettere dalla prigionia», curato da Miguel Gotor ricercatore di Storia Moderna all'Università di Torino, pubblicato da Einaudi. «Anzitutto - spiega Gotor all'ANSA - ci sono delle missive tagliate e fatte oggetto di una manipolazione censoria che le ha rese di difficile comprensione; inoltre, credo di essere riuscito a ricostruire il laborioso meccanismo di composizione di molte missive, il rapporto cioè che intercorreva tra la scrittura di Moro, la dattiloscrittura dei brigatisti e l'ultima stesura da parte del prigioniero dopo che il dattiloscritto aveva passato il vaglio del comitato esecutivo». Il Professore ha dato «molta importanza alla raffinata strategia di recapito adottata dai brigatisti che fu parte integrante della loro azione terroristica a livello propagandistico ed è stata spesso sottovalutata nella sua portata destabilizzante». - Perchè fare questo lavoro, quale spinta l'ha motivato? «Il motivo principale è stato l'intento di restituire a Moro le sue parole più vere attraverso una nuova trascrizione di questi testi effettuata, quando è stato possibile, sugli atti originali. Tale rilettura ha consentito di correggere varie interpretazioni erronee presenti nelle precedenti edizioni che si basavano sulla trascrizione effettuata dalla Commissione Moro e dalla Commissione stragi. Non meno importante è stato il desiderio di fissare una cronologia delle missive scegliendo di valorizzare il tempo di composizione di Moro per dare conto del fluire del suo pensiero e finalmente consentirne una lettura il più possibile lineare, aggirando così l'interdizione voluta dalle Brigate rosse durante quei 55 giorni. Infine, ho voluto ancorare questi documenti - i singoli testi - alla vicenda storica complessiva del sequestro utilizzando il massimo rigore critico possibile». - Qual è la lettera più importante e perchè? «Non è facile scegliere. Forse, sul piano interpretativo le lettere più importanti sono quelle spedite a Francesco Cossiga e a Nicola Rana in occasione del primo recapito del 29 marzo 1978. Nella missiva a Rana Moro chiedeva che ogni eventuale negoziato avvenisse segretamente e definiva le modalità per instaurare un canale di ritorno tra l'esterno e l'interno della prigione presso la portineria del suo collaboratore. Nella missiva a Cossiga chiariva che egli si trovava sotto »un dominio pieno ed incontrallato« e poteva essere indotto a parlare rivelando informazioni sensibili per la sicurezza dello Stato. Le Brigate rosse non rispettarono quanto pattuito con Moro e divulgarono la lettera a Cossiga, ma al contempo tutelarono la segretezza della lettera a Rana, implicitamente dimostrando la loro volontà di mantenere aperto quel canale di ritorno e di stabilire così un doppio livello di comunicazione pubblico/riservato. Un'altra lettera significativa è quella alla DC. Di essa abbiamo ben tre differenti versioni. L'analisi e il confronto delle diverse versioni e delle modalità della loro trasmissione nel corso del tempo mi ha consentito di entrare nella 'officinà brigatista, nel discorso censorio attuato e nel complesso campo di relazioni instaurato tra i carcerieri e Moro». - Qual è il periodo ancora più oscuro o meno decifrabile? «Sempre assumendo come punto di partenza e di analisi queste lettere, esistono almeno due momenti di particolare interesse: intorno al 19 aprile si ha una sorta di esplosione narrativa da parte di Moro che lo porta a scrivere, fino al 27 aprile, circa 47 missive, ossia la metà dell'intero epistolario conosciuto. Tra il 19 e il 23 aprile Moro redige ben 23 lettere e in alcune di esse si avverte un cambio di tono e di equilibrio psicologico del prigioniero che colpisce l'attenzione del lettore. L'altro momento, nei primi giorni di maggio, concerne l'ultima lettera a Zaccagnini in cui Moro parla di sè come uomo prossimo alla libertà, deciso a iscriversi al gruppo misto per la durata della legislatura. Questa missiva va incrociata con le corrispondenti pagine del »Memoriale« in cui il prigioniero è sicuro di essere di lì a poco restituito ai suoi affetti e alla vita politica»
13/03/2008 ANSA

MORO/30: TUTTI ONLINE GLI ARCHIVI DEL PARLAMENTO/ INIZIATIVA ARCHIVIO STORICO SENATO - SI LAVORA SU 180MILA PAGINE

  A partire dal 16 marzo il Senato della Repubblica metterà in rete sul suo sito una vera e propria miniera di documenti sul caso Moro. Oltre 187.000 pagine di documenti, rapporti,verbali di interrogatorio, atti parlamentari, relazioni ecc. frutto del lavoro della Commissione Stragi e ancor prima della Commissione parlamentare d'inchiesta istituita per far luce sul rapimento e la morte del leader della Dc, Aldo Moro. Un patrimonio archivistico immenso atteso come una manna - dalla rete - da studiosi, storici, giornalisti e semplici cittadini che potranno farsi direttamente un'idea dell'omicidio politico più controverso della storia della repubblica. Gran parte dei documenti provengono dall'Archivio storico del Senato - diretto dalla Dottoressa Emilia Campochiaro - e che conserva gli archivi delle Commissioni parlamentari d'inchiesta monocamerali e bicamerali che chiudono i lavori con la Presidenza Senato. Si tratta di un ponderoso patrimonio documentale che sarà progressivamente inventariato, digitalizzato e reso disponibile in rete. Ecco un quadro di quello che presto sarà disponibile online: - ARCHIVIO COMMISSIONE STRAGI Nell'ambito di questo complesso e ampio progetto è stata prodotta la banca dati Commissioni parlamentari d'inchiesta on line, dove sono per il momento disponibili l'inventario e i documenti digitalizzati del filone d'inchiesta «Caso Moro», uno dei 29 filoni individuati dalla ex Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, che nella riunione conclusiva dei lavori ha disposto la pubblicazione dell'archivio esclusivamente in formato digitale. La documentazione originale del filone «Caso Moro» è conservata in 112 faldoni e una volta completata la digitalizzazione, darà luogo alla creazione di 7.731 file corrispondenti a pp. 62.117. La priorità data al filone «Caso Moro» è stata determinata dalla volontà del Senato e dell'Archivio di dare un contributo alle iniziative in memoria dello Statista nel trentesimo anniversario della scomparsa. Per la prima volta l'Archivio di una Commissione d'inchiesta è stato riordinato e schedato documento per documento secondo criteri archivistici, con un sw relazionale, che consente di: - pubblicare l'archivio in Internet nella forma di inventario con il link di ciascuna voce al documento digitalizzato; - effettuare ricerche su uno o più Commissioni - produrre elenchi di nomi, luoghi, enti produttori. - ATTI PARLAMENTARI Sono stati digitalizzati e saranno disponibili in rete gli Atti già pubblicati a stampa nella serie Atti parlamentari dalla ex Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro (130 volumi, 132 file, pp. 104.236) e dalla ex Commissione parlamentare inchiesta «terrorismo e stragi» (26 volumi, 43 file, pp. 20.736). L'indice di ciascun volume è consultabile ed è collegato con le rispettive pagine a stampa digitalizzate. - REPERTORIO COMMISSIONI INCHIESTA (1948-2006) È stato anche elaborato uno strumento di ausilio per la ricerca che ricostruisce la storia delle Commissioni d'inchiesta dalla I alla XIV legislatura. Si tratta del Repertorio delle commissioni d'inchiesta (1948-2006), che sarà consultabile entro il 16 marzo 2008 sia sul sito dell'Archivio storico del Senato sia eventualmente sul sito Parlamento
13/03/2008 ANSA

MORO/30: I 55 GIORNI PIÙ LUNGHI DELLA REPUBBLICA

  Cronologia dei fatti principali dei 55 giorni del rapimento Moro: - 16 marzo: poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo avere bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta (due carabinieri e tre poliziotti) e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l'azione con una telefonata all'ANSA. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato. - 18 marzo: arriva il 'Comunicato n.1' delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l'inizio del 'processò. Funerali degli uomini della scorta. - 19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. - 20 marzo: al processo di Torino, il 'nucleo storicò delle Br rivendica la responsabilità politica del rapimento. - 21 marzo: il governo approva il decreto antiterrorismo. - 23 marzo: il Pci approva la linea della fermezza. - 25 marzo: le Br fanno trovare il 'Comunicato n.2'. - 29 marzo: arriva il 'Comunicato n.3' con la lettera al ministro dell'Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi «sotto un dominio pieno e incontrollato» e accenna alla possibilità di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono che «nulla deve essere nascosto al popolo». Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana. - 30 marzo: La direzione Dc approva la linea della fermezza. - 2 aprile: A Zappolino (Bologna) si svolgerebbe la seduta spiritica dalla quale esce l'indicazione 'Gradolì. - 4 aprile: Arriva il 'Comunicato n.4', con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini. «Moralmente - scrive Moro - sei tu ad essere al mio posto». - 6 aprile: Le Br consegnano alla moglie di Moro una lettera in cui il presidente DC la invita a fare pressioni contro la linea della fermezza. Le forze dell'ordine controllano l'intero paesino di Gradoli, nella zona di Bolsena. - 7 aprile: Il Giorno pubblica una lettera di Eleonora Moro al marito. La famiglia tiene un linea autonoma, rispetto alla «fermezza» del governo. - 10 aprile: Le Br recapitano il 'Comunicato n.5' e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche. - 15 aprile: Il 'Comunicato n.6' annuncia la fine del 'processo popolarè e la condanna a morte di Aldo Moro. - 17 aprile: Appello del segretario dell'Onu Waldheim. - 18 aprile: Grazie a un' infiltrazione d'acqua, è scoperto il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono però assenti. A Roma viene trovato un sedicente 'comunicato n.7' che annuncia l'esecuzione di Moro il cui corpo sarebbe nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, è però oggetto di verifiche. Per giorni il corpo di Moro sarà cercato, con grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L'Aquila, ghiacciato da mesi. - 20 aprile: Moro è vivo. Le Br lasciano il vero 'Comunicato n.7' insieme a una foto di Moro con un giornale del 19 aprile. Zaccagnini riceve un'altra lettera di Moro. - 21 aprile: la direzione Psi è favorevole alla trattativa. - 22 aprile: messaggio di Paolo VI agli «Uomini delle Brigate rosse» perchè liberino Moro «senza condizioni». - 24 aprile: il 'Comunicato n.8' delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un'altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici. - 29 aprile: È il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell'Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora. Moro scrive che lo scambio è la sola via di uscita. - 30 aprile: Un brigatista (sembra Moretti) telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, «immediato e chiarificatore» può salvare la vita del presidente Dc. - 2 maggio: Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute. - 5 maggio: Andreotti ripete il no alle trattative. Il 'Comunicato n. 9' annuncia: «Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza». Lettera di Moro alla moglie: «Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l'ordine di esecuzione». - 9 maggio: Verso le 13,30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come «prigione del popolo».
13/03/2008 ANSA

CASO MORO: RAI SAT EXTRA RICORDA LO STATISTA A 30 ANNI DALLA MORTE

  In occasione del trentennale del rapimento e dell'assassinio di Aldo Moro RaiSat Extra ha realizzato un'iniziativa editoriale di grandi proporzioni, nel segno della documentazione visiva, un impegno imponente, di oltre sessanta ore di programmazione. Due i prinicpali appuntamenti dedicati allo statista, il primo dei quali sarà:«Aldo Moro: Il volto, la voce, le parole. 1968-1978-2008», una non stop serale e notturna, interamente dedicata ai discorsi di Moro nell'arco della sua vita politica, in onda sabato alle ore 21,00 su RaiSat Extra, disponibile al canale 120 di Sky. L'introduzione alla visione dei brani sarà curata da Stefano Folli, notista politico del Sole-24Ore. Alcuni testi, decisivi per conoscere il pensiero di Moro ma assenti in originale, per immagini, saranno invece letti in esclusiva per la serata di RaiSat Extra da Roberto Herlitzka, l'attore che ha interpretato Aldo Moro nel film di Marco Bellocchio «Buongiorno notte». Il capitolo sul pensiero dell'ultimo Moro, quello del 1978, sarà articolato in una trilogia, l'ultimo discorso, l'ultima intervista, l'ultimo articolo, la cui introduzione sarà curata da Lucia Annunziata, editorialista della «Stampa». Testimonianze sullo statista anche da parte di Guido Bodrato, uomo politico vicinissimo a Moro, di Eugenio Scalfari, autore dell'ultima intervista al presidente della Dc e di Emanuele Macaluso, che commenterà la bozza dell'articolo con cui Moro intervenì nel dibattito aperto nel Pci proprio sul significato del '68, tra Petruccioli e Amendola. Infine, il direttore delle relazioni esterne della Luiss, Roberto Ippolito condurrà il telespettatore, seguendo il periodare dello statista, alla scoperta del particolarissimo 'vocabolariò di Aldo Moro.
La seconda parte della rassegna editoriale dedicata ad Aldo Moro sarà in onda su Rai Sat Extra da domenica 16 marzo a venerdì 9 maggio, ogni giorno alle ore 13,30. Saranno analizzati gli ultimi 55 giorni di vita dello statista attraverso i telegiornali dell'epoca, dal rapimento in via Fani per mano delle Brigate Rosse al ritrovamento del suo cadavere in via Caetani, il 9 marzo del 1978. In quelle settimane l'informazione fu infatti interamente calamitata dalla vicenda del rapimento di Moro e i notiziari moltiplicarono approfondimenti e servizi speciali. Verranno riproposte le immagini del luogo della strage degli uomini di scorta, attraverso il racconto di Frajese, Vespa, Marrazzo, Vallone, Modugno, Badaloni, Santalmassi, Tamberlich, e poi il covo di via Gradoli, il viso sofferente di Moro, il lago della Duchessa, e via via i fotogrammi del giorno per giorno, sino alla telefonata che segnalò dove il corpo senza vita del presidente della Dc era stato lasciato, rannicchiato nel bagagliaio di una Renault rossa, nei pressi di via delle Botteghe oscure. Per restituire in modo fedele il clima di allora, ogni puntata sarà preceduta da una breve rassegna stampa dei quotidiani del giorno. In chiusura, con l'aiuto della grafica, verranno ricordate le vicende e gli esiti processuali accertati, riguardanti gli avvenimenti specifici della giornata di cronaca presa in esame. Le cinquantacinque puntate con l'antologia dei telegiornali saranno curate da Antonio Maria Mira, cronista giudiziario del quotidiano «Avvenire».
13/03/2008 ANSA

MORO: LIBRO DEL FIGLIO SU ANNI '70; SPACCA, FU VIOLENZA VERA

  «Gli anni '70 si identificano con una sola parola violenza, violenza vera». Così il presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca ha rievocato il decennio oggi ad Ancona alla presentazione del libro del figlio di Aldo Moro, Giovanni, dedicato a quel periodo della storia italiana. È stato il primo degli appuntamenti che la Regione Marche ha realizzato per il trentennale della scomparsa dello statista. Spacca ha rievocato il suo periodo universitario a Roma, dove frequentò i corsi tenuti da Moro, caratterizzato dall' esperienza dalle forti tensioni post '68 tra studenti, ma anche dal ricordo del professore, «che nonostante la sua carica di ministro degli esteri non saltava una lezione e che se per impegni istituzionali la saltava, la recuperava la domenica mattina». «Credo che la responsabilità e la tristezza più grandi - ha detto ancora Spacca - siano oggi quelle di appartenere alla generazione che armò una mano per decretare la sua fine». Dal canto suo, Giovanni Moro ha sottolineato la fatica profusa nel tentativo di «aprire una discussione dedicata ai più giovani, dedicata a chi non ricorda, a chi quegli anni settanta non li conosce affatto». «Se vogliamo un futuro - ha detto - dobbiamo anzitutto ricostruirci un passato vero, reale, trasparente». Secondo l'autore è necessario «farsi una ragione degli anni '70, pensarci non come se fossero finiti ieri». Giovanni Moro non ha voluto, nel suo intervento, entrare nei dettagli della narrazione del passaggio fra i '70 e gli '80; nè ha citato suo padre.
13/03/2008 ANSA

MORO/30: STORICO RUSSO, P2 RESTA PISTA PIÙ CONVINCENTE

  (di Claudio Salvalaggio) MOSCA - La P2: questa «la pista più credibile» sui retroscena della vicenda Moro, secondo il professor Ilia Levin, illustre storico e politologo russo membro dell' Accademia delle scienze ed esperto di cose italiane (è stato tra l'altro il primo traduttore in russo dei Quaderni dal carcere di Gramsci). Levin non esclude comunque nè la pista americana, «che va per la maggiore», nè quella del Kgb, «anche se mi sembra la meno convincente, nonostante gli allora pessimi rapporti tra Pcus e Pci». Quanto all'ipotesi di un Grande Vecchio da identificare nel direttore d'orchestra russo Igor Markevitch, ironizza definendola «esotica». «La P2, nonostante le tonnellate di carte scritte anche dai giudici, resta uno dei momenti più oscuri della storia politica italiana perchè fu un nodo in cui si intrecciarono in assoluto più fili: gruppi più o meno fascisti, Vaticano, fino alla mafia», spiega l'accademico, evocando il comitato di crisi sul sequestro Moro dominato da piduisti e i numerosi depistaggi e buchi nell'acqua registrati nelle indagini. «La P2 era tentacolare e gli interessi in gioco messi a rischio dal compromesso storico, a mio avviso, erano più forti di quelli esterni», sostiene Levin, ricordando che l'effetto della morte di Moro rimase la duratura esclusione del Pci dal governo. La pista legata alla Cia, ricorda lo storico, si basa soprattutto sulle testimonianze della vedova Moro e dell'allora vicepresidente della Dc Giovanni Galloni sulla burrascosa scena tra lo statista italiano e il segretario di Stato Usa Henry Kissinger, che lo avrebbe invitato a lasciar perdere la sua linea politica, altrimenti l'avrebbe «pagata cara». «Ma anche se la politica di Moro poteva sembrare una breccia nell'Alleanza Atlantica, Kissinger tutto sommato avrebbe potuto giocare molte altre carte», sottolinea Levin. Quanto alla pista del Kgb, lo storico ritiene che «Mosca non aveva urgenza di ricorrere ad una soluzione del genere». In ogni caso, aggiunge, «non ci si può certo basare sul lavoro della commissione Mitrokhin sull'omonimo archivo, che è un vero bidone, come dimostra l'assenza tra i nomi delle spie del Kgb di personaggi notoriamente riconosciuti come tali». «Si è parlato a lungo del ruolo del giovane studente Sokolov che frequentò assiduamente le lezioni di Moro e che avrebbe potuto essere un agente del Kgb, ma non mi convince molto», dice. Levin è poco propenso a credere che i rapitori potessero essere eterodiretti, dalla Cia o dal Kgb: «conoscendo i precedenti di quei brigatisti, non riesco a immaginare un sistema sufficientemente garantito di trasmissioni di ordini». Lo storico riconosce tuttavia che «all'epoca i rapporti tra il Pcus e il Pci di Enrico Berlinguer erano in una fase culminante di una conflittualità iniziata fin dal dopoguerra, anche se compensata dal crescente miglioramento dei rapporti tra i due Paesi, come testimoniato tra l'altro dagli scambi commerciali, dalla politica dell'Eni, della Fiat, dalle frequenti visite tra capi di Stato, dal protocollo del 1972 sulle consultazioni bilaterali anche su temi internazionali: »due tendenze opposte che graficamente formano una croce di S. Andrea«, sottolinea Levin. Ma i rapporti tra i due partiti comunisti si raffreddarono progressivamente fino al celebre intervento critico dell'allora vice segretario del Pci Berlinguer a Mosca nel 1969. »Mi ricordo che un alto funzionario della sezione esteri del Pcus venne nella cabina interpreti e chiese di non enfatizzare l'incisività del suo discorso«, racconta Levin. Poi nel 1972 ci fu l'incidente d'auto a Berlinguer in Bulgaria, che per lo storico »è compatibile con un tentativo di eliminare un leader scomodo«. Seguirono i suoi tre articoli su Rinascita in cui elaborò il compromesso storico, e nel 1976 il primo strappo e la famosa intervista sulla »Nato scudo della democrazia«, che fece andare alle stelle la tensione con Mosca, proseguita fino ai primi anni gorbacioviani. »Guardi qui, ci sono ancora i timbri«, indica Levin mostrando i segni indelebili della censura su un volume di Rinascita del 1985 e su alcuni bollettini del Pci per l'estero del 1985 e del 1985.»Ma nonostante il conflitto con Berlinguer e il suo sgradito compromesso storico, mi sembra poco convincente pensare al Kgb che manovra le Br per far fallire l'unità nazionale «, Moro, prosegue, »era comunque l'unica figura in grado di realizzare il compromesso storico, con quel suo modo assolutamente unico di fare sintesi, anche rinunciando a punti importanti del suo programma, e in ciò sta tutta la grandezza e la debolezza del personaggio: si sacrificò per riparare il trauma natale dello Stato italiano tentando di unire tra loro i principali gruppi sociali del popolo italiano, consapevole dei poteri forti contrari a tale progetto«
13/03/2008 ANSA

MORO/30: GALLONI, VIVO IN CAMBIO DI ABBANDONO VITA POLITICA GLI USA DISSERO SÌ A PROPOSTA SOSTENUTA DALLA MOGLIE DI MORO

  A muovere l'azione del Psi e di Amintore Fanfani, nel tentativo di salvare la vita ad Aldo Moro con un estremo tentativo tra il 5 e il 9 di maggio del 1978 fu soprattutto una prospettiva politica che aveva avuto un sostanziale «via libera» da parte degli Usa: Moro poteva tornare a casa e in cambio si sarebbe ritirato dalla vita politica. Il progetto della solidarietà nazionale doveva andare in soffitta e si doveva riprendere il dialogo tra Dc e Psi, escludendo dalla maggioranza il Pci. Su questa ipotesi c'era la convergenza, forte, della famiglia Moro e soprattutto della moglie, Nora. A fornire questo «retroscena» e Giovanni Galloni, all'epoca vice segretario vicario della Dc nel suo libro «30 anni con Moro» in uscita domani dagli Editori Riuniti. Galloni rivela che, comunque fosse stato liberato Moro, con lo scambio o senza di un «prigioniero», la politica della solidarietà nazionale era definitivamente compromessa e perciò era superato il pericolo, temuto dagli Usa, del compromesso storico. Fanfani spiegò a Galloni, tra la fine di aprile e i primi di maggio, che «sul piano politico occorreva ritornare ad una alleanza con i socialisti e, realisticamente, tener conto che la figura di Moro non era più utilizzabile: si trattava solo di salvargli la vita». Per questo il Psi, tramite Signorile, agì d'intesa con Fanfani da cui ci si aspettava un sostegno esplicito alla grazia che il Presidente della Repubblica Giovanni Leone intendeva dare alla brigatista Paola Besuschio per contribuire alla liberazione di Moro. Qualcosa però accadde all'ultimo minuto, nota Galloni, che cita alcune dichiarazioni dei brigatisti che parlano della paura di essere presi tutti in trappola in quelle decisive ore tra l'8 e il 9 di maggio di 30 anni fa. Ci fu qualcuno che intervenne all'ultimo minuto?, si chiede l'esponente Dc. Francesco Cossiga ha detto tutto quello che sa?
13/03/2008 ANSA

MORO: LIBRO DEL FIGLIO SU ANNI '70; SPACCA, FU VIOLENZA VERA

  «Gli anni '70 si identificano con una sola parola violenza, violenza vera». Così il presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca ha rievocato il decennio oggi ad Ancona alla presentazione del libro del figlio di Aldo Moro, Giovanni, dedicato a quel periodo della storia italiana. È stato il primo degli appuntamenti che la Regione Marche ha realizzato per il trentennale della scomparsa dello statista. Spacca ha rievocato il suo periodo universitario a Roma, dove frequentò i corsi tenuti da Moro, caratterizzato dall'esperienza dalle forti tensioni post '68 tra studenti, ma anche dal ricordo del professore, «che nonostante la sua carica di ministro degli esteri non saltava una lezione e che se per impegni istituzionali la saltava, la recuperava la domenica mattina». «Credo che la responsabilità e la tristezza più grandi - ha detto ancora Spacca - siano oggi quelle di appartenere alla generazione che armò una mano per decretare la sua fine». Dal canto suo, Giovanni Moro ha sottolineato la fatica profusa nel tentativo di «aprire una discussione dedicata ai più giovani, dedicata a chi non ricorda, a chi quegli anni settanta non li conosce affatto». «Se vogliamo un futuro - ha detto - dobbiamo anzitutto ricostruirci un passato vero, reale, trasparente». Secondo l'autore è necessario «farsi una ragione degli anni '70, pensarci non come se fossero finiti ieri». Giovanni Moro non ha voluto, nel suo intervento, entrare nei dettagli della narrazione del passaggio fra i '70 e gli '80; nè ha citato suo padre. All'iniziativa hanno preso parte anche il prof. Piergiogio Grassi, dell'Università di Urbino, e il sociologo, pure dell'ateneo urbinate, Ilvo Diamanti, che ha parlato, fra l'altro, della nostalgia da lui provata per quegli anni e del disagio provocatogli da questa nostalgia di un decennio annodato attorno al rapimento e alla morte di Moro.
13/03/2008 ANSA

MORO/30:SU RAISAT EXTRA DISCORSI E CICLO TG EPOCA /ANSA OLTRE 60 ORE DI PROGRAMMAZIONE DA SABATO 15 MARZO

  Oltre sessanta ore di programmazione su Raisat Extra per il trentennale della morte di Aldo Moro. Il canale satellitare diretto da Marco Giudici propone uno speciale sabato 15 marzo, dalle 21 fino all'alba, dedicato ai discorsi di Moro, conservati nelle teche Rai, restaurati per l'occasione ma mai andati in onda e un ciclo di 55 puntate di un'ora ciascuna, in onda da domenica 16 marzo al 9 maggio, ogni giorno alle 13.30, con il montaggio antologico dei telegiornali Rai andati in onda nei 55 giorni di prigionia dello statista. L'ampia documentazione visiva e sonora sono di grande impatto emotivo. Aldo Moro. Il volto, la voce, le parole. 1968-1978-2008 è il titolo della non stop serale e notturna del 15 marzo, in cui per la prima volta vengono proposti in tv i discorsi integrali di Moro in tv e in pubblico, in diverse città italiane, fra i quali spiccano quello al Consiglio nazionale della Dc del 21 novembre 1968, noto alle cronache e agli storici per un'evocazione suggestiva («Tempi nuovi si annunciano un nuovo modo di essere nella condizione umana»). C'è poi l'ultimo discorso pronunciato in vita, quello ai gruppi parlamentari Dc del 28 febbraio 1978. Le registrazioni, a quel tempo tutte in pellicola, furono utilizzate solo per poche decine di secondi, dai giornali radio e dai telegiornali dell'epoca. Fra gli scritti anche la bozza di un articolo che Moro non avrebbe fatto in tempo a pubblicare, ritrovato la mattina del rapimento a bordo della Fiat 130 che lo stava accompagnando alla Camera. L'introduzione alla visione dei brani è affidata a Stefano Folli. Alcuni testi, decisivi per conoscere il pensiero di Moro ma assenti in originale, sono letti da Roberto Herlitzka, l'attore che ha interpretato lo statista nel film di Marco Bellocchio Buongiorno notte. L'introduzione alla ricostruzione di cosa avvenne la mattina del 16 marzo '78 è affidata a Lucia Annunziata. Testimonianze sullo statista anche di Guido Bodrato, uomo politico vicinissimo a Moro, di Eugenio Scalfari, autore dell'ultima intervista al presidente della Dc e di Emanuele Macaluso, che commenta la bozza dell'articolo con cui Moro interveniva nel dibattito aperto nel Pci proprio sul significato del '68, tra Petruccioli e Amendola. Infine, il direttore delle relazioni esterne della Luiss, Roberto Ippolito, conduce il telespettatore alla scoperta del particolarissimo vocabolario di Moro. Da domenica 16 marzo al 9 maggio verranno proposti invece gli ultimi 55 giorni di Moro attraverso i telegiornali, a cura di Antonio Maria Mira, cronista giudiziario dell'Avvenire. In primo piano: le immagini del luogo del rapimento(attraverso il racconto di Frajese, Vespa, Marrazzo, Vallone, Modugno, Badaloni, Santalmassi, Tamberlich), e poi il covo di via Gradoli, il viso sofferente di Moro, il lago della Duchessa, i fotogrammi del giorno per giorno, sino alla telefonata che segnalava dove il corpo senza vita di Moro era stato lasciato. Ogni puntata è preceduta da una breve rassegna stampa dei quotidiani del giorno e in chiusura sono ricordate le vicende e gli esiti processuali accertati, della giornata di cronaca presa in esame.
13/03/2008 ANSA

MORO/30: IL RICORDO DEL PRIMO FOTOGRAFO IN VIA FANI /ANSA LA SERA TROVAI LA CASA SOTTOSOPRA MA NON ERA SPARITO NULLA

  «Arrivai che i cadaveri non erano ancora stati ricoperti dai teli bianchi. C'era poca gente. Sono stato il primo fotografo in via Fani. Era passato poco più di un quarto d'ora dal rapimento del presidente della Dc». Antonio Ianni, oggi in pensione, fotografo dell'Ansa, ho raccontato tempo fa come ha vissuto quel 16 marzo e i dettagli e l'emozione di quel «primo servizio importante». Una delle sue prime foto, scattate quel giorno, fu quella di una borse di pelle nera, ad una decina di metri dalle auto, accanto al marciapiede e che «sembrava smarrita da qualcuno». Le foto successive furono scattate all'interno delle auto. C'era una pistola di un agente di scorta ancora posata sul cruscotto. «Ricordo di avere visto sui sedili posteriori un grosso pacco di giornali e forse qualche cartellina. Alzai gli occhi perchè sentii un elicottero che fece un paio di giri sulle nostre teste e poi scomparve. Non mi sembrava avesse segni distintivi evidenti della polizia o dei carabinieri. Ebbi solo il tempo di fare quelle foto mentre arrivavano i fotografi delle altre grandi agenzie straniere poi fummo allontanati tutti dal servizio d'ordine e continuammo a scattare foto da un terrazzo lì vicino». «Poco dopo - ricorda Ianni - andai a Pratica di Mare per cercare di fare delle riprese dall'alto. Mi informai e mi dissero che in quell'ora nessun elicottero si era alzato in volo a Roma. Mi ricordai di quell'elicottero che avevo visto senza alcuna insegna: era un elicottero civile. Notai, riflettendo, che in fondo a via Fani, a sinistra c'è un boschetto. Quell'elicottero non sapevo spiegarmelo». «Tornato a casa la sera la trovai tutta sottosopra. Letteralmente sottosopra. La mia pistola sul letto, l'oro, l'orologio e tutti i beni, tutto sul letto. Nessuno aveva toccato nulla ma la casa era sottosopra».
13/03/2008 ANSA

MORO/30: BR SAPEVANO DI INCONTRO IL 16 CON ZACCAGNINI?/ UN'IPOTESI MAI VERIFICATA DI NORA MORO SU QUEL GIORNO

  Uno degli elementi non chiariti della strage di Via Fani è la certezza che le Br avevano che il 16 marzo Moro e la sua scorta sarebbero passati proprio in quella strada e a quell'ora. Degli uomini in divisa non potevano passare inosservati a lungo, fermi, all'angolo di un incrocio. Era un'azione che non poteva fallire nè si poteva replicare: doveva esserci la certezza di colpire. La signora Nora Moro durante il primo processo ha dato un contributo che è stato accantonato troppo facilmente, visti alcuni riscontri che ci sono stati negli anni. «Io vorrei sapere - disse Eleonora Moro in aula - cosa è successo il 15 marzo. Perchè se il 15 marzo, in via d'ipotesi, mio marito avesse avuto un appuntamento con Zaccagnini: 'andiamo insieme in Parlamento e discorriamo di queste cosè, allora sì che via Fani era una strada obbligata. Allora, se questo è stato combinato per telefono, il nostro telefono era sorvegliato, qualcuno poteva sapere con precisione che il giorno dopo l'onorevole Moro passava in via Fani». Il giudice chiese se avesse fatto riscontri. «Sì, ho tormentato tutti quelli che potevo tormentare. Non sono riuscita a sapere con chi si dovesse incontrare. E qualche volta ho avuto anche l'impressione che non mi si volesse dire». Effettivamente - come ha rivelato il volume di Marcucci e Selva 'Il martirio di Aldo Morò nel 1979 -, quella mattina il presidente della Dc doveva recarsi proprio da Benigno Zaccagnini, il segretario della Dc che voleva dimettersi per protesta dalla carica, perchè non condivideva la lista dei ministri stilata da Andreotti per il governo che doveva avere l'appoggio del Pci. Il 16 marzo Moro uscì in anticipo da casa. Poco prima delle 9. «Prima di andare alla Camera, (Moro) deve fare una sosta al Centro studi Alcide De Gasperi, alla Camilluccia. Secondo alcune voci- si afferma nella prima edizione del libro -, Zaccagnini lo attende per presentargli ufficialmente le dimissioni da segretario politico. Il Centro studi della Dc è, comunque, un passaggio quasi obbligato per Moro. In fondo a via della Camilluccia, una lunga discesa tutta curve, c'è Piazza dei Giochi Delfici e, sulla piazza, la chiesa di Santa Chiara. Moro certamente farà una seconda sosta». Questa notizia sparirà nella nuova edizione del volume pubblicato anni dopo. La notizia dell'incontro Moro-Zaccagnini è stata confermata recentemente anche da Giovanni Galloni Galloni, all'epoca vice segretario della Dc: la mattina del 16 marzo 1978 Moro era uscito presto di casa, prima delle 9, mentre il dibattito alla Camera per la presentazione del governo era previsto per le 10. Infatti, lo statista, al momento del sequestro, «si stava recando a casa del segretario della Dc, Benigno Zaccagnini, che aveva in mente di dimettersi dalla guida del partito non appena il governo avesse ottenuto la fiducia. Moro andava da lui per scongiurare questa scelta». Come ha fatto questa informazione a finire alle Br che aspettavano Moro all'incrocio di via Fani? Quella mattina il Pci pensò, prima del rapimento, di non votare a favore del governo.« Nella serata e persino nel cuore della notte precedenti, il modo come il presidente del Consiglio (Andreotti) aveva dato gli ultimi, decisivi ritocchi alla lista dei ministri, era al centro delle critiche molto vivaci della segreteria comunista», ha scritto - ricordando quella lunga notte- il giornalista Giorgio Frasca Polara in un libro edito da l'Unità e dedicato alla vita di Berlinguer. In polemica con il partito il 16 marzo Giancarlo Pajetta era rimasto a casa. Tutto sarebbe stato deciso dopo il discorso di Andreotti, ma i dissensi erano forti ed ampi. Qualcuno intercettava casa Moro, dunque? Si disse e scrisse che alla Sip le Br avevano una vera e propria brigata formata da addetti selezionati che potevano inserirsi sulle linee. Inoltre le Br potevano avere un'altra certezza rispetto a quelle finora ammesse. A Benito Cazora, un deputato Dc che si mise ad indagare in proprio sul rapimento, la 'ndrangheta segnalò che nella parte bassa di Via Fani le Br avevano, come ipotizzò negli atti della prima indagine il giudice Guido Gusco, un centro di osservazione presso un albergo per studenti. Oppure informazioni «filtrarono» dagli ambienti vicini a Moro, anche indirettamente, come disse il primo pentito delle Br, Patrizio Peci, nei suoi verbali?
13/03/2008 ANSA

MORO/30: LA LUNGA MARCIA VERSO LA VERITÀ/ CERTEZZE GIUDIZIARIE CI SONO MA DUBBI RIMANGONO IN MOLTI

  La storia del caso Moro è fatta anche di una lunga serie di scoperte e rivelazioni (alcune vere o probabili, altre meno) avvenute dopo la tragica conclusione della vicenda. Ecco alcune delle principali: - 19 mag 1978: a Roma, in via Foà, scoperta una tipografia, di Enrico Triaca, usata dalle Br durante il sequestro. Alcune apparecchiature erano appartenute ai servizi segreti. - 1 ott 1978: irruzione dei carabinieri di Dalla Chiesa nel covo di via Monte Nevoso, a Milano. Arrestati 9 terroristi, tra cui Azzolini e Bonisoli. Trovato il memoriale Moro. - 27 ott 1978: resa pubblica la telefonata di un br alla moglie di Moro, attribuita prima a Toni Negri e poi a Moretti. - febbraio 1979: 'L'Espressò pubblica rivelazioni provenienti da Ernesto Viglione, giornalista di Radio Montecarlo. Secondo un sedicente brigatista, le Br e il caso Moro sarebbero state molto diversi dalla versione ufficiale. Poi il caso sembra sgonfiarsi in un tentativo di truffa, ma in appello Viglione è assolto. - 17 mar 1979: Raffaele Fiore è arrestato a Torino. - 20 mar 1979: ucciso a Roma Mino Pecorelli. Su Op aveva fatto diversi 'scoop' e rivelazioni sul caso Moro e ne aveva promessi altri. Sembra fosse in attesa di altre carte. - marzo 1979: 'Metropolì, rivista dell' Autonomia, pubblica un fumetto che ricostruisce il rapimento e il processo. Un anno dopo, ad aprile, 'Metropolì tornerà sulla vicenda con l'ambiguo «Oroscopone» della maga Ester, che allude ad un russo nel ruolo del 'grande vecchiò. - 30 mag 1979: arrestati a Roma Valerio Morucci e Adriana Faranda, usciti dalle Br dopo il caso Moro. Erano a casa della figlia di Giorgio Conforto, che sarà nel 'dossier Mitrokhin'. Nel 1984 raccontano la loro versione dei fatti in un memoriale. - 24 set 1979: ferito alla testa e arrestato a Roma Gallinari, a lungo ritenuto l' esecutore materiale dell' uccisione di Moro. - 2 feb 1980: resa nota l' esistenza dei piani Victor, in caso di rilascio di Moro vivo e Mike, in caso di sua morte. Scalpore anche se ne aveva già parlato un libro nel 1979. - marzo 1980: il primo grande pentito delle Br, Patrizio Peci, comincia a parlare. A febbraio 1982, lo fa anche Savasta. - 19 mag 1980: arrestato Bruno Seghetti. - 27 mag 1980: arrestata Anna Laura Braghetti. - 4 apr 1981: arrestato a Milano Mario Moretti. - 10 giu 1981: la commissione Moro si occupa della seduta spiritica del 2 aprile 1978 a Bologna, presente anche Romano Prodi, durante la quale è emerso il nome 'Gradolì. - 1 feb 1982: il ministro dell'Interno Rognoni annuncia la scoperta della prigione del popolo, un appartamento della Braghetti, in via Montalcini. - 3 set 1982: ucciso a Palermo il gen. Dalla Chiesa. - 24 mar 1984: rapina miliardaria alla Brink's Securmark. Gli autori, tra cui Toni Chichiarelli, lasciano materiale con chiare allusioni al caso Moro. - 28 set 1984: ucciso a Roma Toni Chichiarelli. - gennaio 1985: individuati in Rita Algranati e Alessio Casimirri due dei tre latitanti coinvolti, di cui Morucci non ha fatto i nomi. Il terzo sarà ritenuto Alvaro Loiacono. - 19 giu 1985: ad Ostia, è arrestata Barbara Balzerani. - 5 mar 1988 - Andreotti afferma che il Vaticano era pronto a pagare un fortissimo riscatto per la liberazione di Moro e che era riuscito a stabilire un contatto con qualcuno dei rapitori. - 8 giu 1988: in Svizzera è arrestato Loiacono, diventato cittadino elvetico grazie alla madre. - 9 ott 1990: nei lavori di ristrutturazione in via Monte Nevoso, da un'intercapedine escono documenti non trovati nel 1978 e una versione più ampia del memoriale. Polemica tra Craxi e Andreotti sulle 'maninè e le 'manonè. - 9 giu 1991: Cossiga parla di un' operazione dei Comsubin, finora sconosciuta. - 13 ott 1993: arrestato Germano Maccari, accusato di essere il quarto carceriere di Moro. Lo stesso giorno esce la notizia che un pentito ha detto che Antonio Nirta, killer della 'ndrangheta, sarebbe stato presente in via Fani. - 25 ott 1993: resa nota un' intervista rilasciata in estate in cui Mario Moretti si assume la responsabilità di aver ucciso Moro. - 8 giu 1994: arrestato Raimondo Etro, che avrebbe svolto un ruolo di armiere. - maggio 1998: trapela la notizia che molti appartamenti di via Gradoli appartenevano a società legte al Sisde. - 29 mag 1999: trapela la notizia che il pianista russo Igor Markevitch sarebbe l' 'anfitrionè fiorentino delle Br. - febbraio 2000: la Commissione stragi acquisisce dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio al ritrovamento delle carte di via Monte Nevoso del 1990. - 2 giu 2000: arrestato in Corsica Loiacono. La Francia però negherà l' estradizione. - 14 nov 2000: dalle indagini di Brescia sulla strage di piazza della Loggia emerge una struttura segreta, chiamata 'Noto serviziò, che attraverso qualche suo uomo, potrebbe avere avuto un ruolo anche nel caso Moro. Nel 2003 esce che il nome della struttura sarebbe stata «L'Anello». - 25 ago 2001: Maccari muore d'infarto nel carcere di Rebibbia. - 5 set 2001: Lanfranco Pace dice che è stato Maccari ad uccidere Moro mentre Moretti era in preda a una crisi di panico e Gallinari piangeva. La presunta rivelazione ha tutta l' aria di voler alleggerire la posizione di Moretti, addossando ad un morto la responsabilità dell' uccisione di Moro. - 11 dic 2003: un libro sul caso Tobagi sostiene che le carte trovate in via Monte Nevoso furono portate via per essere fotocopiate e poi riportate sul luogo ma «assottigliate». - 14 gen 2004: arrestata Rita Algranati, la vedetta che segnalò l'arrivo di Moro e della scorta in Via Fani.
13/03/2008 ANSA

MORO/30: ANCORA DUBBI, QUANTI IN VIA FANI E CHI SPARÒ?/ INTERROGATIVI NELLA RICOSTRUZIONE DELL'AGGUATO E DELLA STRAGE

  Sono passati 30 anni dal 16 marzo 1978 ma i buchi neri nella ricostruzione della strage di via Fani, la prigionia e la morte di Aldo Moro, iniziano già con il primo atto dei 55 giorni più bui e lunghi della Repubblica. Questi buchi neri sono ancora lì in attesa di essere colmati. Alle 8:45 il commando delle Br si disloca all'incrocia tra via Fani e via Stresa, nella zona della Camilluccia. Il piano era stato messo a punto nella base di Velletri. Via Fani è una strada in discesa verso via Stresa. Nella parte alta Mario Moretti si dispone alla guida di una Fiat 128, targata CD sulla destra della strada, subito dopo via Sangemini, con il muso dell'auto verso il basso. Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri - tutti e due sono oggi all'estero: il primo in Svizzera, l'altro in Nicaragua- erano a bordo di una Fiat 128 bianca collocata davanti alla macchina di Moretti. Una Fiat 128 blu era posteggiata, con alla guida Barbara Balzerani, sul lato opposto di via Fani, subito il crocevia con via Stresa, con il muso rivolto verso l'alto, cioè la direzione di provenienza dell'auto di Moro. L'altra auto, la Fiat 132 blu, con a bordo Bruno Seghetti era ferma in via Stresa parcheggiata contromano sul lato sinistro, a qualche metro dall'incrocio. Una A112 era parcheggiata, vuota, in via Stresa, a 20 metri da via Fani con il muso verso via Trionfale. La tecnica dell'azione venne copiata pari pari dagli uomini della Raf. Un'azione «a cancelletto». L'operazione Fritz cominciò non appena la macchina di Moro e quella della scorta sbucò dall'alto, imboccando la discesa di via Fani. La macchina di Moretti si immise sulla strada e giunta all'incrocio si piantò. La 130 di Moro cercò ripetutamente di farsi largo ma una Mini Mirror parcheggiata all'incrocio impedì lo «svincolo». La macchina di Moro e quella della sua scorta erano in trappola. La 128 bianca di Casimirri e Lojacono si mise di traverso nella parte alta dell'incrocio, bloccando il traffico. A segnalare l'arrivo delle macchine con un mazzo di fiori era stata, hanno detto i Br, Rita Algranati - scagionata ufficialmente dal processo, ma il cui ruolo è stato confermato dai partecipanti alla operazione. Era quello il segnale che il commando travestito da piloti aspettava: da dietro le siepi del bar sbucarono quattro uomini: Morucci, Fiore, Gallinari e Bonisoli che aprirono il fuoco. I primi a cadere furono, dopo che erano stati infranti i vetri anteriori, Ricci e Leonardi, l'autista e il capo scorta di Aldo Moro. Breve efficace, una «azione esemplare» nonostante la dichiarata approssimazione della preparazione militare del commando. I colpi furono sparati da distanza ravvicinata. Moro fu prelevato. Una donna lo senti dire «Mi lascino andare. Cosa vogliono da me?». Questo il «racconto-base» del rapimento fatto da Valerio Morucci, il primo a dare il quadro dell'assalto e a cui si sono rifatti tutti. Tre della scorta, in un mare di sangue, furono finiti con un colpo di grazia alla nuca: Iozzino, Leonardi e Ricci. Solo Iozzino sparò due colpi ma fu subito freddato da altri due assalitori in borghese. Dalle prime dichiarazioni i Br sono via via passati da 7 a 8, poi a 9, poi a 10 ed infine ad 11 (con l'aggiunta della Algranati, poi assolta, ed Etro). Per rapire il giudice Mario Sossi, che era senza scorta, furono utilizzati 14 Br. Venti erano stati preventivati per rapire Moro dentro la chiesa di Piazza dei Giochi Delfici. Qualcuno manca ancora oggi all'appello? Molti testimoni parlarono di una moto Honda con a bordo due che spararono avendo il volto coperto da passamontagna. Per i Br quella moto non è mai esistita. Per la giustizia è un fatto acclarato con sentenza passata in giudicato. Uno dei killer cercò di uccidere un testimone, l'ingegner Marini. Perchè questo blocco? Quella presenza in moto è inconfessabile? Un uomo della 'ndrangheta, come si disse prima dell'ennesima smentita? Una diversa componente del Movimento, due autonomi, un gruppo di Prima Linea? Corrado Alunni, come sostenne sulla base di un identikit un testimone che vide un uomo alzarsi per un attimo il passamontagna? Una componente delinquenziale delle Br? La perizia balistica stabilì che vennero esplosi almeno 91 colpi; 49 furono sparati da una sola arma, uno Fna 43 o uno Sten; 22 da una pistola mitragliatrice, 5 e 3 da altre due pistole-mitra e infine 8 e 4 da due pistole semi automatiche. L'uomo che spara più colpi era in divisa e mostrava grande padronanza. È lui che fa il grosso del «lavoro» insieme a colui che spara 22 colpi. Nella ricostruzione fatta da Morucci i Br sparano dal solo lato sinistro ma ciò non è vero. Ricci cade a sinistra, Leonardi colpito anche destra mentre cerca di girarsi per coprire Moro. Sono i due specialisti che sparano sulla macchina di Moro senza che il presidente venga colpito. Una perizia, durante il Moro-quater, ha accertato che a via Fani sparò un numero di armi superiore a quello dichiarato dai Br. Almeno 7 e non sei, da destra e sinistra: 4 mitra, 2 pistole semi automatiche -impugnate da due persone- e probabilmente un'altra arma che utilizzava proiettili calibro 7,65 parabellum. Ma i Br affermano che spararono solo in quattro: Bonisoli, Fiore, Gallinari e Morucci. A Bonisoli, però, il mitra si inceppò subito, quello di Morucci «quasi subito». A Gallinari accadde a metà raffica. Fiore ha detto che il suo M12 si inceppò «subito», che sfilò il caricatore e lo sostituì, ma che non partì alcun colpo. Tutti i mitra si incepparano. Chi sparò quindi quel giorno a via Fani?
13/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: TAVOLA ROTONDA A VITERBO CON LA FIGLIA AGNESE

  'Per non dimenticare Aldo Moro, per conoscere la nostra storià. È questo il titolo dell'iniziativa che si terrà sabato pomeriggio alle 16 nella sala conferenze di Palazzo Gentili, sede della Provincia di Viterbo. Un evento fortemente voluto dalla Provincia di Viterbo e dall'Archivio Flamigni per celebrare il trentennale del rapimento di Aldo Moro (16 marzo 1978). L'evento è promosso dalla Rete degli archivi per non dimenticare, il Centro di documentazione Archivio Flamigni, la Provincia di Viterbo, l'Archivio di stato di Viterbo, la Cgil e la Flc-Cgil di Viterbo. «Si tratta di un'iniziativa - spiega il presidente della Provincia di Viterbo, Alessandro Mazzoli - importante e significativa, affinchè quella drammatica pagina della storia italiana non venga dimenticata. È un'iniziativa nazionale che ha come punto d'origine il giorno della memoria delle vittime del terrorismo. Per questo a dicembre è partito un progetto che coinvolge le scuole in un percorso sul rapimento di Moro. Un pezzo di storia radicato nell'essenza della democrazia Italia. Siamo convinti che da questo attentato tante cose siano cambiate, ma tanto rimane ancora da scoprire. E l'attenzione su questo evento dimostra quanto sia ancora attuale e importante». All'incontro parteciperanno Agnese Moro e Benedetta Tobagi che porteranno le loro testimonianze. Interverranno anche il senatore Sergio Flamigni, saggista, storico, fondatore dell'omologo archivio e membro delle commissioni parlamentari d'inchiesta sul caso Moro, sulla P2 e antimafia; Ilaria Moroni del Centro di documentazione Archivio Flamini, Cinzia Venturoli del Cedost (Centro di documentazione storico politico sul terrorismo e le stragi) e il segretario provinciale della Cgil, Giovan Battista Martinelli. Venerdì 14 e sabato 15, inoltre, al teatro San Leonardo andrà in scena lo spettacolo di Gianfranco Loffarelli 'Se ci fosse luce: i misteri del caso Morò. Due le repliche per entrambe le giornate: una alle 10 e una alle 21, a ingresso gratuito.
13/03/2008 ANSA

MORO/30: GALLONI,COME KENNEDY, MANINA SULLA SUA MORTE/ DA DOMANI IN LIBRERIA IL LIBRO '30 ANNI CON MORO'

  I misteri ci sono e sempre più quella di Aldo Moro è una morte che ha le stesse ombre che accompagnano ancora oggi la tragica fine di John Kennedy e di suo fratello Bob. Giovanni Galloni, nel 1978 vice segretario vicario della Dc, non è un dietrologo ma un politico che ha vissuto dall'interno la complessa fase della solidarietà nazionale tra il 1975 e il 1978. Di quelli anni e della presenza di Aldo Moro e della sua politica nella Dc e nel Paese Galloni scrive nel bel volume '30 anni con Moro' in uscita da domani per gli Editori Riuniti. I temi affrontati sono tanti. Unico il filo conduttore della ricostruzione politica: Moro ed Enrico Berlinguer hanno pagato, sul piano della incomprensione internazionale, la peculiarità italiana a cui i due leader politici cercarono di porre mano tra il 1976 e il 1978, gli anni della solidarietà nazionale che da molti vennero intesi come il prodromo all'inevitabile sbocco nel 'compromesso storicò. Una scelta invisa a Washington e a Mosca. Galloni avanza anche un dubbio, tutto basato su un forte ragionamento politico: che qualcosa o qualcuno sia intervenuto, il 9 maggio, nell'ultima fase della trattativa tra Br e Stato, quella che era stata politicamente accettata anche dagli americani e che mirava alla restituzione alla famiglia di un Moro non più protagonista della politica italiana. Perchè dunque non pensare - si chiede Galloni - che l'uccisione della scorta e di Moro, altro non siano stati che «l'equivalente di un colpo di Stato militare» e che a questo abbiano dato una loro collaborazione, in modo indiretto, i servizi segreti Usa, quelli italiani, strettamente dipendenti, e quella «particolare massoneria segreta che si è denominata P2»?. Galloni spiega che il Presidente della Dc non voleva il compromesso storico, cioè una stabile coabitazione di governo - e potere - tra Dc e Pci. Prima del 1981 il Pci, secondo Moro, avrebbe dovuto sganciarsi definitivamente da Mosca e la Dc accentuare la sua vocazione popolare e democratica, rompendo a destra. L'obiettivo era quello di avere due forze moderne, entrambe adeguate al governo di una nazione dell'Occidente e che avrebbero quindi potuto scontrasi senza timori che il sistema fosse «bloccato» dai timori dell'una o dell'altra superpotenza. L'Italia così sarebbe diventata politicamente adulta. Nel libro viene ricostruita la lunga inimicizia tra Moro e Kissinger che data almeno dal 1969 quando alla «strategia dell'attenzione al Pci», varata da Moro, si rispose con la «strategia della tensione» a colpi di bombe. Passo dopo passo, si arriva alle minacce politiche che Kissinger rivolse all'allora ministro degli Esteri nel settembre del 1974. Oltre alle testimonianze note Galloni aggiunge la sua. Moro era rimasto disgustato, fino a sentirsi male e a rientrare anticipatamente, da tutta l'organizzazione degli incontri con il Presidente Ford e Kissinger. C'erano stati ammonimenti diretti, brutali: «Ma - si chiede Galloni-: è anche la condanna a morte di Moro?». Molte le novità e le conferme sui 55 giorni. Una in particolare merita attenzione perchè decisiva.Il destino di Moro poteva essere diverso da quello che conosciamo. Dopo la scoperta del covo di via Gradoli e la Duchessa si consolidò - a fine aprile- una convergenza tra socialisti, la linea Usa sostenuta da Kissinger e la famiglia Moro. Galloni rivela che questa posizione - salvare l'uomo Moro affondando il suo progetto politico - mosse anche il tentativo giocato in extremis da Fanfani che gli spiegò, tra la fine di aprile e i primi di maggio, che ormai «si trattava di salvare la vita di un uomo che, come desiderava la moglie, si sarebbe definitivamente ritirato dalla politica». Per questo il Psi, tramite Signorile, agì d'intesa con Fanfani da cui ci si aspettava un sostegno esplicito alla grazia che il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, intendeva dare alla brigatista Paola Besuschio per contribuire alla liberazione di Moro. Qualcosa però accadde, nota Galloni, che cita alcune dichiarazioni dei brigatisti che parlano della paura di essere presi tutti in trappola in quelle ore. Citando Signorile l'ex segretario Dc scrive: «Egli infatti afferma che ci fu non solo una 'resa dei contì fissata all'interno delle Br, ma che fossero intervenute realtà esterne al brigatismo». Servizi italiani, più o meno ufficiali? Stranieri? «Cossiga si era formato la convinzione che il giorno 9 maggio Moro avrebbe potuto essere rilasciato libero e che si poteva correre il pericolo per la vita di Moro, nel caso di un conflitto a fuoco tra i suoi liberatori e i suoi carcerieri». «Lo stesso ministro degli Interni Cossiga - si chiede Galloni - ha detto veramente tutto quello che sapeva sugli ultimi giorni della prigionia di Moro?». L'ex Dc non cita una importante intercettazione telefonica di Eleonora Moro proprio alle 11,12 del 9 di maggio del '78. La signora Moro si rivolge a Sereno Freato:« Se si riuscisse a comunicare con questa gente e a dirgli, diciamo così: 'ridatecelo, che non gli permetteremo di dare più fastidio nel mondò». Moro però era già morto.
13/03/2008 ANSA

MORO/30: GRASSI (PD),PER FICTION NON È NECESSARIO ATTENDERE

  La fiction su Aldo Moro con Michele Placido protagonista, «deve andare in onda al più presto, indipendentemente dal momento elettorale in cui siamo impegnati. Ritengo più che mai appropriato visto il grande spessore umano e politico dello statista assassinato», sostiene l'on. Gero Grassi, responsabile nazionale sanità del Partito Democratico ha proposito del rinvio a dopo le elezioni della miniserie che andrà in onda su Canale 5. «L'impegno di Aldo Moro non si presta a nessun tipo di equivoco e qualunque verità verrà fuori è bene che venga rivelata a tutti i cittadini italiani. Da ex democristiano, moroteo e ora Deputato del Pd - dice l'on. Grassi - propongo di non aspettare maggio 2008 per poter visionare il film. Invito le reti Mediaset a mandare in onda al più presto il lavoro di Valsecchi. Penso che l'Italia abbia bisogno di verità ed il film certamente apporterà un tassello di conoscenza alla più devastante vicenda della Repubblica italiana, dalla quale la nazione è uscita con la democrazia e con l'impegno di tanti cittadini».
13/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: PRIORE, GOVERNO TOLGA IL SEGRETO = A 'PANORAMA', QUEI FALDONI SONO UNA NOVITÀ

  «Quei faldoni segreti sul caso Moro sono una novità. Una grande novità, che ci ha colti di soprpresa. Ora il governo deve togliere il segreto. E subito. Se a suo tempo avessimo potuto vedere quelle carte, probabilmente l'esito delle nostre inchieste sarebbbe stato diverso». Lo afferma a proposito del caso Moro il giudice Rosario Priore, il magistrato che più di ogni altro ha indagato sul principale delitto politico italiano, in un'intervista a «Panorama», pubblicata sul numero in edicola da domani, venerdì 14 marzo. Priore dice poi: Sul caso Moro «non sappiamo tutto. La verità accertata sul piano giudiziario non è assolutamente esaustiva, perchè esistono ancora delle zone d'ombra. Manca ancora quel salto di qualità che ci faccia comprendere gli eventi, spostandone l'interpretazione dal piano poliziesco-giudiziario a quello storico-politico. Èquel salto che ci consentirebbe di capire chi volle il sequestro Moro, a chi doveva servire e per quali finalità». Moro, dice ancora Priore «fu ucciso perchè era l'obiettivo di un folle disegno rivoluzionario. E poi per gli interessi più disparati, che si sono sovrapposti all'azione, di chi tentava di trarne un vantaggio. Era un'occasione ghiotta, specialmente per chi operava a danno di un paese debole, di una demopcrazia non solida com'era la nostra negli anni Settanta». Si trattava, per Priore, di forze «interne e esterne. Ognuna con proprie finalità: per spostare l'asse della politica a destra o a sinistra, o per rafforzare tendenze verso determinata aree di influenze».
13/03/2008 ANSA

MORO:30 ANNI DOPO, I SERVIZI DELL'ANSA PER LA RICORRENZA

  L'ANSA ripropone oggi la prima serie di servizi - rievocazioni, approfondimenti, interviste, foto, schede e documenti- sul rapimento e l'uccisione del presidente della Dc Aldo Moro e sulla strage di via Fani già trasmessi, in gran parte, l'1 di marzo. Domani nel pomeriggio sarà proposta una nuova serie di servizi ed approfondimenti. L'intera produzione è stata coordinata da Paolo Cucchiarelli, che è pure l'autore di numerosi servizi, con la collaborazione di Redazioni dell'Agenzia, di Sedi regionali e di Uffici esteri. Oggi, verranno diffusi, per le 17:30, i seguenti servizi tutti contraddistinti dalla chiave 'MORO/30: ...': - Galloni, vivo in cambio abbandono vita politica - Galloni, come Kennedy, una manina sulla morte - ancora dubbi, quanti erano in via Fani e chi sparò? - la lunga marcia verso la verità; - le Br sapevano di incontro il 16 con Zaccagnini?; - il ricordo del primo fotografo in via Fani; - storico russo, P2 resta pista più convincente; - già lungo in libreria lo scaffale per la ricorrenza; - nuova edizione delle Lettere con molte novità; - tutti online gli archivi del Parlamento; - i 55 giorni più lunghi della Repubblica, dal 16 marzo al 9 maggio 1978; A illustrare i servizi anche una serie di foto sulla strage di Via Fani che erano inserite nel fascicolo processuale del primo processo. Ogni giorno, poi, a partire dal 15 di marzo sarà messa in rete una scheda che ricostruirà gli avvenimenti che accaddero - l'indomani - esattamente 30 anni or sono. Nel suo insieme, l'informazione dell'Agenzia, a trent'anni da quei fatti traumatici e drammatici, offrirà elementi di documentazione e di riflessione e fornirà contributi, talora poco noti, alla comprensione e alla conoscenza di un momento cruciale nella storia dell'Italia e su cui molte valutazioni politiche e giudiziarie, al di là dell'unanime deprecazione, restano controverse. Da ciò la scelta di avere voci e contributi diversi e di offrire materia di approfondimento.
12/03/2008 ANSA

MORO/30: PRONTA FICTION CANALE 5 MA RESTA NEL CASSETTO/ANSA VALSECCHI, IL FILM FA PAURA, LO SPETTRO DI MORO SI AGGIRA ANCORA

  Alessandra Magliaro - ROMA, 12 MAR - La mattina del 16 marzo 1978 le Brigate Rosse fanno strage dei cinque uomini della scorta di Aldo Moro e rapiscono il presidente della Dc lanciando un attacco al cuore dello Stato. La ricostruzione di quei tragici 55 giorni e di quel che significarono in termini politici è tutta dentro una miniserie, Aldo Moro, interpretata da Michele Placido e diretta da uno dei migliori talenti in circolazione, Gianluca Maria Tavarelli, lo stesso dell'acclamato Borsellino tv. La fiction è però bloccata nelle stanze di Mediaset e, nonostante sia pronta da tempo e realizzata per l'occasione, andrà in onda non prima di maggio, in tempo magari per l'anniversario del ritrovamento del corpo, il 9 maggio in Via Caetani. «È un film che fa talmente paura che è stato chiuso nel cassetto», dice con forza il produttore Pietro Valsecchi della Taodue film a dir poco arrabbiato per come stanno andando le cose su questo progetto «arduo, difficile, delicato cui abbiamo dedicato ogni nostra forza». «Siamo in campagna elettorale, c'è la par condicio e questo film non deve andare in onda perchè farà discutere, perchè racconterà nuove verità sulla trattativa, sulla negligenza di molti uomini politici che non hanno voluto che questo grande statista si salvasse. Alla Dc che è ben viva oggi e lo sarà sempre perchè è nel dna dell'Italia, questo film non piace e infatti non andrà in onda se non dopo le elezioni. Dispiace che nessun parlamentare si occupi di questo stop, della cultura ai politici non interessa niente», aggiunge Valsecchi senza giri di parole. Eccesso di cautela di Mediaset? «Mediaset non c'entra niente - s'inalbera Valsecchi - è che lo spettro di Moro oggi in Italia non fa dormire la notte tante persone. Non c'è stata la volontà di salvare Moro, uno dei più grandi intellettuali pragmatici che ha avuto questo paese». Aldo Moro dovrebbe andare in onda su Canale 5 a maggio ma non è ancora in palinsesto. Realizzata nel maggio 2007, la fiction su Moro è stata sceneggiata da Salvatore Marcarelli e Francesco Piccolo, con Stefano Rulli editor, mentre il senatore Francesco Cossiga, all'epoca ministro dell'Interno, ha incontrato più volte gli sceneggiatori per raccontare il clima e i retroscena politici del sequestro Moro. Diversi incontri ha poi avuto la produzione con Agnese Moro e Maria Fida Moro. Tutta la prima puntata è dedicata al lavoro dello statista Dc sul compromesso storico, sulle larghe intese per includere il partito comunista di Enrico Berlinguer al governo e per convincere le varie correnti della Dc. Ci sarà qualche momento con la famiglia ma gran parte della prima puntata sarà sulla politica di quegli anni. La seconda invece è sui 55 giorni della prigionia, dalla strage di Via Fani al ritrovamento del corpo in Via Caetani. I brigatisti, «non figurine senza anima - ha spiegato Tavarelli - ma esseri umani con sentimenti, fragilità, dentro un progetto sbagliato», la famiglia, il partito della trattativa e quello della fermezza nei giorni del sequestro nel racconto della fiction con Donatella Finocchiaro (Adriana Faranda), Libero De Rienzo (Valerio Morucci), Marco Foschi (Mario Moretti), Valentina Carnelutti (Barbara Balzarani), Gianluca Morini (Germano Maccari).
12/03/2008 ANSA

MORO/30:FICTION C5 IN ONDA DOPO ELEZIONI,VALSECCHI:FA PAURA

  ROMA, 12 MAR - Resta per ora nei cassetti Mediaset, nonostante sia pronta da mesi, la miniserie tv su Aldo Moro, interpretato da Michele Placido. E il produttore, Pietro Valsecchi, della Taodue, protesata: «Siamo in campagna elettorale, c'è la par condicio e questo film non deve andare in onda perchè farà discutere, perchè racconterà nuove verità sulla trattativa, sulla negligenza di molti uomini politici che non hanno voluto che questo grande statista si salvasse. Alla Dc che è ben viva oggi e lo sarà sempre perchè è nel dna dell'Italia, questo film non piace e infatti non andrà in onda se non dopo le elezioni». Nella miniserie da 7 milioni di euro, diretta da uno dei migliori registi in circolazione, Gianluca Maria Tavarelli, lo stesso di Borsellino e Maria Montessori, c'è l'Aldo Moro statista del compromesso storico e la ricostruzione di quei tragici 55 giorni e di quel che significarono in termini politici. In tv, su Canale 5, andrà in onda non prima di maggio, in tempo magari per l'anniversario del ritrovamento del corpo, il 9 maggio in Via Caetani a Roma.
12/03/2008 ANSA

MORO/30: 'FUORI ORARIÒ, UNA NOTTE CON INTERVISTA INEDITA

  ROMA, 12 MAR - «Un'intera notte dedicata ad Aldo Moro»: è la promessa di Enrico Ghezzi, che sta preparando la trasmissione all'interno del suo spazio di Fuori Oraio-Cose (Mai) Viste. «Manderemo in onda anche un'intervista rara e inedita ad Aldo Moro - ha aggiunto il critico -. Inoltre, ci saranno diverse occasioni, anche all'interno di Blob, in cui ricorderemo quella vicenda di trent'anni fa». Il ciclo sugli anni '70 non si ferma al caso Moro. «Durante i tre mesi estivi - ha detto Ghezzi -, sia all'interno di Fuori Orario che di Blob trasmetteremo diversi documenti, cinematografici e non, sul '77».
11/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: AGNESE, COLPEVOLE ANCHE CHI NON HA SALVATO MIO PADRE

  Milano, 11 mar. - «Se mi si chiede chi ha ucciso Moro io debbo rispondere che la responsabilità è di chi ha premuto il grilletto. Ma coloro che non hanno fatto niente per salvarlo non meritano di essere giudicati in modo migliore». Lo dice Agnese Moro, figlia terzogenita dello statista democristiano trovato cadavere il 9 maggio 1978 dopo un rapimento durato 55 giorni, in un'intervista al settimanale 'Oggi', in edicola da domani. «C'è il sentimento corale che conosciamo solo dei pezzi di verità e ci sono troppe cose ancora da esplorare. Cose oscure, non logiche», aggiunge Agnese, che all'epoca dei fatti aveva 26 anni e oggi presiede l'Accademia di studi storici Aldo Moro.«In quella vicenda così terribile da tanti punti di vista una cosa che mi ha procurato immenso dolore era il modo nel quale Moro, durante i 55 giorni di prigionia, fu stigmatizzato. Dissero qualunque cosa, che non era in sè, che era un vigliacco. Mio padre -spiega Agnese Moro- non è stato ferito solo dal rapimento, dalla morte, ma anche da parole ingenerose, false. All'atto pratico è come se avessero voluto sminuirlo. Non lo accetto». E sui misteri del cosiddetto 'caso Moro', Agnese afferma: «Che sia fatta piena luce è un'esigenza del Paese, non solo di noi familiari». Nell'intervista, la figlia dello statista si sofferma anche sugli aspetti privati dell'uomo politico: «Ricordo ancora -racconta Agnese Moro- la sua mano bella, protettiva, che alla sera teneva la mia fino a quando non mi addormentavo. Mi dà ancora conforto: è come se la sua mano non mi avesse mai abbandonato. E poi tante immagini della quotidianità: papà aveva una sua leggerezza spiritosa.Leggeva i corsivi di Fortebraccio facendo irresistibili imitazioni dei personaggi citati. Non faceva mai le prediche». «Al cimitero ci vado. Ma mio padre non sta là. Sta con me ogni giorno. Il nostro colloquio non si è mai interrotto. Del resto papà me lo aveva anticipato nella lettera a me indirizzata: 'Ora è probabile che noi siamo lontani o vicini in un altro modo'. Papà c'è, eppure mi manca tantissimo». «Mio papà si comunicava tutti i giorni: era un bisogno insopprimibile. Quando non poteva farlo al mattino, si destreggiava. Mi hanno raccontato di certi pranzi elettorali, in Puglia, con la gente che gli faceva festa, e lui che non mangiava, anche a costo di sembrare scortese. Rinunciava alle sue orecchiette, ai suoi formaggi perchè nel pomeriggio voleva prendere la comunione», conclude Agnese Moro.
11/03/2008 ANSA

MORO: FIGLIA AGNESE,SU MISTERI SIA FATTA LUCE PER BENE PAESE A 'OGGI', UCCISO ANCHE DA CHI NON HA TENTATO DI SALVARLO

  ROMA, 11 MAR - «Se mi si chiede chi ha ucciso Moro io debbo rispondere che la responsabilità è di chi ha premuto il grilletto. Ma coloro che non hanno fatto niente per salvarlo non meritano di essere giudicati in modo migliore». Lo dice Agnese Moro, figlia terzogenita dello statista democristiano ucciso dopo un rapimento durato 55 giorni, in un'intervista al settimanale «Oggi», in cui sottolinea che sui misteri del cosiddetto 'Caso Moro', è necessario «sia fatta piena luce, è un'esigenza del Paese, non solo di noi familiari». Sulla vicenda, secondo Agnese Moro, che all'epoca dei fatti aveva 26 anni e oggi presiede l'Accademia di studi storici Aldo Moro,«conosciamo solo dei pezzi di verità e ci sono troppe cose ancora da esplorare. Cose oscure, non logiche». «In quella vicenda così terribile da tanti punti di vista una cosa che mi ha procurato immenso dolore era il modo nel quale Moro durante i 55 giorni di prigionia fu stigmatizzato. Dissero qualunque cosa, che non era in sè, che era un vigliacco. Mio padre non è stato ferito solo dal rapimento, dalla morte, ma anche da parole ingenerose, false. All'atto pratico è come se avessero voluto sminuirlo. Non lo accetto». Nell'intervista, la figlia dello statista si sofferma anche sugli aspetti privati dell'uomo politico:«Ricordo ancora la sua mano bella, protettiva, che alla sera teneva la mia fino a quando non mi addormentavo. Mi dà ancora conforto: è come se la sua mano non mi avesse mai abbandonato. E poi tante immagini della quotidianità: papà aveva una sua leggerezza spiritosa. Leggeva i corsivi di Fortebraccio facendo irresistibili imitazioni dei personaggi citati. Non faceva mai le prediche». E poi: «Al cimitero ci vado. Ma mio padre non sta là. Sta con me ogni giorno. Il nostro colloquio non si è mai interrotto. Del resto papà me lo aveva anticipato nella lettera a me indirizzata: 'Ora è probabile che noi siamo lontani o vicini in un altro modo'. Papà c'è, eppure mi manca tantissimo». E infine un riferimento alla fede, che aiuta lei oggi come ispirava il padre un tempo: «Mio papà si comunicava tutti i giorni: era un bisogno insopprimibile. Quando non poteva farlo al mattino, si destreggiava. Mi hanno raccontato di certi pranzi elettorali, in Puglia, con la gente che gli faceva festa, e lui che non mangiava, anche a costo di parere scortese. Rinunciava alle sue orecchiette, ai suoi formaggi perchè‚ nel pomeriggio voleva prendere la comunione».
11/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: SAGGIO VIDEOSTORICO PER 30 ANNI RAPIMENTO = LA PROIEZIONE SU UN PARALLELEPIPEDO APPESO CHE RICORDA LA PRIGIONE

  Roma, 11 mar. - (Adnkronos) - Il laboratorio dell'archivio cinetelevisivo della Fondazione per le scienze religiose «Giovanni XXIII» ha preparato, con la collaborazione delle Teche Rai e dell'Accademica Aldo Moro di Roma, il patrocinio delle più alte istituzioni della Repubblica, un «saggio videostorico» per il XXX del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro. La proiezione avviene su un parallelepipedo appeso, una prigione di garza delle dimensione di quella in cui, per 55 giorni, venne tenuto Aldo Moro, 2,50 di profondità per 1,20 di larghezza per 2,0 metri di altezza e sotto di essa, in uno spazio debolmente illuminato, alcuni oggetti lo lasciano intendere. Su tre lati della cella passano in «no comment» immagini del Moro vivo, quello più dimenticato e ignorato dopo la sua uccisione: il Moro famigliare, il Moro dirigente, il Moro credente. Sul lato più ampio, che ha le dimensioni di un grandissimo televisore di m. 2 x 2.50, scorre il corpo della narrazione. Lo schermo appare come un trittico: nella parte centrale passano i TG dei vari giorni, prima e dopo il rapimento, che all'improvviso rallentano e si fermano su una parola chiave, messa in risalto da un sottotitolo; mentre questa immagine s'immobilizza, quella che accanto quella che sembrava una foto di Moro si anima e fa sentire il pensiero di Moro su un problema, un rapporto, un tema: altre volte è il riquadro di destra, quello rivolto al futuro nella successione del tempo, quello nel quale altri (Lama, Paolo VI, Bachelet, Dossetti, Ruffilli, Tobagi) parlano di Moro e del suo ruolo nella storia italiana. Chi segue l'intero documentario avrà modo in circa un'ora, seguendo questo trittico di spezzoni sempre datati con cura, di capire con parametri nuovi (mai una testimonianza dei brigatisti, mai una riflessione dietrologica, che sono state il grosso di questi trent'anni) una vicenda che è una metonimia della storia italiana prima e dopo il 1978. Il lavoro parte dall'ipotesi che il caso Moro funga, per i media, da metonimia di tutta la storia precedente e futura dell'Italia repubblicana: e più d'un segnale, a monte e a valle dei fatti, sembra dire che tutto ciò che accade prima e dopo quei tragici fatti appare preconizzatore e preconizzato dalla sanguinosa vicenda del 1978. Per non costruire un manuale di storia italiana di quei mesi, si ripropongono racconti a doppio fondo, che volutamente prescindono in modo radicale dalle questioni giudiziarie, dal problema dei retroscena, perfino dalla «verità» così come essa viene costruita nella bibliografia giornalistica, parlamentare e storiografica. «L'assassinio di Aldo Moro, con la sua percepita epocalità, ha marcato una cesura nella storia repubblicana; ma proprio per l'evidente cesura che rappresentava e lo spaesamento prodotto in tutto il paese, ha sconvolto la stessa sedimentazione delle fonti che ancora oggi, a trent'anni di distanza -spiegano alla Fondazipne- sono oggetto di analisi o sommarie o suggestive o entrambe le cose, ma non di un lavoro critico rigoroso come quello che la storia di Aldo Moro merita.» Fra queste fonti quelle televisive - enormi per quantità, imponenti per qualità e interesse - costituiscono un segmento significativo nel più vasto ambito delle fonti giornalistiche e mediatiche. Ed esse hanno permesso o ispirato due processi di analisi e sublimazione della tragedia Moro; quello costruitosi dentro la stessa televisione, attraverso la riproposizione di sequenze di repertorio, inquadrature, citazioni. E quello costruitosi dentro il cinema dove il caso Moro, in misura assai maggiore rispetto alla storia e ad una vita, è stato per primo e più a lungo un tema di rivisitazione interpretativa artistica, emblema di una stagione di cui si deve ritrovare il filo, anche a costo della fiction. La mostra sarà proposta contestualmente, nel corso dei 55 giorni del rapimento, quindi dal 16 marzo al 9 maggio a Bologna, nella Biblioteca di Sala Borsa in Pazza Nettuno; a Roma, nella Cripta della Chiesa di Santa Lucia in Via delle Carceri; a Milano, in anteprima nel maxischermo di Piazza del Duomo e poi al Museo di Storia Contemporanea; a Bari, nelle sale del Rettorato dell'Università; a Siena, a Palazzo del Podestà; a Venezia, al Centro Candiani; a Trento, presso il Palazzo della Provincia, a Reggio Emilia e a Modena. Sarà inoltre allestita negli studi di RAI 1, e costituirà il baricentro dello speciale TG1 dedicato a Moro il 16 marzo prossimo.
11/03/2008 ANSA

TERRORISMO:REGIONE MARCHE RICORDA TRENTENNALE SCOMPARSA MORO

  ANCONA, 11 MAR - La Regione Marche ricorda il trentennale della scomparsa di Aldo Moro con una serie di iniziative. Giovedì 13 marzo la prima, con Giovanni Moro, che presenterà il volume «Anni Settanta» (edizioni Einaudi). «Il trentennale della scomparsa di Aldo Moro - afferma il presidente Gian Mario Spacca - è un'occasione per non dimenticare. Vogliamo ricordare tale anniversario per rendere onore ad un grande statista. Ma anche perchè il suo pensiero, spiegato allora con grande semplicità, è ancora oggi estremamente attuale: costituisce un utile riferimento per rispondere alla crisi della politica, della democrazia e della frammentazione sociale. La presentazione del volume, e la presenza di Giovanni Moro, introdurranno le peculiarità di quello specifico periodo storico». Parteciperanno all'iniziativa anche il sociologo Ilvo Diamanti e il prof. Galliano Crivella dell'Università di Urbino, e il prof. Piergiorgio Grassi, dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Urbino 'Italo Mancinì. Nell'occasione sarà distribuito il volume «Aldo Moro nella cultura e nella società italiana», di cui la Regione ha promosso la ristampa proprio in occasione del trentennale della scomparsa dello statista democristiano. Il volume riporta gli atti di un convegno di studio tenutosi il 1988, alla presenza, tra gli altri, dello stesso Giovanni Moro e di Don Italo Mancini. Agli inizi di maggio è previsto un convegno sulla figura di Moro, con la presenza sempre del figlio Giovanni e del prof. Francesco Malgeri, dell'Università 'La Sapienzà di Roma.
09/03/2008 ANSA

MORO/30: STORICO USA, TEORIE COSPIRAZIONE NON REGGONO /ANSA DRAKE,NIENTE CIA. 'PEGGIO DI JFK, IN ITALIA TROPPI OLIVER STONÈ

  WASHINGTON, 9 MAR - Dalla Cia a Henry Kissinger, passando per la P2: quali che siano i protagonisti delle teorie della cospirazione sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro emerse nel corso di 30 anni, «non ce n'è alcuna che possa reggere a un serio vaglio storico». Parola di Richard Drake, uno storico americano che al terrorismo italiano e al caso Moro in particolare ha dedicato gran parte della propria carriera. Tre decenni dopo la tragedia, dice Drake all'Ansa, è l'ora che l'Italia «accetti la verità dei processi e della storia», che indica nelle sole Br i responsabili del delitto. Per Drake - preside del Dipartimento di Storia all'Università del Montana e autore tra l'altro di 'Il Caso Aldo Morò (Marco Tropea, 1996) - gli storici oggi non possono che trarre una conclusione: «Le Brigate Rosse, ispirate fanaticamente dalla loro ideologia marxista-leninista, hanno ucciso Moro interamente da sole, nella speranza di innescare una rivoluzione in Italia». Il fatto che dopo 30 anni si fatichi ad accettarlo, a detta di Drake, è dovuto anche agli scritti di autori che lo storico critica severamente, in particolare Leonardo Sciascia e Sergio Flamigni. «Se guardiamo solo ai fatti e alle prove, come deve fare uno storico, è improbabile concludere che una sola delle teorie alternative sia valida», afferma Drake, che per i propri studi si è basato anche su ampi scambi di informazioni con il giudice Severino Santiapichi, che guidò la Corte d'Assise nelle ricostruzioni del sequestro. «La mia conclusione negli anni '90 sulla responsabilità delle sole Br - dice Drake - ha retto dopo un decennio ed è oggi rafforzata in Italia dai lavori di storici seri come Vladimiro Satta e Agostino Giovagnoli». «Agli italiani - afferma lo storico del Montana - vorrei chiedere di essere sospettosi sulle teorie cospirative almeno quanto lo sono stati sulle ricostruzioni ufficiali. È questo il modo corretto di agire. L'approccio storico è il più valido e l'Italia, fin dai tempi di Francesco Guicciardini, ha una grande tradizione in questo senso». Drake ha studiato all'Università di Padova ai tempi di Toni Negri e vinse nel 1972 una borsa di studio 'Aldo Moro' insieme alla Fulbright. «Da allora - racconta - ho seguito da lontano questa tragica figura di politico italiano, restando inorridito nel 1978 per quello che gli accadde: per questo ho dedicato la carriera ad approfondire il terrorismo in Italia». Secondo lo storico americano, «il caso Moro è per l'Italia ciò che per noi è il caso Jfk, sul quale fioriscono altrettante teorie cospirative. Ma neppure sulla vicenda di Kennedy si è raggiunto i livelli di ciò che è stato detto in questi 30 anni su Moro: Oliver Stone ha un gran numero di imitatori in Italia...». La responsabilità, per lo studioso, «è anche della scarsa fede che l'Italia ha nel proprio sistema giudiziario: Sergio Zavoli negli anni scorsi ha dimostrato quale sia la dinamica dei 'misteri' in Italia». Drake sostiene di aver approfondito ogni pista alternativa emersa negli anni, comprese quelle che puntavano a Washington, a un coinvolgimento della Cia o a un qualche ruolo dell'ex segretario di Stato Kissinger, di cui era nota l'opposizione al progetto di compromesso storico di Moro. «Sono certo che il governo americano era assai scontento con Moro - afferma lo storico -, c'era un'enorme risentimento e molto sospetto per le sue posizioni. Sono anche sicuro che ci siano stati elementi dell'ala più conservatrice qui negli Usa che possono aver brindato per la sua eliminazione. Detto questo, non c'è uno straccio di prova che un singolo americano abbia participato alla vicenda o sia stato in contatto con le Br». Al contrario, secondo Drake, «la commissione Mitrokhin ha evidenziato come possa esserci stato, semmai, un coinvolgimento del Kgb, visto che era specializzato nel falsificare documenti per far pensare a ruoli della Cia». «Non c'è un solo frammento di documentazione storica attendibile - insiste il professore americano - che leghi la Cia al caso Moro». «Questo anniversario - conclude - offre all'Italia una opportunità. Se si mettono insieme le conclusioni dei processi e quelle della commissione Moro e della commissione stragi, emerge la verità che ancora incontra resistenze in parti della sinistra, perchè in quest'area politica, fino a quando le Br non cominciarono ad uccidere nel 1974, c'era simpatia per loro. È molto più comodo tirare in ballo la Cia che non interrogarsi su quali basi ideologiche e culturali abbiano spinto Curcio, Peci o Franceschini a diventare quello che diventarono». Marco Bardazzi
08/03/2008 ANSA

MORO/30: LA VERSIONE DI FRANCO MAZZOLA AL GR RAI/ ANSA SECONDO L'EX SOTTOSEGRETARIO, C'È LA MANO DEL KGB E DEI BULGARI

  ROMA, 8 MAR - «Ho una certa esperienza come avvocato penalista e posso dire che spesso la verità stabilita dai processi non coincide con la verità dei fatti. Quando poi i fatti in questione sono quelli che cambiano la storia, come gli omicidi dei due Kennedy o il caso Moro, la differenza tra verità giudiziaria e verità storica è ancora più netta». A parlare è Franco Mazzola, sottosegretario alla difesa al tempo del sequestro Moro e a capo di uno dei tre comitati di crisi messi in piedi dal Governo. Mazzola è stato sentito dal Giornale radio RAI, per una serie di speciali nel trentennale del caso Moro, curati da Alessandro Forlani. L'intervista può essere riascoltata in podcast sul sito di GrParlamento. Mazzola, di cui è in libreria la ristampa del suo romanzo «I giorni del diluvio», editore Aragno, chiarisce quello che secondo lui è il vero segreto dell'omicidio Moro: le Br, o meglio i loro vertici, che tenevano i rapporti con l'estero, erano controllati dai servizi segreti del blocco sovietico, specie da quelli bulgari. «Il KGB - dice Mazzola - si serviva per la raccolta di informazioni in occidente dei servizi della Rdt e di quelli cecoslovacchi». «I cecoslovacchi - aggiunge - sono sostituiti dai bulgari, quando il capo dei servizi di Praga si rifugia in America». L'Urss era più contraria degli Usa al compromesso storico. Il Pci andava al potere senza rivoluzione, contro gli accordi di Yalta, un esempio negativo per l'est europeo. Il Governo di Washington avrebbe deciso che la CIA non poteva intervenire, perchè gli interessi Usa non erano direttamente in gioco anche se Mazzola aggiunge:«spesso ho constatato come i servizi segreti disobbedissero agli ordini ricevuti dai loro governi». «È chiaro comunque che la CIA non aveva alcun interesse alla salvezza di Moro». Le BR avevano contatti con l'estero, in particolare Parigi, dove c'era la famosa scuola di lingue Hyperion, che, a detta di molti, era una camera di compensazione di diversi servizi segreti, dove agenti di est e ovest si incontravano per chiarire le questioni in sospeso e scambiarsi favori. «Chi sa tutto, perchè andava spesso a Parigi è Moretti, ma non parlerà mai». I servizi segreti italiani ebbero un ruolo molto defilato nella vicenda. «La riforma che creava Sismi, Sisde e Cesis, era appena entrata in vigore». «Il Sisde però non aveva ancora nè uomini, nè mezzi, per agire» e, quanto al Sismi, Mazzola spiega che le notizie raccolte nei 55 giorni furono pochissime e quasi sempre di scarso valore. Lusinghiero invece il giudizio di Mazzola sull'amm. Martini «di gran lunga il miglior agente segreto della storia repubblicana». Mazzola considera con attenzione la storia raccontata spesso a voce da Martini di un suo viaggio in Jugoslavia la notte tra l'8 e il 9 maggio, per prendere in consegna da Tito tre terroristi tedeschi della RAF, che avrebbe dovuto portare in Libano, dove sarebbero stati liberati. Nel romanzo c'è una serie di pressioni da parte di tutti i servizi segreti coinvolti, specie quelli del blocco sovietico, per spingere le BR ad uccidere Moro. Significativo anche lo scenario in cui avviene l'omicidio: niente garage, nè Renault rossa, ma un'esecuzione in diretta tv nelle fogne di Roma. «I sotterranei della capitale nascondono molti segreti e nel romanzo tramite i sotterranei i terroristi possono raggiungere l'ambasciata di un paese amico». Mazzola dice la sua anche sulla cosiddetta «Operazione Smeraldo» del 21 marzo, quando, secondo Cossiga, la prigione di Moro era stata individuata ed erano stati allertati gli incursori della Marina (Comsubin), per un blitz:«Si trattava di un allerta generico». Sul 18 aprile, giorno della scoperta del covo di Via Gradoli e del finto allarme del lago della Duchessa, Mazzola dice di essere convinto che si sia trattato di stratagemmi dei brigatisti, per concentrare in due punti l'attenzione delle forze dell'ordine, riuscendo così a trasferire Moro in una prigione più sicura. «Sono sempre stato convinto che Moro non possa essere stato prigioniero solo a Via Montalcini; sul corpo di Moro c'erano pollini e tracce di terreno che si trovano solo al mare». «Anche se credessimo - aggiunge - alla storia raccontata dai br di tracce create ad arte, restano i filamenti multicolore trovati sotto le scarpe di Moro e soprattutto le condizioni di tonicità muscolare del corpo, non compatibili con la permanenza per 55 giorni in una stanza di un metro per due». Mazzola nel romanzo dà credito alla presunta visita di Don Antonello Mennini a Moro. «Lo ammette anche Cossiga e io sono convinto che abbia ragione; Mennini lo ha smentito davanti ai giudici, ma i sacerdoti devono rispettare il segreto della confessione». Sminuito invece il presunto ruolo della loggia P2:«quando ho saputo che i vertici dei servizi Santovito e Grassini erano piduisti e dunque avrebbero dovuto collaborare ad un disegno comune, sono rimasto molto perplesso. Quello che mi teneva impegnato mattino e sera, negli anni di lavoro come sottosegretario ai servizi, era soprattutto sedare i litigi tra Santovito e Grassini per i motivi più vari, e anche Pelosi (a capo del Cesis) anch'egli piduista, litigava un giorno con l'uno un giorno con l'altro». «Quando - dice ancora Mazzola - alcuni agenti del Sismi, legati alla P2, furono condannati per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna, io dissi in tribunale che per me non lo avevano fatto per fedeltà ad una missione affidata dalla P2, ma per basse questioni di denaro».
08/03/2008 ANSA

MORO: MASTELLONI, BR DI MORETTI NON L'AVREBBERO MAI LIBERATO

  VENEZIA, 8 MAR - Le Brigate Rosse guidate da Mario Moretti non avrebbero mai liberato Aldo Moro. Ne è convinto il giudice veneziano Carlo Mastelloni, che negli anni '80 istruì l'inchiesta su esponenti del centro parigino 'Hyperion' e su un traffico d'armi tra Brigate Rosse e palestinesi. Secondo Mastelloni, che nel corso della sua attività di giudice istruttore sulla colonna veneta ha avuto occasione di interrogare esponenti di rilievo delle Br, «la trattativa serviva solo per creare contraddizioni all'interno del partito di maggioranza. Anche quella con la famiglia aveva lo stesso scopo. Insomma, i terroristi cercavano di creare una catena di contraddizioni». Richiamando altri sequestri operati dalle Br in quegli anni, Mastelloni evidenzia che «Moro non era nè Sossi nè D'Urso. Aveva una valenza eccezionale». Il magistrato si dice comunque convinto che «il partito di maggioranza, se le trattative non fossero state rese pubbliche dalle stesse Br con il comunicato n.5 del 10 aprile 1978, avrebbe fatto di tutto per liberarlo, come si era sempre mosso nel nome della stabilità del Paese». Ma dalla vicenda Moro l'organizzazione terroristica ha tratto vantaggi 'politicì? «Paradossalmente - dice il giudice - il riconoscimento politico che cercavano e non hanno avuto allora in nome della fermezza, l'hanno avuto negli ultimi 20 anni. Liberando Moro poi non avrebbero guadagnato niente. Avevano una concezione elitaria della lotta armata che emarginava tutto il movimento e gran parte degli altri gruppi armati. È comunque un dato certo che subito dopo l'assassinio di Moro ci fu un lieve incremento nelle fila brigatiste e una recrudescenza delle azioni, che poi li ha portati alla sconfitta con le legge cosiddetta dei pentiti».
06/03/2008 ANSA

MORO/30: 25 ANNI MORTE MARKEVITCH, ERA GRANDE VECCHIO? ANCORA APERTI DUBBI SU UN EVENTUALE RUOLO DEL MUSICISTA UCRAINO

  ROMA, 6 MAR - (di Stefano Fratini) Il 7 marzo 1983 (25 anni fa) l'ANSA dava questa breve notizia:«Igor Markevitch, compositore e direttore d'orchestra, è morto oggi a Antibes all'età di 71 anni in seguito a un attacco cardiaco. Markevitch, che ha composto numerose cantate tra cui »Lorenzo il magnifico« e musica per balletto (Rebus, Icaro ecc.) era rientrato affaticato la settimana scorsa da una tourn‚e in Giappone, Urss e Spagna. Di origine russa, Markevitch aveva composto la sua prima opera nel 1929 per Diaghilev, 'Un concerto per piano' che aveva suonato al Covent Garden di Londra. Da allora si era dedicato interamente alla musica, sia come compositore che come direttore d'orchestra, lavorando molto anche in Italia (al Maggio fiorentino del 1944 al 1946 e all'Accademia Santa Cecilia a Roma dal 1973). Sposato in prime nozze con Kira Nijinski, figlia del grande ballerino russo, Markevitch si era risposato nel 1964 con l' italiana Topazia Caetani«. A queste poche righe si può aggiungere che Markevitch era stato, durante la guerra, in contatto con la Resistenza, che aveva contribuito alla trattativa con i tedeschi per salvare Firenze dalla distruzione e che era cognato dell'inglese Hubert Howard (che aveva sposato una cugina di Topazia). Howard era l'ufficiale dell'intelligence inglese che per primo entrò a Firenze liberata dall'occupazione nazista e che affidò a Markevitch l'incarico di occuparsi dei programmi musicali della radio Firenze libera. Nessuno però, allora, avrebbe potuto collegare questa notizia al 'caso Moro', avvenuto cinque anni prima. Dovranno passare ancora 16 anni prima che, il 29 maggio 1999, l'ANSA dia un'altra notizia:»Igor Markevitch, pianista di fama internazionale, sposato con Topazia Caetani, potrebbe essere l'«anfitrione delle Br, cioè l'uomo che ospitò a Firenze nei 55 giorni del rapimento Moro il Comitato esecutivo dei terroristi. Su questa ipotesi è aperta un'inchiesta da parte della procura di Brescia e condotta dal reparto eversione Ros. L'ipotesi è stata indirettamente confermata dal presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle Stragi Giovanni Pellegrino». E nelle carte di Brescia compare anche un certo Jordan Vesselinov, un bulgaro che potrebbe aver avuto un ruolo centrale nel finanziamento dei gruppi estremisti di destra, massone coperto, e consuocero di Igor Markevitch. Colpo di scena! Da tempo si parlava di un cosiddetto «anfitrionè che avrebbe ospitato a Firenze le riunioni della direzione Br. Vi aveva accennato Valerio Morucci (giugno 1997) in un'audizione in Commissione stragi. Il giudice Priore aveva definito »conte rosso« questo personaggio. Il presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino, commenta che »Se la moglie di Markevitch, Topazia Caetani, è una duchessa, il falso comunicato n.7 delle Br diventa un messaggio di cui si comincia a decrittare il codice«. Per Oleg Caetani, anche lui musicista e figlio di Markevitch e di Topazia Caetani, morta nel 1991, è »un'altra di quelle raffinate bufale di qualche brigatista rosso«. Anche se c'è lo strano particolare che Markevitch era sposato con una Caetani, una famiglia che possiede palazzi nella via omonima, proprio nella quale fu lasciato il cadavere di Moro, le reazioni sono di incredulità. Cossiga e Andreotti, per una volta d'accordo, dicono di non aver mai sentito quel nome. Tra i Br, l'unico a parlare è Lauro Azzolini:»Sono illazioni di anziani che devono giustificare il loro ruolo e lo stipendio«. L'avv. Pino De Gori, legale della Dc nei vari processi Moro, commenta che l' ipotetico »conte rosso« di cui gli avrebbe parlato Edoardo Di Giovanni, legale storico delle Br, non sarebbe Markevitch. Si scoprirà però che il nome del musicista era già entrato nell'inchiesta sul rapimento e l' uccisione di Aldo Moro. In un rapporto del 1980, che è agli atti della commissione Moro, il Sismi scriveva:»Il 14 ottobre 1978 fonte del servizio segnalava che un certo Igor, della famiglia dei duchi Caetani, avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell' organizzazione delle Br, che, in particolare, avrebbe condotto tutti gli interrogatori di Moro, della cui esecuzione sarebbero stati autori materiali certi 'Anna' e 'Franco'«. La persona veniva identificata proprio come Igor Markevitch. Il Sismi annotava però che »da accertamenti svolti, anche con l' intervento dei servizi collegati, non emergevano, peraltro, elementi di conferma della notizia«. Nel libro »Segreto di Stato«, Pellegrino scrive che Markevitch è »un personaggio interessantissimo, intrinsecamente doppio. Un uomo con cui i servizi degli opposti schieramenti avrebbero potuto benissimo entrare in contatto per utilizzarne il passato resistenziale come bigliettino da visita da mostrare nelle Br. E d'altra parte, è un intellettuale raffinatissimo e abbastanza snob da apparire 'misterioso' ai brigatisti«. Il musicista ucraino (e non russo, è nato infatti a Kiev nel 1912) diventa anche il protagonista di un libro di Giovanni Fasanella, »Il misterioso intermediario«, titolo che cita una frase usata dalle stesse Brigate rosse, che durante il rapimento, nel comunicato numero 4, denunciano »i tentativi del regime di far credere nostro ciò che invece cerca di imporre: trattative segrete, misteriosi intermediari«. Recentemente, lo storico russo Ilia Levin ha ironicamente definito 'esotica' l'ipotesi di Markevitch 'Grande Vecchio'. Ma, in un'intervista del novembre 2007, l'ex presidente Cossiga ha detto:»Igor Markevitch, il musicista, ospitò probabilmente nella sua casa di Firenze la riunione in cui fu decisa la morte di Moro. La casa di sua moglie in via Caetani rappresentò per i brigatisti solo un punto di riferimento, un luogo conosciuto dove lasciare la Renault rossa, tra Botteghe Oscure e piazza del Gesù«
06/03/2008 ADNKronos

CASO MORO: PELLEGRINO E PRIORE, CADA IL SEGRETO SUI CENTO FALDONI

  Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Dentro il centinaio di faldoni sul caso Moro, coperti dal segreto di Stato e custoditi in un armadio blindato degli archivi della commissione parlamentare sulle stragi «c'è un tesoro: un tesoro che non abbiamo mai potuto utilizzare perchè coperto dal segreto. Ma oggi, a trent'anni di distanza dall'assassinio di Aldo Moro, il segreto su quelle carte deve cadere». È quanto chiede l'ex presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino, in un'intervista a 'Panoramà pubblicata sul numero domani in edicola. Il settimanale ricorda che «quel materiale fu inviato a Pellegrino, nell'agosto 1998, dall'allora ministro dell'Interno Giorgio Napolitano, con una lettera in cui il responsabile del Viminale parlava di 'documenti non potati a conoscenza dell'autorità giudiziaria, di elevata classifica, perciò da considerarsi di vietata divulgazionè. Si tratta di fascicoli provenienti dal Sisde, dal Sismi e da sedi diplomatiche all'estero: appunti, relazioni, brogliacci di telefonate e trasmissioni radio intercettate, confidenze di 'gole profondè e informative di altri servizi segreti stranieri». Commenta sempre a 'Panoramà il giudice Rosario Priore, che diresse le prime inchieste sul caso Moro: «Vengo a conoscenza solo ora dell'esistenza di quel materiale. A una prima occhiata, sulla base dei 'titolì, quei documenti mi sembrano molto interessanti. Ne traggo un'ulteriore conferma che il caso Moro sia ancora aperto, dal punto di vista storico. Spero che il segreto venga tolto al più preso e che quel materiale venga messo a disposizione degli studiosi, dei giornalisti e dell'opinione pubblica»
06/03/2008 ANSA

MORO: PELLEGRINO, VIA IL SEGRETO SUI 'CENTO FALDONÌ

  ROMA, 6 MAR - A trenta anni di distanza dall' assassinio di Aldo Moro deve cadere il segreto sulle carte 'top secret' contenute in più di cento faldoni custoditi in un archivio blindato della commissione Stragi. Lo afferma Giovanni Pellegrino, ex presidente della commissione Stragi. «C'è un tesoro lì dentro - ha detto Pellegrino al settimanale 'Panoramà - un tesoro che non abbiamo mai potuto utilizzare perchè coperto dal segreto». Al caso dei cento faldoni il settimanale dedica un articolo del numero in edicola da domani. Il materiale fu inviato nell' agosto 1998 a Pellegrino dall' allora ministro dell' Interno Giorgio Napolitano con una lettera in cui il responsabile del Viminale parlava di documenti «non portati a conoscenza dell' autorità giudiziaria», di «atti di elevata classifica» e perciò da «considerarsi di vietata divulgazione. Si tratta di fascicoli provenienti dal Sismi, dal Sisde e da sedi diplomatiche italiane all' estero con carte riferite anche a confidenze di 'gole profondè e informative di altri servizi segreti in parte del periodo immediatamente precedente il sequestro del Presidente della Dc.
06/03/2008 ANSA

MORO/30: MARKEVITCH E LE IPOTESI SUL 'GRANDE VECCHIO'/ ANSA NE PARLANO CRAXI, DALLA CHIESA, SCALFARO E MOLTI ALTRI

  ROMA, 6 MAR - L'ipotesi che dietro le principali campagne del terrorismo, e quindi anche dietro il rapimento Moro, ci fosse una «mente» che dirigeva le operazioni è sempre esistita. Un' ipotesi simile era nel 1979 alla base del cosiddetto «teorema Calogero», l' inchiesta del giudice padovano sull' Automonia operaia, che portò all'incriminazione di Toni Negri. Nell' aprile del 1980, il giornalista della «Repubblica» Guido Passalacqua scriveva:«C'è qualcuno più in alto, una, due, tre persone che decide le campagne del terrorismo. Qualcuno che conta molto di più della direzione strategica delle Br». Secondo Passalacqua, che verrà gambizzato meno di un mese dopo,«l' unico collegamento con gli operativi era costituito da Mario Moretti». Nello stesso mese la rivista dell'Autonomia Operaia, «Metropoli», in un articolo ambiguo dal titolo «L'Oroscopone», mette in bocca ad una sedicente cartomante, la Maga Ester, una lettura dei tarocchi dalla quale esce tra l'altro che il 'Grande Capò delle Br era un russo, un 'Gran Signorè, che apparteneva alle 'carte vecchiè e che alla fine si rivelò il 'Gran Nemicò della organizzazione terroristica. Un accenno a Markevitch ? L'ipotesi di una mente che manovra il terrorismo viene rilanciata pochi giorni dopo da Bettino Craxi che dice:«quando si parla del 'grande vecchiò bisognerebbe riandare indietro con la memoria, pensare a quei personaggi che avevano cominciato a far politica con noi... e che poi, improvvisamente sono scomparsi». Molti vedono nel personaggio descritto da Craxi il ritratto di Corrado Simioni, ex militante socialista e poi fondatore a Parigi della discussa scuola di lingue «Hyperion», considerata un punto di collegamento tra gruppi del terrorismo internazionale e legata a servizi segreti. Simioni, con Duccio Berio e Vanni Mulinaris era stato il fondatore del Superclan, una struttura con il mito della segretezza, staccatasi dal nucleo originario delle Br. Di esso avevano fatto parte Moretti e Gallinari, due dei principali protagonisti del caso Moro. Craxi smentirà di aver voluto riferirsi ad una persona e dirà che con l' espressione intendeva accennare a una qualche «centrale estera del terrorismo». Sull' onda delle dichiarazioni di Craxi, il settimanale «L' Europeo» scrive che l' espressione «The big old man» era stata coniata un paio di anni prima dall' 'espertò americano Steve Pieczenik che aveva detto a Cossiga che il terrorismo era autoctono, ma che bisognava cercare l' anello di congiunzione tra il mondo terrorista e l' esterno, «il capo occulto, onnipotente ed italiano delle Br». In un' intervista televisiva del 1981, anche il gen. Dalla Chiesa aveva detto, rispondendo ad una domanda sul 'grande vecchiò, «potrebbe anche esistere, però io con le conoscenze che ho acquisito non sono in condizione di farmene oggi un' immagine». Nel 1991, Flaminio Piccoli parla di un «vip del culturame» che sarebbe stato presente agli interrogatori di Moro. Lo stesso giorno l' ex senatore Sergio Flamigni dice che l' esistenza del quarto uomo gli fu confermata dal brigatista Lauro Azzolini che disse:«Si tratta di un uomo di cultura che ha vissuto la vicenda con grande travaglio. Lui è riuscito a restarne fuori ed è per questo che io non ne farò mai il nome anche se lo conosco». Nel maggio 1998, l'allora presidente Scalfaro si chiede:«Ma le intelligenze criminose che scelsero, mirarono e centrarono il bersaglio, in quel momento politico essenziale, sono comprese in quei processi?», parole in cui non è difficile leggere un accenno all'esistenza di qualche «mente» che manovrava i manovali del terrorismo. Il 29 maggio 1999, infine, tra le ombre del caso Moro emerge il nome del musicista Igor Markevitch, nato in Ucraina, diventato cittadino italiano nel 1948 e morto ad Antibes il 7 marzo 1983, all' età di 71 anni. Secondo un' ipotesi sarebbe stato lui l«'anfitrione» delle riunioni fiorentine del comitato esecutivo delle Br. Nel 2000 poi, il presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino, dice che il 'grande vecchiò non era per forza una sola persona ma tante che «ruotarono» in una area di contiguità delle Br. Non si può fare a meno di ricordare, infine, il settimanale satirico «Il Male», specializzato tra l'altro nella produzione di false prime pagine di giornali, che nel 1979 pubblicò una volta una falsa copia di quotidiano con un grande titolo che annunciava che era Ugo Tognazzi il capo delle Brigate rosse. Era stato lo stesso attore a prestarsi a partecipare al falso 'scoop', accettando di essere fotografato ammanettato da finti poliziotti.
06/03/2008 ANSA

MORO: LA RENAULT 4 DI VIA CAETANI IN LIBRO GIORNALISTA

  ANCONA, 6 MAR - Il corpo di Aldo Moro, rapito 54 giorni prima in via Fani, fu ritrovato il 9 maggio 1978 nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Ma per lo Stato quell'automobile è diventata tutt'altro che una reliquia da conservare: per trenta anni è stata dimenticata, finchè cronisti l'hanno trovata, proprietà di un piccolo imprenditore marchigiano, alla periferia di Roma. Alla storia di quella vettura è dedicato il libro «La bara di Moro ritrovata trent'anni dopo», del giornalista Giorgio Gudelli (Quattroventi edizioni di Urbino). L'immagine della salma del presidente Dc ucciso dalla Br, raggomitolata dentro l'auto, è diventata il simbolo degli anni di piombo. Il volume è il racconto appassionato d'uno scavo negli strati della storia, di cui sono protagonisti un giornalista, un fotoreporter e quella macchina di Macerata ritrovata. A corredo una serie di importanti testimonianze e appelli, in particolare di uomini di Stato, politici ed ex terroristi che chiedono di esporre la Renault 4 rossa in via Caetani a memoria della tragedia.
05/03/2008 ADNKronos

RAI RADIODUE: A «28 MINUTI» CORRADO GUERZONI RACCONTA ALDO MORO

  Roma, 5 mar. - (Adnkronos) - Corrado Guerzoni, domani, alle ore 13.00 su Rai Radio2, ricorderà al microfono del programma di Barbara Palombelli «28 Minuti» la figura di Aldo Moro. In particolare, con Guerzoni, che è stato il portavoce dell'onorevole Moro, si ripercorrerà l'intero iter del suo rapimento e della sua tragica fine, provando a dare alcune risposte agli interrogativi ancora aperti su una vicenda che ha segnato profondamente la storia del nostro paese. Corrado Guerzoni presenterà, inoltre, il nuovo ciclo di Alle otto della sera, da lui realizzato e dedicato proprio alla vicenda Moro, che comincerà lunedì 25 marzo alle ore 20.00 su Rai Radio2.
04/03/2008 ANSA

MORO: SAN PAOLO JESI RICORDA APPUNTATO DOMENICO RICCI

  (ANSA) - JESI (ANCONA), 4 MAR - San Paolo di Jesi, la cittadina natale dell'appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci, ricorderà domenica 16 marzo i trent'anni dalla strage di via Fani, quando, nel 1978, le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e trucidarono gli uomini della scorta, fra cui Ricci. Su iniziativa del Comune davanti alla tomba dell'appuntato verrà deposta una corona, e il sindaco Sandro Cesaroni terrà un breve discorso. Subito dopo verrà celebrata una Messa.
03/03/2008 ANSA

MORO: PISANU, ERRORE NON CONSIDERARE VERE LE SUE LETTERE

  (ANSA) - ROMA, 3 MAR - «È troppo facile parlare oggi con il senno di poi, lontani dai tormenti di quei giorni. Potrebbe sembrare un voler prendere le distanze da responsabilità che invece si sono consapevolmente condivise.» Così Beppe Pisanu senatore di FI, ex ministro dell'interno parla ai microfoni di Radio Città Futura nella puntata di Linea 9, dedicata all'anniversario del sequestro di Aldo Moro. «Penso che allora - dice - noi commettemmo innanzitutto l'errore di non considerare le lettere di Moro come frutto della sua libera volontà e della sua intelligenza. Poi non abbiamo valutato appieno il tema che egli poneva del valore della vita umana e di una vita preziosa come era la sua per lo stato. Moro, in fondo, era prigioniero delle Br per avere servito lo Stato e le istituzioni con una generosità e una competenza impareggiabili. Queste cose emergono ora chiaramente. Allora no. Allora noi eravamo preoccupati non dalla difesa di una astratta ragion di Stato, ma dalla difesa dello Stato dal rischio della digregazione».
01/03/2008 ANSA

MORO/30: TUTTI ONLINE GLI ARCHIVI DEL PARLAMENTO/ ANSA INIZIATIVA ARCHIVIO STORICO SENATO - SI LAVORA SU 180MILA PAGINE

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - A partire dal 16 marzo il Senato della Repubblica metterà in rete sul suo sito una vera e propria miniera di documenti sul caso Moro. Oltre 187.000 pagine di documenti, rapporti,verbali di interrogatorio, atti parlamentari, relazioni ecc. frutto del lavoro della Commissione Stragi e ancor prima della Commissione parlamentare d'inchiesta istituita per far luce sul rapimento e la morte del leader della Dc, Aldo Moro. Un patrimonio archivistico immenso atteso come una manna - dalla rete - da studiosi, storici, giornalisti e semplici cittadini che potranno farsi direttamente un'idea dell'omicidio politico più controverso della storia della repubblica. Gran parte dei documenti provengono dall'Archivio storico del Senato - diretto dalla Dottoressa Emilia Campochiaro - e che conserva gli archivi delle Commissioni parlamentari d'inchiesta monocamerali e bicamerali che chiudono i lavori con la Presidenza Senato. Si tratta di un ponderoso patrimonio documentale che sarà progressivamente inventariato, digitalizzato e reso disponibile in rete. Ecco un quadro di quello che presto sarà disponibile online: - ARCHIVIO COMMISSIONE STRAGI Nell'ambito di questo complesso e ampio progetto è stata prodotta la banca dati Commissioni parlamentari d'inchiesta on line, dove sono per il momento disponibili l'inventario e i documenti digitalizzati del filone d'inchiesta «Caso Moro», uno dei 29 filoni individuati dalla ex Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e le stragi, che nella riunione conclusiva dei lavori ha disposto la pubblicazione dell'archivio esclusivamente in formato digitale. La documentazione originale del filone «Caso Moro» è conservata in 112 faldoni e una volta completata la digitalizzazione, darà luogo alla creazione di 7.731 file corrispondenti a pp. 62.117. La priorità data al filone «Caso Moro» è stata determinata dalla volontà del Senato e dell'Archivio di dare un contributo alle iniziative in memoria dello Statista nel trentesimo anniversario della scomparsa. Per la prima volta l'Archivio di una Commissione d'inchiesta è stato riordinato e schedato documento per documento secondo criteri archivistici, con un sw relazionale, che consente di: - pubblicare l'archivio in Internet nella forma di inventario con il link di ciascuna voce al documento digitalizzato; - effettuare ricerche su uno o più Commissioni - produrre elenchi di nomi, luoghi, enti produttori. - ATTI PARLAMENTARI Sono stati digitalizzati e saranno disponibili in rete gli Atti già pubblicati a stampa nella serie Atti parlamentari dalla ex Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro (130 volumi, 132 file, pp. 104.236) e dalla ex Commissione parlamentare inchiesta «terrorismo e stragi» (26 volumi, 43 file, pp. 20.736). L'indice di ciascun volume è consultabile ed è collegato con le rispettive pagine a stampa digitalizzate. - REPERTORIO COMMISSIONI INCHIESTA (1948-2006) È stato anche elaborato uno strumento di ausilio per la ricerca che ricostruisce la storia delle Commissioni d'inchiesta dalla I alla XIV legislatura. Si tratta del Repertorio delle commissioni d'inchiesta (1948-2006), che sarà consultabile entro il 16 marzo 2008 sia sul sito dell'Archivio storico del Senato sia eventualmente sul sito Parlamento.
01/03/2008 ANSA

MORO/30: NUOVA EDIZIONE DELLE LETTERE CON MOLTE NOVITÀ

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - Le lettere di Aldo Moro dalla «prigione Br» senza manipolazioni o censure, e soprattutto con diverse novità. La principale è che durante i 55 giorni furono almeno 36 - e non 28 come si riteneva finora - le missive che uscirono dalla prigione e vennero consegnate ai destinatari. Questo promette il libro « Aldo Moro. Lettere dalla prigionia», curato da Miguel Gotor ricercatore di Storia Moderna all'Università di Torino, in uscita dal 4 di marzo da Einaudi. «Anzitutto - spiega Gotor all'Ansa - ci sono delle missive tagliate e fatte oggetto di una manipolazione censoria che le ha rese di difficile comprensione; inoltre, credo di essere riuscito a ricostruire il laborioso meccanismo di composizione di molte missive, il rapporto cioè che intercorreva tra la scrittura di Moro, la dattiloscrittura dei brigatisti e l'ultima stesura da parte del prigioniero dopo che il dattiloscritto aveva passato il vaglio del comitato esecutivo». Il Professore ha dato «molta importanza alla raffinata strategia di recapito adottata dai brigatisti che fu parte integrante della loro azione terroristica a livello propagandistico ed è stata spesso sottovalutata nella sua portata destabilizzante.» - Perchè fare questo lavoro, quale spinta l'ha motivato? «Il motivo principale è stato l'intento di restituire a Moro le sue parole più vere attraverso una nuova trascrizione di questi testi effettuata, quando è stato possibile, sugli atti originali. Tale rilettura ha consentito di correggere varie interpretazioni erronee presenti nelle precedenti edizioni che si basavano sulla trascrizione effettuata dalla Commissione Moro e dalla Commissione stragi. Non meno importante è stato il desiderio di fissare una cronologia delle missive scegliendo di valorizzare il tempo di composizione di Moro per dare conto del fluire del suo pensiero e finalmente consentirne una lettura il più possibile lineare, aggirando così l'interdizione voluta dalle Brigate rosse durante quei 55 giorni. Infine, ho voluto ancorare questi documenti - i singoli testi - alla vicenda storica complessiva del sequestro utilizzando il massimo rigore critico possibile». - Qual è la lettera più importante e perchè? «Non è facile scegliere. Forse, sul piano interpretativo le lettere più importanti sono quelle spedite a Francesco Cossiga e a Nicola Rana in occasione del primo recapito del 29 marzo 1978. Nella missiva a Rana Moro chiedeva che ogni eventuale negoziato avvenisse segretamente e definiva le modalità per instaurare un canale di ritorno tra l'esterno e l'interno della prigione presso la portineria del suo collaboratore. Nella missiva a Cossiga chiariva che egli si trovava sotto »un dominio pieno ed incontrallato« e poteva essere indotto a parlare rivelando informazioni sensibili per la sicurezza dello Stato. Le Brigate rosse non rispettarono quanto pattuito con Moro e divulgarono la lettera a Cossiga, ma al contempo tutelarono la segretezza della lettera a Rana, implicitamente dimostrando la loro volontà di mantenere aperto quel canale di ritorno e di stabilire così un doppio livello di comunicazione pubblico/riservato. Un'altra lettera significativa è quella alla DC. Di essa abbiamo ben tre differenti versioni. L'analisi e il confronto delle diverse versioni e delle modalità della loro trasmissione nel corso del tempo mi ha consentito di entrare nella 'officinà brigatista, nel discorso censorio attuato e nel complesso campo di relazioni instaurato tra i carcerieri e Moro». - Qual è il periodo ancora più oscuro o meno decifrabile? «Sempre assumendo come punto di partenza e di analisi queste lettere, esistono almeno due momenti di particolare interesse: intorno al 19 aprile si ha una sorta di esplosione narrativa da parte di Moro che lo porta a scrivere, fino al 27 aprile, circa 47 missive, ossia la metà dell'intero epistolario conosciuto. Tra il 19 e il 23 aprile Moro redige ben 23 lettere e in alcune di esse si avverte un cambio di tono e di equilibrio psicologico del prigioniero che colpisce l'attenzione del lettore. L'altro momento, nei primi giorni di maggio, concerne l'ultima lettera a Zaccagnini in cui Moro parla di sè come uomo prossimo alla libertà, deciso a iscriversi al gruppo misto per la durata della legislatura. Questa missiva va incrociata con le corrispondenti pagine del »Memoriale« in cui il prigioniero è sicuro di essere di lì a poco restituito ai suoi affetti e alla vita politica».
01/03/2008 ANSA

MORO: 30 ANNI DOPO, I SERVIZI DELL'ANSA PER LA RICORRENZA

  (ANSA) - ROMA, 1 MARZO - L'ANSA inizia oggi la trasmissione di una serie di servizi - rievocazioni, approfondimenti, interviste, foto, schede e documenti- sul rapimento e l'uccisione del presidente della Dc Aldo Moro e sulla strage di via Fani dove, il 16 marzo 1978, vennero uccisi gli uomini della sua scorta. L'intera produzione è stata coordinata da Paolo Cucchiarelli, che è pure l'autore di numerosi servizi, con la collaborazione di Redazioni dell'Agenzia, di Sedi regionali e di Uffici esteri. Oggi, verranno diffusi, entro le 18.00, i seguenti servizi tutti contraddistinti dalla chiave 'MORO/30: ...': - i 55 giorni pi— lunghi della Repubblica, dal 16 marzo al 9 maggio 1978; - la lunga marcia verso la verit…; - ancora dubbi, quanti erano in via Fani e chi spar•? - quel giorno le Br sapevano di incontro con Zaccagnini?; - tutti online gli archici del Parlamento; - il ricordo del primo fotografo in via Fani; - Galloni-Andreotti e i timori del presidente Dc; - storico russo, P2 resta pista pi— convincente; - gi… lungo in libreria lo scaffale per la ricorrenza; - nuova edizione delle Lettere con molte novit…; - fiction con Placido, speciali tv e radio. I successivi servizi saranno annunciati, volta a volta, anticipatamente. Ogni giorno, poi, a partire dal 15 di marzo sarà messa in rete una scheda che ricostruir… gli avvenimenti che accaddero - l'indomani - esattamente 30 anni or sono. Nel suo insieme, l'informazione dell'Agenzia, a trent'anni da quei fatti traumatici e drammatici, offrirà elementi di documentazione e di riflessione e fornir… contributi, talora poco noti, alla comprensione e alla conoscenza di un momento cruciale nella storia dell'Italia e su cui molte valutazioni politiche e giudiziarie, al di l… dell'unanime deprecazione, restano controverse. Da ciò la scelta di avere voci e contributi diversi e di offrire materia di approfondimento. Il tutto sarà corredato da una vasta scelta di materiale fotografico in parte poco conosciuto.
01/03/2008 ANSA

MORO/30: I 55 GIORNI PIÙ LUNGHI DELLA REPUBBLICA/ ANSA LETTERE, COMUNICATI VERI E FALSI, IL COVO DI VIA GRADOLI

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - Cronologia dei fatti principali dei 55 giorni del rapimento Moro: - 16 marzo: poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo avere bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta (due carabinieri e tre poliziotti) e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l'azione con una telefonata all'ANSA. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato. - 18 marzo: arriva il 'Comunicato n.1' delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l'inizio del 'processò. Funerali degli uomini della scorta. - 19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. - 20 marzo: al processo di Torino, il 'nucleo storicò delle Br rivendica la responsabilità politica del rapimento. - 21 marzo: il governo approva il decreto antiterrorismo. - 23 marzo: il Pci approva la linea della fermezza. - 25 marzo: le Br fanno trovare il 'Comunicato n.2'. - 29 marzo: arriva il 'Comunicato n.3' con la lettera al ministro dell'Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi «sotto un dominio pieno e incontrollato» e accenna alla possibilità di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono che «nulla deve essere nascosto al popolo». Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana. - 30 marzo - La direzione Dc approva la linea della fermezza. - 2 aprile: A Zappolino (Bologna) si svolgerebbe la seduta spiritica dalla quale esce l'indicazione 'Gradolì. - 4 aprile: Arriva il 'Comunicato n.4', con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini. «Moralmente - scrive Moro - sei tu ad essere al mio posto». - 6 aprile: Le Br consegnano alla moglie di Moro una lettera in cui il presidente DC la invita a fare pressioni contro la linea della fermezza. Le forze dell'ordine controllano l'intero paesino di Gradoli, nella zona di Bolsena. - 7 aprile: Il Giorno pubblica una lettera di Eleonora Moro al marito. La famiglia tiene un linea autonoma, rispetto alla «fermezza» del governo. - 10 aprile: Le Br recapitano il 'Comunicato n.5' e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche. - 15 aprile: Il 'Comunicato n.6' annuncia la fine del 'processo popolarè e la condanna a morte di Aldo Moro. - 17 aprile: Appello del segretario dell'Onu Waldheim. - 18 aprile: Grazie a un' infiltrazione d'acqua, è scoperto il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono però assenti. A Roma viene trovato un sedicente 'comunicato n.7' che annuncia l'esecuzione di Moro il cui corpo sarebbe nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, è per• oggetto di verifiche. Per giorni il corpo di Moro sarà cercato, con grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L'Aquila, ghiacciato da mesi. - 20 aprile: Moro è vivo. Le Br lasciano il vero 'Comunicato n.7' insieme a una foto di Moro con un giornale del 19 aprile. Zaccagnini riceve un'altra lettera di Moro. - 21 aprile: la direzione Psi è favorevole alla trattativa. - 22 aprile: messaggio di Paolo VI agli «Uomini delle Brigate rosse» perchè liberino Moro «senza condizioni». - 24 aprile: il 'Comunicato n.8' delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un'altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici. - 29 aprile: È il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell'Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora. Moro scrive che lo scambio è la sola via di uscita. - 30 aprile: Un brigatista (sembra Moretti) telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, «immediato e chiarificatore» può salvare la vita del presidente Dc. - 2 maggio: Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute. - 5 maggio: Andreotti ripete il no alle trattative. Il 'Comunicato n. 9' annuncia: «Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza». Lettera di Moro alla moglie: «Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l'ordine di esecuzione». - 9 maggio: Verso le 13,30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come «prigione del popolo».
01/03/2008 ANSA

MORO/30: LA LUNGA MARCIA VERSO LA VERITÀ/ ANSA LA VERITÀ GIUDIZIARIA SEMBRA RAGGIUNTA, MA I DUBBI RESTANO

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - La storia del caso Moro è fatta anche di una lunga serie di scoperte e rivelazioni (alcune vere o probabili, altre meno) avvenute dopo la tragica conclusione della vicenda. Ecco alcune delle principali: - 19 mag 1978: a Roma, in via Foà, scoperta una tipografia, di Enrico Triaca, usata dalle Br durante il sequestro. Alcune apparecchiature erano appartenute ai servizi segreti. - 1 ott 1978: irruzione dei carabinieri di Dalla Chiesa nel covo di via Monte Nevoso, a Milano. Arrestati 9 terroristi, tra cui Azzolini e Bonisoli. Trovato il memoriale Moro. - 27 ott 1978: resa pubblica la telefonata di un br alla moglie di Moro, attribuita prima a Toni Negri e poi a Moretti. - febbraio 1979: 'L'Espressò pubblica rivelazioni provenienti da Ernesto Viglione, giornalista di Radio Montecarlo. Secondo un sedicente brigatista, le Br e il caso Moro sarebbero state molto diversi dalla versione ufficiale. Poi il caso sembra sgonfiarsi in un tentativo di truffa, ma in appello Viglione è assolto. - 17 mar 1979: Raffaele Fiore è arrestato a Torino. - 20 mar 1979: ucciso a Roma Mino Pecorelli. Su Op aveva fatto diversi 'scoop' e rivelazioni sul caso Moro e ne aveva promessi altri. Sembra fosse in attesa di altre carte. - marzo 1979: 'Metropolì, rivista dell' Autonomia, pubblica un fumetto che ricostruisce il rapimento e il processo. Un anno dopo, ad aprile, 'Metropolì tornerà sulla vicenda con l'ambiguo «Oroscopone» della maga Ester, che allude ad un russo nel ruolo del 'grande vecchiò. - 30 mag 1979: arrestati a Roma Valerio Morucci e Adriana Faranda, usciti dalle Br dopo il caso Moro. Erano a casa della figlia di Giorgio Conforto, che sarà nel 'dossier Mitrokhin'. Nel 1984 raccontano la loro versione dei fatti in un memoriale. - 24 set 1979: ferito alla testa e arrestato a Roma Gallinari, a lungo ritenuto l' esecutore materiale dell' uccisione di Moro. - 2 feb 1980: resa nota l' esistenza dei piani Victor, in caso di rilascio di Moro vivo e Mike, in caso di sua morte. Scalpore anche se ne aveva già parlato un libro nel 1979. - marzo 1980: il primo grande pentito delle Br, Patrizio Peci, comincia a parlare. A febbraio 1982, lo fa anche Savasta. - 19 mag 1980: arrestato Bruno Seghetti. - 27 mag 1980: arrestata Anna Laura Braghetti. - 4 apr 1981: arrestato a Milano Mario Moretti. - 10 giu 1981: la commissione Moro si occupa della seduta spiritica del 2 aprile 1978 a Bologna, presente anche Romano Prodi, durante la quale è emerso il nome 'Gradolì. - 1 feb 1982: il ministro dell'Interno Rognoni annuncia la scoperta della prigione del popolo, un appartamento della Braghetti, in via Montalcini. - 3 set 1982: ucciso a Palermo il gen. Dalla Chiesa. - 24 mar 1984: rapina miliardaria alla Brink's Securmark. Gli autori, tra cui Toni Chichiarelli, lasciano materiale con chiare allusioni al caso Moro. - 28 set 1984: ucciso a Roma Toni Chichiarelli. - gennaio 1985: individuati in Rita Algranati e Alessio Casimirri due dei tre latitanti coinvolti, di cui Morucci non ha fatto i nomi. Il terzo sarà ritenuto Alvaro Loiacono. - 19 giu 1985: ad Ostia, è arrestata Barbara Balzerani. - 5 mar 1988 - Andreotti afferma che il Vaticano era pronto a pagare un fortissimo riscatto per la liberazione di Moro e che era riuscito a stabilire un contatto con qualcuno dei rapitori. - 8 giu 1988: in Svizzera è arrestato Loiacono, diventato cittadino elvetico grazie alla madre. - 9 ott 1990: nei lavori di ristrutturazione in via Monte Nevoso, da un'intercapedine escono documenti non trovati nel 1978 e una versione più ampia del memoriale. Polemica tra Craxi e Andreotti sulle 'maninè e le 'manonè. - 9 giu 1991: Cossiga parla di un' operazione dei Comsubin, finora sconosciuta. - 13 ott 1993: arrestato Germano Maccari, accusato di essere il quarto carceriere di Moro. Lo stesso giorno esce la notizia che un pentito ha detto che Antonio Nirta, killer della 'ndrangheta, sarebbe stato presente in via Fani. - 25 ott 1993: resa nota un' intervista rilasciata in estate in cui Mario Moretti si assume la responsabilità di aver ucciso Moro. - 8 giu 1994: arrestato Raimondo Etro, che avrebbe svolto un ruolo di armiere. - maggio 1998: trapela la notizia che molti appartamenti di via Gradoli appartenevano a societ… legte al Sisde. - 29 mag 1999: trapela la notizia che il pianista russo Igor Markevitch sarebbe l' 'anfitrionè fiorentino delle Br. - febbraio 2000: la Commissione stragi acquisisce dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio al ritrovamento delle carte di via Monte Nevoso del 1990. - 2 giu 2000: arrestato in Corsica Loiacono. La Francia però negherà l' estradizione. - 14 nov 2000: dalle indagini di Brescia sulla strage di piazza della Loggia emerge una struttura segreta, chiamata 'Noto serviziò, che attraverso qualche suo uomo, potrebbe avere avuto un ruolo anche nel caso Moro. Nel 2003 esce che il nome della struttura sarebbe stata «L'Anello». - 25 ago 2001: Maccari muore d'infarto nel carcere di Rebibbia. - 5 set 2001: Lanfranco Pace dice che è stato Maccari ad uccidere Moro mentre Moretti era in preda a una crisi di panico e Gallinari piangeva. La presunta rivelazione ha tutta l' aria di voler alleggerire la posizione di Moretti, addossando ad un morto la responsabilità dell' uccisione di Moro. - 11 dic 2003: un libro sul caso Tobagi sostiene che le carte trovate in via Monte Nevoso furono portate via per essere fotocopiate e poi riportate sul luogo ma «assottigliate». - 14 gen 2004: arrestata Rita Algranati, la vedetta che segnal• l'arrivo di Moro e della scorta in Via Fani.
01/03/2008 ANSA

MORO/30: IL RICORDO DEL PRIMO FOTOGRAFO IN VIA FANI /ANSA LA SERA TROVAI LA CASA SOTTOSOPRA MA NON ERA SPARITO NULLA

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - «Arrivai che i cadaveri non erano ancora stati ricoperti dai teli bianchi. C'era poca gente. Sono stato il primo fotografo in via Fani. Era passato poco più di un quarto d'ora dal rapimento del presidente della Dc». Antonio Ianni, oggi in pensione, fotografo dell'Ansa, ho raccontato tempo fa come ha vissuto quel 16 marzo e i dettagli e l'emozione di quel «primo servizio importante». Una delle sue prime foto, scattate quel giorno, fu quella di una borse di pelle nera, ad una decina di metri dalle auto, accanto al marciapiede e che «sembrava smarrita da qualcuno». Le foto successive furono scattate all'interno delle auto. C'era una pistola di un agente di scorta ancora posata sul cruscotto. «Ricordo di avere visto sui sedili posteriori un grosso pacco di giornali e forse qualche cartellina. Alzai gli occhi perchè sentii un elicottero che fece un paio di giri sulle nostre teste e poi scomparve. Non mi sembrava avesse segni distintivi evidenti della polizia o dei carabinieri. Ebbi solo il tempo di fare quelle foto mentre arrivavano i fotografi delle altre grandi agenzie straniere poi fummo allontanati tutti dal servizio d'ordine e continuammo a scattare foto da un terrazzo lì vicino». «Poco dopo - ricorda Ianni - andai a Pratica di Mare per cercare di fare delle riprese dall'alto. Mi informai e mi dissero che in quell'ora nessun elicottero si era alzato in volo a Roma. Mi ricordai di quell'elicottero che avevo visto senza alcuna insegna: era un elicottero civile. Notai, riflettendo, che in fondo a via Fani, a sinistra c'è un boschetto. Quell'elicottero non sapevo spiegarmelo». «Tornato a casa la sera la trovai tutta sottosopra. Letteralmente sottosopra. La mia pistola sul letto, l'oro, l'orologio e tutti i beni, tutto sul letto. Nessuno aveva toccato nulla ma la casa era sottosopra».
01/03/2008 ANSA

MORO/30: GALLONI-ANDREOTTI E I TIMORI DEL PRESIDENTE DC

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - Sono tanti gli avvertimenti politici che arrivarono ad Aldo Moro poco prima del prima del 16 marzo. Tina Anselmi lo incontrò riservatamente il 15 marzo, alle 18. Doveva dargli una notizia politica riservatissima. Appena la ebbe riferita (era l'annuncio delle dimissioni di Zaccagnini?) il Presidente della Dc le disse : «Vede signorina, siamo ancora in pochi a essere convinti che il Paese è sull'orlo del baratro». Quando l'Anselmi, che fu l'unico esponente Dc ad essere costantemente ammesso a casa Moro durante il rapimento, seppe di via Fani capì che quel baratro era qualcosa di reale. «Lui, in quel baratro ce lo avevano già trascinato». Lo stesso giorno Moro aveva discusso a lungo con il suo assistente, il Professor Franco Tritto. Moro gli confidò che l' Italia sarebbe andata alle elezioni anticipate e precisò che questo sarebbe avvenuto verso dicembre. Tritto ha spiegato che Moro era preoccupato perchè immaginava che «ci sarebbe stata molta violenza». Rimane tuttora indecifrabile una affermazione rilevante fatta da Tritto poco tempo prima di morire, due anni fa: «Moro è stata rapito e ucciso dalla cupola del malaffare». Giovanni Galloni era vice segretario della Dc il 16 marzo del 1978. Da anni indica l'importanza di un colloquio che ebbe con Moro poco prima del rapimento. «Discutevamo delle difficoltà di trovare i covi delle Br, e Moro mi disse: 'La mia preoccupazione è questa: che io ho per certo la notizia che i servizi segreti sia americani sia israeliano hanno degli infiltrati all'interno delle Br. Però non siamo stati avvertiti di questo, perchè se fossimo stati avvertiti probabilmente i covi li avremmo trovati». «Forse - ha spiegato - la documentazione, il riscontro di quella confidenza era nelle carte contenute nella borsa da cui Moro non si separava mai e che risulta sparita dopo la strage di via Fani». Moro non diceva mai cose di questo genere se non ne aveva «la certezza e quindi immaginabile che avesse avuto qualche documentazione. Poi quei documenti non si sono trovati: una delle ipotesi è che la documentazione si trovasse nella famosa borsa che accompagnava sempre Moro. Su questo le Br ed i pentiti non hanno mai detto nulla». Moro ha «temuto sempre per la sua vita», e Galloni ricorda il famoso incontro negli stati Uniti con esponenti americani quando il presidente della Dc venne pesantemente invitato a smettere con la sua politica di apertura ai comunisti. Gli venne prospettata l'esigenza che l'Italia diventasse base per il dislocamento di missili. «Noi ci presteremo a qualsiasi operazione per arrivare a questo. Tutto ciò mi fece tremare perchè dietro poteva esserci anche un colpo di Stato». E Galloni - di cui è in uscita un libro dagli Editori Riuniti- è andato oltre. Gli Stati Uniti, ai primi di aprile del 1978, sapevano «dove era la prigione di Aldo Moro». A riscontro ha citato il viaggio che l'8 di aprile fece negli Usa, riservatamente, il generale Vito Miceli, uomo dei servizi segreti legato storicamente ad Aldo Moro. «Ebbe incontri riservati con gli uomini importanti della Cia e con gli amici di Kissinger. In quella sede gli fu detto che Moro si poteva salvare soltanto scoprendo il covo e liberandolo. Miceli capì che gli americani sapevano molto, sapevano perfettamente dove era la prigione del presidente della Dc, dove era Moro. Le ipotesi erano due: o arrivare alla sua uccisione o distruggere la sua politica della solidarietà nazionale e del compromesso storico. Kissinger si era persuaso che Moro poteva salvarsi, che poteva sopravvivere purchè la sua politica, quella della solidarietà nazionale, uscisse totalmente distrutta da quella vicenda». Galloni ha insistito affermando, con sicurezza, che «Cossiga non ha detto tutto a proposito della prigione» e che questa non è stata «quella di cui hanno parlato i brigatisti». E Galloni si è rivolto proprio a Francesco Cossiga, che era ministro dell'Interno all'epoca: «il 9 maggio del 1978 Cossiga sapeva e si aspettava che Moro sarebbe stato liberato. Accadde qualcosa»Sui timori di Moro una conferma è venuta da Giulio Andreotti e dal suo diario che registra i timori di Moro alla dine del '77. « Moro mi viene a vedere dopo aver parlato con Zaccagnini. È molto preoccupato che agenti stranieri di segno contrapposto, ma uniti dallo stesso fine di bloccare l'eurocomunismo, possano essere in azione per mandare all'aria l'equilibrio italiana. Non ha elementi, ma solo sensazioni che lo inquietano molto». La differenza politica - tra i due ricordi - rimane: insanabile.
01/03/2008 ANSA

MORO/30: GIÀ LUNGO IN LIBRERIA SCAFFALE PER RICORRENZA

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - Ancor prima di entrare nella fase «calda» della ricorrenza è già lungo, in libreria, lo scaffale sul trentennale del caso Moro. Molti i libri pubblicati, altrettanti quelli in arrivo. Interviste, racconti di «ambiente» e di «clima», saggi scientifici. Un vero e proprio tzunami editoriale che ha un'onda lunga iniziata già lo scorso anno. Questa una panoramica. - «Anni Settanta» - Giovanni Moro. Oggi professore universitario, nel '78 testimone diretto di quello che accadde in casa Moro durante i 55 giorni, Giovanni Moro fa i conti con gli anni Settanta nel volume pubblicato da Einaudi, partendo da alcune categorie di analisi e mettendo da parte le «molte moltissime cose» che avrebbe da dire. Le categorie sono quelle del «dopo '78» e cioè la decontestalizzazione del fatto, la dietrologia e il revisionismo e quelle del «durante» rapimento: non decisione, virtù repubblicane, familismo, morale. - «Doveva Morire» - Ferdinando Imposimato-Sandro Provvisionato (Chiarelettere). La più analitica e lucida analisi della convergenza di interessi, nazionali e internazionali, che concorsero a far si che Aldo Moro non potesse e dovesse uscir vivo dalla prigione Br. P2, Usa, Urss, la base di via Gradoli, gli allarmi ignorati e infine una dolente intervista ad Eleonoro Moro che parla dei veri responsabili della morte del marito a cui lei si rifiuta di stringere la mano e che ha incontrato durante cerimonie o ricorrenze. Importanti le rivelazioni sulla «ingessatura» che la Procura di Roma, dove all'epoca lavorava Imposimato, subì durante le indagini. - «Segreto di Stato» - Giovanni Pellegrino-Giovanni Fasanella-Claudio Sestieri. È in uscita - in una nuova edizione ai primi di marzo - il volume pubblicato qualche anno fa da Einaudi e ora riproposto da Sperlin& Kupfer. Il volume ripercorre la vicenda Moro all'interno di una lettura complessiva e coraggiosa dei «misteri d'Italia». Sono stati aggiunti 4 nuovi capitoli che approfondiscono i termini della «soluzione sudafricana» cioè lo scambio tra impunità e verità di cui si fece propugnatore l'ex presidente della Commissione stragi. Ci sarà anche una spiegazione concreta di come questo possa avvenire e un appello al Quirinale affinchè si affronti la questione. - «Eseguendo la sentenza» - Giovanni Bianconi. Il clima, i dialoghi, i personaggi, anche minori, che concorsero, volontariamente o no, alla tragedia dei 55 giorni pubblicato da Einaudi. Con un succoso stile da grande sceneggiatura cinematografica uno spaccato dove la vita e la morte, la politica e la scelta terroristica si mischiano restituendo il sapore dell'amaro vissuto trenta anni fa. Rilevante l'attenzione a quei dettagli, ai particolari minori che spiegano molto di una tragedia tanto grande. Un viaggio curioso e attento in tutto quel materiale - interviste, atti giudiziari, testimonianze inedite ecc.- che compongono una interessante e credibile «dietro le quinte» del rapimento. - «Vuoto a perdere». Uscito qualche mese fa da Bsa. Questo saggio ha avuto una attenzione costante da pubblico e critica grazie alla intelligente scelta dell'autore di offrire una sorta di «guida ragionata» dei diversi problemi, tesi, «dietrologie» e interpretazione delle diverse fasi del rapimento Moro. L'autore, esperto di marketing, ha adottato infatti un modulo narrativo facile e al tempo complesso offendo al lettore tutte le variabili e le possibili spiegazione senza una «chiusura» su questa o quella ma mettendo tutto sotto gli occhi del lettore che viene guidato all'interno di quello che è ormai un vero e proprio «arcipelago» in cui si continuano s scoprire ancora oggi isole sconosciute. - «Il golpe di via Fani» - Peppino De Lutiis. Uscito in silenzio da Sperling e Kupfer da qualche settimana è finora il più serio e innovativo libro sulla vicenda che viene contestualizzata in chiave internazionale e soprattutto paragonata ai grandi omicidi politici del 900 - come quello di John Kennedy - che hanno rappresentato modi violente di mutare rotta od interrompere decisive svolte politiche. Lo storico tocca tutti i temi controversi del rapimento: il ruolo di Giovanni Senzani, quello di Igor Markevitch, del Mossad, la/le prigioni, ecc.De Lutiis dimostra che quello messo a segno dalle Br con il rapimento Moro è « l'unico colpo di Stato portato a termine nella Repubblica italiana. Noi sappiamo, credo, la metà della verità Ci troviamo di fronte ad un convergere di servizi, di intelligence straniere contro l'Italia, di cui loro, i Br, sono stati strumento». - «Il terzo giocatore» - Giovanni Fasanella-Rosario Priore (Chiarelettere) in uscita a maggio. Il saggio affronta, in chiave geopolitica, il ruolo avuto da quelle medie potenze europee e non (Germania dell'Est, Francia, Inghilterra, Cecoslovacchia , Israele ecc.) che con propri specifici interessi si sono intromesse nella questione Moro altre a Usa e Urss. Il libro si annuncia ricco di novità perchè questo è un campo poco o nulla battuto.
01/03/2008 ANSA

MORO/30: FICTION CON PLACIDO, SPECIALI TV E RADIO /ANSA (di Mauretta Capuano)

  (ANSA) - ROMA, 1 MAR - Una fiction Mediaset con Michele Placido nei panni di Aldo Moro. Un'antologia dei Tg dell'epoca su Raisat Extra che ripercorre i 55 giorni di prigionia del presidente della Dc, una serata speciale di Enigma su Raitre che cerca di rispondere ai misteri ancora irrisolti della sua morte: qual è l'arma che sparò, chi premette veramente il grilletto, e una striscia di 15 minuti su Radiotre basata sui commenti dei giornali dell'epoca. A trent'anni dalla morte di Aldo Moro, non mancano le iniziative in tv e alla radio per ricordare e tornare ad interrogarsi sulla vita e l'assassinio del presidente della Dc, rapito in via Fani, a Roma, la mattina del 16 marzo, il cui cadavere fu trovato in una Renault 4, in via Caetani, il 9 maggio del 1978, dopo 55 giorni di prigionia. Michele Placido sarà Aldo Moro nella miniserie in due puntate, Il Presidente - prodotta dalla Taodue, per la regia di Gianluca Maria Tavarelli, da un soggetto di Pietro Valsecchi e Salvatore Marcarelli che firma anche la sceneggiatura con Francesco Piccolo - in onda nella prima settimana di maggio su Canale 5. Dal suo lavoro per il compromesso storico, al rapimento e all'uccisione per mano delle Brigate Rosse, la fiction racconta la vicenda umana e politica dello statista. Nel cast anche Marco Foschi nel ruolo di Mario Moretti, Libero Di Rienzo in quello di Valerio Morucci, Donatella Finocchiaro è Adriana Faranda, Valentina Carnelutti è Barbara Balzerani, Giulia Michelini è Anna Laura Braghetti e Ninni Bruschetta è Oreste Leonardi. Corrado Augias indaga su «30 anni e tanti misteri irrisolti» in Enigma speciale Moro, in onda venerdì 7 marzo alle 21.05 su Raitre, con annunciati in studio, tra gli altri, familiari delle vittime, il ministro dell'interno, Giuliano Amato, il senatore Beppe Pisanu, il politologo Edward Luttwak, i giornalisti Giovanni Bianconi e Giovanni Fasanella, con interventi dei direttori del Corriere della sera, Paolo Mieli, e di Repubblica, Ezio Mauro. La puntata è centrata sull'approfondimento di quanto accadde nei 55 giorni del sequestro, ripercorre la cronaca, ricostruisce il contesto, elabora ipotesi e ripropone le diverse interpretazioni di quei tragici avvenimenti, ma soprattutto cerca di rispondere a numerosi e ancora irrisolti interrogativi su quale fu la vera prigione di Moro, cosa accadde veramente nel covo di via Gradoli, e quali le connivenze. Dal sequestro, il 16 marzo, al ritrovamento del corpo di Moro, il 9 maggio, Raisat Extra proporrà 'Giorno per giorno: gli ultimi 55 giorni di Aldo Morò, un'antologia dei Tg dell'epoca di circa un'ora in onda nel day time, probabilmente intorno alle 14.00. Il progetto è a cura del direttore del canale Marco Giudici. Il ciclo della Raisat presieduta da Carlo Freccero, che segue giorno per giorno la cronaca della prigionia del presidente della Dc, sarà preceduto da uno speciale in prima serata 'Aldo Moro, il volto, la voce, le parole: 1968-1978-2008' in cui verranno riproposti i discorsi di Moro utilizzati solo dai giornali radio e nei Tg di quegli anni, con immagini di repertorio della Rai. Prima della sua discesa in politica a Giuliano Ferrara era stata affidata una striscia di 15 minuti dedicata a Moro, dal 16 marzo al 9 maggio, ogni giorno alle 20.00 su Radiotre all'inizio di RadiotreSuite, basata sui commenti dei giornali dell'epoca, Al posto del direttore del Foglio la condurranno ora a rotazione, una settimana ciascuno, otto giornalisti di Prima Pagina.
01/03/2008 ANSA

MORO/30: STORICO RUSSO, P2 RESTA PISTA PIÙ CONVINCENTE/ANSA (di Claudio Salvalaggio)

  (ANSA) - MOSCA, 1 MAR - La P2: questa «la pista più credibile» sui retroscena della vicenda Moro, secondo il professor Ilia Levin, illustre storico e politologo russo membro dell' Accademia delle scienze ed esperto di cose italiane (è stato tra l'altro il primo traduttore in russo dei Quaderni dal carcere di Gramsci). Levin non esclude comunque nè la pista americana, «che va per la maggiore», nè quella del Kgb, «anche se mi sembra la meno convincente, nonostante gli allora pessimi rapporti tra Pcus e Pci». Quanto all'ipotesi di un Grande Vecchio da identificare nel direttore d'orchestra russo Igor Markevitch, ironizza definendola «esotica». «La P2, nonostante le tonnellate di carte scritte anche dai giudici, resta uno dei momenti più oscuri della storia politica italiana perchè fu un nodo in cui si intrecciarono in assoluto più fili: gruppi più o meno fascisti, Vaticano, fino alla mafia», spiega l'accademico, evocando il comitato di crisi sul sequestro Moro dominato da piduisti e i numerosi depistaggi e buchi nell'acqua registrati nelle indagini. «La P2 era tentacolare e gli interessi in gioco messi a rischio dal compromesso storico, a mio avviso, erano più forti di quelli esterni», sostiene Levin, ricordando che l'effetto della morte di Moro rimase la duratura esclusione del Pci dal governo. La pista legata alla Cia, ricorda lo storico, si basa soprattutto sulle testimonianze della vedova Moro e dell'allora vicepresidente della Dc Giovanni Galloni sulla burrascosa scena tra lo statista italiano e il segretario di Stato Usa Henry Kissinger, che lo avrebbe invitato a lasciar perdere la sua linea politica, altrimenti l'avrebbe «pagata cara». «Ma anche se la politica di Moro poteva sembrare una breccia nell'Alleanza Atlantica, Kissinger tutto sommato avrebbe potuto giocare molte altre carte», sottolinea Levin. Quanto alla pista del Kgb, lo storico ritiene che «Mosca non aveva urgenza di ricorrere ad una soluzione del genere». In ogni caso, aggiunge, «non ci si può certo basare sul lavoro della commissione Mitrokhin sull'omonimo archivo, che è un vero bidone, come dimostra l'assenza tra i nomi delle spie del Kgb di personaggi notoriamente riconosciuti come tali». «Si è parlato a lungo del ruolo del giovane studente Sokolov che frequentò assiduamente le lezioni di Moro e che avrebbe potuto essere un agente del Kgb, ma non mi convince molto», dice. Levin è poco propenso a credere che i rapitori potessero essere eterodiretti, dalla Cia o dal Kgb: «conoscendo i precedenti di quei brigatisti, non riesco a immaginare un sistema sufficientemente garantito di trasmissioni di ordini». Lo storico riconosce tuttavia che «all'epoca i rapporti tra il Pcus e il Pci di Enrico Berlinguer erano in una fase culminante di una conflittualità iniziata fin dal dopoguerra, anche se compensata dal crescente miglioramento dei rapporti tra i due Paesi, come testimoniato tra l'altro dagli scambi commerciali, dalla politica dell'Eni, della Fiat, dalle frequenti visite tra capi di Stato, dal protocollo del 1972 sulle consultazioni bilaterali anche su temi internazionali: »due tendenze opposte che graficamente formano una croce di S. Andrea«, sottolinea Levin. Ma i rapporti tra i due partiti comunisti si raffreddarono progressivamente fino al celebre intervento critico dell'allora vice segretario del Pci Berlinguer a Mosca nel 1969. »Mi ricordo che un alto funzionario della sezione esteri del Pcus venne nella cabina interpreti e chiese di non enfatizzare l'incisività del suo discorso«, racconta Levin. Poi nel 1972 ci fu l'incidente d'auto a Berlinguer in Bulgaria, che per lo storico »è compatibile con un tentativo di eliminare un leader scomodo«. Seguirono i suoi tre articoli su Rinascita in cui elaborò il compromesso storico, e nel 1976 il primo strappo e la famosa intervista sulla »Nato scudo della democrazia«, che fece andare alle stelle la tensione con Mosca, proseguita fino ai primi anni gorbacioviani. »Guardi qui, ci sono ancora i timbri«, indica Levin mostrando i segni indelebili della censura su un volume di Rinascita del 1985 e su alcuni bollettini del Pci per l'estero del 1985 e del 1985.»Ma nonostante il conflitto con Berlinguer e il suo sgradito compromesso storico, mi sembra poco convincente pensare al Kgb che manovra le Br per far fallire l'unità nazionale «, Moro, prosegue, »era comunque l'unica figura in grado di realizzare il compromesso storico, con quel suo modo assolutamente unico di fare sintesi, anche rinunciando a punti importanti del suo programma, e in ciò sta tutta la grandezza e la debolezza del personaggio: si sacrificò per riparare il trauma natale dello Stato italiano tentando di unire tra loro i principali gruppi sociali del popolo italiano, consapevole dei poteri forti contrari a tale progetto«.
29/02/2008 ANSA

MORO/30: BR SAPEVANO DI INCONTRO CON ZACCAGNINI?/ANSA UN'IPOTESI MAI VERIFICATA DI NORA MORO SU QUEL GIORNO

  (ANSA) - ROMA, 29 FEB - Uno degli elementi non chiariti della strage di Via Fani è la certezza che le Br avevano che il 16 marzo Moro e la sua scorta sarebbero passati proprio in quella strada e a quell'ora. Degli uomini in divisa non potevano passare inosservati a lungo, fermi, all'angolo di un incrocio. Era un'azione che non poteva fallire nè si poteva replicare: doveva esserci la certezza di colpire. La signora Nora Moro durante il primo processo ha dato un contributo che è stato accantonato troppo facilmente, visti alcuni riscontri che ci sono stati negli anni. «Io vorrei sapere - disse Eleonora Moro in aula - cosa è successo il 15 marzo. Perchè se il 15 marzo, in via d'ipotesi, mio marito avesse avuto un appuntamento con Zaccagnini: 'andiamo insieme in Parlamento e discorriamo di queste cosè, allora s che via Fani era una strada obbligata. Allora, se questo è stato combinato per telefono, il nostro telefono era sorvegliato, qualcuno poteva sapere con precisione che il giorno dopo l'onorevole Moro passava in via Fani». Il giudice chiese se avesse fatto riscontri. «Sì, ho tormentato tutti quelli che potevo tormentare. Non sono riuscita a sapere con chi si dovesse incontrare. E qualche volta ho avuto anche l'impressione che non mi si volesse dire». Effettivamente - come ha rivelato il volume di Marcucci e Selva 'Il martirio di Aldo Morò nel 1979 -, quella mattina il presidente della Dc doveva recarsi proprio da Benigno Zaccagnini, il segretario della Dc che voleva dimettersi per protesta dalla carica, perchè non condivideva la lista dei ministri stilata da Andreotti per il governo che doveva avere l'appoggio del Pci. Il 16 marzo Moro uscì in anticipo da casa. Poco prima delle 9. «Prima di andare alla Camera, (Moro) deve fare una sosta al Centro studi Alcide De Gasperi, alla Camilluccia. Secondo alcune voci- si afferma nella prima edizione del libro -, Zaccagnini lo attende per presentargli ufficialmente le dimissioni da segretario politico. Il Centro studi della Dc è, comunque, un passaggio quasi obbligato per Moro. In fondo a via della Camilluccia, una lunga discesa tutta curve, c'è Piazza dei Giochi Delfici e, sulla piazza, la chiesa di Santa Chiara. Moro certamente farà una seconda sosta». Questa notizia sparirà nella nuova edizione del volume pubblicato anni dopo. La notizia dell'incontro Moro-Zaccagnini è stata confermata recentemente anche da Giovanni Galloni Galloni, all'epoca vice segretario della Dc: la mattina del 16 marzo 1978 Moro era uscito presto di casa, prima delle 9, mentre il dibattito alla Camera per la presentazione del governo era previsto per le 10. Infatti, lo statista, al momento del sequestro, «si stava recando a casa del segretario della Dc, Benigno Zaccagnini, che aveva in mente di dimettersi dalla guida del partito non appena il governo avesse ottenuto la fiducia. Moro andava da lui per scongiurare questa scelta». Come ha fatto questa informazione a finire alle Br che aspettavano Moro all'incrocio di via Fani? Quella mattina il Pci pensò, prima del rapimento, di non votare a favore del governo.« Nella serata e persino nel cuore della notte precedenti, il modo come il presidente del Consiglio (Andreotti) aveva dato gli ultimi, decisivi ritocchi alla lista dei ministri, era al centro delle critiche molto vivaci della segreteria comunista», ha scritto - ricordando quella lunga notte- il giornalista Giorgio Frasca Polara in un libro edito da l'Unità e dedicato alla vita di Berlinguer. In polemica con il partito il 16 marzo Giancarlo Pajetta era rimasto a casa. Tutto sarebbe stato deciso dopo il discorso di Andreotti, ma i dissensi erano forti ed ampi. Qualcuno intercettava casa Moro, dunque? Si disse e scrisse che alla Sip le Br avevano una vera e propria brigata formata da addetti selezionati che potevano inserirsi sulle linee. Inoltre le Br potevano avere un'altra certezza rispetto a quelle finora ammesse. A Benito Cazora, un deputato Dc che si mise ad indagare in proprio sul rapimento, la 'ndrangheta segnalò che nella parte bassa di Via Fani le Br avevano, come ipotizz• negli atti della prima indagine il giudice Guido Gusco, un centro di osservazione presso un albergo per studenti. Oppure informazioni «filtrarono» dagli ambienti vicini a Moro, anche indirettamente, come disse il primo pentito delle Br, Patrizio Peci, nei suoi verbali?
29/02/2008 ANSA

MORO/30: ANCORA DUBBI, QUANTI IN VIA FANI E CHI SPARO? /ANSA INTERROGATIVI NELLA RICOSTRUZIONE DELL'AGGUATO E DELLA STRAGE

  (ANSA) - ROMA, 29 FEB -Sono passati 30 anni dal 16 marzo 1978 ma i buchi neri nella ricostruzione della strage di via Fani, la prigionia e la morte di Aldo Moro, iniziano già con il primo atto dei 55 giorni più bui e lunghi della Repubblica. Questi buchi neri sono ancora lì in attesa di essere colmati. Alle 8,45 il commando delle Br si disloca all'incrocia tra via Fani e via Stresa, nella zona della Camilluccia. Il piano era stato messo a punto nella base di Velletri. Via Fani è una strada in discesa verso via Stresa. Nella parte alta Mario Moretti si dispone alla guida di una Fiat 128, targata CD sulla destra della strada, subito dopo via Sangemini, con il muso dell'auto verso il basso. Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri - tutti e due sono oggi all'estero: il primo in Svizzera, l'altro in Nicaragua- erano a bordo di una Fiat 128 bianca collocata davanti alla macchina di Moretti. Una Fiat 128 blu era posteggiata, con alla guida Barbara Balzerani, sul lato opposto di via Fani, subito il crocevia con via Stresa, con il muso rivolto verso l'alto, cioè la direzione di provenienza dell'auto di Moro. L'altra auto, la Fiat 132 blu, con a bordo Bruno Seghetti era ferma in via Stresa parcheggiata contromano sul lato sinistro, a qualche metro dall'incrocio. Una A112 era parcheggiata, vuota, in via Stresa, a 20 metri da via Fani con il muso verso via Trionfale. La tecnica dell'azione venne copiata pari pari dagli uomini della Raf. Un'azione «a cancelletto». L'operazione Fritz cominciò non appena la macchina di Moro e quella della scorta sbucò dall'alto, imboccando la discesa di via Fani. La macchina di Moretti si immise sulla strada e giunta all'incrocio si piantò. La 130 di Moro cercò ripetutamente di farsi largo ma una Mini Mirror parcheggiata all'incrocio impedì lo «svincolo». La macchina di Moro e quella della sua scorta erano in trappola. La 128 bianca di Casimirri e Lojacono si mise di traverso nella parte alta dell'incrocio, bloccando il traffico. A segnalare l'arrivo delle macchine con un mazzo di fiori era stata, hanno detto i Br, Rita Algranati - scagionata ufficialmente dal processo, ma il cui ruolo è stato confermato dai partecipanti alla operazione. Era quello il segnale che il commando travestito da piloti aspettava: da dietro le siepi del bar sbucarono quattro uomini: Morucci, Fiore, Gallinari e Bonisoli che aprirono il fuoco. I primi a cadere furono, dopo che erano stati infranti i vetri anteriori, Ricci e Leonardi, l'autista e il capo scorta di Aldo Moro. Breve efficace, una «azione esemplare» nonostante la dichiarata approssimazione della preparazione militare del commando. I colpi furono sparati da distanza ravvicinata. Moro fu prelevato. Una donna lo senti dire «Mi lascino andare. Cosa vogliono da me?». Questo il «racconto-base» del rapimento fatto da Valerio Morucci, il primo a dare il quadro dell'assalto e a cui si sono rifatti tutti. Tre della scorta, in un mare di sangue, furono finiti con un colpo di grazia alla nuca: Iozzino, Leonardi e Ricci. Solo Iozzino sparò due colpi ma fu subito freddato da altri due assalitori in borghese. Dalle prime dichiarazioni i Br sono via via passati da 7 a 8, poi a 9, poi a 10 ed infine ad 11 (con l'aggiunta della Algranati, poi assolta, ed Etro). Per rapire il giudice Mario Sossi, che era senza scorta, furono utilizzati 14 Br. Venti erano stati preventivati per rapire Moro dentro la chiesa di Piazza dei Giochi Delfici. Qualcuno manca ancora oggi all'appello? Molti testimoni parlarono di una moto Honda con a bordo due che spararono avendo il volto coperto da passamontagna. Per i Br quella moto non è mai esistita. Per la giustizia è un fatto acclarato con sentenza passata in giudicato. Uno dei killer cercò di uccidere un testimone, l'ingegner Marini. Perchè questo blocco? Quella presenza in moto è inconfessabile? Un uomo della 'ndrangheta, come si disse prima dell'ennesima smentita? Una diversa componente del Movimento, due autonomi, un gruppo di Prima Linea? Corrado Alunni, come sostenne sulla base di un identikit un testimone che vide un uomo alzarsi per un attimo il passamontagna? Una componente delinquenziale delle Br? La perizia balistica stabilì che vennero esplosi almeno 91 colpi; 49 furono sparati da una sola arma, uno Fna 43 o uno Sten; 22 da una pistola mitragliatrice, 5 e 3 da altre due pistole-mitra e infine 8 e 4 da due pistole semi automatiche. L'uomo che spara più colpi era in divisa e mostrava grande padronanza. È lui che fa il grosso del «lavoro» insieme a colui che spara 22 colpi. Nella ricostruzione fatta da Morucci i Br sparano dal solo lato sinistro ma ciò non è vero. Ricci cade a sinistra, Leonardi colpito anche destra mentre cerca di girarsi per coprire Moro. Sono i due specialisti che sparano sulla macchina di Moro senza che il presidente venga colpito. Una perizia, durante il Moro-quater, ha accertato che a via Fani sparò un numero di armi superiore a quello dichiarato dai Br. Almeno 7 e non sei, da destra e sinistra: 4 mitra, 2 pistole semi automatiche -impugnate da due persone- e probabilmente un'altra arma che utilizzava proiettili calibro 7,65 parabellum. Ma i Br affermano che spararono solo in quattro: Bonisoli, Fiore, Gallinari e Morucci. A Bonisoli, però, il mitra si inceppò subito, quello di Morucci «quasi subito». A Gallinari accadde a metà raffica. Fiore ha detto che il suo M12 si inceppò «subito», che sfilò il caricatore e lo sostituì, ma che non partì alcun colpo. Tutti i mitra si incepparano. Chi sparò quindi quel giorno a via Fani?
29/02/2008 ADNKronos

CASO MORO: IL PM MARINI, BRIGATISTI IN VIA FANI NON TUTTI INDIVIDUATI

  Roma, 29 feb. - (Adnkronos) - '«Non tutti gli attentatori di via Fani sono stati individuatì». Lo dice Antonio Marini, pubblico ministero ai processi 'Moro trè e 'Moro quater', nel corso del Tg2 dossier, intitolato «1978, l'inverno più lungo», che andrà in onda domenica 2 marzo su Raidue alle 18. «Per anni- ricorda Marini- i brigatisti individuati erano stati in tutto nove. Poi ne sono stati identificati altri due, che stazionavano in alto, per bloccare il traffico su via Fani: Lojacono e Casimirri, mentre, com'è noto, la Balzerani, con un mitra in mano, doveva bloccare, all'angolo con via Stresa, il traffico in direzione di via Fani». «Tornando ai due attentatori non identificati, dopo che la macchina, guidata da Seghetti, con a bordo Moro, ripartì, fu seguita da altri due brigatisti a bordo di una moto Honda. Uno dei due sparò contro un passante in motorino, un certo Alessandro Marini, che era stato fermato poco prima all'incrocio dalla Balzerani. E Marini, per evitare di essere colpito, fu costretto ad abbandonare il motorino e a buttarsi a terra. Ora -conclude Antonio Marini- i brigatisti hanno sempre negato l'esistenza di questa moto, ma già il primo processo Moro condannò i terroristi anche per il tentato omicidio di Marini. Riconoscendo, dunque, implicitamente, l'esistenza della Honda...».
29/02/2008 ANSA

MORO: SIGNORILE, FU UCCISO PER ANTICIPARE 'SVOLTA' DELLA DC

  (ANSA) - ROMA, 29 FEB - Le Brigate Rosse uccisero Aldo Moro immediatamente prima che si riunisse la direzione della Dc nella quale Fanfani avrebbe proposto un radicale cambiamento dell'atteggiamento avuto fino a quel momento, abbandonando la cosiddetta «linea della fermezza» per approdare a quella trattativista sostenuta dal Psi. E Fanfani lo fece sapere in gran segreto a Bettino Craxi tramite l'allora vice segretario del Psi Claudio Signorile, che rievoca il tragico epilogo del rapimento di Aldo Moro in un'intervista per Tg2 dossier, che sarà trasmessa domenica prossima alle ore 18, con uno speciale dedicato alla fase più acuta del terrorismo in Italia dal titolo «1978. L'inverno più lungo». «Aldo Moro fu ucciso il 9 maggio - è la tesi di Claudio Signorile - per il timore che la Dc, nella direzione convocata proprio per quel giorno, potesse decidere di aprire una trattativa con le Br». «L'accordo che avevo con Fanfani - racconta ancora Signorile - e di cui informai Craxi per telefono, era che lui avrebbe parlato nella direzione nazionale della Dc del giorno successivo, spiegando le ragioni che lo portavano a ritenere che l'iniziativa umanitaria socialista dovesse essere fatta propria anche dalla Dc». «E che Fanfani fosse intenzionato a farlo e che avesse preso con noi questa intesa - sottolinea ancora l'esponente socialista - lo sapevamo in pochissimi. Lo sapevo io, lo sapeva Craxi, lo sapeva chi ha intercettato la nostra telefonata...». «L'uccisione di Moro - rimarca Signorile - avviene proprio la notte successiva a quella decisione... Questa è la cosa di cui non riuscirò mai a liberarmi. Della sensazione che qualcosa o qualcuno intervenne. È un rimpianto. Anzi, un sospetto. Di più: una ragionevole certezza. Perchè la mia personale convinzione è che l'omicidio di Aldo Moro sia un delitto politico...».
28/02/2008 ANSA

MORO: VOLONTÈ A VELTRONI, FACCIA PUBBLICARE CARTE SECRETATE

  (ANSA) - ROMA, 28 FEB - «Veltroni non ha pudore, segue alla lettera il progetto di sistematico sterminio delle ragioni dei cattolici ideato da Gramsci, e incolla parole di Aldo Moro ai suoi discorsi. Siamo al 'taglia e incollà ». Lo afferma Luca Volontè, presidente dei deputati dell'Udc. «Dopo aver ieri garantito l'impossibile mediazioni sui valori non negoziabili - aggiunge - oggi si avventura sulle tracce di Moro. Piuttosto che proseguire con le pagliacciate, decida con Prodi e Amato per la pubblicazione di tutte le carte secretate su Moro. 30 anni di silenzi e complicità bastano e avanzano, fuori gli scheletri».
22/02/2008 ADNKronos

CASO MORO: ACCAME (ANAVAFAF), APRIRE GLI ARCHIVI

  Roma, 22 feb. - (Adnkronos) - «La nuova legge sul Segreto, la Legge 124 dell'agosto 2007, ha stabilito che la durata massima del segreto di Stato è 15 anni, estensibili in casi eccezionali a 30 anni. Dunque i segreti del caso Moro dovrebbero cadere. Ma a quanto pare verrà emanato un regolamento che stabilirà quali sono i cittadini che possono essere »consumatori di carte desegretate« e cittadini »sans papiers«, in barba all'Art. 3 della Costituzione. Ma è sperabile che questo ulteriore ostacolo possa essere superato». È quanto afferma Falco Accame, prsidente dell'Associazione per le vittime delle Forze Armate. Per quanto concerne i fatti di via Fani, l'Anavafaf ha richiesto alla Presidenza del Consiglio il 7 agosto scorso e poi il 10 ottobre che vengano resi noti i documenti segretati nell'inchiesta Mastelloni e sulla attività dei Servizi a via Fani. «Un avviso di pericolo circa l'attentato -aggiunge Accame- era stato infatti inviato a Beirut, al colonnello Stefano Giovannone, capo dei Servizi Segreti in Medio Oriente». «In quella sede vi era un collegamento tra BR e movimenti di liberazione in relazione a rifornimenti di armi. Ma la scorta dell'On. Moro non era stata informata tanto che teneva i mitra nella bauliera di un auto. Il colonnello Guglielmi dei Servizi Segreti si trovava quella mattina a via Fani, vi fu anche un annuncio radio di Rossellini rimasto inspiegato. Un filmato di quanto accaduto a via Fani è andato stranamente perduto. Sulla inchiesta del magistrato Mastelloni è stato posto il segreto di Stato e così sulla attività dei Servizi». «Attendiamo risposte dalla Presidenza del Consiglio auspicando che il Governo rispetti le leggi dello Stato e che a tutti i cittadini sia concesso di conoscere le notizie desegretate. A via Fani furono trucidati i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, gli agenti della Polizia di Stato Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. L'Aanavafaf -conclude Accame- ricorderà il 16 marzo 78 con una manifestazione per le vittime della strage e per la verità sulle vicende italiane».
22/02/2008 ANSA

MORO/30 ANNI:COSSIGA, FU DON MENNINI AD ENTRARE MEL COVO BR

  (ANSA) - ROMA, 22 FEB - «Don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse e noi invece non lo scoprimmo. Avevamo messo sotto controllo telefonico e sotto pedinamento tutta la famiglia e tutti i collaboratori. Ci scappò Don Mennini». Così Francesco Cossiga, ministro degli Interni ai tempi del sequestro Moro ricorda la vicenda ai microfoni di Sky Tg24. Nel corso dello speciale dal titolo «Caso Moro, le verità nascoste», in onda questa sera alle 22.35 (e in replica domenica 24 alle 14.35) sul canale all news, il presidente emerito della Repubblica continua: «Entrammo in allarme quando Aldo Moro si rivolse a Riccardo Misasi (esponente della sinistra democratica) perchè tra i più implacabili eravamo noi della sinistra di base. L'unico che dissentiva dalla linea della fermezza era Misasi che ne parlò in una riunione a Piazza del Gesù. Perchè Moro venne a sapere di questo atteggiamento? - si chiede ancora Cossiga nel documentario a cura di Max Giannantoni e Paolo Volterra - Perchè qualcuno che era in contatto con qualcun'altro presente a quell'incontro al secondo piano di Piazza del Gesù, l'ha detto a Mennini il quale a sua volta lo ha detto a Moro. Il giorno dopo della morte del Presidente della Dc, la Santa Sede lo fece scomparire, lo nominò diplomatico e oggi è Nunzio apostolico a Mosca. Mai e poi mai la Chiesa lasciò che la Polizia o le autorità giudiziarie lo interrogassero».
22/02/2008 ANSA

MORO/30 ANNI:ANDREOTTI, VATICANO AVEVA PRONTO IL RISCATTO

  ROMA, 22 FEB - «Quando si affacciò un'ipotesi di un eventuale pagamento di riscatto, Papa Paolo VI, che con Moro aveva un intenso legame di affetto e stima, dette la propria disponibilità». Il senatore a vita Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio nel 1978 quando fu rapito e ucciso Aldo Moro dalle Brigate rosse, così spiega a Sky Tg24 i rapporti del Santo Padre con il presidente della Democrazia Cristiana. «Il Vaticano - aggiunge Andreotti all'interno dello Speciale dal titolo »Caso Moro, le verità nascoste« in onda questa sera alle 22.35 (in replica domenica 24 febbraio alle 14.35) - preparò il denaro per poter pagare il riscatto se fosse stato possibile».
22/02/2008 ADNKronos

CASO MORO: COSSIGA, DON MENNINI ANDÒ NELLA PRIGIONE

  Roma, 22 feb. (Adnkronos) - «Don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse e noi invece non lo scoprimmo. Avevamo messo sotto controllo telefonico e sotto pedinamento tutta la famiglia e tutti i collaboratori. Ci scappò Don Mennini». Così Francesco Cossiga, ministro degli Interni ai tempi del sequestro Moro ricorda la vicenda ai microfoni di Sky Tg24. Nel corso dello speciale dal titolo «Caso Moro, le verità nascoste», in onda questa sera alle 22.35 (e in replica domenica 24 alle 14.35) sul canale all news, il presidente emerito della Repubblica continua: «Entrammo in allarme quando Aldo Moro si rivolse a Riccardo Misasi (esponente della sinistra democratica) perchè tra i più implacabili eravamo noi della sinistra di base. L'unico che dissentiva dalla linea della fermezza era Misasi che ne parlò in una riunione a Piazza del Gesù». «Perchè Moro venne a sapere di questo atteggiamento? - si chiede ancora Cossiga nel documentario a cura di Max Giannantoni e Paolo Volterra - Perchè qualcuno che era in contatto con qualcun'altro presente a quell'incontro al secondo piano di Piazza del Gesù, l'ha detto a Mennini il quale a sua volta lo ha detto a Moro. Il giorno dopo della morte del Presidente della Dc, la Santa Sede lo fece scomparire, lo nominò diplomatico e oggi è Nunzio apostolico a Mosca. Mai e poi mai la Chiesa lasciò che la Polizia o le autorità giudiziarie lo interrogassero».
22/02/2008 ADNKronos

CASO MORO: ANDREOTTI, SANTA SEDE ERA PRONTA A PAGARE IL RISCATTO

  Roma, 22 feb. (Adnkronos) - «Quando si affacciò un'ipotesi di un eventuale pagamento di riscatto, Papa Paolo VI, che con Moro aveva un intenso legame di affetto e stima, dette la propria disponibilità». Il senatore a vita Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio nel 1978 quando fu rapito e ucciso Aldo Moro dalle Brigate rosse, così spiega a Sky Tg24 i rapporti del Santo Padre con il presidente della Democrazia Cristiana. «Il Vaticano - aggiunge Andreotti all'interno dello Speciale a cura di Max Giannantoni e Paolo Volterra dal titolo »Caso Moro, le verità nascoste« in onda questa sera alle 22.35 (in replica domenica 24 febbraio alle 14.35) - preparò il denaro per poter pagare il riscatto se fosse stato possibile».