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Non si può esigere il fine pena mai extragiudiziario
05/08/2007 - Corriere della Sera - Giuliano Gallo
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Non si può esigere il fine pena mai extragiudiziario

Scalzone, D' Elia e gli altri: così si cancella il diritto

Russo Spena: c' è il problema della chiusura di quegli anni

 

Oreste Scalzone, da sempre abituato a non misurare le parole, è quello che ci va giù più pesante di tutti: «Paolo Bolognesi mi sembra un funzionario della pubblica celebrazione del dolore, uno che rappresentava un grumo di dolore collettivo e lo ha trasformato in una routine di mestiere».

Mentre Sergio D' Elia, allevato alla scuola non violenta di Marco Pannella, premette: «Mai polemizzerò con chi ha vissuto il dolore sulla sua pelle». Ma poi si ribella anche lui alle parole del presidente dell' Associazione familiari vittime di Bologna. «Non si può fare a fette la vita delle persone, non si può esigere un "fine pena mai" extragiudiziario, pretendere che si debba restare cristallizzati a quegli anni. Significa cancellare quel poco di Stato di diritto che esiste in questo Paese».

Infine Giovanni Russo Spena, presidente dei senatori di Rifondazione, tirato in ballo in maniera obliqua da Bolognesi, per aver chiesto - accusa il presidente dell' Associazione - la grazia per il latitante Cesare Battisti, che peraltro non è latitante ma detenuto in un carcere di San Paolo del Brasile. «Per la verità non ho mai chiesto la grazia per Battisti - replica dunque Russo Spena - ho solo detto che c' è un problema di chiusura degli anni di piombo. Le stesse cose dette dal ministro degli Esteri francese. E ho ricordato che il Brasile non ci vuole restituire Battisti perché in Italia non esiste l' istituto delle revisione della pena per chi è stato condannato in contumacia».

Il j'accuse di Bolognesi, che ha tuonato contro l' «estrema indulgenza» nei confronti dei terroristi e i «tanti amici dei terroristi» seduti in Parlamento, sembra aver toccato molti nervi scoperti. Soprattutto fra quelli che il presidente ha nominato con nome e cognome.

Scalzone, più che parlare di se stesso («Ho sempre rispettato il dolore, nessuno può accusarmi di non averlo fatto, ma c' è un limite...») preferisce prendere le difese di Renato Curcio. Usando il fondatore delle Br come modello di discussione: «Qualcuno ha parlato di "Paese normale". Bene, in un Paese normale il dottor Renato Curcio è una persona che ha scontato interamente la sua pena. E dunque deve essere ritenuto un cittadino da rispettare, non meno del signor Bolognesi. Perfino i teocon americani hanno rimproverato Bush quando si è spinto a parlare di "giustizia infinita"...».

E alla fine anche il vecchio contestatore irriducibile si richiama allo Stato di diritto: «Se si mette in discussione il "fine pena", si calpesta qualsiasi sopravvivenza di Stato di diritto». Proprio come aveva fatto D' Elia e come, con toni più pacati, fa Russo Spena: «Comprendo il dolore delle vittime, e mi sento loro vicino. Ma è indispensabile non perdere la barra dello Stato di diritto». Scalzone non rivendica il suo passato, non cerca giustificazione né attenuanti. D' Elia invece (forse perché la sua posizione politica gli ha procurato molti attacchi in questi ultimi anni) lo fa con grande decisione. «Tutto si può dire di me, tranne che definirmi amico dei terroristi. In galera io ho rischiato la pelle, per portare avanti la lotta per la dissociazione. Gli irriducibili mi davano la caccia. La mia lotta al terrorismo ho cominciato a farla lì. E sono passati più di vent' anni. Ora sto cercando di riparare a quell' errore con l' ultimo quarto di vita che mi resta».

Il processo e le condanne

11 LUGLIO 1988 In primo grado quattro ergastoli alle persone ritenute esecutori materiali della strage di Bologna: Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Otto le condanne per banda armata, quattro quelle per depistaggio

30 GENNAIO 2000 Il Tribunale dei minori assolve Luigi Ciavardini dal reato di strage e lo condanna per banda armata. Nel 2002, in appello, è riconosciuto come esecutore materiale e condannato a 30 anni. Nel 2003 la Cassazione annulla la sentenza, nel 2004 la Corte d'Appello torna a pronunciarsi: è condannato a 30 anni, sentenza confermata poi in Cassazione

 

(3 agosto, 2007) Corriere della Sera - Giuliano Gallo