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Ideologia al veleno
04/06/2007 - Repubblica - Francesco Merlo
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Ideologia al veleno

Francesco Merlo, la Repubblica, 4 giugno 2007
 

È vero che per ora si tratta solo di patacche sui muri e di frittelle ideologiche vendute nelle piazze, ma è anche vero che in Italia, nell’Italia dove un pezzo di sinistra è ancora avvelenata dal carbonchio ideologico, si trovano sempre giovani solitari e disperati pronti a diventare terroristi; ci sono nelle nostre metropoli poveri scarti umani che invece di impazzire o suicidarsi, sono pronti a togliere di mezzo gli altri, a togliere di mezzo il mondo.

Non che possano produrre attorno a loro un vero consenso e sogni collettivi di rivoluzioni, ma altri lutti privati sì, altri funerali, altri immensi dolori. Non attaccano più il cuore dello Stato ma il cuore delle famiglie, di singole famiglie, come la famiglia Biagi appunto, che ieri di nuovo a Bologna è stata oltraggiata sui muri. Ed è davvero, questa famiglia, la più sobria, la più discreta e la più elegante nel pur terribile lutto, una famiglia che meriterebbe la dedizione e l’imbarazzo speciali di tutta l’Italia e soprattutto di tutta la sinistra.

Perciò ci permettiamo di immaginare Marco Biagi e Massimo D’Antona e il sovrintendente di polizia Emanuele Petri che, tornati per un giorno tra noi, spiegano agli italiani che la sinistra italiana, così ricca e complessa, non merita questo accanimento. Non è giusto insomma che ci sia una scheggia impazzita della sinistra che si accanisce contro la sinistra, rivestendola di abiti ammuffiti, e riproponendo, ormai soli in Europa, vecchi slogan di caverna ideologica ridotti a deserti di intelligenza. E ancora, le vittime del terrorismo – sì, facciamole parlare noi! – vorrebbero sapere come mai ieri è stato autorizzato a l’Aquila un corteo di solidarietà verso Nadia Desdemona Lioce che, in galera per omicidio, scrive proclami feroci contro lo Stato.

Se potessero tornare tra i vivi, tra di noi, fosse pure soltanto per qualche giorno, Biagi, D’Antona e Petri, vale a dire le ultime vittime, solo le ultime, del terrorismo italiano e delle nuove Brigate rosse, saluterebbero frettolosamente le loro famiglie e si precipiterebbero prima a spiegare a tutti noi e poi ad inseguire i compagni di Rifondazione comunista, e i Pecoraro Scanio e i Paolo Cento, i Marco Rizzo e i Diliberto, i Giordano e ovviamente il presidente della Camera Fausto Bertinotti, non certo per accusarli di terrorismo e nemmeno di complicità in omicidio, ma solo per domandare loro se non si sentono un poco responsabili dei vecchi slogan minacciosi che sono di nuovo sui muri, e non solo su quelli di Bologna.

Se potessero tornare fra noi per un solo giorno, questi nostri sfortunati fratelli chiederebbero conto a Bertinotti della mano che non vorrebbe stringere a Bush, e della manifestazione contro il boia americano che il 9 giugno riproporrà per le strade di Roma quella teoria dell’imperialismo che era forse già poco originale ai tempi di Lenin. E domanderebbero perché la sinistra, tutta la sinistra, non si stringe attorno al sindaco di Bologna Cofferati che da solo si batte per la legalità. Bertinotti, per esempio, che pure frequenta tutti i salotti d’Italia e tutte le tv, e che giustamente viaggia per il mondo in rappresentanza del Parlamento italiano, perché non va solennemente a trovare il sindaco di Bologna, in Municipio, ad abbracciarlo davanti alle telecamere, per non lasciarlo solo come furono lasciati soli Biagi e D’Antona ma anche, a Palermo – la logica è la stessa – Falcone e Borsellino?

La verità è che nessuna civiltà del perdono può giustificare la richiestissima compagnia di giro di ex terroristi che nella aule universitarie, nelle sedi culturali più ambite, nelle feste di partito e ovviamente in televisione, ci spiegano com’è fatto il mondo del lavoro, e come sono le nostre carceri, e perché gli omicidi e gli agguati alle spalle erano sì sbagliati ma anche storicamente necessari, perché insomma c’era la guerra di classe, perché i giovani si sentivano oppressi e sfruttati, e lo stato era nemico, e insomma lo storicismo, e non potevano non farlo, e quanto ci dispiace e blablabla. Una volta, ai primi del Novecento, i cervelli dei criminali venivano chiusi nei barattoli, conservati nella formalina. Era quello un tempo di inciviltà razzista. Ma che civiltà è quella nostra che tratta i criminali come supercervelli, non esperti di agguati, di armi e di documenti falsi, ma di lotte sociali e di politica? E se persino quei terribili tempi risultassero più civili dei nostri?