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Addio a Noretta Moro, in silenzio contro il Moloch
19/07/2010 - www.ffwebmagazine.it - Domenico Naso
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Un'eroina discreta che tentò disperatamente di salvare la vita del marito
Addio a Noretta Moro, in silenzio contro il Moloch
 

In molte struggenti lettere dalla “prigione del popolo” era semplicemente Noretta, amatissima compagna di una vita. E trentadue anni dopo Eleonora Chiavarelli Moro, vedova del presidente della Democrazia Cristiana ucciso dalla Brigate Rosse, oggi si ricongiunge idealmente al marito, quell'Aldo Moro vittima eccellente degli anni di piombo. Era una donna decisa, schiva, riservata.

Nessuno la conosceva pubblicamente fino a quando il presidente della Dc venne sequestrato nella strage di via Fani. Eppure Nora Moro al fianco del marito c'era eccome, silenziosa e salda, porto sicuro di un uomo complesso, complicato nell'eloquio e nei tratti caratteriali, protagonista di quella svolta epocale che fu il compromesso storico, in anni terribili, i più bui dell'Italia repubblicana. Nei cinquantacinque giorni del sequestro, Eleonora Moro tentò disperatamente di salvare la vita del marito, facendo appello al senso di umanità di una classe politica che si trincerò dietro il comodo paravento della fermezza a tutti i costi. E lei quella ragion di Stato non la capì mai fino in fondo, non poteva e non voleva capirla. Le provò tutte, scontrandosi contro un partito, la Democrazia Cristiana, che inspiegabilmente abbandonava a se stesso il suo uomo di punta, il suo uomo migliore. Solo pochi, nel panorama politico italiano, diedero ascolto al disperato ma composto grido di dolore di una moglie, di una madre: Amintore Fanfani, innanzitutto, che tentava di aprire spiragli difficili tra le maglie strettissime del colosso democristiano, e poi Bettino Craxi, artefice di uno sparigliamento del blocco democristiano-comunista, assertore della fermezza senza se e senza ma.

Tutti tentativi inutili, così come il piccolo successo della lettera pubblica di Paolo VI ai brigatisti, quella lettera che doveva aprire la trattativa e che invece, per colpa di una semplice frase (“senza condizioni”), voluta dall'establishment democristiano, non ottenne il risultato sperato. Quell'impegno incessante di una donna fortissima non ebbe successo. Aldo Moro venne ucciso in un garage e trovato nel bagagliaio di una automobile a via Caetani.

Da quel giorno, Eleonora Moro si chiuse ancora più in se stessa, vittima del dolore rabbioso di chi sentiva il peso di non esser riuscita a salvare il compagno di una vita. Non perdonò mai la Dc, così come non perdonò mai l'immobilismo di quel Benigno Zaccagnini, segretario democristiano, che era un uomo di Moro, che grazie a Moro era arrivato al vertice di piazza del Gesù. La sconfitta di quella donna fu la sconfitta dell'Italia migliore, che voleva uscire dagli anni di piombo, che non poteva più sopportare di vivere tra bombe e scontri di piazza, odio e opposti estremismi. E la ricerca incessante di una via d'uscita, ci fa pensare ad Eleonora Moro come a una novella Edda Ciano, anche lei disperatamente sola contro un intero sistema (in entrambi i casi complicato e colpevole) per salvare la vita del proprio uomo. La parabola della vedova Moro è l'esempio di una sconfitta gloriosa, di un fallimento dignitoso e onorevole. Ha tentato di fare ciò che era oggettivamente quasi impossibile: sconfiggere da sola, o quasi, un Moloch plumbeo di intrighi e morte, di interessi politici (nazionali e internazionali) troppo più grandi di lei.

L'Italia oggi perde una donna semplice, schiva e avvelenata dal dolore. Ma perde anche un'eroina normale, una anziana signora dall'aspetto ordinario e quasi dimesso che nel momento più difficile della sua vita tirò fuori le unghie. Aldo Moro, in una lettera dalla prigione mai consegnata dai brigatisti e ritrovata solo anni dopo, così si rivolgeva alla moglie: «Ti abbraccio forte, Noretta mia, morirei felice se avessi il segno della vostra presenza, sono certo che esiste, ma come sarebbe bello vederla». Dopo una pausa forzata di trentadue anni, oggi quell'amore puro e totalizzante ricomincerà a vivere. E non ci saranno brigatisti, né uomini politici, a spezzarlo di nuovo.

Domenico Naso  (www.ffwebmagazine.it, 19 luglio 2010)