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Calabresi e Pinelli gemelli diversi
16/05/2009 - LiberoNews.it - Marcello Veneziani
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Calabresi e Pinelli gemelli diversi

Napolitano che piange sul lutto versato, due vedove di opposte storie che s’incontrano, tante ombre del passato che popolano il deserto variopinto del presente. L’Italia in bianco e nero, l’Italia cupa degli anni Settanta e della guerra civile, non vuole sparire: torna a visitarci con cadenza quasi quotidiana, e attraversa le istituzioni e i tribunali, i media e i libri. Torna con Pansa, torna con le memorie dei suoi protagonisti e testimoni, torna con le cerimonie al Quirinale, con il capo dello Stato che si commuove per Pinelli, non per Calabresi (ma al cuor, come alle lacrime, non si comanda). E torna ora con il libro di Giampiero Mughini, Gli anni della peggio gioventù, che uscirà con Mondadori la prossima settimana.

È ancora il caso Calabresi che ritorna, e con lui torna Lotta continua; sterminata memorialistica di Sofri e di Marino, di Mario Calabresi e di Aldo Cazzullo, più una folta pattuglia di vip, che furono ex di Lotta continua. Anche Mughini è un ex compagno in borghese: prestò la sua firma a Lotta continua e pur nel disincanto dei decenni seguenti, continuò a difendere Sofri da chi lo voleva assassino e in carcere. Ma la verità, a cui Mughini ha dedicato il libro, lo spinge a riconoscere la responsabilità di Sofri e a confermare che il delitto Calabresi fu partorito dalle viscere di Lotta continua.

La ricostruzione del clima di odio

Sì, lo so, per noi forse era già evidente, troppe sentenze di ogni grado lo hanno poi confermato; e quelle righe di condanna a morte del Commissario che apparvero su Lotta continua erano già chiare e brucianti come il sole. E un magistrato di sinistra come Gerardo D’Ambrosio aveva già assolto Calabresi dalla morte di Pinelli. Ma l’onestà di Mughini lo porta a cancellare residue reticenze, affettuose dimenticanze, e a ricostruire con rigore giornalistico quel delitto e quel clima. E lo porta anche a ricordare quanti avevano sposato il teorema di Calabresi assassino, quanti avevano poi brindato alla sua uccisione, quanti hanno dimenticato e negato le colpe di Lotta continua nel clima di violenza e di terrore; ricorda gli assalti alle sedi della Dc e dell’Msi, le accuse assurde ad Almirante, Rauti e Pisanò, i comizi di limpide figure come Beppe Niccolai impediti con la forza, come quella fatidica sera a Pisa.

No, non vi farò la solita storia di quegli anni, ho nausea anch’io a ripeterla, non riscriverò quei nomi ancora egemoni, mi vergogno per loro. E non mi addentrerò nella ricostruzione minuziosa di Mughini, che lascio ai lettori del suo libro. Farò piuttosto tre o quattro considerazioni di più lungo raggio, che entrano nel nostro presente.

La prima, forse più sorprendente, è che non condivido del tutto la tesi di Mughini dell’inesistenza di una responsabilità di Stato in quegli anni feroci. No, al di là delle dietrologie, delle stragi di Stato e del doppio Stato, di cui si chiacchiera, ci fu in quegli anni una brutta piega dei corpi deviati, che andò ben al di là dei lavori sporchi che devono pur fare i servizi segreti. Quel capitolo che va da piazza Fontana al caso Moro, da Ustica a Pecorelli e altro, non è un’invenzione dei dietrologi, c’è qualcosa di vero nell’uso alternato di anarchici e nazisti, di terroristi rossi e neri, e forse di mafiosi, da parte degli apparati di Stato. Per carità, nessun complotto, ma non credo all’innocenza di Stato e di alcuni ministri e presidenti. Cosa che, ovviamente, non sminuisce di un grammo il terrorismo e le sue colpe.

In secondo luogo, dobbiamo chiederci quanto pesano ancora oggi quegli anni atroci, quei delitti, quelle criminalizzazioni. Non sono tra quelli che auspicano di inchiodare alle loro responsabilità gli ottocento firmatari contro Calabresi, i vecchi lottacontinuisti e via dicendo. Basta, il tempo è passato, ed estendo la clemenza dello sguardo anche a Sofri. Ma provo ancora schifo a pensare che quei teoremi, quell’intolleranza, quelle chiusure hanno pesato e ancora pesano su chi era dalla parte opposta. Altri Pinelli e altri Calabresi furono dimenticati, idealisti di un’opposta utopia o gente che fece il proprio dovere e fu linciata. E ancora oggi, altre voci come quelle aggredite da Lotta continua, sono impossibilitate a esprimersi all’Università, in piazza, nella stampa. Ieri sprangavano oggi silenziano.

L’assassinio Gentile e i conti col passato

In terzo luogo, il libro di Mughini fa un paragone critico tra l’assassinio di Gentile e quello di Calabresi per biasimare chi considera i killer di Calabresi sullo stesso piano degli assassini di Gentile. È di questi giorni la sentenza di un magistrato che reputa diffamatorio definire assassino chi uccise il grande filosofo. «Fu un atto di guerra», dice; ma Gentile non era in armi, era uomo di pace e aveva quasi settant’anni. La sentenza fa il paio con l’assurdo che ci sono vie dedicate a chi uccise o concorse all’uccisione di Gentile, vale a dire il comunista Bruno Fanciullacci, e non ci sono vie o atenei dedicati al più grande filosofo italiano del Novecento, al grande riformatore della scuola e dell’Università, al grande fondatore dell’Enciclopedia Italiana. Ed è squallido notare che alcuni intellettuali comunisti, di sinistra e finiani, reputano “moralistico” stigmatizzare l’assassinio di Gentile.

Il caso Gentile, ormai vecchio di 65 anni, dimostra che i conti con il passato e con la verità non li abbiamo ancora fatti e non si intravede ancora il tempo in cui li faremo. Perciò cari Mughini e Pansa, venuti da sinistra, vi toccherà ancora scavare in quel passato e raccontare. Fatelo voi perché noi, io perlomeno, ho nausea, sono stanco di ascoltare e ripetere queste cose, non ho più voglia di bianco e nero, che mi fa schifo quanto il grigiore del presente.

A proposito, ho un sussulto di nostalgia per anarchici come Pinelli e servitori dello Stato come Calabresi. Credevano in qualcosa e rischiavano di persona. Come sono lontani anni luce...

Marcello Veneziani  (LiberoNews.it, 16 maggio 2009)