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Noi abbiamo ucciso Aldo Moro
09/05/2007 - L'Unità - Marco Dolcetta
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"Noi abbiamo ucciso Aldo Moro"


Marco Dolcetta per “l’Unità”

A Parigi, di passaggio dagli Usa, Steve Pieczenik - invitato dal giornalista Emmanuel Amara per intervistarlo per una serie di trasmissioni tv in Francia e la presentazione di un libro - ci permette di avere un colloquio con lui. Durante il sequestro Moro furono molto attivi tre Comitati per la gestione della crisi: ci sono pochi dati per ricostruire con precisione l'attività di questi gruppi, in quanto dagli archivi del Viminale a detta del senatore Sergio Flamigni, membro della Commissione Stragi, sono scomparsi i verbali delle riunioni e altri documenti.

L'americano Pieczenik, assistente del Sottosegretario di Stato, era il capo dell'Ufficio per la gestione dei problemi del terrorismo internazionale del Dipartimento di Stato Usa, Ufficio che era stato istituito da Henry Kissinger. Come ci ha confermato l'ex ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, Pieczenik venne invitato subito dopo il rapimento di Aldo Moro a fare parte di un Comitato di esperti cui faceva capo, appunto, Cossiga, per fare fronte all’emergenza. Al suo fianco c'era anche il criminologo Franco Ferracuti, che in seguito risultò far parte della P2.

Era allora il responsabile della cellula antiterrorista del Dipartimento di Stato. Finito il suo incarico alle dipendenze dell'Amministrazione Usa, molto dopo il caso Moro ha incominciato a scrivere numerosi romanzi di spionaggio.

«Ben Reid, che dipendeva da Cyrus Vance, il ministro degli Esteri, mi convocò - racconta Pieczenik - nel suo ufficio. Si rivolsero a me perché avevo studiato ad Harvard e al Mit. Poi Kissinger qualche tempo dopo mi incaricò di dirigere la prima cellula antiterroristica degli Usa. Nel 1978 l'Italia, fino al rapimento Moro, era abbastanza trascurata dai nostri. Quando arrivai mi resi subito conto che il Paese era nel caos.

Scioperi continui, manifestazioni sindacali ed estremisti di sinistra, mentre l'apparato dello Stato rimane in mano a vecchi fascisti che poi mi sono reso conto erano stati infiltrati dalla P2. Fra l'altro ho potuto constatare con il ministro dell'Interno di allora Cossiga che costui non aveva nessuna strategia ne alcun piano d'azione».

Cossiga ha parole forti nei confronti di quanto Pieczenik dice: «È alla ricerca di notorietà, visto che ha intrapreso definitivamente la sua attività di scrittore per i libri e per il cinema... Fa affermazioni quanto meno azzardate».

«Quello che mi aveva sorpreso - chi parla ora è sempre Pieczenik - in quei giorni è che i gruppi fascisti tenevano in permanenza le leve del potere in Italia. Mi resi conto in fretta che anch'io ero poco al sicuro. Mi ero quindi reso conto che le Br avevano degli alleati all'interno della macchina dello Stato. Dopo qualche riunione che consisteva nell'identificare il centro di gravità attorno al quale la storia del rapimento girava, ho subito capito che le forze conservatrici volevano la morte di Moro, le Br lo volevano vivo, i comunisti invece, la loro posizione era quella della fermezza politica.

Francesco Cossiga lo voleva sano e salvo ma mi diede carta bianca per elaborare una strategia. Il primo punto della mia strategia consisteva nel guadagnare del tempo, mantenere in vita Moro e al tempo stesso il mio compito era di impedire l'ascesa dei comunisti di Berlinguer al potere, ridurre la capacità degli infiltrati nei Servizi e immobilizzare la famiglia Moro nelle trattative. Cossiga non gestiva interamente la strategia che volevo sviluppare.

Tutto il sistema italiano era inaffidabile. Negli incontri al vertice, avevo di fronte quella che mi veniva presentata come l'elite dirigente, dei dinosauri dell'epoca mussoliniana e i loro giovani cloni. Erano soprattutto i membri dei Servizi. Anche i Servizi Segreti del Vaticano mi avevano detto di fare molta attenzione. Gli stessi Servizi Segreti del Vaticano ci avevano aiutato molto a capire come le Br si erano infiltrate nello Stato. Fra gli altri, i simpatizzanti di estrema sinistra comprendevano anche i figli di Bettino Craxi e una delle figlie di Moro».

Pieczenik, continua a raccontare anche nel libro dal titolo “Noi abbiamo ucciso Aldo Moro” scritto con Emmanuel Amara, che sta per uscire in Francia presso l'editore Patrick Robin, decise la strategia per risolvere a modo suo il caso Moro. «Lessi le molte lettere di Moro e i comunicati dei terroristi. Vidi che Moro era angosciato e stava facendo rivelazioni che potevano essere lesive per l'Alleanza Atlantica. Decisi allora che doveva prevalere la Ragione di Stato anche a scapito della sua vita. Mi resi conto così che bisognava cambiare le carte in tavola e tendere una trappola alle Br. Finsi di trattare.

Decidemmo quindi, d'accordo con Cossiga, che era il momento di mettere in pratica una operazione psicologica e facemmo uscire così il falso comunicato della morte di Aldo Moro con la possibilità di ritrovamento del suo corpo nel lago della Duchessa. Fu per loro un colpo mortale perché non capirono più nulla e furono spinti così all'autodistruzione. Uccidendo Moro persero la battaglia. Se lo avessero liberato avrebbero vinto. Cossiga ha approvato la quasi totalità delle mie scelte e delle mie proposte e faceva il tramite con Andreotti».

Il senatore Sergio Flamigni considera la presenza di Pieczenik di fondamentale importanza per l'esito avuto da tutta la vicenda Moro, identico interesse lo ha sempre dimostrato anche la magistratura italiana che si era interessata della questione. Uno di quei giudici, Rosario Priore, ci ha ricordato come a più riprese anche la Commissione Stragi presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino, abbia chiesto la sua testimonianza che però a suo tempo, all'ultimo minuto, ha sempre rifiutato. Rosario Priore però ricorda anche come quei Comitati fossero formati da esperti che in seguito si rilevarono essere «antenne» di servizi di Intelligenza di molte potenze straniere.

«Sono stato io - continua Pieczenik - a decidere che il prezzo da pagare era la vita di Moro. La mia ricetta per deviare la decisione delle Br era di gestire un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati dicendo a tutti che ero l'unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto. Un giorno chiesi a Cossiga, guardandolo negli occhi se mi potevo fidare di lui. Lui rispose francamente : «Lei non può»…

Presi in mano la situazione e decisi clinicamente come gestire l'esito finale delle Br, uno scambio mortale in termini di stabilità per il Paese e per i suoi alleati. Cossiga era sempre informato sulla mia strategia e non poteva fare altro che accettare. Le Br invece potevano fermarmi in un attimo ma non hanno saputo farlo o voluto, questo non lo so. Avrebbero potuto concludere una trattativa con lo Stato, ottenendo delle pene ridotte liberando Moro ma erano troppo legati alla loro logica terrorista, in cui si preferisce essere più terroristi del terrorismo di Stato che io così bene conosco».

Cossiga vuole ribadire come le affermazioni attuali di Pieczenik non siano coerenti rispetto al suo atteggiamento di un tempo. Dopo aver realizzato il suo piano, Steve Pieczenik, in gran silenzio, come era venuto, se ne ritorna negli Usa. Più volte richiesta la sua testimonianza alle varie Commissioni parlamentari sul sequestro Moro, non si è mai presentato.